ebrei e palestinesi
le ragioni del cuore
le ragioni dell’aritmetica
1 – Premessa
La preparazione di un minimo di documentazione per il dibattito per questa seconda Avioserata 2000 è stata effettuata con il valido aiuto di Jimmy Prato il quale ha voluto, per un attimo, uscire dal suo torpore di mite pensionato per aiutare i colleghi a capire qualcosa di più in questa che, a priori, sembrava proprio una questione estremamente intricata e complessa
Allo scopo allora di cercare di capire a fondo le opinioni, i sentimenti e le realtà, per quanto possibile, delle due parti in causa, abbiamo deciso che la via maestra di questa ricerca della verità (ovviamente con la lettera minuscola) non poteva non passare attraverso la intervista di coloro che sono direttamente interessati alla folle contesa, ormai secolare, e ci siamo quindi avventurati in un raid per Roma alla ricerca sia di ebrei che di palestinesi.
Il buon Jimmy ha dovuto subire il trauma di essere sballottato in giro per l’Urbe sulla mia grossa moto da fuoristrada, con guizzi tra il traffico e impennate ai semafori e con apprensione somma nel dover visitare luoghi, invero un po’ caldi, con tanto di volanti della polizia parcheggiate perennemente a vigilare e con carabinieri armati che ti attendono in modo assolutamente inaspettato non appena oltrepassi la porta di quelli che, all’apparenza, sembravano tranquilli e sonnolenti appartamenti del lungotevere.
La cosa dovrebbe averlo scombussolato non poco poiché, durante un sorpasso azzardato sulla Colombo, l’ho sentito urlare al telefonino alla figlia qualche strozzata invocazione di aiuto unita alla previsione di prossimi tragici problemi intestinali per i giorni a venire.
A parte, però, l’aspetto folcloristico della vicenda siamo riusciti a entrare in contatto con personaggi, dall’una e dall’altra parte, che non ci saremmo mai aspettato di poter conoscere e siamo riusciti a raccogliere opinioni, fatti e pareri che ci hanno veramente aperto gli occhi sul secolare problema.
Alla delegazione della autorità palestinese, in particolare, il vice ambasciatore ci ha intrattenuto per più di un’ora e mezza parlandoci e ascoltandoci con una disponibilità e una pazienza veramente infinite.
2 – Il succo del problema
Dati, cifre ed opinioni raccolti sono elencati e discussi più avanti, ma ritengo opportuno informare subito il disgraziato aviolettore su quale sia stato il distillato ultimo delle nostre interviste; tutto ciò allo scopo di permettergli di osservare con una luce diversa, e secondo me più giusta, i fatti che saranno poi elencati.
Tutti, indistintamente tutti, si sono soffermati a lungo e con dovizia di particolari sugli aspetti emotivi, legali e giuridici del conflitto ma nessuno ha mostrato di avere fatto una attenta analisi dei numeri in ballo.
Quali numeri?
I numeri che ti dicono freddamente l’entità e la qualità del territorio richiesto dai palestinesi, la consistenza del loro prodotto interno lordo, le spese sostenute da Israele per gli armamenti e così via… tutti numeri che, se opportunamente ed aridamente combinati tra di loro, ti mostrano però con estrema chiarezza che le cose non possono assolutamente stare come le due parti dichiarano, come la stampa ci racconta e come i politici cercano di infilarcele nella testa; sempre e comunque con visioni partigiane, parziali ed altamente emotive.
3 – Un minimo di storia
Tutti i problemi cominciano a nascere nel 1898 quando a Ginevra Theodor Hertzel fonda il movimento sionistico internazionale con il fine di riportare gli ebrei in Palestina.
In quel periodo la Palestina era un tranquillissimo dominio dell’Impero Ottomano dove la gente viveva, o meglio vivacchiava, di agricoltura (poca) e di pastorizia e di quel qualcosa che comunque arrivava in quella terra a causa della presenza in Gerusalemme dei rappresentanti di tutte le più importanti religioni dell’Occidente.
La nascita del Sionismo diventa la miccia delle future deflagrazioni poiché con esso si afferma il principio, a mio parere molto discutibile, che basta essere ebrei per avere il diritto di cittadinanza nel futuro stato di Israele.
In verità già tanti secoli prima (non ricordo bene quanti ma forse nove) si era affermato un principio abbastanza simile quando il Papato e l’Impero si erano accordati sul "cuius regio eius est religio"; la storia però e, fondamentalmente, il buon gusto avevano già bollato di indecenza un tale modo di ragionare; o, meglio, di sragionare.
La prima guerra mondiale sancisce la fine dell’Impero Ottomano e gli inglesi, all’apice della loro potenza, ottengono nel ’23 il mandato di amministrare la Palestina. Nello intervallo tra le due guerre comincia un afflusso abbastanza limitato e pacifico di ebrei che comprano dagli sheicchi locali i terreni e cominciano a coltivarli senza grossi problemi di convivenza con la popolazione locale.
La fine della seconda guerra mondiale segna invece l’inizio dei veri problemi poiché il flusso migratorio di ebrei sfuggiti all’olocausto diventa non più sopportabile per i palestinesi.
Nel 1947 l’ONU decide la spartizione della Palestina in due stati, ma i palestinesi non accettano di dividere la terra con gli ebrei immigrati e scoppiano i primi incidenti.
Nel 1948 viene dichiarato lo "Stato di Israele" e immediatamente la Lega Araba dichiara guerra al neonato stato; qui comincia la lunga serie di batoste militari subite dagli arabi da parte degli Israeliani. Nascono i campi profughi in Libano, Siria e Giordania con quasi due milioni di persone povere, turbolente ed invise anche agli arabi locali tanto che nel settembre 1973 (settembre nero) i giordani massacrano migliaia di palestinesi. La vita dei Palestinesi in tali campi si trasforma presto in un inferno e così, del resto, continua ad esserlo ancora oggi.
Altra guerra nel 1956 con relativa altra vittoria di Israele e così via fino alla guerra dei sei giorni (1967) quando solo l’intervento internazionale ferma la incontenibile avanzata di Israele verso i paesi arabi limitrofi (in particolare l’Egitto)
A questo punto l’ONU emette la famosa risoluzione 242 ove si chiede il ritiro di Israele dai territori occupati e che segna la nascita dell’OLP.
Nel 1973 gli arabi ci riprovano di nuovo e, questa volta, a tradimento (guerra del Kippur) con il solito risultato di buscarsi il consueto carico di mazzate e con il solito intervento affannoso dell’ONU che ferma le truppe ebree ormai dirette a un tranquillo week end alle piramidi di El Giza
Nel 1993 gli accordi di Oslo, firmati a Washington, sanciscono la applicazione della risoluzione 242 entro 5 anni ma a tutt’oggi – attenzione! ecco il primo numero – solo il 62% dei territori è stato restituito alla Autorità Palestinese.
4 – Qualche commento alla risoluzione 242
Da più di trent’anni si parla e si straparla di questa benedetta risoluzione dell’ONU, presa come pilastro fondamentale dei possibili e così conclamati "accordi di pace" ma mai nessun organo di informazione ha mai detto che lo stato Palestinese, così come voluto dalla 242, non potrà mai esistere.
Ma possibile che ebrei, palestinesi, americani, russi, arabi e chi più ne ha più ne metta siano riusciti a nascondere al mondo per più di 30 anni che la 242 è una buffonata?
Una buffonata inventata per riempire di fumo gli occhi della opinione pubblica e per continuare, quindi, a mandare avanti le cose nel modo voluto dalle forze occulte, ma poi nemmeno tanto occulte, che vogliono assolutamente mantenere lo "status quo" nella martoriata Palestina.
Ma possibile che i ragazzi della intifada vadano ancora oggi incontro a morte sicura contro i carri ebrei e i ragazzi ebrei vivano nel continuo terrore dell’attentatore palestinese senza che qualcuno faccia loro notare che l’argomento del contendere in realtà non esiste?
Qualcuno degli sfortunati "aviolettori" si starà ora domandando se il povero Mauro non stia cominciando a dare i numeri quando afferma che un tragico problema come quello palestinese in realtà non esiste; prima, però, di pronunciarsi a favore o contro le mie facoltà mentali, cerchiamo di analizzare a fondo il succo intimo della 242.
La famigerata risoluzione dichiara che Israele deve restituire ai palestinesi i cosiddetti "territori" sui quali la autorità palestinese dovrà poi realizzare il tanto sognato stato palestinese.
Ma dove sono situati geograficamente questi territori?
Avrei voluto tanto allegare al presente documento la mappa in questione ma il mio amico palestinese non ha il fax e alla delegazione romana traccheggiano con scuse varie.
E qui nasce una domanda che, a mio parere, è proprio il succo intimo e, forse, la soluzione del problema: perché nessuno vuol mostrare questa mappa?
Possiamo però descrivere immediatamente e con pochissime parole la situazione geografica del futuro stato palestinese
Le terre reclamate da Arafat, e delle quali comunque ha già avuto dagli ebrei circa i due terzi, consistono nella striscia di Gaza (sul Mediterraneo), nella Cisgiordania (attorno al Mar Morto), di sei città già tutte palestinesi (Qualqiliya, Jenin, Nablus, Tulkare, Ramallah e Betlemme) sparse qua e là per Israele e di 400 villaggi attorno alle città di cui sopra.
Il futuro stato palestinese, in altre parole, consiste in due territori abbastanza estesi, di cui uno praticamente desertico (Gaza) e l’altro in buona parte (la Cisgiordania) e di qualche villaggio, cittadina o pollaio sparsi qua e là per lo stato di Israele.
Il futuro stato palestinese, dicono le fonti palestinesi, può contare su un prodotto interno lordo di 240 milioni di dollari (altro numero importante); poco più della decima parte del bilancio del Comune di Roma.
Potrebbe anche essere che il solerte funzionario palestinese abbia dimenticato uno zero alla cifra che ha dichiarato ( e infatti è proprio così), ma siamo sempre a bilanci assolutamente ridicoli per uno stato che voglia definirsi tale o che, comunque voglia anche minimamente contrapporsi al suo potente vicino che ha un PIL di 150 mila miliardi.
Non bisogna essere dei politologi per capire che uno stato come quello sognato dal povero e ingenuo popolo palestinese non potrà mai esistere.
E questo sarebbe uno stato indipendente? Uno stato libero? Uno stato per il quale vale la pena di andare a morire, assolutamente disarmati, contro i carri ebrei?
La storia è piena di vicende in cui un popolo disarmato riesce a cacciare l’invasore a prezzo di tanto sangue dei suoi figli. Ma in tutti i casi, meno che in questo, i tanti giovani morti con le pietre, con la spada o con la molotov in pugno sapevano che la impari lotta, una volta vinta, avrebbe portato condizioni di vita migliori al loro popolo. Se invece guardiamo i pochi numeri sopra riportati e gettiamo uno sguardo alla ridicola mappa dello stato palestinese non possiamo fare altro che trarre una conclusione:
i palestinesi debbono ringraziare Hallàh se il loro stato non
vedrà mai la luce altrimenti passeranno dalla attuale situazione
di disagio e di povertà a quella di una assoluta indigenza
E non basta: la impossibilità di gestire le reti elettriche, idriche, stradali e ferroviarie del loro futuro stato li porterà ad un asservimento assoluto agli arbitrii degli ebrei; molto peggio di come accade oggi. Si, perché oggi gli ebrei, se non altro per salvare la faccia, assicurano un minimo di sopravvivenza alla popolazione palestinese, un minimo di istruzione e di assistenza. Ma chi avrà la capacità, la forza e i capitali per gestire il tessuto statale quando tutte le principali leve della industria, dei servizi e della agricoltura saranno in mano al nemico?
Quale imprenditore straniero, anche se la manodopera costasse zero, vorrà mai produrre qualsiasi cosa in Palestina ben sapendo che, se la sua produzione si sviluppasse troppo e potesse quindi dare fastidio agli ebrei, si ritroverebbe subito con le frontiere chiuse, senza acqua e senza elettricità ed assolutamente impossibilitato ad esportare il frutto del suo lavoro.
Facciamo un esempio assurdo: se qualcuno, attratto dalle indubbie capacità e dalla operosità dei palestinesi, volesse impiantare una produzione di sofisticati microcihps a Nabulus come farà a raggiungere porti o aeroporti per esportarli?
A mio parere, e forse sono un po’ cattivo nei confronti dei miei amici palestinesi, essi sperano inconsciamente che gli attuali cospicui aiuti internazionali alla Autorità Palestinese continueranno all’infinito, ma è fin troppo ovvio che si tratta solo di pie illusioni. Chi volete che, al mondo, si interesserà più di un minuscolo popolo semiaffamato, impossibilitato a produrre e, di conseguenza, non certo consumatore quando il conflitto mediorentale cesserà di esistere e gli attuali istigatori del conflitto avranno trovato altre maniere per soddisfare i loro interessi?
5 – Dalla parte degli ebrei
Abbiamo prima fatto notare l’assurdità del comportamento palestinese che manda i suoi figli a morire per una nazione che non potrà mai esistere; ma anche da parte ebraica la follia dell’assurdo non è certo minore.
Ogni cittadino israeliano spende per spese militari circa dieci volte di quanto spende un italiano. In cifra tonda ( ma non ci giuro) circa cinquantamila miliardi all’anno per la intera nazione (altro numero importante)
Oggi Israele ha restituito ai palestinesi circa i due terzi dei territori contesi.
Praticamente manca solo la Cisgiordania; una landa in buona parte desertica e che riesce a sopravvivere solo se qualcuno a monte (guarda caso proprio gli ebrei) non chiuderà i rubinetti del Giordano.
Ma che cosa ci deve fare Israele con i quattro sassi della Cisgiordania?
Ma vogliamo veramente credere che un pezzo di deserto e quattro campi arsi dal sole valgano veramente cinquantamila miliardi l’anno?
Vogliamo veramente credere che il mantenimento di alcuni insediamenti di coloni ebraici in Cisgiordania e in alcuni dei territori contesi valga veramente una cifra simile?
Il ragazzo palestinese vive continuamente oppresso dai ragazzi ebrei in uniforme ma non crediate che il ragazzo ebreo di Gerusalemme se la passi poi tanto meglio.
Il mitra nella borsa sportiva assieme alla racchetta da tennis; la paura continua, assillante e devastante dell’attentatore nascosto dietro la cesta delle banane; l’accappatoio poggiato sopra la mitraglietta dalle belle ragazze in bikini che si crogiolano al sole sulle spiagge del Mar Morto. Ma è vita questa? E questa la qualità della vita che i governanti ebrei offrono ai loro elettori?
Ma è mai possibile che nessuno si metta mai a tavolino con una piccola calcolatrice a considerare i costi assurdi, diretti e indiretti, attuali e futuri di una situazione assurda che qualche terribile mente diabolica si sforza di mantenere in quella terra senza pace?
6 – Gerusalemme
Ma, qualcuno dirà certamente: " c’è l’insolubile problema di Gerusalemme; la città che ambedue vogliono come capitale".
Io non sarei così sicuro che Gerusalemme sia un problema reale.
La città è già divisa in modo praticamente netto in tre diverse città:
La soluzione più razionale sarebbe quella di affidare la gestione della città vecchia all’ONU, il controllo della parte est agli arabi e la sovranità su quella ovest agli ebrei. Senza però, per carità di Dio, altre follie di muri o di sbarramenti; che già l’umanità ne ha avuto più che abbastanza
E’ veramente tanto difficile una soluzione del genere per chi volesse veramente trovare una soluzione? L’unico vero problema sarebbero quei pochi insediamenti ebrei sulla via per Gerico. Tali insediamenti sono molto recenti, con case nuovissime e non ancora terminate; chiaro segno che l’autorità israeliana, al primo sentore di accordi di pace, si è subito preoccupata di realizzare opere forse non del tutto indispensabili, solo per mettere le mani avanti e i bastoni tra le ruote.
7 – Sepolcri imbiancati
Quando si partecipa ai dibattiti sulla situazione in Palestina, quale che sia la parte che parla, tutti a strapparsi le vesti e a crogiolarsi nei sacri principi del diritto, dell’amore patrio, del rispetto delle tradizioni e degli avi, del valore dei martiri e così via. Cumuli immensi di nobili parole che suscitano invariabilmente i sentimenti più alti e che spingono inevitabilmente torme di giovani ad azioni nobili, eroiche, e degne di essere ricordate ai posteri o agli amici quando, nei giorni grigi dell’inverno, ci si riunisce accanto al fuoco a ricordare l’amico, il fratello, il compagno di scuola caduti sotto il piombo ebreo o dilaniati dalla perfida bomba palestinese.
I pochi numeri, però, prima riportati e le considerazioni ovvie sulla impossibile geografia dello stato palestinese dovrebbero farci ben capire che le cose non sono affatto come ce le hanno raccontate.
I mass media a livello mondiale, così si dice, sono in gran parte in mano agli ebrei e mai ho trovato sui giornali un ragionamento semplice come quello qui fatto.
Perché? Proviamo a chiedere lumi alla antica saggezza romana.
Quando i romani non riuscivano a venire a capo di un problema troppo intricato preferivano azzerare tutto e ricominciare dalla domanda: Cui prodest?
Forse è proprio qui, come al solito, la soluzione dell’arcano. A chi fa comodo tutto ciò?
Lo status quo fa sicuramente comodo agli occidentali, e in particolare agli americani, perché una forte potenza militare filoccidentale e di frontiera è assolutamente indispensabile nel tormentato Medio Oriente, direttamente a ridosso degli stati arabi più fanatici e più follemente integralisti.
Fa certamente tanto comodo anche ai politici ebrei perché in tal modo possono pompare fiumi di denaro dal ricchissimo ebraismo internazionale che, ovviamente, li sostiene a spada tratta.
Ma fa anche comodo ai dirigenti palestinesi perché non ci avranno certo messo troppo tempo a capire quello che è ovvio: la formazione dello stato palestinese significherà inevitabilmente la fine delle loro posizioni di privilegio, la fine di una situazione che sotto certi aspetti è per loro una vera pacchia poiché oggi non hanno certo la onerosa responsabilità di gestire una nazione che sarà assolutamente ingestibile e possono invece pompare anch’essi fiumi di dollari dalle casse dei paesi arabi vicini.
Il giorno che si realizzasse lo stato palestinese che scusa avrebbe Israele per andare a piangere presso americani ed ebrei di tutto il mondo chiedendo aiuto e, in definitiva, dollari?
Il giorno che si realizzasse lo stato palestinese come farebbero i dirigenti palestinesi a mandare a vanti una baracca che non potrà mai funzionare e che ora, invece, così monca e incompiuta riesce a convogliare aiuti da mezzo mondo e, in definitiva dollari?
Questa, purtroppo, sembra proprio essere la realtà, o per lo meno una grossa parte della realtà:
coloro che al mondo contano, da una parte e dall'altra, comodamente
seduti all’ombra rassicurante del biglietto verde, e subdolamente occupati
ad incitare i giovani figli di Isacco e di Ismaele a scannarsi a vicenda per
permettere al verde incubo del terzo millennio di continuare a svolazzare
beffardo sulle teste di pochi ma sul sangue di molti