(Jules Verne)
Jules Verne e l'astronautica
(Francesco Vitale)
Nato a Nantes nel 1828, il francese Jules Verne (la cui fama nel nostro paese ne ha fatto italianizzare il nome), contrariamente a quanto lascerebbero pensare le sue opere più note, frequentò il liceo classico, laureandosi poi in giurisprudenza. Tuttavia, non volle intraprendere la carriera giuridica, come avrebbe voluto il padre, e la sua prima attività fu quella di autore di opere teatrali. Soltanto a partire dal 1862 si dedicò, fino a tarda età, all'attività di romanziere, raggiungendo un enorme successo in tutta l'Europa. Morì ad Amiens nel 1905.
È del 1865 l'opera "Dalla Terra alla Luna", che si completa con l'altra "Intorno alla Luna", il cui contenuto, con le conquiste dell'astronautica, è diventato quanto mai attuale. Tuttavia crediamo che, nel rileggere queste due opere di Verne, occorra tenere conto delle conoscenze tecniche e del senso comune di quell'epoca, che impedivano di immaginare soluzioni e situazioni alle quali l'astronautica ci ha ormai abituati.
Nel racconto, i componenti del "Club del cannone", con sede a Baltimora,
negli Stati Uniti, decidono di inviare sulla Luna un enorme proiettile
nel quale avrebbero preso posto tre audaci viaggiatori: Barbicane, presidente
del club, il capitano Nicholl e il bizzarro Michel Ardan, francese. Il
mostruoso cannone, che avrebbe impresso al proiettile la necessaria velocità
iniziale, viene costruito dopo tre anni di preparativi e realizzato rivestendo
di ghisa le pareti di un pozzo profondo 274 m. Il sito scelto per il cannone
avrebbe dovuto trovarsi ad una località avente una latitudine compresa
tra 0° e 28°, in modo da colpire la Luna col cannone puntato allo
zenit. Viene scelta una località, in Florida, avente coordinate:
27° 07' N e 81° 05' W. Sul fondo del cannone quattrocentomila libbre
di fulmicotone avrebbero espulso il proiettile con una velocità
sufficiente a fare arrivare sulla Luna il proiettile. Quest'ultimo è
costituito da un cilindro di alluminio cavo, del peso di 19.250 libbre
(8.732 kg), del diametro di 2,74 m e con la parte superiore di forma tronco-conica;
l'altezza complessiva è di 3,66 m. Quattro finestrini, dotati di
vetri molto spessi, avrebbero consentito l'osservazione in tutte le direzioni.
Il pavimento, costituto da un disco di legno scorrevole e aderente perfettamente
alla superficie interna del proiettile, è munito di grossi tamponi
elastici (simili ai respingenti dei carri ferroviari). Il disco galleggia
sull'acqua contenuta in alcuni tramezzi destinati a rompersi con l'urto
iniziale, mentre l'acqua sarebbe stata via via espulsa all'esterno (figura
1).
(Figura 1)
(Legenda - a: tramezzi contenenti acqua - c: cannoncini per i
razzi
f: finestrini - t: tamponi elastici - p: pavimento scorrevole)
L'acqua, comprimendosi, avrebbe fornito una resistenza elastica pressoché istantanea, mentre la sua meno rapida espulsione avrebbe fornito una resistenza viscosa: così sarebbero stati neutralizzati quasi completamente gli effetti dello spaventoso colpo che avrebbero subìto i viaggiatori al momento della sparo. Infine, i potenti tamponi elastici avrebbero evitato un urto violento del pavimento contro il fondo del proiettile quando l'acqua sarebbe stata espulsa. Alla partenza, i viaggiatori si sarebbero distesi su tre cuccette solide e ben imbottite.
Verne fu costretto a ipotizzare l'uso di un cannone e non di un razzo per colpire la Luna per due motivi. Il primo è che i razzi, ai suoi tempi, erano utilizzati soltanto per i fuochi d'artificio e avevano una velocità assai modesta rispetto a quella dei proiettili delle armi da fuoco: infatti, la velocità di uscita di un proiettile da un fucile, anche nell'Ottocento, superava quella del suono e per i cannoni le velocità erano ancora più alte. I razzi presentavano inoltre traiettorie molto instabili e quindi assolutamente imprevedibili. Nonostante tutto, Verne nel suo racconto li utilizza, ma soltanto per frenare il moto del proiettile nel momento in cui sarebbe stato sottoposto a forze alquanto modeste. Tuttavia, è abbastanza evidente che, al momento dell'esplosione nel cannone alla partenza, nessun essere vivente rinchiuso in quel proiettile sarebbe sopravvissuto. Tanto per fare qualche conto, supponiamo che, nel caso più favorevole per i viaggiatori, il proiettile abbia percorso l'interno del cannone con un moto uniformemente accelerato, cioè con una velocità crescente con legge lineare; la velocità media del proiettile sarebbe dunque stata la metà di quella di uscita - che doveva essere di 10.972 m/s - cioè di 5.486 m/s. Il proiettile, tenendo conto della presenza dell'esplosivo, avrebbe percorso nell'interno del cannone un tratto di circa 215 m. Questo spazio sarebbe stato perciò percorso in 215/5.486 = 0,039 secondi. L'accelerazione costante, alla quale il proiettile e i viaggiatori sarebbero stati sottoposti, avrebbe avuto un valore di 10.972/0,039 = 281.333 m/s2, pari a 28.678 volte quella di gravità (9,81 m/s2). Abbiamo quindi trovato, attraverso semplici calcoli, che la terribile forza di compressione avrebbe trasformato il proiettile cavo - costituito da un cilindro dello spessore di 30 cm - in un cilindro molto corto, quasi privo di spazio, perché la sollecitazione alla quale sarebbe state sottoposte le pareti mentre veniva accelerato dai gas che si espandevano nell'interno del cannone, sarebbe stata quasi dieci volte superiore alla sollecitazione limite (chiamata "carico di rottura") dell'alluminio; i corpi dei viaggiatori si sarebbero invece ridotti ad uno strato sanguinolento di spessore esiguo. Verne era consapevole di questo punto debole del suo racconto, ma immagina che, nonostante i dubbi che apertamente esprime, i dispositivi impiegati per attenuare l'urto abbiano funzionato. Barbicane riporta lievi ferite, ma, soccorso dai suoi compagni, che sono rimasti illesi, si riprende subito; muore invece uno dei due cani che erano stati portati a bordo.
In effetti, soltanto un'accelerazione relativamente bassa e quindi sopportabile
dai viaggiatori, conferita al proiettile per un periodo di tempo relativamente
lungo, avrebbe evitato la catastrofe iniziale. Ciò poteva ottenersi
soltanto se il veicolo spaziale fosse stato spinto da un razzo. Tuttavia,
dopo Verne, non fu necessario attendere molto. Nel 1857 nasceva Konstantin
Edvardovic Tsiokhovskij, il padre del volo spaziale, che nel 1903 pubblicò
il primo scritto in cui, per investigare lo spazio, menzionò i propulsori
a razzo che aveva cominciato a studiare molti anni prima. Questi avevano
la forma curiosa di goccia, perché allora si riteneva che, conferendo
alla parte anteriore una forma emisferica, si sarebbe ottenuta una minore
resistenza di attrito con l'atmosfera (figura 2):
(Figura 2)
Ma torniamo al nostro racconto. Intanto, per poter scorgere il proiettile sulla superficie lunare, viene costruito un telescopio di inusitata grandezza, collocato sulle Montagne Rocciose. Pur vivendo in un'epoca in cui i telescopi rifrattori (nei quali l'obiettivo, che raccoglie la luce, è costituito da lenti) per la loro alta qualità dominavano incontrastati negli osservatori astronomici, Verne propende per i telescopi a riflessione, che impiegavano come obiettivo uno specchio metallico lucidato. Egli però indica come soluzione economica il ricorso a specchi di vetro con la superficie argentata. Questa scelta, diversi anni dopo, fu adottata per costruire i grandi telescopi quando l'argentatura degli specchi fu sostituita dalla più durevole alluminatura. Lo specchio del telescopio descritto nel racconto ha un diametro di 16 piedi (4,86 m).
Messisi a loro agio nel proiettile, i protagonisti, attraverso i finestrini trasparenti, assistono con terrore all'avvicinarsi di un asteroide orbitante in 3h 11m intorno alla Terra a 8.000 km di distanza dalla sua superficie; ma nel racconto è detto che la presenza di questo corpo era stata soltanto ipotizzata dagli astronomi. Lo scontro è evitato per un soffio, ma l'attrazione del corpo modifica inevitabilmente la traiettoria del proiettile che non potrà più raggiungere la superficie della Luna. Durante il tragitto, quasi per scherzo e per soddisfare la curiosità di Michel Ardan, Barbicane decide di rifare il calcolo della velocità iniziale da conferire al proiettile per fargli raggiungere il punto in cui l'attrazione della Terra diventa uguale a quella della Luna; punto che Verne colloca correttamente a 9/10 della distanza che ci separa da essa e al di là del quale il proiettile sarebbe caduto sulla Luna per effetto della sola gravità da essa prodotta. Chi legge il racconto si trova così di fronte ad una formulaccia, sulla quale Verne si compiace di discutere senza spiegare nei particolari il procedimento adottato per ottenerla, e che qui riportiamo.
½(v2 - vo2) = gr { r/x - 1 + (m'/m)[r/(d-x) - r/(d-r)]}
Nella formula, d è la distanza dal centro della Terra al centro della Luna; r è il raggio della Terra e m è la sua massa; m' è la massa della Luna; g è la gravità sulla superficie della Terra; x è la distanza, variabile, che separa il proiettile dal centro della Terra e v è la velocità che ha il proiettile a quella distanza; infine, vo è la velocità che ha il proiettile all'uscita dall'atmosfera.
La formula non è affatto inventata, come qualcuno sarebbe portato a credere, ma è rigorosamente esatta. Per venire incontro a coloro che volessero tentare di ricavarla, diciamo che la sua dimostrazione è soltanto un po' più complessa di quella che si trova in tutti i testi di meccanica razionale (materia inserita nei corsi universitari di ingegneria e di scienze matematiche e fisiche) nella parte in cui è trattato il metodo della determinazione della velocità di fuga da un pianeta mediante il Teorema dell'Energia. Per calcolare allora la velocità v del proiettile ad una fissata distanza dalla Terra dalla quale è partito con velocità iniziale vo, basta imporre la condizione che la differenza di energia cinetica, dovuta alla variazione della velocità da vo a v, sia uguale alla differenza del potenziale gravitazionale calcolato per la distanza fissata, tenendo conto, in questo caso, sia dell'attrazione terrestre che di quella lunare. Ricordiamo (utilizzando per le grandezze lettere diverse da quelle adottate da Verne) che l'energia cinetica Ec di un corpo di massa m e velocità v è Ec = ½mv2 , mentre il potenziale gravitazionale U di un corpo di massa m, il cui baricentro si trova alla distanza d da quello di un corpo di massa M, è U = kmM/d, essendo k la costante di gravitazione universale.
Potendosi, infine, con buona approssimazione ritenere che sulla superficie
terrestre, per un corpo di massa m, la forza di attrazione gravitazionale
F
= kmMT/RT2 coincida col
peso
P = mg, essendo MT la massa della Terra,
RT
il suo raggio e g l'accelerazione di gravità, si può
porre la quantità kMT/RT che
compare sviluppando i calcoli uguale a gRT. Così
si ricava con pochissimi e semplici passaggi la formula riportata da Verne.
Imponendo che la velocità v si annulli alla distanza del punto di uguale attrazione, Barbicane ottiene la formula finale che gli consente di ricavare la velocità vo da conferire al proiettile per portarlo in quel punto e che è riportata nel racconto:
vo2 = 2gr { 1 - 10r/9d - (1/81)[10r/d - r/(d -r)]}
Nicholl si occupa di effettuare i calcoli, che esegue con prodigiosa rapidità. Il valore ricavato è di 11.051 m/s, che differisce di pochissimo dal valore della velocità di fuga dalla Terra in assenza dell'attrazione lunare, che è di 11.170 m/s. Una finezza di Verne, quindi, ed è ovvio che sarebbe stato assai difficile preventivare l'esatta quantità di esplosivo da introdurre nel cannone per ottenere la velocità richiesta per il proiettile. Ebbene, i nostri viaggiatori, alla fine dei calcoli, scoprono che la velocità che il cannone avrebbe dovuto conferire al proiettile per fargli raggiungere la Luna avrebbe dovuto essere maggiore di quella effettivamente raggiunta, determinata teoricamente dall'Osservatorio di Cambridge e poi ottenuta dalle quattrocentomila libbre di esplosivo introdotte nel cannone. Tuttavia, la maggiore velocità di cui sembra animato il proiettile (che, fortunatamente, prosegue verso la Luna senza rallentare) è attribuita da Barbicane alla riduzione della massa totale del proiettile dopo l'espulsione dell'acqua dai tramezzi.
I viaggiatori possono così raggiungere il punto di uguale attrazione dove vivono la curiosa esperienza dell'assenza di gravità. Anche questa è una sciocchezza perché, una volta raggiunta la velocità di fuga dalla Terra all'uscita dal cannone, il proiettile sarebbe sfuggito ad ogni azione gravitazionale e fin dai primi istanti i viaggiatori avrebbero volteggiato nel proiettile come oggi fanno gli astronauti. Noi crediamo che qui Verne, come autore di opere teatrali, abbia voluto tenere conto del senso comune dei suoi lettori, che avrebbero trovato poco gradita una situazione così anomala durante tutto il viaggio.
Il proiettile raggiunge quindi la Luna, ma, a causa della deviazione iniziale provocata dell'asteroide, passa a soli 50 km dal suo polo nord. Durante la fase di avvicinamento del proiettile al nostro satellite, quando non si potevano verificare episodi significativi, Verne ne approfitta per descrivere dettagliatamente le varie configurazioni lunari via via osservate dai protagonisti, prendendo come riferimento la nota carta lunare di Beer e Mädler. Tuttavia, il proiettile non si perde nello spazio oltrepassando la Luna, come temevano i viaggiatori, ma gira intorno a questa sorvolandone l'emisfero non visibile dalla Terra, che in quel momento non era illuminato dal Sole. Soltanto la provvidenziale esplosione di un bolide apparso improvvisamente consente ai viaggiatori di vedere per la prima volta la faccia nascosta del nostro satellite. Noi preferiamo non riportare quella fugace e straordinaria apparizione, che va letta sul testo di Verne.
Il proiettile prosegue il suo giro passando per il polo sud della Luna e, dopo averne sorvolato la parte illuminata rivolta verso la Terra, si allontana dirigendosi verso il punto di uguale attrazione. I viaggiatori, non volendo rinunziare a scendere sulla Luna, decidono di arrestare il moto del proiettile quando quest'ultimo si sarebbe trovato in quel punto, utilizzando la spinta di venti razzi per fuochi artificiali contenuti in altrettanti cannoncini sporgenti dal suo fondo; ma il loro effetto è irrilevante. Per il proiettile inizia quella spaventosa caduta verso la Terra che lo porterà a entrare nell'atmosfera con la stessa velocità con la quale ne era uscito.
Intanto, la corvetta statunitense Susquehanna sta scandagliando il fondo del Pacifico a 27° 7' N e a 147° 22' W. Nel cuore della notte un corpo luminosissimo cade nel mare sfiorando la nave e spezzandole il bompresso: è il proiettile rientrato sulla Terra! Le ricerche per il recupero durano molto tempo, perché si riteneva che il proiettile fosse affondato; invece galleggiava e i viaggiatori trascorrono il Natale di quell'anno nel proiettile in balia delle onde, prima di essere recuperati il 29 dicembre e portati in trionfo in tutti gli Stati dell'Unione.
Per quanto riguarda la data del viaggio fantastico, Verne si limita a dire: "nell'anno 186..."; ma l'opera fu pubblicata nel 1865 e se immaginiamo che da allora partano i tre anni richiesti per preparare l'impresa, arriviamo al 1868. Ebbene, nel dicembre del 1968, esattamente cento anni dopo, tre americani - il colonnello Frank Bormann, il capitano James Lovell e il maggiore William Anders - partono dal Centro Spaziale J. F. Kennedy di Cape Canaveral, in Florida (28° 33' N; 82° 22' W), a cento chilometri circa dal punto in cui Verne colloca il suo cannone) e lasciano la Terra a bordo dell'Apollo 8, spinto da un razzo Saturno 5, alto 86 m (il percorso del proiettile nel cannone [215 m] è esattamente due volte e mezza questo valore). La capsula, di forma conica, ha un diametro di 4 m ed è alta 3,5 m (è la stessa altezza del proiettile di Verne). Anche la capsula è dotata di finestrini con vetri trasparenti.
I motori del primo, del secondo e del terzo stadio dell'enorme razzo spingono il terzo stadio, la navicella e il modulo di servizio in un'orbita di parcheggio intorno alla Terra a circa 190 km di altezza. I motori del terzo stadio, poi distaccatosi, portano la capsula ed il modulo di servizio in orbita lunare.
Il veicolo, giunto in prossimità della Luna, le ruota intorno, sorvolandone la faccia nascosta. Si accendono i motori del modulo di servizio in modo da far compiere al veicolo dieci giri intorno alla Luna a 112 km dalla sua superficie. Gli astronauti possono così scattare a breve distanza molte fotografie della faccia del nostro satellite non visibile dalla Terra. Poi il motore a razzo del modulo di servizio viene riacceso e il veicolo lascia l'orbita lunare per iniziare la caduta verso la Terra. La capsula, staccatasi dal modulo di servizio, entra nell'atmosfera terrestre con una velocità di 10.964 m/s; protetta da uno scudo termico e frenata da alcuni paracadute, cade all'alba del 27 dicembre nel Pacifico 2000 km a sud della Hawaii, a poca distanza dalla portaerei americana Yorktown inviata per il recupero.
Con il volo dell'Apollo 8 l'uomo è uscito per la prima volta dal campo gravitazionale terrestre ed è entrato in quello di un altro corpo del Sistema Solare e per la prima volta è riuscito ad osservare la faccia nascosta della Luna.
Il più grande telescopio del mondo in servizio in quell'anno era il riflettore Hale di Monte Palomar, negli Stati Uniti, realizzato nel 1948 con uno specchio di vetro del diametro di 200 pollici (5,07 m), diametro quasi uguale a quello del telescopio descritto nel racconto.
I lettori avranno notato che le numerose analogie col viaggio immaginato da Verne sono sconcertanti. Egli, vissuto in un'epoca nella quale gli unici mezzi per volare erano i palloni aerostatici, predisse in altri racconti la vittoria dei mezzi più pesanti dell'aria (elicotteri ed aerei) su quelli più leggeri (aeròstati) e il sommergibile a propulsione elettrica. Le sue opere, troppo ricche di descrizioni tecniche, insolite per che avrebbe dovuto avere soltanto una cultura umanistica e riguardanti macchine che sono state effettivamente realizzate poco dopo la sua morte, lasciano veramente perplessi e non escludiamo, perciò, che qualcuno sarebbe portato a credere che il nostro autore possedesse particolari doti di premonizione. Ebbene, dobbiamo dire che Verne sembra proprio volerci privare del beneficio del dubbio, gettando addirittura la maschera. Infatti, i suoi biografi riferiscono che, poco prima di morire, consegnò il manoscritto della sua opera "Dalla Terra alla Luna" ad un nipote - vivente fino ad alcuni anni fa - dicendogli: "Conservalo con cura, perché io so che tu assisterai al viaggio degli uomini verso la Luna e potrai così giudicare l'esattezza delle mie previsioni".
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Francesco Vitale è nato a Torre Annunziata (NA) nel 1944. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato a Napoli in ingegneria elettronica nel 1969. Oltre a svolgere molteplici attività, si occupa, da diversi anni, di archeologia e di astronomia, dedicandosi in particolare allo studio dei corpi minori del Sistema Solare. È anche collaboratore scientifico di varie riviste ed è attivo, come conferenziere, nella divulgazione delle varie discipline che sono oggetto delle sue ricerche. Ha scritto due libri, pubblicati dalla casa editrice CLEUP di Padova: Astronomia ed esoterismo nell’antica Pompei e ricerche archeoastronomiche a Paestum, Cuma, Velia, Metaponto, Crotone, Locri e Vibo Valentia e Accampamenti romani nel Veneto (vedi la presentazione che si fa del secondo in questo stesso numero di Episteme, sezione "Pubblicazioni e informazioni ricevute").
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