ALBERT EINSTEIN E OLINTO DE PRETTO: UN DIMENTICATO
PRECURSORE ITALIANO DELL'EQUIVALENZA TRA MASSA ED ENERGIA
U. Bartocci, M. Mamone Capria
La scienza, come [corpo di conoscenza] esistente e finito è la [cosa] più obiettiva e impersonale che gli esseri umani conoscono, [ma] la scienza come qualcosa che sta per nascere, come scopo, è proprio tanto soggettiva e psicologicamente condizionata quanto qualsiasi altro degli sforzi umani.
(A. Einstein)*
1. Prologo
Alla fine del suo articolo del 1905 in cui getta i fondamenti
della fisica relativistica il ventiseienne Albert Einstein ringrazia nei
seguenti termini l'amico Michele Angelo Besso:
"A conclusione osservo che durante il lavoro ai problemi
qui trattati il mio amico e collega M. Besso mi stette fedelmente a fianco
e che io devo allo stesso parecchi preziosi incitamenti".
Il riconoscimento è tanto più notevole in
quanto l'intero lavoro è sprovvisto di qualsivoglia riferimento
bibliografico, e Besso è l'unica persona il cui apporto venga ricordato.
Non stupisce quindi che il ruolo di Besso nella genesi della teoria della
relatività sia stato esaminato in varie ricostruzioni storiche1;
lo stesso Einstein ebbe a ricordarlo successivamente in più di un'occasione2.
Il secondo articolo relativistico del 1905, brevissimo, è
dedicato alla deduzione di una conseguenza della relatività ristretta
che per il pubblico dei non specialisti è passata a simboleggiare
l'intera teoria della relatività, quando non addirittura l'intera
opera di Einstein: l'equivalenza tra massa ed energia. Questo articolo
non contiene alcun riferimento di nessun tipo ad altre persone e,
dato il suo carattere, almeno apparente, di 'sezione' sfuggita per qualche
ragione contingente all'inserimento nel primo lavoro, la sua genesi, a
nostra conoscenza, non è mai stata considerata bisognosa di uno
studio storico separato. In realtà si può argomentare (ed
è ciò che ci proponiamo di fare nella presente nota) che,
nonostante l'ovvia dipendenza logica dal primo articolo, il secondo
ebbe un'ispirazione in larga misura indipendente, facente capo,
secondo linee che saranno indicate nel seguito, ad una figura di scienziato
italiano, oggi pressoché sconosciuto, delle cui intuizioni fisiche
Besso avrebbe potuto essere tramite per Einstein: Olinto De Pretto. Via
via che verremo presentando la documentazione relativa a tale ipotesi storiografica,
si verrà delineando la trama di un retroterra italiano del giovane
Einstein molto più articolato e sorprendente di quanto si fosse
finora supposto; e benché il carattere della nostra congettura non
si presti, almeno allo stato attuale della ricostruzione dei carteggi einsteiniani,
a una verifica conclusiva, il tessuto delle 'coincidenze' che esporremo
ci sembra costituisca nel suo complesso un'impressionante, anche se non
conclusiva, evidenza favorevole. Aggiungiamo che il nostro scopo non è
di negare validità a quelle ricostruzioni che sottolineavano i collegamenti
dell'equivalenza einsteiniana con il dibattito tardo-ottocentesco sulla
natura della 'massa elettromagnetica', ma di aggiungere nuovi tasselli
a un mosaico che non si avrebbe ragione di presumere particolarmente semplice.
2. Albert Einstein e la teoria della relatività
ristretta
I lavori del 1905 che abbiamo menzionato nell'introduzione
sono i celebri:
A: "Zur Electrodynamik bewegter Körper"
B: "Ist die Trägheit eines Körpers von
seinem Energiegehalt abhängig?"
L'articolo A pervenne alla rivista Annalen der
Physik nel giugno del 1905, e fu raccolto nel volume XVII di quello
stesso anno; B invece arrivò alla stessa rivista tre mesi
dopo il primo, nel settembre 1905, e trovò posto nel volume successivo
(il XVIII). A proposito di B Einstein ebbe a scrivere in una lettera
dello stesso anno all'amico C. Habicht:
"Una conseguenza del lavoro sull'elettrodinamica mi si
è improvvisamente affacciata, cioè che il principio di relatività
in congiunzione con le fondamentali equazioni di Maxwell richiede che la
massa di un corpo è una misura diretta del suo contenuto di energia
- che la luce trasporta massa. Un'apprezzabile diminuzione di massa deve
avvenire nel radio. Questo pensiero è sia gradevole sia attraente;
ma che il buon Signore rida di me a tal riguardo e che mi abbia menato
per il naso - questo non posso saperlo" (Miller 1981, p.353)3.
E' infatti in B che si trova l'enunciato dell'equivalenza
massa-energia, riassunto nell'equazione celeberrima
(1) E = mc2 ,
la quale tuttavia non vi appare esplicitamente.
La 'dimostrazione' di (1) che si trova in B si fonda sull'esame
di un caso particolare: quello della diminuzione della massa in un corpo
radiante; lo strumento principale usato nell'argomento è la formula
per l'energia di un sistema di onde luminose piane ottenuta nella sezione
8 di A. Trattato questo caso, l'autore commenta:
"E' qui evidentemente inessenziale che l'energia sottratta
al corpo vada proprio in energia di radiazione, sicché siamo condotti
alla più generale conclusione che: la massa di un corpo è
una misura del suo contenuto di energia; se l'energia varia di L, la massa
varia nello stesso senso di L/9x1020, ove l'energia sia misurata in erg,
e la massa in grammi".
In questo passo c'è un salto logico cruciale: dalla circostanza che, per radiazione, un corpo può subire una diminuzione della propria massa, evidentemente non segue che tutta la sua massa si possa rendere disponibile come energia (radiante o non). Poiché, nonostante una leggera ambiguità nella formulazione, questo sembra essere (ed è generalmente ritenuto essere) il significato della "generale conclusione", è naturale chiedersi se essa si fosse precedentemente presentata all'attenzione di Einstein per qualche via diversa da quella che trova espressione nell'argomento di B4. A rafforzare l'impressione che tale dubbio vada sciolto positivamente interviene un'altra peculiarità di B: la forma interrogativa del titolo induce a pensare che il giovane scienziato si proponga di dare risposta ad un quesito che, quanto meno, sia stato già oggetto di indagini ed abbia già suscitato prese di posizione. Inoltre, la dimostrazione einsteiniana discute un caso molto particolare, e non fa dunque meraviglia se, nonostante l'apparente sicurezza della frase "ist es offenbar unwesentlich", egli abbia cercato fin dall'anno seguente dimostrazioni adatte ad altre forme di scambi energetici5.
Di fatto, come accennavamo nell'introduzione, gli storici della scienza hanno visto nelle discussioni sulla massa elettromagnetica il solo 'precedente' per l'equivalenza massa-energia, non mancando al tempo stesso di sottolineare l'audacissima originalità dell'ulteriore passo compiuto da Einstein nel dichiarare la totale equivalenza tra le due grandezze fisiche. Nel 1881 J. J. Thomson aveva mostrato che una carica sferica che si muova in un dielettrico incontra una resistenza descrivibile 'come' dovuta a un aumento della sua massa. Otto anni dopo, O. Heaviside otteneva per l''aumento di massa' un valore che è i 4/3 di quello attuale, se si trascurano i termini in v/c d'ordine superiore al secondo. L'idea dell'origine elettromagnetica di tutta la massa venne elaborata da W. Wien (1900) e M. Abraham (1902)6. Tutto sommato, però, non sembra che questi risultati si possano considerare come direttamente collegati all'equivalenza einsteiniana, soprattutto se si riflette che, a rigore, essi sono in contraddizione con la formula einsteiniana7. Più probabile sembra essere l'influenza dell'articolo di H. Poincaré [1900], in cui si afferma che l'energia elettromagnetica può riguardarsi come "un fluide fictif", la cui massa è uguale al rapporto tra l'energia e il quadrato della velocità della luce. Come in molti altri casi, Poincaré era arrivato praticamente al risultato relativistico, seppure enunciato con la precisione e le restrizioni che, da matematico, egli sapeva necessarie per la sua validità8.
In realtà, come vedremo, qualcuno si era
già espresso, a proposito del rapporto tra massa ed energia in termini
così simili a quelli di Einstein, e addirittura assai più
esplicitamente di lui, da indurci a congetturare che quella finora raccontata
dagli storici potrebbe non essere tutta la storia. Con questo nuovo
personaggio faremo conoscenza dopo aver dedicato una sezione allo sfondo
problematico su cui si svolse la sua ricerca.
3. Meccanicismo ed elettromagnetismo alla fine del
secolo XIX.
Il meccanicismo è, in prima istanza, il programma di ricerca mirante a spiegare tutti i fenomeni fisici come dovuti all'interazione meccanica tra particelle. In questa definizione l'espressione 'interazione meccanica' richiede evidentemente un chiarimento, ed in effetti addirittura i primi due secoli dello sviluppo della fisica moderna possono essere inquadrati nella prospettiva della ricerca di tale chiarimento. Nella sua accezione primitiva una azione meccanica di un corpo su un altro implica il contatto dei due corpi, e questo viene appunto ritenuto condizione necessaria perché un corpo influenzi lo stato di quiete o di moto di un altro corpo. Ora, moltissime situazioni reali si lasciano descrivere in questi termini (si pensi, ad esempio, al funzionamento delle macchine di ogni genere), e non c'è dubbio che il carattere del tutto comune e quotidiano di questa modalità di interazione è la ragione principale del posto privilegiato che i fisici le hanno inizialmente conferito, nonostante che la stessa nozione di contatto non manchi di presentare, ad un'analisi un po' accurata, le sue difficoltà9. Bisogna però dire che la riduzione di un fenomeno fisico inconsueto ad un complesso di azioni meccaniche (nel senso suddetto) ha il merito di spostare le difficoltà entro un contesto concettuale che, se non del tutto trasparente, è almeno familiare e soddisfa l'immaginazione. L'analogia con qualcosa di familiare è stata da sempre il principale obiettivo delle domande di spiegazione, ed è per questo che l'affermazione che una certa situazione sperimentale vada trattata mediante una teoria manifestamente priva di analogie siffatte è stata molto spesso accolta non come prova del carattere inedito di quella situazione, ma come dichiarazione di impotenza a fornire una spiegazione vera e propria. Comunque sia, è chiaro che anche la nostra esperienza più quotidiana ci fa conoscere dei fenomeni che non si lasciano spiegare meccanicamente in modo ovvio: quelli legati al peso dei corpi e al moto dei pianeti. La spiegazione della seconda classe di fenomeni mediante la rotazione delle sfere cristalline poteva considerarsi ancora accettabile, in termini meccanici, benché postulasse l'esistenza di enormi strutture materiali che non potevano in altro modo essere rivelate; il caso dei corpi pesanti, però, non si prestava in maniera altrettanto semplice all'inserimento in uno schema meccanico, e la teoria aristotelica che il corpo che cade sta cercando di raggiungere il proprio "luogo naturale" è, in certa misura, una concessione a un modello esplicativo antitetico a quello meccanicistico10. La prima esposizione sistematica della dottrina meccanicistica è contenuta nei Principia philosophiae [1644] di Cartesio, nei quali, com'è noto, il moto dei pianeti viene spiegato in termini di vortici di un fluido di materia sottilissima, la quale trascina, appunto, i pianeti11. (D'altra parte, il peso dei corpi sulla Terra si spiega, per Cartesio, con un effetto di pressione dovuto alla "materia celeste" che avvolge e penetra la terra - e che è responsabile, tra l'altro, del suo moto di rotazione)12. La teoria di Cartesio non univa al potere evocativo di un grande dramma nei cieli doti di predizione numerica altrettanto notevoli, e fu presto soppiantata dall'avvento del sistema newtoniano13. Quest'ultimo introdusse un elemento innovativo nel programma meccanicistico: l'azione fra particelle materiali era possibile non solo se avveniva attraverso contatto manifesto, ma poteva svolgersi anche secondo leggi di forza in cui questa abbia la direzione della retta congiungente e intensità andante a zero all'infinito come l'inverso di qualche potenza della distanza. Il programma meccanicistico si ampliava così fino ad ammettere queste cosiddette "forze centrali" fra le modalità 'legittime' di interazione meccanica. Ciò non significa che si giungesse mai a negare, almeno fino al tardo Ottocento, ogni valore alla ricerca di cause 'meccaniche' (nel senso originario del termine) per quelle azioni che apparivano regolate da forze centrali; piuttosto, si pensò che si poteva benissimo rimandare a tempi più propizi quella ricerca, almeno fin tanto che, da un lato, non si riusciva a darle una dimensione sperimentale e, dall'altro, l'ipotesi o, se si voleva, la 'finzione' dell'azione a distanza permetteva di rendere conto adeguatamente dei risultati osservativi14.
Alla fine del secolo XVIII G.-L. Le Sage aveva fatto un celebre tentativo di spiegazione meccanica della gravitazione, supponendo l'esistenza di una miriade di "corpuscoli ultramondani", i cui urti da ogni direzione contro la materia ordinaria permettevano di interpretare l'attrazione di due corpi come l'effetto della reciproca schermatura rispetto a quegli urti, nella direzione della congiungente15. Tale teoria, nonostante il discredito in cui cadde presso una parte dei suoi contemporanei, è in effetti piuttosto suggestiva, e Poincaré la discusse in dettaglio, insieme a sue varianti recenti, ancora nel 190816.
Che l'esigenza filosofica sottostante l'indagine sulle 'cause' della gravitazione fosse viva anche nei fisici impegnati in ricerche di punta in altri settori appare evidente dall'evoluzione dell'elettromagnetismo. La teoria di Maxwell, che ne rappresenta il culmine, fu infatti costruita a partire da quei modelli fluidodinamici che i lavori sperimentali di Faraday avevano quasi imposto ai teorici: i 'vortici' del 'fluido' imponderabile responsabile delle interazioni fra cariche, magneti e correnti si potevano ormai 'vedere' per mezzo delle eloquenti figure ottenute con la limatura di ferro17. Bisogna aggiungere, però, che il ruolo costruttivo dei modelli fluidodinamici non impedì a Maxwell, e ancora di più ai suoi successori, di attribuire alle equazioni ottenute per il loro tramite una validità indipendente, da precisare e ribadire attraverso le ordinarie procedure sperimentali18. E tuttavia, anche in mancanza di un modello fluidodinamico interamente soddisfacente per l'interazione elettrica e magnetica, che un fluido fosse soggiacente ad esse fu considerato indubitabile dai maggiori fisici dell'epoca: l'etere elettromagnetico, pur con le sue caratteristiche anomale, si rivelava nella maniera più evidente attraverso il fenomeno delle onde scoperte da Hertz negli anni Ottanta.
La fine del secolo, dunque, vedeva la presenza di una
sostanza che pervadeva ogni cosa materiale, e che si rendeva manifesta
per mezzo dei fenomeni elettrici, magnetici e ottici. Certo, accanto all'entusiasmo
meccanicista di fisici prestigiosi come William Thomson (Lord Kelvin),
che nel 1884 poteva dire durante una serie di conferenze:
"Non sono mai soddisfatto se non posso fare un modello
meccanico di una cosa. Se posso fare un modello meccanico posso capirlo.
Fin tanto che non posso fare un modello meccanico fino in fondo non posso
capire, ed è per questo che non posso fare mia la teoria elettromagnetica.
Io credo fermamente nella teoria elettromagnetica della luce, e che quando
capiamo l'elettricità, il magnetismo e la luce, li vedremo come
parti di un tutto. Ma io voglio capire la luce il meglio posibile senza
introdurre cose che capiamo ancor meno. E' per questo che prendo la dinamica
e basta",
e in un'altra occasione parlava dell'"etere luminifero"
addirittura come della:
"sola sostanza di cui siamo sicuri in dinamica"19,
si levavano le notazioni critiche di un Ernst Mach, il
quale nell'ultimo capitolo della sua celebre storia della meccanica scriveva,
solo un anno prima:
"La concezione secondo cui la meccanica è il fondamento
di tutte le altre parti della fisica, e perciò tutti i fenomeni
fisici debbono essere spiegati meccanicamente, è per noi
un pregiudizio. La conoscenza più antica in ordine di tempo non
deve necessariamente restare il fondamento dell'intelligibilità
di ciò che è scoperto più tardi. Concezioni del tutto
nuove si affermano man mano che si va allargando la sfera dei fenomeni
conosciuti e catalogati. Almeno per ora non ci è possibile stabilire
se i fenomeni meccanici costituiscano la natura più profonda delle
cose o ne siano invece l'aspetto più superficiale. Forse i fenomeni
sono tutti di uguale profondità". (Mach 1912, tr. it. p.484).
Tuttavia la credenza in un etere elettromagnetico apparteneva
alla maggioranza dei fisici dell'epoca. Il fisico Q. Majorana (che incontreremo
ancora nella sezione seguente) racconterà molti anni più
tardi:
"Sulla fine del secolo XIX, nessuno sembrava dubitare
dell'esistenza di quel tenuissimo e, per vero, incontrollabile fluido,
che, riempiendo tutto lo spazio (anche quello fra gli atomi naturali, e
gli atomi stessi), dava ragione delle minute caratteristiche del fenomeno
ottico. In quell'epoca, facevano testo libri di grandi scienziati, dal
titolo: Fisica dell'etere . Mi ricordo che Galileo Ferraris, quando
nel 1895, presiedeva la Commissione per l'imposizione della tassa sull'energia
elettrica, (di cui io fui segretario), forte dei suoi successi del suo
campo magnetico rotante, mi diceva: "Stiamo per toccare con mano l'etere".
Senza l'etere, non erano spiegabili, per es., i fenomeni di polarizzazione,
il campo elettromagnetico, e la sua propagazione". (Majorana 1952, p.5).
Un'espressione simile era usata dal pur sofisticato Poincaré
nel 1900 al Congresso Internazionale di Fisica a Parigi, nel ricordare
l'esperimento di Fizeau (del 1859, ripetuto in versione migliorata da A.
A. Michelson e E. W. Morley nel 1886):
"L'esperienza di Fizeau va oltre. Con l'interferenza dei
raggi che hanno attraversato aria o acqua in movimento, essa sembra mostrarci
due mezzi differenti che si penetrano e tuttavia si spostano l'uno rispetto
all'altro. Si crede di toccare l'etere con un dito". (Poincaré 1902,
p. 181).
Nella stessa conferenza Poincaré aveva tracciato
il seguente quadro a proposito delle varie opinioni 'estremistiche' sull'etere
e il suo rapporto con la materia:
"Spesso si va oltre e si riguarda l'etere come la sola
materia primitiva o anche come la sola materia vera. I più moderati
considerano la materia volgare come etere condensato, il che non ha nulla
di urtante; ma altri ne riducono ancora di più l'importanza e non
ci vedono più altro che il luogo geometrico delle singolarità
dell'etere. Per esempio, per Lord Kelvin, quello che chiamiamo 'materia'
non è che il luogo dei punti in cui l'etere è animato da
moti vorticosi; per Riemann, era il luogo dei punti in cui l'etere è
costantemente distrutto; per altri autori più recenti, Wiechert
ou Larmor, è il luogo dei punti in cui l'etere subisce una specie
di torsione di natura tutta particolare" (p. 179)20.
Se non tutti erano proprio così sicuri come Kelvin,
la raffinata scepsi machiana rappresentava l'atteggiamento di una piccolissima
minoranza di fisici-filosofi: per gli altri, il meccanicismo rimaneva il
sistema di riferimento concettuale privilegiato della fisica.
4. Olinto De Pretto e l'"Ipotesi dell'etere nella vita
dell'universo".
Il 29 novembre 1903 viene presentata al Reale Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, da parte del Conte Almerico Da Schio, una memoria del Dott. Olinto De Pretto, intitolata: "Ipotesi dell'etere nella vita dell'universo", datata 1.IV.1903 e apparsa poi nel febbraio del 1904 negli Atti dello stesso Istituto, tomo LXIII, parte II, pp.439-50021 ( ci riferiremo ad essa con la sigla C).
L'articolo colpisce immediatamente il lettore moderno per l'assenza quasi totale di espressioni matematiche. Naturalmente non bisogna pensare che nelle ricerche dei fisici dei primi del secolo la matematica svolgesse quel ruolo dominante che è oggi evidente in quasi ogni articolo o libro di fisica. E tuttavia è chiaro che il lavoro di De Pretto si presenta, anche tenuto conto del diverso clima scientifico, come opera di un pensatore immaginoso e con un forte senso dell'analogia meccanica, ma non di un 'professionista'. Del resto ciò è testimoniato dalla scelta stessa del tema (cioè la spiegazione delle varie forme di interazione per mezzo delle proprietà dell'etere), che riapriva una questione 'storica' e in qualche misura abbandonata della fisica, come abbiamo richiamato brevemente nella sezione precedente.
E' nella sezione [3] che leggiamo la frase seguente, il
cui suono 'anticipatore' non mancherà di essere riconosciuto da
ogni lettore:
"La materia di un corpo qualunque, contiene in se stessa
una somma di energia rappresentata dall'intera massa del corpo, che si
muovesse tutta unita ed in blocco nello spazio, colla medesima velocità
delle singole particelle. [...] La formula mv2 ci dà la forza viva22
e la formula mv2/8338 ci dà, espressa in calorie, tale energia.
Dato adunque m = 1 e v uguale a 300 milioni di metri [al secondo], che
sarebbe la velocità della luce, ammessa anche per l'etere, ciascuno
potrà vedere che si ottiene una quantità di calorie rappresentata
da 10974 seguito da 9 zeri e cioè oltre dieci milioni di milioni
(p. 458-9)".
Questa sorprendente conclusione si fonda sulla concezione di un etere costituito da "particelle piccolissime", dotate di velocità altissima (almeno quella della luce)23, soggette ad un "continuo movimento vibratorio rapidissimo" per effetto degli urti reciproci. Tale movimento dell'etere sarebbe responsabile dell'interazione gravitazionale, proprio come nella teoria di Lesage24; la materia ordinaria è infatti , per De Pretto, costituita da "particelle elementari infinitesime, uguali per tutte le sostanze e unite indissolubilmente per formare gli atomi", ognuna delle quali "rappresenta una unità di resistenza per lo schermo che essa offre alla trasmissione delle onde dell'etere"(p. 452-3)25. D'altra parte, il movimento delle particelle di etere all'interno di ogni atomo vi induce un'incessante vibrazione, che è l'origine dell'enorme energia interna 'imbrigliata' in esso. (Si noti che questa teoria dell'etere implica che lo stesso 'spazio vuoto' possiede energia, il che costituisce una curiosa anticipazione di un'altra idea moderna).
Si può probabilmente disputare circa l'assoluta
priorità di De Pretto nella considerazione della materia come di
un enorme serbatoio di energia. E tuttavia è assai probabile che
De Pretto non sapesse nulla di eventuali anticipazioni della sua tesi;
ecco come infatti prosegue subito dopo la precedente citazione:
"A quale risultato spaventoso ci ha mai condotto il nostro ragionamento? Nessuno vorrà facilmente ammettere che immagazzinata ed allo stato latente, in un chilogrammo di materia qualunque, completamente nascosta a tutte le nostre investigazioni, si celi una tale somma di energia, equivalente alla quantità che si può svolgere da milioni e milioni di chilogrammi di carbone; l'idea sarà senz'altro giudicata da pazzi.
Effettivamente, se deve essere fuori discussione che tutte le particelle della materia siano in movimento, non è necessario per questo, l'ammettere che vibrino senz'altro con la velocità stessa dell'etere libero; e d'altra parte, date le circostanze in cui avviene il fenomeno, non è forse rigorosamente esatto il paragonare l'energia latente, all'energia rappresentata dalla stessa quantità di materia che si muova in blocco nello spazio colla medesima velocità.
Sia comunque, si riduca quanto si vuole il risultato a
cui fummo condotti dal nostro calcolo, è pur forza ammettere che
nell'interno della materia , deve trovarsi immagazzinata tale somma di
energia da colpire qualunque immaginazione" (p. 459; sottolineatura aggiunta).
Nella premessa, De Pretto aveva scritto:
"La presente Memoria, per le ardite ipotesi che contiene,
era destinata forse a rimanere inedita; il nome oscuro dell'autore, non
dava alla stessa sufficiente credito".
Seguiva un ringraziamento al Conte Almerico Da Schio "che
tanto benevolmente volle appoggiarmi", ma soprattutto all'"Illustre Astronomo
Schiaparelli"26, del quale è pubblicata in appendice
una lettera (16.VI.1903) all'autore che mostra un grado di apertura mentale
(non sorprendente, dobbiamo dire, in uno scienziato dalla profondissima
cultura storica) che non sarà stato molto più comune al tempo
della sua scrittura di quanto lo sia oggi:
"Insomma: se sarebbe troppo il dire, ch'Ella ha spiegato
le cose come stanno, proprio come stanno, mi pare tuttavia di non eccedere
la giusta misura dicendo che Ella ha aperto al nostro sguardo nuove possibilità,
la cui considerazione deve essere sufficiente a moderare il tono dogmatico,
con cui diversi scienziati, anche di gran vaglia, hanno parlato e vanno
parlando della estinzione del calore terrestre, della luce e del calore
del Sole ecc." (p.500).
Non stupisce che per un cosmologo dilettante questo giudizio
del famoso Schiaparelli abbia potuto suonare come un elogio superiore ad
ogni aspettativa27.
Prima di entrare nel cuore della nostra congettura storiografica,
e per dissipare ogni possibile equivoco al riguardo, ci affrettiamo a dire
che il senso in cui si può parlare di De Pretto come 'precursore'
di Einstein è ben diverso da quello in cui Lorentz e Poincaré
sono stati 'precursori' della relatività: nei confronti di costoro
non solo c'è un evidente (e dagli studiosi dettagliatamente dimostrato)
debito einsteiniano, ma gli stessi termini del discorso sviluppato in A
sono simili a quelli di certe considerazioni dell'uno o dell'altro scienziato
(che a loro volta furono, sia detto incidentalmente, protagonisti di un
intenso rapporto scientifico); il legame con De Pretto è assai più
tenue: ciò che si può però sostenere è che,
sia pure al termine di strade diverse, troviamo una sorprendente similarità
nelle conclusioni di B e C , e che una possibile spiegazione
è che C abbia fornito lo spunto, l''ispirazione', per B.
Quando poi si ricordi come la 'dimostrazione' contenuta in B sia
piuttosto stentata e particolare, in netto contrasto con la generalissima
e radicale conclusione, si avrà meno difficoltà a convenire
con noi che in effetti di un''ispirazione' c'era bisogno. Che possa essere
stato De Pretto a procurarla (a sua insaputa) è quanto verremo argomentando
nella prossima sezione.
Ora è il caso di dare alcune informazioni sulla biografia di questo personaggio (per informazioni più estese si veda la prossina sezione). Olinto De Pretto era nato a Schio, in provincia di Vicenza, il 26 aprile 1857, sesto di sette figli, da un architetto dedito anche a ricerche di astronomia e di geologia. Dopo aver compiuto i suoi studi liceali a Padova, si laureò in Agraria presso l'Università di Milano, dove fu assistente del Prof. Gaetano Cantoni alla scuola Superiore di Agricoltura. Dalla corrispondenza di questo periodo con il fratello maggiore Silvio, ingegnere, siamo messi al corrente dell'inclinazione del De Pretto per le applicazioni tecniche delle conoscenze scientifiche, non disgiunta però da una certa inventiva teorica, che lo porta a formulare ipotesi del tutto nuove ed "arrischiate", com'egli stesso le definisce.
Il fratello Silvio, con altri componenti della famiglia,
era stato fondatore a Schio di un'officina meccanica che assunse ben presto
le dimensioni di un'importante industria, grazie anche alle competenze
tecnico-scientifiche che i De Pretto seppero esplicarvi. Lasciato il lavoro
all'Università di Milano intorno al 1886 per rivestire la carica
di Direttore amministrativo della Fonderia De Pretto, posizione che occupò
fino alla fusione, nel 1920, dell'industria veneta con la svizzera Escher
Wyss, Olinto proseguì i suoi studi fino alla morte, avvenuta in
circostanze tragiche28 nel 1921 proprio quando usciva il suo
libro Lo spirito dell'universo, nel quale venivano ripresi e rielaborati
i temi della memoria del 190429. Le sue pubblicazioni scientifiche
(se ne veda l'elenco in appendice alla prossima sezione) furono non numerose,
e riguardanti soprattutto argomenti di geologia, a testimonianza di una
curiosità scientifica non rivolta soltanto alle alte sfere della
speculazione cosmologica; del resto, l'interesse di De Pretto per la dimensione
'concreta' della scienza si tradusse in attività di vario genere
che lo resero un personaggio ben conosciuto nel Veneto dei primi del '900:
fondazione di scuole tecniche professionali, partecipazione a società
quali la Società Industria Elettrica Scledense, la Società
Esercizi Pubblici (tranvie, ferrovie del distretto, collegamento automobilistico
internazionale Schio-Rovereto) e perfino la costruzione e la gestione della
prima aeronave italiana30. Il libro del 1921 fu presentato dal
geologo Federico Sacco all'Accademia delle Scienze di Torino il 30 gennaio,
"fra la generale attenzione degli Accademici", tra i quali il fisico sperimentale
Quirino Majorana31, che volle subito il libro in prestito32.
Anche le sue speculazioni sul cosmo finirono per trovare una certa diffusione
presso il grande pubblico, grazie all'allora assai popolare scrittore Sem
Benelli, il quale diede alle stampe nel 1927 un dramma, dal titolo Con
le stelle33, in cui venivano riprese alcune delle tematiche
legate a quella concezione del mondo.
Come si è detto, nel libro del 1921 De Pretto rielaborava le tesi della memoria di quasi vent'anni prima. Sarebbe stato naturale per lui, a teoria della relatività ormai già affermata, se non proprio reclamare una qualche priorità su quella equivalenza massa-energia che già veniva considerata tra le 'conseguenze' più sorprendenti della teoria einsteiniana, almeno citare il successo di questa come una insperata rivendicazione ufficiale della validità delle proprie "pazzesche" idee. Ma nel libro in questione non si trova nulla di tutto ciò. Bisogna riguardare tale circostanza come una riprova dell'isolamento di De Pretto rispetto al mondo scientifico internazionale, o dell'ancora scarsa notorietà o autorevolezza di Einstein in Italia al tempo in cui il libro del 1921 veniva scritto?
In realtà la questione è più sottile
di quello che sembrerebbe a prima vista. Certo, per una strana ironia della
sorte, proprio il 1921 fu "l'anno in cui Einstein divenne personaggio tanto
famoso da far parlare di sé anche la stampa quotidiana" (Maiocchi
1985, p. 54). Nel 1921 fu pubblicata la traduzione in italiano del volumetto
divulgativo einsteiniano Sulla teoria speciale e generale della relatività
, contemporaneamente a molte opere di altri autori e di vario valore e
livello sullo stesso tema. Addirittura nell'ottobre di quell'anno Einstein
venne a Bologna, su invito del matematico e filosofo Federigo Enriques,
per tenere tre conferenze (in italiano) nei giorni 19, 20 e 21. Nella prima
conferenza, secondo la ricostruzione pubblicata l'anno dopo da G. Todesco
[1922], Einstein terminò proprio discutendo la nuova relazione,
valida in relatività, tra energia e inerzia, a partire dallo sviluppo
in serie dell'energia come funzione della velocità, dove m0 sta
per la 'massa a riposo':
E = m0c2/(1 - v2/c2)- 1/2 .
Di tale sviluppo, se consideriamo fedele la versione di Todesco, tralasciò di interpretare proprio il primo termine34, limitandosi ad affermare ed esemplificare che "la massa inerte di un corpo, secondo i nuovi concetti posti, è funzione dell'energia da esso posseduta".
Tuttavia echi delle nuove teorie elettromagnetiche sono
certamente presenti ne Lo Spirito dell'Universo , anche se non viene
fatto il nome di Einstein. Il punto è che nel sistema di De Pretto
la velocità di propagazione dell'attrazione gravitazionale dev'essere
infinita, e ciò naturalmente non si accorda con la concezione
del valore-limite della velocità della luce:
"E' ovvio infatti pensare che l'agente che domina e governa
l'Universo, mantenendo il legame per le sue infinite distanze, abbia una
velocità ben maggiore della luce, sebbene vi sia il preconcetto
che nessuna azione che si propaga attraverso l'etere possa superare tale
velocità. Infatti nessuna manifestazione conosciuta che si propaghi
mediante vibrazioni attraverso l'etere, supera la velocità di 300
mila chilometri per secondo, misurata per la luce. Ma già a questo
proposito, nella prima edizione di questo lavoro, senza entrare a fondo
di tale argomento, accennai che la velocità di propagazione dell'attrazione
doveva ritenersi almeno pari alla velocità della luce, ma
che fosse da ritenersi molto maggiore, pel fatto che la luce dipende da
una vibrazione secondaria, quasi accidentale, probabilmente complicata,
provocata dall'azione di un corpo luminoso, mentre la gravitazione non
è che una manifestazione diretta delle vibrazioni semplici, innate
dell'etere, senza la minima alterazione e che rappresentano la forma più
semplice dell'energia e del movimento. Ora però dopo quanto abbiamo
veduto nei capitoli precedenti comprendiamo benissimo come sia ormai fuori
di luogo il parlare di velocità della gravitazione, sapendo benissimo
per qual ragione la sua azione sia istantanea. Si comprende anche che se
è giusto ed esatto parlare di irradiazioni luminose e calorifere,
è fuori di luogo e improprio invece parlare di irradiazioni gravitative
che non esistono" (p.41; il primo corsivo è nostro).
Pertanto per De Pretto le nuove concezioni fisiche costituivano una minaccia per i fondamenti del proprio 'sistema del mondo'; non stupisce, dunque, che egli non si sentisse affatto disposto a vedere in esse una sorta di 'inveramento' della propria visione, tanto più che nei due decenni in cui egli aveva ripensato e rielaborato le sue idee sull'etere la relatività non aveva ancora conquistato lo statuto di 'verità indiscutibile' che avrebbe ottenuto negli anni immediatamente successivi.
Quando nel 1931, a dieci anni dalla morte del fratello,
Silvio De Pretto tentò di valorizzare il lavoro del congiunto con
uno studio relativo a Lo spirito dell'universo , trovò un
ambiente scientifico assai poco disposto ad accettare argomentazioni basate
sul concetto di etere35. Lo scritto che aveva preparato non
venne mai pubblicato (il manoscritto andò successivamente perduto),
e sull'intera questione scese il silenzio.
5. Olinto De Pretto e Michele Besso.
L'ipotesi di un contatto diretto tra De Pretto
ed Einstein, benché non così peregrina come in un primo momento
potrebbe credersi, sembra difficile da sostenere, oltre che per quanto
detto alla fine della sezione precedente, anche perché, se Einstein
avesse conosciuto De Pretto o la sua memoria direttamente, non gli sarebbe
mancata l'occasione durante la sua lunga carriera di 'stella' internazionale
per ricordare a qualcuno dei suoi biografi il curioso aneddoto di una intuizione
fisica così importante (l'equivalenza massa-energia, appunto) originata
da una conversazione con (o dalla lettura di uno scritto di) uno sconosciuto
e fantasioso industriale italiano: certamente la storiella si sarebbe accompagnata
degnamente alle tante che hanno fatto la leggenda del fisico di Ulm, mostrandolo
capace anche di trasformare i 'materiali vili' di un'immaginazione indisciplinata
nell''oro' di una profondissima scoperta scientifica. Detto questo bisogna
però sottolineare che anche l'ipotesi di un contatto 'diretto'
non può essere esclusa categoricamente, e che vari 'indizi' puntano
verso di essa. Innanzitutto non vanno dimenticati i legami che a quel tempo
Einstein aveva con l'Italia, e proprio con la Lombardia ed il Veneto. In
effetti il giovane Albert venne più volte nel nostro paese da quando
la sua famiglia vi si trasferì definitivamente nel 1894, e negli
anni successivi accompagnò spesso in viaggio il padre Hermann per
motivi di lavoro (si trova ancora oggi a Pavia una casa della famiglia
Einstein)36. Il padre di Einstein, che morì a Milano
nel 1902, si occupava proprio di impianti elettrici, e come direttore della
"Privilegiata Impresa Elettrica Einstein" fu concessionario dell'installazione
della luce pubblica in alcuni comuni del veronese ed in altre parti del
Veneto (altra interessante coincidenza di luoghi e di tempi: per produrre
energia elettrica ci vogliono turbine, la Fonderia De Pretto era tra le
poche aziende italiane che ne costruivano, e Verona dista pochi chilometri
da Schio!). Inoltre si potrebbe forse dare un certo peso ai frequenti contatti
della famiglia De Pretto con la Svizzera37, anche a proposito
di brevetti internazionali, ma non è nostra intenzione seguire ulteriormente
questa pista. Come vedremo, a favore della tesi del 'contatto indiretto',
con 'anello di congiunzione' Michele Besso, militano circostanze assai
più probanti. E' venuto il momento di dire qualcosa su questo grande
amico di Einstein.
Michele Besso nacque a Trieste nel 1873, da famiglia assai agiata e importante38, e la sua amicizia con Einstein, che durò per tutta la vita, data dal 1896, anno nel quale Albert Einstein si iscrisse al Politecnico di Zurigo, città nella quale avvenne la loro conoscenza. Besso vi si era recato per completare gli studi sin dal 1891, dopo aver iniziato a studiare scienze fisico-matematiche presso l'Università di Roma; divenuto ingegnere, restò alcuni anni in Svizzera, per poi trasferirsi nel 1899 a Milano, dove lavorò presso la "Società per lo sviluppo delle Industrie elettriche in Italia", e quindi a Trieste. Nel gennaio del 1904, dietro insistenza dell'amico Einstein, lasciò una già affermata posizione per un impiego presso l'ormai storico Ufficio Brevetti di Berna, dove rimase fino a tutto il 1908 (Einstein vi restò ancora per poco più di un anno, fino a quando ricevette la cattedra di professore di fisica teorica a Zurigo). Di questi anni famosi vissuti fianco a fianco con quello che diventerà uno dei più celebri scienziati di tutti i tempi non rimangono grandi tracce scritte, a parte alcuni ricordi molto posteriori dei protagonisti, proprio perché la vicinanza dei due amici rese inutile lo scambio epistolare (in altri periodi, invece, assai nutrito)39. Questo fatto comporta una seria limitazione per il nostro assunto di mostrare la conoscenza, da parte di Besso, delle idee di De Pretto: ci affrettiamo quindi a precisare che non ci risultano lettere o appunti comprovanti tale conoscenza. Tuttavia l'evidenza circostanziale è notevole. Si consideri innanzitutto il teatro degli avvenimenti, la contiguità sia spaziale che temporale delle varie azioni40, la scarsità di riviste scientifiche all'epoca, e ancor più di quelle diffuse in quella regione, il piccolo numero di persone con cui si poteva parlare di quegli argomenti, l'interesse che poteva avere per Einstein e Besso uno scritto dedicato espressamente, fin dal titolo, allo studio dell'etere, nel momento in cui questo argomento era al centro delle loro conversazioni. D'altra parte, le testimonianze ci descrivono concordemente Besso come persona la cui "sete di sapere [...] non conosce limiti", grande lettore di testi scientifici nei più diversi campi, spirito eclettico che cercava di "dominare tutto il sapere del suo tempo", anche capace di condurre una sua personale ricerca scientifica. Besso aveva sempre mantenuto, inoltre, i suoi rapporti con l'area geografica di residenza della sua famiglia, sicché non sarebbe affatto improbabile neanche un suo venire a conoscenza 'per sentito dire' delle idee di De Pretto, anche prima della loro pubblicazione41. Da qui a supporre che abbia riferito ad Einstein, dopo che A era stato terminato, della "pazzesca" idea che la massa della materia ordinaria potrebbe rappresentare, nella sua totalità, un enorme serbatoio di energia, secondo una proporzione stabilita proprio dal quadrato della velocità della luce, non sembra particolarmente azzardato. Né bisognerebbe ravvisare una confutazione di tale ipotesi nella mancanza di riferimenti espliciti all'anticipazione deprettiana in B: così diverso, e anzi antitetico, era il quadro di riferimento di una teoria dell'etere rispetto all'approccio introdotto con il primo articolo sulla relatività, che un tale riferimento sarebbe stato del tutto estraneo agli usi vigenti (allora e anche oggi) nella letteratura specialistica. Che poi neanche in seguito nessuno dei due amici abbia più ripensato a quel 'suggerimento' potrà apparire strano solo a chi sopravvaluti, e di molto, l'efficienza archivistica della mente umana42.
Ma c'è un'altra circostanza curiosa che rafforza, sempre indirettamente, la nostra ipotesi, indicando una fonte assai ragionevole di conoscenza indiretta anche per Besso.
Michele Besso restò sempre in particolare contatto
con un suo zio, Beniamino Besso, che viveva a Roma e che lo ebbe ospite
a casa sua quale giovane studente di liceo e dell'Università di
quella città. Beniamino Besso, interessato anch'egli a questioni
scientifiche, e particolarmente di elettricità43, sia
pratiche che teoriche, rivestiva a Roma la carica di Direttore delle Ferrovie
Sarde. Orbene, faceva al tempo parte del Reale Ispettorato delle Strade
Ferrate anche un altro fratello di Olinto De Pretto, l'ingegnere
Augusto, che per motivi inerenti alla sua carica soggiornava pure frequentemente
a Roma (Augusto De Pretto, promosso Ispettore Superiore, fece anche parte,
dal 1907, del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici). Non ci vuole molta
immaginazione, allora, per congetturare che quest'ultimo, grande estimatore
dell'intelligenza speculativa del fratello, abbia fatto menzione con i
colleghi, e quindi anche con Beniamino Besso, delle teorie di Olinto: e
da Beniamino Besso (che morì nel 1908) a suo nipote Michele il passo
era breve, tenuto conto sia dei frequenti viaggi di quest'ultimo che della
sua propensione allo scambio epistolare44.
Riassumiamo. Proprio a ridosso dell'articolo in cui Einstein
propone l'equivalenza massa-energia troviamo una memoria che la anticipa,
e in termini quasi letteralmente identici - sia pure facendo ricorso ad
un approccio profondamente diverso; la memoria in questione ha un titolo
che non poteva non richiamare l'attenzione di Einstein o di Besso se l'avessero
vista; anche se essa non fosse capitata sotto gli occhi dell'uno o dell'altro,
vi sono numerosi altri canali attraverso i quali le idee ivi contenute
avrebbero potuto essere trasmesse all'uno o all'altro, e specialmente a
Besso; la probabilità che uno di questi canali abbia funzionato
è di molto aumentata da una serie di 'coincidenze' cronologiche
e geografiche, tanto più significative in un'epoca in cui la comunicazione
verbale delle idee scientifiche aveva un ruolo assai più importante
nella loro circolazione di quanto abbia oggi (e anche oggi, del resto,
tale ruolo è tutt'altro che trascurabile); se la nostra congettura
che Einstein abbia tratto ispirazione, sia pure remota, da quella memoria
fosse vera, avremmo, tra l'altro, il curioso fenomeno di un'influenza di
un pensiero schiettamente 'eterista' alle origini dell'equazione che più
ha fatto per promuovere la causa di una teoria radicalmente 'anti-eterista';
purtroppo la verità o falsità della congettura in questione
è verosimile debba rimanere indecisa per molto tempo, e forse per
sempre.
6. Considerazioni finali.
In quest'ultima sezione affronteremo alcune questioni che sorgono naturalmente a partire dal materiale che abbiamo presentato.
Abbiamo parlato di De Pretto come di un 'precursore' e possibile 'ispiratore' di Einstein. Le due affermazioni sono di ordine sostanzialmente diverso.
Quanto alla prima, speriamo di aver contribuito a sfatare il mito della inseparabilità della equivalenza massa-energia dalla teoria della relatività. In effetti, come abbiamo sottolineato a suo luogo, questa equivalenza va considerata un'intuizione indipendente dal resto dei postulati della relatività, anche se - bisogna ammettere - essa si inserisce nella teoria in maniera assai coerente ed elegante. L'idea della massa come energia immagazzinata sarebbe presto venuta all'attenzione degli scienziati anche senza relatività45, e la scoperta del fenomeno della radioattività naturale (menzionato da Einstein in B) l'aveva avvicinata al dominio della verifica sperimentale. Naturalmente non poteva che aumentarne il valore la possibilità di armonizzarla con una teoria complessiva dello spazio e del tempo, ma anche come intuizione isolata la tesi era ben degna di attenzione.
Veniamo alla seconda pretesa: De Pretto 'ispiratore' di
Einstein? Certamente Einstein non aveva 'bisogno' di De Pretto per prendere
in esame la tesi dell'intera equivalenza della massa con l'energia: poteva
benissimo trarre altronde la sua ispirazione. Tuttavia la possibilità
di un ruolo indiretto svolto dalla memoria dello scienziato di Schio non
sembra potersi escludere, anche se i documenti in nostro possesso ci impediscono
di trarre deduzioni conclusive nell'uno o nell'altro senso. In realtà,
come in moltissimi altri casi della storia delle idee (e anche della storia
politica, economica etc.), è possibile che il 'come andarono effettivamente
le cose' resti semplicemente inaccessibile alla ricerca storiografica,
oltre un certo, modesto grado di valutazione delle probabilità,
per la semplice ragione che sviluppi cruciali sono spesso mediati da eventi
male o per niente documentati. In tali situazioni, l'abito professionale
dello storico accademico è di sminuire l'importanza di questi particolari,
e di individuare in grandi forze economiche, sociali, culturali etc. i
cardini della dinamica storica, sicché molto di ciò che non
è possibile accertare sarebbe semplicemente superfluo per una corretta
ricostruzione della evoluzione oggetto di studio. Nella storia della scienza
tale tentazione è ancora più forte, perché sembra
naturale vedere nello sviluppo delle teorie scientifiche un processo praticamente
indipendente non solo dalle specifiche circostanze della scoperta, ma forse
addirittura dalle particolari personalità coinvolte: così
si sente talvolta dire che nella scienza le questioni di priorità
sono importanti proprio perché il solo contributo che il singolo
può dare al progresso scientifico è di affrettare
la scoperta di una verità la quale però, prima o poi, verrebbe
comunque alla luce per merito di qualcun altro. In ogni caso - così
si sostiene - sono le idee o l'evidenza sperimentale che suscitano altre
idee, e i modi in cui particolari scienziati si fanno tramiti di questa
produzione spirituale sono essenzialmente delle curiosità erudite
di scarso significato. Benché non sia nostra intenzione negare ogni
validità a questa concezione del mestiere dello storico delle idee,
ci sembra però che nel complesso essa favorisca una visione semplicistica
quando non gravemente errata dei fatti. Che la memoria storica, pur trascurando
enormi quantità di particolari superflui, ci conservi, almeno nell'età
moderna, tutto il necessario per una corretta ricostruzione dei fatti più
importanti è una specie di teoria dell'armonia prestabilita, e come
tale non sembra cogente a chi non simpatizzi con le ipotesi teologiche.
La presunta necessità dello sviluppo delle teorie scientifiche è
poi un'altra eredità della teologia che la storiografia più
avvertita ha ormai da decenni abbandonato.Una volta che questi presupposti
metafisici siano venuti meno, la ricostruzione del 'contesto della scoperta',
compresa la psicologia dello scienziato creatore, diventa essenziale ai
fini della comprensione del progresso scientifico. Naturalmente una teoria
deve far valere i propri meriti anche al di là delle circostanze
della sua creazione, altrimenti non se ne farebbe uso successivamente;
ma essa non sarebbe forse stata creata in primo luogo, o per lo meno non
formulata in quella maniera, senza l'intervento di fattori che possono
apparire 'secondari' solo con il senno di poi, cioè solo
dopo che la memoria storica ha immobilizzato il tumulto delle alternative
che agitò la comunità scientifica in un dato periodo nella
fittizia inevitabilità di una linea di sviluppo 'principale' che
conduce a quella che oggi 'sappiamo essere la verità'. Se si rifiuta,
almeno in parte, questo approccio storiografico - come a noi sembra si
debba fare - episodi come quello dell'anticipazione, da parte dell''oscuro'
De Pretto, di una delle equazioni fondamentali della fisica contemporanea
possono, e anzi devono, essere presi in considerazione se si vuole capire
perché la fisica è diventata quello che è. Il significato
di questa tesi va al di là del suggerimento metodologico per lo
storico professionista. Essa dirige la nostra attenzione al ruolo che anche
personaggi 'secondari' e le loro teorie 'fantasiose' possono svolgere nella
evoluzione della scienza, sulla importanza del tener vivo il dibattito
delle alternative, e sul valore euristico di idee poco elaborate da un
punto di vista formale: sulla possibilità, insomma, di trovare un
posto per molte più persone e teorie di quante risultino dalla manualistica
ufficiale in quella grande impresa collettiva che è la costruzione
della conoscenza scientifica46.
NOTE
* Questa frase è contenuta in un manoscritto inedito, senza data
(ma non anteriore al 1931), citato come ricostruito da G. Holton [1988,
p. 224-5]: "Science as an existing, finished [corpus of knowledge] is the
most objective, most unpersonal [thing] human beings know, [but] science
as something coming into being, as aim, is just as subjective and psychologically
conditioned as any other of man's efforts [...] ".
1 - Lo studio più approfondito sulla relazione tra Albert Einstein
e Michele Besso è senz'altro quello di Pierre Speziali, curatore
di Einstein-Besso 1979 al quale faremo spesso riferimento nel seguito.
2 - Vedi ad esempio il ricordo di Einstein riportato nella biografia
di Pais [1982, p.139].
3 - La prima conferma sperimentale della (1) è attribuita da
Speziali (Einstein-Besso 1979, p. xxxii) a uno scienziato ginevrino, Charles-Eugène
Guye (1866-1942), nel 1917.
4 - Del resto, si confronti la significativa osservazione del fisico
matematico Philipp Frank [1953, p. 65]: "Dalle stesse ipotesi [cioè
i postulati della relatività ristretta] Einstein riuscì a
trarre ancora un'altra conclusione [cioè l'equivalenza di massa
ed energia] che a prima vista è difficile credere che è
contenuta in essi [that at first one can hardly believe is contained
in them]." (Corsivo aggiunto). In effetti la suddetta conclusione non
è "contenuta" in quelle ipotesi.
5 -L'argomento usato in B fu accusato addirittura di circolarità
da Ives [1952] (vedi anche Jammer [1974, p.181-3]), ma J. Stachel e R.
Torretti [1982] hanno dato una plausibile 'ricostruzione razionale' della
dimostrazione einsteiniana che ne riscatta la validità. Einstein
pubblicò altre due dimostrazioni nel 1906 e nel 1907 (e ancora un'altra
nel 1935).
6 - Per i dettagli, vedi Jammer [1974, cap. 11]. Discussioni del problema
di poco successive al contributo di Einstein sono Righi 1906, Levi-Civita
1907, Corbino 1910.
7 - Il problema fu affrontato da E. Fermi [1922] e da W. Wilson [1936],
ma la situazione sembra non essere ancora del tutto soddisfacente, come
appare anche dal recente articolo di J. Schwinger [1984], che comincia
con le parole seguenti: "E' la teoria classica della massa elettromagnetica
che è qui riesaminata. E perché, dopo tutti questi anni,
e considerata la sua apparente irrilevanza per il mondo reale? Molto semplicemente,
perché non è ancora a posto [because it still isn't right]".
8 - Molto del lavoro compiuto dagli storici intorno a Poincaré
e al suo ruolo nello sviluppo della teoria della relatività è
stato diretto a contestare la tesi di chi (come E. Whittaker) ha sostanzialmente
considerato Poincaré come il vero creatore (insieme a H. A. Lorentz)
della relatività ristretta, lasciando al contributo di Einstein
una posizione secondaria. Senza qui voler esaurire nello spazio di una
nota questa 'vexatissima quaestio', crediamo che la prudenza delle varie
enunciazioni di Poincaré si spieghi piuttosto con la sua superiore
consapevolezza dei limiti di validità dei vari risultati da lui
o da altri raggiunti, nonché dei gravissimi problemi che la nuova
concezione dello spazio e del tempo lasciava aperti, piuttosto che con
la sua pretesa mancanza di audacia filosofica. Per esempio, ben prima di
Einstein Poincaré si rese conto della necessità, alla luce
del principio di relatività, di una radicale revisione della teoria
di maggior successo di tutta la scienza moderna (cioè la teoria
newtoniana della gravitazione), e vi si cimentò già nel famoso
Poincaré [1906] (articolo comunicato il 23 luglio del 1905).
9 - Una brillante discussione del tema si trova in Maxwell [1873].
10 - Anche se si può accettare come una modesta riforma del meccanicismo
'puro' che alcune specie di moto siano considerate 'naturali', e che una
specifica spiegazione meccanica sia richiesta solo per le deviazioni
da tali moti.
11 - Nel sistema cartesiano la priorità dell'azione per contatto
viene giustificata grazie all'attribuzione alla materia della "estensione"
come proprietà essenziale. Due porzioni distinte della "res extensa"
sono costrette ad alterare il proprio stato cinematico quando vengono a
contatto, appunto per ragioni di 'coesistenza'. Per la teoria cartesiana
e le sue vicissitudini in Francia, nonché per proposte affini di
spiegazioni meccaniche dei moti planetari, si rimanda al fondamentale Aiton
[1972].
12 - Descartes 1644, IV, § 20-27.
13 - Il matematico René Thom ha compendiato efficacemente l'opinione
della maggior parte dei fisici dell'epoca (compresi molti newtoniani) quando
ha scritto: "Descartes, con i suoi vortici, i suoi atomi proiettati, ecc.
spiegava tutto e non calcolava niente; Newton, con la legge di gravitazione
in 1/r2, calcolava tutto e non spiegava nulla" [1977, tr. it. p.8]. E prosegue,
avanzando i suoi dubbi che il contrasto tra i due approcci si debba oggi
considerare composto in maniera definitiva a favore del secondo: "La storia
ha dato ragione a Newton e relegato le costruzioni cartesiane fra le immaginazioni
gratuite e i ricordi da museo. E' certo che il punto di vista newtoniano
si giustifica appieno rispetto all'efficacia, alle possibilità di
predizione e dunque d'intervento sui fenomeni. [...] Ma io non sono affatto
sicuro che in un universo in cui tutti i fenomeni fossero retti da uno
schema matematicamente coerente, ma privo di contenuto traducibile in immagini,
la mente umana sarebbe pienamente soddisfatta. Non saremmo allora in piena
magia? Privato di ogni possibilità intellettiva, cioè di
interpretazione geometrica dello schema dato, l'uomo cercherà di
crearsi nonostante tutto una giustificazione intuitiva dello schema dato
attraverso immagini appropriate oppure sprofonderà in una rassegnata
incomprensione che l'abitudine trasformerà in indifferenza. Per
quanto riguarda la gravitazione, non c'è dubbio che è prevalsa
la seconda attitudine; poiché noi, nel 1968, non abbiamo minori
ragioni di Newton di sbalordirci della caduta di una mela. Magia o
geometria: questo è il dilemma posto da ogni tentativo di spiegazione
scientifica. Da questo punto di vista, le menti ansiose di comprensione
non avranno mai, circa le teorie qualitative e descrittive, dai presocratici
a Descartes, l'atteggiamento sprezzante dello scientismo quantitativo"
(corsivo aggiunto). Per un tentativo recente di spiegazione qualitativa
della gravitazione, fondato sull'elettrodinamica stocastica, si veda Cavalleri
1987, pp. 333-5.
14 - Questo era del resto già lo spirito dell' "Hypotheses non
fingo" di Newton, come è chiaro non appena lo si legga nel suo contesto:
"Non ho potuto ancora dedurre la ragione di queste proprietà della
gravità, e non invento ipotesi. Infatti qualunque cosa non si deduce
dai fenomeni va chiamata ipotesi; e le ipotesi, sia fisiche, sia di qualità
occulte, sia meccaniche, sono fuori luogo in filosofia sperimentale. Ed
è sufficiente che la gravità esista davvero e agisca secondo
le leggi da noi esposte, e sia sufficiente per tutti i moti dei corpi celesti
e del nostro mare [Rationem vero harum Gravitatis proprietatum ex Phaenomenis
nondum potui deducere, et Hypotheses non fingo. Quicquid enim ex Phaenomenis
non deducitur Hypothesis vocanda est; et Hypotheses seu Metaphysice seu
Physice, seu Qualitatum occultarum seu Mechanicae, in Philosophia experimentali
locum non habent. Et satis est, quod Gravitas revera existat et agat secundum
leges a nobis expositas, et ad Corporum coelestium et Maris nostri motus
omnes sufficiat]" (Scholium generale, citato in Koyré [1965,
tr. it. p.162]; a questo libro rimandiamo per un'attenta ricostruzione
del pensiero di Newton sull'attrazione).
15 - Molte utili informazioni sul dibattito intorno alla teoria di Le
Sage, e i riferimenti bibliografici rilevanti, si trovano nel saggio di
L. Laudan [1981].
16 - Poincaré 1908, pp. 263-71. La teoria di Le Sage è
citata (per essere però subito confutata) anche in un celebre e
splendido testo moderno di fisica: Feynman, Leighton, Sands 1975, vol.I,
Parte I, p.7.14.
17 - Bisogna però dire che Faraday sembrava maggiormente propenso
a materializzare le linee di forza che a vederle come alterazioni di un
mezzo, pur senza escludere l'esistenza di questo; però, "non è
affatto inverosimile che, ammesso che un etere esista, debba avere altre
funzioni che non semplicemente il trasporto di radiazioni" come scriveva
nel 1851 (citato da Whittaker [1951, p.194]).
18 - La posizione di Maxwell sembra essere stata di sostanziale fiducia
nell'esistenza dell'etere, e al tempo stesso di grande cautela, se non
proprio di scetticismo, nei confronti dei modelli di etere avanzati
da lui stesso o da altri.
19 - Ambedue le citazioni di Kelvin sono tratte da Swenson [1972, p.
79, 77].
20 - E continuava, con la consueta finezza: "Se ci si vuole porre in
uno di questi punti di vista, mi chiedo con che diritto si estenderanno
all'etere, con il pretesto che è la vera materia, le proprietà
meccaniche osservate sulla materia volgare, che non è che falsa
materia" (Poincaré 1902, p. 180).
21 - A parte una breve premessa "Al lettore" e una lettera di Giovanni
Schiaparelli (sulla quale torneremo) posta in appendice, il lavoro consta
di dieci sezioni intitolate: [1] L'attrazione e l'etere; [2] Attrazione,
coesione e affinità; [3] Energia dell'etere ed energia latente nella
materia; [4] Altri effetti delle vibrazioni dell'etere; [5] Del calore
solare; [6] Rapporto fra la massa e la temperatura dei pianeti; [7] Come
si possa mantenere e rigenerare l'energia nell'universo; [8] Altre conseguenze
importanti dell'ipotesi; [9] L'ipotesi dell'etere applicata alle nebulose
ed alle stelle; [10] Conclusione. (La numerazione è stata aggiunta
da noi per comodità di riferimento).
22 - E' curiosa, in questa formula, l'omissione dell'usuale fattore
moltiplicativo 1/2, che rende la rassomi-glianza con la formula einsteiniana
tanto più notevole. P. Rowlands, nel suo interessante [1990], sostiene
che l'equivalenza massa-energia è già presente in Newton
(in veste diversa) e che l'assenza del fattore suddetto, che in relatività
va presa come un fatto 'bruto', si giustifica in meccanica classica come
conseguenza della natura potenziale, e non cinetica, del termine
mc2. Comunque sia, non sembra che tale spiegazione si possa adattare a
De Pretto. (Un passo newtoniano che si può considerare anticipatore
è nella trentesima "Query" del libro 3 di Newton 1730: "Non sono
i corpi ordinari e la luce mutuamente convertibili, e non possono i corpi
ricevere molta della loro attività dalle particelle di luce che
entrano nella loro composizione? Perché tutti i corpi fissi emettono
luce fin quando restano sufficientemente caldi, e la luce viceversa si
ferma nei corpi tutte le volte che i suoi raggi colpiscono le loro parti,
come mostrammo sopra. [...] Il mutarsi dei corpi nella luce, e della luce
nei corpi, è molto conforme al corso della natura, che sembra deliziarsi
delle trasmutazioni").
23 - Si veda quanto detto nella sez. [1], p.446-7 : "Le particelle dell'etere
sono soggette ad un continuo movimento vibratorio rapidissimo. La velocità
di propagazione di tali vibrazioni, deve essere certamente almeno uguale
a quella della luce, che fu calcolata di 300000 chilometri al secondo,
quando non sia anche superiore a tale cifra, visto che l'elettricità
è ritenuta ancora più veloce, come risulterebbe da esperienze
di Weatstone [sic], cioè di chilometri 460000 per secondo". (Sottolineatura
aggiunta). Nel 'sistema' di De Pretto, dunque, la velocità della
luce non svolge il ruolo di una velocità 'limite', né è
necessario che le particelle dell'etere si muovano esattamente con
quella velocità. (Il riferimento a C. Wheatstone riguarda le esperienze
da questi compiute nel 1834; una descrizione dell'apparato sperimentale
si trova in Filonovich [1986, pp.69-72]; per una spiegazione del curioso
risultato menzionato dal De Pretto si veda Whittaker [1951, p.228)).
24 - In nota alla p. 451 De Pretto scriveva: "Sul punto di ultimare
questa mia memoria, vedo dal Despaux (Causes des énergies attractives
- Paris, 1902) citata un'ipotesi di Lesage, che suppone l'esistenza d'una
specie di bombardamento di corpuscoli ultra mondani . Non conosco
tale ipotesi e non so quindi se abbia qualche analogia con quella da me
esposta". Il libro che De Pretto cita e da cui sembra abbia tratto la maggior
parte delle sue informazioni storiche (Faye 1885) non fa menzione della
teoria di Le Sage.
25 - Pertanto De Pretto non rientra tra gli 'estremisti' dell'etere
descritti da Poincaré nella citazione riportata nella sezione precedente.
26 - Giovanni Virginio Schiaparelli (1835-1910) fu astronomo di fama
mondiale, noto per le sue ricerche sulle comete, le stelle cadenti, il
sistema solare etc., nonché per le fondamentali opere sull'astronomia
degli antichi. Al tempo in cui ricevette la memoria di De Pretto si era
già ritirato a vita privata, avendo lasciato nel 1900 la direzione
dell'osservatorio di Brera (senza per questo interrompere la sua attività
di studioso).
27 - In una lettera del 19.VIII.1903 a Carlo De Stefani, professore
di geologia all'Istituto Superiore di Firenze De Pretto così diceva:
"Il giudizio dell'ill.mo Astronomo fu veramente lusinghiero per me al di
là di ogni mia speranza".
28 - Fu ucciso il 16 marzo da una donna la quale attribuiva il mancato
successo finanziario del marito, proprietario di una cava di lignite, a
una società per ricerche minerarie diretta dal De Pretto.
29 - L'autore stesso presentò il volume come una 'seconda edizione'
della memoria del 1904: "Il primitivo titolo era: Ipotesi dell'Etere
nella vita dell'Universo , ma ora assumo il nuovo titolo: Lo Spirito
dell'Universo , la celebre espressiva definizione dell'Etere, suggerita
dal genio immortale di Newton" (p.VII),
30 - Progettata dal pioniere dell'aeronautica Almerico da Schio, menzionato
all'inizio di questa sezione.
31 - Può essere interessante ricordare che Q. Majorana (1871-1957),
zio di Ettore, dopo essersi reso noto per esperimenti interferometrici
in qualche modo ritenuti favorevoli alla teoria ristretta della relatività
(vedi i riferimenti in Pauli [1958, p.7]), divenne poi uno dei critici
più ostinati di quella teoria, favorendo in alternativa la teoria
balistica di Ritz (vedi Majorana 1952).
32 - Come fu riferito dallo stesso Sacco in una lettera del 31 gennaio
al De Pretto, da cui è anche tratta la frase fra virgolette: "Il
Presidente dell'Accademia, che è l'illustre fisico A. Naccari, ricordò
inoltre che la sua idea geniale fu già enunciata, quantunque con
altri termini, dal Le Sage. Ad ogni modo il suo libro suscitò interesse
ed il mio collega di Fisica del Politecnico, il Majorana, che si interessa
molto di fenomeni di gravità, lo prese subito in lettura" (Dall'archivio
De Pretto).
33 - F.lli Treves Ed., Milano. In un articolo apparso sul Corriere
della Sera del 22.II. 1927, in occasione della imminente 'prima' presso
il Teatro Manzoni di Milano, Benelli faceva esplicito riferimento a Olinto
De Pretto (che dice "sconosciuto quasi agli italiani") ed alle sue concezioni
fisiche, le quali avrebbero "richiamato senza volere l'attenzione, di chi
indaga il mistero dell'essere, sull'infinitamente piccolo".
34 - Cioè m0c2, che trappresenta l''energia latente' del corpo
nel suo riferimento solidale.
35 - Si trovano in appunti di Silvio De Pretto accenni a due lettere,
andate purtroppo perdute, di P. Emanuelli, astronomo della Specola Vaticana,
il quale, essendo stato richiesto di un parere in merito allo studio in
questione, espresse la propria disapprovazione con le seguenti parole:
"Che se ne conosce dell'etere: esiste o non esiste? e che rapporti ha con
la materia? Se ben mi appongo, i fisici sembrano del parere che l'etere
non esista, o, almeno sono più propensi per l'inesistenza che per
l'esistenza. Lo stato della fisica odierna [...] non ha nulla a che vedere
con lo stato della fisica ai tempi dello Schiaparelli" (lettera del 12.IV.1931,
Archivio De Pretto).
36 - Una fotografia si trova in Pyenson 1985.
37 - Svizzera, e proprio di Zurigo, era la Escher Wyss, con la quale,
seppure solo nel 1920, la Fonderia De Pretto si unì - come abbiamo
già ricordato (il relativo stabilimento è ancor oggi in funzione
a Schio). E' probabile però che le due società (delle quali
la Escher Wyss risaliva al 1805) avessero rapporti di ben più lunga
data.
38 - Marco Besso, zio di Michele, fu Presidente delle "Assicurazioni
Generali", fondate nel 1831 da Vitale Beniamino Cusin, suocero del nonno
di Michele, Salvatore Besso. Sono ancora oggi attive a Roma due "Fondazioni
Besso", una dedicata ad Ernesta Besso, moglie di Marco, e l'altra allo
stesso Marco. Si può ricordare che un altro degli zii di Michele,
Davide Besso (1845-1906), fu negli anni cruciali della nostra storia un
matematico di primo piano nell'ambiente italiano, tanto da essere stato
tra i fondatori del famoso Periodico di Matematiche. Anche quest'ultima
circostanza tende ad avvalorare l'ipotesi della conoscenza da parte di
almeno alcuni dei Besso del lavoro di De Pretto (si consideri che a quel
tempo non doveva essere difficile tenersi informati sull'intera produzione
periodica italiana nelle scienze fisico-matematiche, e che la divisione
di interessi tra fisici e matematici 'medi' era meno netta che oggi). Di
un altro degli zii di Michele, Beniamino Besso, dovremo dire qualcosa nella
prossima sezione. Per altre notizie sulla famiglia Besso si può
utilmente consultare Caracciolo 1983 (oltre, naturalmente, all'introduzione
di Speziali a Einstein, Besso 1979 ).
39 - Come ha scritto J. Bernstein, che in [1991] ha dedicato un capitolo
a Besso, basato su Einstein, Besso 1979: "Che cosa si darebbe per sapere
di che cosa i due discussero mentre Einstein stava formulando la teoria
della relatività! Ben sappiamo che fu Besso che aveva introdotto
Einstein agli scritti di Mach, qualche tempo prima. Forse discussero di
quello. Si può solo congetturare che le discussioni debbano aver
riguardato questioni che avevano a che fare soprattutto con la relatività
[...]. Sappiamo pure che in questo tempo Einstein non aveva accesso a una
biblioteca tecnica in senso proprio, o ad un qualche fisico teorico professionista.
Quando si trattava di relatività, Besso sembra essere stata la sua
sola cassa di risonanza" (Bernstein 1991, p. 152). Per la verità,
negli ultimi anni sono emersi dati che permettono di dare un ruolo, come
termine di confronto per il giovane fisico, anche alla sua prima moglie,
la studentessa serba Mileva Maric; per una presa di posizione abbastanza
ragionevole sulla questione si veda il primo capitolo (pp. 1-29) di Pais
1994.
40 - Si sa, per esempio, anche di periodi di vacanza che avvicinarono
le varie famiglie protagoniste della nostra storia nei dintorni di Garda,
vicino a Verona.
41 - Tuttavia va detto che nel breve necrologio preposto a Lo Spirito
dell'Universo , si legge: "Non a tutti è noto infatti (anche
nell'ambito dei suoi amici, coi quali per la grande modestia non parlava
mai di sé né degli studi prediletti) che da molti anni
il Dott. Olinto De Pretto si era dedicato con giovanile ardore e fervore
allo studio di alcuni tra i più ardui problemi della geologia e
della meccanica celeste, ed aveva pubblicato e stava pubblicando monografie
e memorie che, talvolta ardite, ma sempre condotte col più rigoroso
metodo scientifico, attrassero l'attenzione dei dotti, aprendo nuovi orizzonti
alla scienza dell'evoluzione dei mondi" (corsivo aggiunto).
42 - Rispetto allo stesso esperimento di Michelson e Morley le testimonianze
orali e scritte fornite da Einstein sono incerte, vaghe e contraddittorie
(per esempio, vedi Pais 1982, pp. 115-9).
43 - Fu anzi autore di un libro su tale argomento: Besso 1871, ma scrisse
anche altri volumi di carattere scientifico (dedicati alle grandi invenzioni,
alle macchine a vapore, alle strade ferrate etc.).
44 - Incidentalmente ricordiamo che Besso intrecciò relazioni
epistolari con varie eminenti personalità della scienza e della
filosofia della prima metà del secolo, fra le quali H. Weyl, F.
Gonseth, F. Enriques, E. Schrödinger, J. Piaget, R. Marcolongo, etc.
(vedi Einstein, Besso 1979).
45 - Si veda anche Le Bon 1905: "L' atomo è il serbatoio di un'energia
un tempo insospettata, benché essa superi per la sua immensità
le forze che conosciamo e sia forse l'origine delle altre, in particolare
l'elettricità e il calore solare" (p. 2); "La materia, un tempo
considerata come inerte e incapace di restituire altro che l'energia che
le si è fornita, è al contrario un colossale serbatoio di
energia, l'energia intra-atomica, che essa può spendere senza prendere
niente in prestito dal di fuori" (p. 11). Interessante materiale sulla
priorità di Gustave Le Bon (1841-1931) è contenuto in Duverger
1984.
46 - Per una difesa della concezione epistemologica qui implicita, vedi
M. Mamone Capria, Scienza, realtà e pluralismo (in preparazione).
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Ringraziamenti
Desidero sottolineare, con viva gratitudine, che non sarebbe stato possibile portare a compimento questo lavoro nella sua forma attuale senza la preziosa, fattiva collaborazione della Dott.ssa Bianca Mirella Bonicelli, diretta discendente di Silvio De Pretto, alla quale si deve la documentazione biografica su cui si basa la sezione quarta del presente lavoro. Si ringraziano inoltre: il Sig. Silvano Besso, che ha aiutato a chiarire alcune questioni relative alla storia della sua famiglia; i Proff. Silvio Bergia e Giorgio Dragoni, e la Sig.ra Paola Fortuzzi, del Dipartimento di Fisica dell'Università di Bologna, per la cortese disponibilità con cui hanno reso possibile la consultazione di materiale bibliografico presso la Biblioteca di quel Dipartimento.
Vorrei, infine, ricordare l'indimenticabile amico Ing. Arch. Piero Zorzi,
scomparso prematuramente nel gennaio del 1991, e il suo inseparabile compagno
di ricerche Prof. Omero Speri, ai quali si deve la scoperta e la messa
in luce dell'interesse per la storia della scienza della memoria del De
Pretto.
(Umberto Bartocci)