Congedo, con una breve nota sui paradossi di Zenone...



Proprio sul punto di chiudere quest'ultimo numero di Episteme, ci viene segnalata un'ulteriore testimonianza del persistere di un'opinione che riteniamo senz'altro erronea. Su Il Foglio del 16.IX.004 compare la presentazione di un libro di Piergiorgio Odifreddi, nella quale risulta una volta ancora riferito il parere della vulgata: <<Il paradosso di Zenone poi attraversa invitto l'intero Medioevo, e per poterlo risolvere occorrerà la scoperta del calcolo infinitesimale a opera di Wilhelm Gottfried Leibniz nel diciassettesimo secolo>>.
 
 


 



Invero, anche non volendo accettare l'interpretazione dualistica da noi illustrata, non ci dovrebbe essere almeno dubbio alcuno sul fatto storico che non bisogna affatto attendere il calcolo infinitesimale, vuoi di Leibnitz vuoi di Newton: basta il Cartesio di qualche decennio prima (cfr. la nota finale, "Cartesio e il paradosso dell'Achille", del saggio sui paradossi di Zenone) per dare corpo a una spiegazione assolutamente banale, alla portata di ognuno, pure degli "antichi". Sicuramente rimarchevole, del resto, la capacità di resistenza di un luogo comune, quando esso venga ripetuto in infinite occasioni da fonti proposte come "autorevoli" (professori di "grandi" università, che poi significa ricche e con le migliori "relazioni", "esperti", stampa, televisione; si vedano le parole di Herbert Dingle che sono state prescelte a motto di Episteme N. 6, parte I) senza che (quasi) nessuno si prenda la briga di andarlo a controllare - in cinque anni di attività abbiamo avuto occasione di denunciarne parecchi. La consapevolezza del verificarsi del fenomeno menzionato è evidentemente all'origine delle consuete costanti strategie del "condizionamento di massa", e forse ci si deve rassegnare a tale intrinseca "debolezza psicologica" della nostra specie.

Si potrebbe aggiungere che l'assenza di un'osservazione che esplicitamente introducesse la "teoria delle serie" nella questione dei paradossi, mostra semmai ad abundantiam l'arretratezza di certi sviluppi del pensiero, e che in effetti i periodi che hanno assistito alla produzione di qualcosa di decente (incluso il capitolo dell'etica) rimangono per lo più confinati in pochissimi secoli della storia a noi nota dell'umanità. Le previsioni per il futuro non appaiono poi del tutto fauste, una convinzione che è stata peraltro all'origine del progetto Episteme, con Renato Burri, Paolo Capitanucci, Rocco Vittorio Macrì, e successive diverse acquisizioni, in nessun momento però "numerose"...
 
 


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