Un nuovo indizio
nel "caso Majorana"
Negli ultimi tempi sono stato in vari modi sollecitato ad occuparmi
nuovamente della scomparsa di Ettore Majorana, in particolare nel 2008,
anno in cui ricorreva il centenario del triste evento. Non ho avuto però
voglia di tornare su una questione che rimane ancora oggi delicata,
pur avendo notato nell'ultimo periodo di inattività pubblica al riguardo,
dettagli che in precedenza erano rimasti nascosti al mio personale "attrattore
epistemico"(vogliamo introdurre con tale espressione un concetto
fondamentale per la teoria della conoscenza, ma forse proprio per questo
non utilizzato così frequentemente come si dovrebbe; lo scrivente lo deve
all'amico filosofo Rocco Vittorio Macrì, che lo ha illustrato nella sua
tesi di laurea: Gli spazi dell'anima e i paradigmi della scienza,
Università degli Studi di Perugia, A.A. 1996-97, cap. II, par. 5, pp. 44
e sgg).
Esco adesso dal riserbo perché mi sembra doveroso divulgare la sorprendente
scoperta di un giovane interlocutore, il Dott. Guido Abate, cultore di
Economia degli Intermediari Finanziari attualmente dottorando presso l'Università
di Brescia (Dipartimento di Economia Aziendale), ma anche appassionato
e acuto cultore di storia contemporanea (lo si ringrazia vivamente per
la preziosa collaborazione ricevuta nel corso della stesura della presente
nota). La accompagnerò a un breve riassunto e ad alcuni commenti di natura
soprattutto "logica", rimandando il lettore desideroso di approfondimenti
a quanto da me già pubblicato sull'argomento:
1
- La scomparsa di Ettore Majorana: un affare di stato?, Ed. Andromeda,
Bologna, 1999; revisionato nel 2006, citato nel seguito come SEM
2 - "Leonardo Sciascia e il caso Majorana: siciliani scompaiono nel
nulla, ma un'ipotesi tarda ad apparire...", Episteme - Physis e Sophia
nel III millennio, Perugia, N. 5, 2002; citato nel seguito come LS
Citerò invece con la sigla ER l'indispensabile studio di Erasmo
Recami, Il caso MAJORANA, riferendomi alla nuova edizione Di Renzo,
Roma, 2000.
Umberto Bartocci, Perugia, febbraio 2010
___________________________________________________
1 - UN BREVE RIEPILOGO DEI FATTI
5 agosto 1906 - E.M. nasce a Catania.
1929 - E.M. si laurea a Roma in Fisica Teorica sotto
la direzione di Enrico Fermi.
1930 - Leo Szilard trova "l'energia per organizzare un
gruppo di amici, quasi tutti giovani fisici, perché cominciassero a costituire
una lega", "Der Bund - l'ordine, la confederazione o, più semplicemente,
il gruppo", "un gruppo strettamente unito di persone con un legame interno
pervaso da uno spirito religioso e scientifico" (da Richard Rhodes, L'invenzione
della bomba atomica, tr. it., Rizzoli, Milano, 2005, pp. 20-21).
Novembre 1932 - E.M. consegue la libera docenza.
Gennaio 1933 - E.M. si reca con una borsa di studio a
Lipsia, presso Werner Heisenberg (nel mese di marzo 1933 fa pure una visita
a Copenaghen, da Niels Bohr). Da Lipsia, il 22 maggio del 1933, spedisce
una lettera ad Emilio Segrè, dalla quale si deducono importanti divergenze
ideologico-politiche prima che scientifiche.
Autunno 1933 - E.M. fa ritorno a Roma. Inizia il suo
progressivo distacco dal gruppo dei fisici di via Panisperna.
Primavera 1934 - "Scontro" tra Fermi e Majorana testimoniato
da Oscar D'Agostino.
28 giugno 1934 - Leo Szilard brevetta in Inghilterra
l'idea della reazione a catena. Nel 1936 la concede all'Ammiragliato Britannico
perché possa assicurarne la segretezza (
GB patent 630726).
1935 - Emilio Segrè vince un concorso a cattedra presso
l'Università di Palermo, e si trasferisce nella città siciliana.
1937 - E.M. partecipa ad un concorso di Fisica Teorica,
ma la sua domanda viene stralciata subito dalla relativa Commissione (25
ottobre 1937), la quale ne propone invece la nomina a professore per chiara
fama. La proposta viene accettata dal Ministero, che nomina E.M. Ordinario
di Fisica Teorica a Napoli con decorrenza 16 novembre 1937. In una lettera
all'amico Giovannino Gentile del 21 novembre, E.M. commenta ironicamente
la vicenda: "se al prossimo conclave mi fanno papa per meriti eccezionali,
accetto senz'altro".
Gennaio 1938 - Prima di recarsi a Napoli, E.M. si reca
a trovare Fermi all'Istituto di Fisica di Roma, come testimoniato da
Giuseppe Cocconi (ER, pp. 219-220): "Gli fui presentato e scambiammo
poche parole. Una faccia scura. E fu tutto lì".
12 gennaio 1938 - Majorana accetta ufficialmente la cattedra
di Fisica Teorica presso l'Università di Napoli, e già il giorno dopo
tiene la lezione inaugurale, alla presenza della famiglia.
23 febbraio 1938 - In una lettera alla madre (ER, p.
202), E.M. informa di aver preso alloggio presso l'albergo Bologna, dove
fisserà poco dopo anche la propria residenza (lettera al fratello Salvatore
del 19 marzo 1938 - ER, p. 203). Aggiunge che gli daranno presto una stanza
migliore affacciata direttamente sulla Via Depretis, che gli avrebbe permesso
di "vedere fra tre mesi il passaggio di Hitler".
Venerdì, 25 marzo 1938 - E.M. scrive una lettera al
proprio Direttore dell'Istituto di Fisica Sperimentale di Napoli, Antonio
Carrelli, informandolo di aver preso "una decisione che era ormai inevitabile"
(citata nel seguito come A). Lascia nella sua camera d'albergo un biglietto
"alla mia famiglia" (citato nel seguito come B), dove vengono manifestate
chiare intenzioni suicide: "Ho un solo desiderio: che non vi vestiate
di nero". Si reca in banca, ritira tutti gli stipendi che non aveva mai
riscosso in precedenza (Majorana era una persona più che benestante), e
si imbarca la sera dello stesso giorno sul postale per Palermo, probabilmente
con il passaporto di cui era sicuramente in possesso, ma che non viene
in seguito rinvenuto nella sua stanza d'albergo.
Sabato, 26 marzo 1938 - E.M. prende alloggio a Palermo
presso il Grand Hotel Sole. In mattinata spedisce un telegramma al suo
albergo di Napoli, chiedendo di lasciargli a disposizione la stanza (citato
nel seguito come C - se ne fa cenno in un appunto su carta intestata del
Consiglio di Stato del 31 marzo 1938 - ER, p. 13). Un altro telegramma viene
inviato a Carrelli (citato nel seguito come D), per annullare quanto scritto
nella lettera del giorno prima ("Non allarmarti. Segue lettera" - ER, p.
14). Spedisce quindi, ancora a Carrelli, un espresso (citato nel seguito
come E) contenente maggiori chiarimenti: "ritornerò domani all'albergo
Bologna viaggiando forse con questo stesso foglio. Ho però intenzione di
rinunciare all'insegnamento". Carrelli affermerà (ER, p. 14) di avere
ricevuto il telegramma alle ore 11 di sabato, che esso gli era ovviamente
risultato "incomprensibile", e di averne compreso il significato soltanto
quando ricevette qualche ora dopo, precisamente alle ore 14 della stessa
giornata, la lettera inviatagli da E.M. il giorno prima da Napoli. La
domenica mattina ricevette infine l'espresso da Palermo, "in cui mi diceva
che le brutte idee erano scomparse e che subito sarebbe ritornato". Di
E.M. non si hanno da allora più notizie.
Luglio 1938 - Emilio Segrè si reca negli Stati Uniti
(la famiglia lo raggiunge l'anno successivo), dove rimane per tutta la
durata del conflitto mondiale. A New York, prima di iniziare il lungo
viaggio per treno che lo porterà a Berkeley, incontra alla stazione Szilard
(da Emilio Segrè, Autobiografia di un fisico, Il Mulino, Bologna,
1995, p. 177).
Dicembre 1938 - Enrico Fermi si reca con la famiglia
negli Stati Uniti, dove rimane per tutta la durata del conflitto mondiale,
assumendo a pretesto il conferimento del premio Nobel a Stoccolma. Già
nel mese di gennaio del 1939 incontra il Segretario della Marina degli
Stati Uniti, Ammiraglio Stanford C. Hooper, e lo convince ad indire un
seminario, davanti ad alti ufficiali del Servizio Armamenti della Marina
e dell’Esercito, oltre che ad alcuni scienziati che prestavano servizio
nel laboratori di ricerca della U.S. Navy, per spiegare che si stavano
preparando nuovi esperimenti che avrebbero confermato la fattibilità della
reazione a catena (da "Fecia di Cossato", intervento sul sito "scaduto"
di cui si dirà nel paragrafo 3).
Luglio 1939 - Edoardo Amaldi si reca negli Stati Uniti,
ma al momento della dichiarazione ufficiale dello stato di guerra (3
settembre 1939) fa ritorno in Italia perché raggiunto dalla notizia che
la Questura di Roma impedisce che la sua famiglia possa raggiungerlo.
Luglio 1939 - Leo Szilard ed Eugen Wigner convincono
Albert Einstein a scrivere una lettera al Presidente degli Stati Uniti,
Franklin Delano Roosevelt, per segnalargli la possibilità di applicazioni
militari dell'energia nucleare, e il rischio che la Germania possa realizzarle
per prima.
Estate 1939 - Pure Franco Rasetti lascia l'Italia, ma
per recarsi in Canada. Abbandona successivamente non solo il gruppo di
via Panisperna, ma anche gli studi di fisica, e si dedica da allora in
avanti a quelli di scienze naturali (geologia e paleontologia).
Agosto 1940 - Bruno Pontecorvo, che si trovava già all'estero
dal 1936, si reca negli Stati Uniti (ultimo dei "ragazzi di via Panisperna"
a farlo), dove rimane per tutta la durata del conflitto mondiale (nel
1950 operò il noto radicale cambiamento di campo, fuggendo con tutta la
famiglia al di là della "cortina di ferro").
___________________________________________________________________
2 - VARIE IPOTESI SULLA SCOMPARSA
Come abbiamo sottolineato in SEM, in un caso di scomparsa sono
4 le ipotesi principali che debbono essere analizzate: quelle conclusesi
con la morte del protagonista (I - suicidio, II - omicidio), e quelle conclusesi
senza la morte del protagonista (III - fuga, IV - rapimento).
In un'investigazione che si rispetti, a ciascuna di esse dovrebbe
essere dedicata la doverosa attenzione, onde valutarne il grado di probabilità
sulla base degli elementi fattuali, logici e psicologici a disposizione.
Nel presente contesto, invece, le ipotesi formulate sulla scomparsa
del fisico siciliano si sono usualmente concentrate su due sole delle
menzionate categorie, la I e la III, entrambe contemplanti dunque la completa
volontarietà di E.M. in ciò che accadde quel lontano mese di marzo del
1938.
La II e la IV implicherebbero invece una involontarietà
(sia pure solo parziale) del protagonista nei confronti della propria sorte,
e costringerebbero i numerosi intelletti pigri che si sono finora occupati
della questione a cercare di intuire quale altra volontà possa essere
intervenuta nella vicenda (per non parlare di quelli semplicemente accomodanti
allo spirito del tempo - dopo tutto, c'è stata una "parte vincitrice"
che ha assunto un potere quasi assoluto, e con essa bisogna fare i conti
- oppure decisamente in cattiva fede).
Un esempio di "analisi pigra" si trova per esempio nella presentazione
del libro di Paolo Cortesi (Ettore Majorana, Foschi Editore, 2007):
"Il 26 marzo 1938 Ettore Majorana, 32 anni, professore di Fisica
Teorica all'Università di Napoli, scompare misteriosamente senza lasciare
traccia di sé. Geniale scienziato, professore universitario a cui si apriva
una brillante carriera accademica, improvvisamente sparì nel nulla. Si
suicidò? Decise di abbandonare tutto e dileguarsi? Venne rapito?"
L'autore, che vedremo presto responsabile di altre superficialità,
era stato del resto preceduto da una persona alquanto vicina al povero
Ettore. Si tratta di uno dei fisici del gruppo di Fermi, il Prof. Edoardo
Amaldi, il quale pure agì in modo da orientare cripticamente le ipotesi
sulla scomparsa di Majorana soltanto in certe direzioni:
"Quest'estate ... 'La Stampa' di Torino pubblicò un manipolo
di 'rivelazioni' sulla scomparsa di Majorana ... [che] non giovavano a
risolvere il 'mistero' Majorana, (se cioè si fosse veramente suicidato
o se invece, tentato il suicidio, si fosse rinchiuso in un convento senza
più dar notizie)".
[Il riferimento è ai 7 articoli di Leonardo Sciascia apparsi
su La Stampa tra il 31 agosto e il 7 settembre 1975, presentati
come un "giallo filosofico", successivamente confluiti nella pubblicazione
del volume La scomparsa di Majorana, Einaudi, Torino, 1975. Amaldi,
offeso da qualcuna delle opinioni espresse da Sciascia, replicò su L'Espresso
del 5 ottobre 1975.]
Ad Amaldi dobbiamo comunque l'esplicita testimonianza che: "L'ipotesi
che trovò più credito tra gli amici fu che egli si fosse buttato in
mare" (Giornale di Fisica, vol. 9, Bologna, 1968, lavoro che menzioneremo
anche più avanti).
La prima ipotesi molto accreditata (anche tra alcuni dei membri
della famiglia di Ettore, come la sorella Maria) fu dunque il suicidio.
Che fosse questa l'interpretazione prevalente presso i suoi colleghi è
indirettamente confermato da due altri particolari.
Nonostante molti asseriscano il contrario (per esempio, cade
in tale errore il Giancarlo Meloni di cui parleremo nel prossimo paragrafo:
"Enrico Fermi aveva interessato immediatamente il governo"), Fermi non
fece proprio nulla a favore delle ricerche dello scomparso, che soprattutto
la madre Dorina alimentava invece incessantemente. La famosa lettera a Mussolini,
dove Fermi si dichiarava "sicuro di interpretare il sentimento unanime
degli studiosi nell'esprimere il voto che le ricerche abbiano presto a
condurre al ritrovamento del Majorana e permettano di restituirlo all'affetto
della famiglia e alla sua grande attività" è solamente del 27 luglio
1938, e fu redatta unicamente per rispondere alle sollecitazioni della
donna, che si era pure rivolta personalmente a Mussolini.
Uno degli allievi di Franco Rasetti (il braccio destro di Fermi),
il Prof. Sergio Martellucci, ricorda che [Amaldi e Persico] "ritenevano
che fosse caduto in una fortissima depressione dopo aver vinto una cattedra
a Napoli, e questo stava alla base del suicidio nel viaggio per mare da
Napoli a Palermo, dove risiedeva la sua famiglia" (Valeria Del Gamba,
Il ragazzo di via Panisperna - L'avventurosa vita del fisico Franco Rasetti
, Bollati Boringhieri, Torino, 2007, pp. 136-137). Si notino ben due
errori contenuti in queste poche righe. Majorana non si suicidò certamente
nel viaggio da Napoli a Palermo, perché abbiamo prove certe della sua
presenza nel capoluogo siciliano il giorno successivo. Inoltre, la famiglia
di Majorana non risiedeva affatto a Palermo, si confonde qui con Catania.
Accennato così all'ipotesi del suicidio, veniamo a quella
di una fuga volontaria di Majorana, dissimulata (maldestramente, visto
che ritirò i detti stipendi, e partì con il passaporto) da un'intenzione
suicida (e ci sarebbe da chiedersi perché: chi va a comprare le sigarette
e non torna più a casa, non lascia di solito alle spalle bigliettini
d'addio al mondo, anche perché sarebbe incompatibili con il fatto che
non si trova nessun cadavere).
[Ancora Enrico Fermi ebbe a dire: "Con la sua intelligenza,
una volta che avesse deciso di scomparire o di far scomparire il suo cadavere,
Majorana ci sarebbe certo riuscito" (da una testimonianza di Edoardo Amaldi,
ER, p. 218), e il lettore avrà già compreso come, secondo lo scrivente,
tali affermazioni potrebbero essere accolte sotto tutt'altra luce.]
Detto che quella di una fuga volontaria di E.M. fu un'ipotesi
pure largamente diffusa al tempo (anche tra alcuni dei familiari di Majorana,
come il fratello Luciano - ER, p. 18; secondo il capo della polizia Arturo
Bocchini: "I morti si trovano, sono i vivi che possono scomparire", citato
nel menzionato saggio di Sciascia, p. 13), enunciamo qui di seguito le
sue varianti più significative.
Secondo Sciascia, Majorana si ritirò in un convento.
[Va detto a tale proposito però che Susanna Bisi, in:
Sciascia e Majorana: sulle tracce dell'altro - Spunti saviniani ne La scomparsa
di Majorana di Leonardo Sciascia (Tesi di dottorato in Italianistica,
Roma Tor Vergata, 2009), suggerisce che il libro di Sciascia possieda
una chiave di lettura nascosta, dalla quale emergerebbe una sua diversa
opinione sulla vicenda. Ciò sarebbe in armonia con quanto osservato dallo
scrivente a proposito della analoga scomparsa di uno dei più noti personaggi
di Sciascia, il Prof. Laurana, si veda quanto se ne dice in LS, oltre che
in SEM.]
Secondo Recami, Majorana fuggì in Argentina, dove ne sarebbero
state rinvenute alcune tracce.
Ricordate anche, ma per definirle subito ridicole, le ipotesi
dell'"uomo cane", o di un Majorana ritiratosi tra i pastori del Cilento
(sorvoliamo del tutto su "follie", quali quelle che collegano Majorana al
cronovisore di Padre Pellegrino Alfredo Maria Ernetti!), descriviamo da ultima
quella che abbiamo battezzato l'"Ipotesi Klingsor" in LS (si veda la nota
19, dove si spiega anche perché lo scrivente l'ha presa in considerazione;
va aggiunto che tale eventualità era stata peraltro analizzata anche in SEM,
sebbene non con tale nome). L'ipotesi di un E.M. che di nascosto si reca
in Germania onde compiervi studi con finalità militari in vista dell'imminente
conflitto mondiale, è stata ampiamente illustrata da Arcangelo Papi in
"Il caso Majorana - «L'ipotesi Klingsor»", Episteme - Physis e
Sophia nel III millennio, Perugia, N. 6, Parte I, 2002
.
Poiché non l'abbiamo mai fatto in precedenza, approfittiamo
dell'occasione per spiegare perché essa non ci appare credibile. Concordiamo
infatti con l'opinione espressa dal già citato Paolo Cortesi (p. 98):
"Non si capisce, però, per quale motivo sarebbe stato necessario
mettere in piedi tutta questa storia. Majorana poteva tranquillamente
andarsene in Germania, come aveva già fatto, e lì lavorare senza dover
far credere d'essere morto, ma scambiando lettere con la famiglia e visitandola
alle feste comandate. A meno che non si voglia sostenere che Majorana
si vergognava di questo suo schieramento, ma l'osservazione è francamente
risibile dal punto di vista storiografico come da quello umano".
Sono d'accordo, l'infamia riversata a piene mani sulla Germania
è solo un frutto della sconfitta militare del 1945, peccato però
che il Cortesi, pur non citando nessuno dei miei lavori sul caso in bibliografia,
attribuisca proprio a me tale ipotesi, mescolando comunque rapimento e
fuga volontaria (pp. 98-99)!
"Abbiamo visto che, già poche settimane dopo la scomparsa,
si parlava di un possibile rapimento. Majorana, in sostanza, sarebbe stato
costretto ad inscenare il suo suicidio, mentre sarebbe stato portato lontano,
all'estero, per condurre studi che sarebbero stati utilizzati per scopi
militari. E' l'ipotesi ventilata da Umberto Bartocci, con la variante
- però - che Majorana avrebbe volontariamente lasciato l'Italia (fingendo
il suicidio) per recarsi in Germania e collaborare alle ricerche che avrebbero
dovuto realizzare la bomba atomica nazista".
[Notiamo che inscenare un suicidio va bene, ma poi perché
smentirlo subito dopo? Aggiungiamo che non è questo l'unico punto in
cui il menzionato autore, che ci sembra avrebbe dovuto studiare il caso
meno frettolosamente prima di scriverne, si rivela alquanto superficiale.
A p. 121 si occupa infatti del libro di Valerio Tonini (si veda l'intero
Cap. V di SEM, intitolato "Majorana 'segreto'"), per asserire che esso non
sarebbe altro che "una finzione saggistica, che amplia ed elabora liberamente
spunti tratti da passaggi degli scritti di Majorana". Rinviato al nostro
saggio per quanto concerne la pretesa "finzione", saremmo curiosi di conoscere
da quali dei pochissimi scritti di E.M. (peraltro esclusivamente scientifici)
Tonini avrebbe tratto ispirazione. Per esempio, non sappiamo di alcuna
esplicita riserva espressa dallo scomparso nei confronti di Albert Einstein
e della teoria della relatività. Per contro, ci sono invece nel libro
di Tonini vari echi della biografia di E.M. scritta da Edoardo Amaldi nel
1961 ( La vita e l'opera di Ettore Majorana, Roma, Accademia dei
Lincei, 1966; riprodotta con qualche modifica in: "Ricordo di Ettore Majorana",
Giornale di Fisica, vol. 9, 1968, opera già sopra menzionata).]
Recami propone la medesima critica con le seguenti parole (ER,
p. 100):
"al termine della guerra ce ne sarebbero giunte dai colleghi
fisici precise testimonianze [...] in un caso del genere, Ettore ne avrebbe
potuto parlare con la famiglia, senza bisogno di architettare le sofferte
contraddizioni delle sue ultime lettere".
Il primo argomento in particolare, che fa sostenere a Recami
di trovarsi di fronte a un'ipotesi assurda, ci appare decisivo.
Con ciò il presente paragrafo si può ritenere concluso, dal
momento che non ci risultano altre autorevoli ipotesi sulla scomparsa
di Majorana da riferire, tranne ovviamente quella - formidabile e realistica,
ma mai divenuta finora "autorevole" - di cui ci occuperemo d'ora in avanti.
_________________________________________________________________
3 - LA CONCLUSIONE PIÙ VEROSIMILE SECONDO LOGICA (E PSICOLOGIA)
Abbiamo visto nel precedente paragrafo che le ipotesi più
diffuse sulla scomparsa di E.M. si limitano alle due categorie "volontarie"
I e III, che riteniamo al contrario entrambe piuttosto improbabili per
le ragioni psicologiche esposte in SEM. Riteniamo pure altrettanto improbabile
la categoria IV di cui non parla (giustamente) quasi nessuno.
[Va ricordato però nel presente contesto almeno il racconto
"Visioni di una tragedia", contenuto in Falsi movimenti - Racconti di
eventi probabili, di Andrea Frezza, Ed. Biblioteca del Vascello, Roma,
1993. La fantasticheria relativa a un sommergibile in cui E.M. si sarebbe
imbarcato, volontariamente o involontariamente, si ritrova anche in altre
poco convincenti "soluzioni" del caso reperibili in rete.]
Un rapimento, perché? Certamente non "privato", a fini di
riscatto, mentre poco verosimile appare anche il rapimento di E.M. in quanto
scienziato da parte di una potenza straniera (uno scienziato lavora difficilmente
a comando, tanto più su qualcosa che deve ancora essere fatta). Non è chiaro
inoltre per esempio perché rapire proprio lui e non altri che sarebbero
stati forse da considerare più utili per determinate finalità.
Non altrettanto inverosimile appare invece la categoria II,
anzi, essa ci appare addirittura l'unica degna di approfondimento. Confessiamo
il nostro assoluto sbalordimento di fronte alla circostanza che nessuno,
almeno apparentemente o per quanto se ne sa, abbia mai valutato come si
conviene la possibilità che E.M. sia stato ucciso. Soprattutto la polizia
non avrebbe dovuto escludere tale eventualità (per di più di fronte alla
coincidenza che a Palermo erano presenti ben due dei fisici che avevano
studiato con Fermi, e che quando una persona scompare a Palermo vengono a
tutti in mente certe cose), svolgendo di conseguenza le appropriate indagini,
ma di queste non si è mai sentito parlare. In fondo, E.M. avrebbe potuto
essere rimasto vittima di un'aggressione a scopo di rapina, dal momento che
era ben fornito di denaro (in ER, p. 21, la somma in possesso di E.M. viene
valutata dalle 10 alle 15mila lire), ma è chiaro secondo noi che l'assordante
silenzio in merito alla possibilità di un omicidio ha ben altre ragioni,
in quanto va a coinvolgere inevitabilmente dei "livelli alti", intoccabili
sia pure con un semplice sospetto.
Prima di discutere un poco logicamente l'ipotesi di un omicidio
maturato per ragioni politico-scientifiche in ambienti facilmente individuabili,
ci fa piacere poter annoverare almeno due suoi recenti sostenitori.
Una persona attiva in rete con il nick "Fecia di Cossato" (che
non ha mai risposto ai nostri tentativi di contatto) ha scritto, sicuramente
prima del dicembre del 2007, in una pagina web che ci risulta attualmente
irreperibile (si trovava in http://www.politicaonline.net/, un sito "scaduto"):
"Quello che invece farò è rievocare un episodio della Storia
(più che mai in casi come questi Magistra vitae ...) accaduto
in tempi lontanissimi e tuttavia assai istruttivo per farci in qualche
modo 'intuire' il motivo della scomparsa di Ettore Maiorana. [...] Tra
le 'vittime' del saccheggio cui venne sottoposta la città [Siracusa, 212
A.C., nel corso della II guerra punica.] vi fu il fisico e filosofo Archimede,
scienziato e matematico dei più grandi dell'antichità. La 'versione
ufficiale' della morte di Archimede divulgata allora ne attribuì la responsabilità
all'iniziativa sconsiderata di un soldato romano di fronte al rifiuto
da parte di Archimede, del quale ignorava l'identità, a lasciarsi prendere
prigioniero. Tale 'versione' sarà però smentita oltre centosessanta anni
dopo da Cicerone, il quale lascerà chiaramente intendere che quel soldato
in realtà aveva ucciso Archimede dietro preciso ordine del console Marcello.
Il motivo di quest'ordine doveva essere ricercato in quanto era accaduto
nel corso della prima guerra punica, allorché Roma non era riuscita a
piegare la resistenza di Siracusa e questo aveva costretto il console
Valerio Messalla a concludere un trattato di pace con il tiranno di Sicilia
Gerone II [263 a.C.]. Lo storico romano Tito Livio riporta che, nel corso
dell'assedio di Siracusa avvenuto in quel contesto, contro le navi romane
erano state impiegate nuovi tipi di armi [Livio le definì speculum
e manus ferrea …] che si erano rivelate di efficacia devastante.
Particolarmente letale si rivelò lo 'specchio ustorio', il quale era in
grado, concentrando la luce solare, di incendiare una nave nemica restando
ben al di fuori della portata offensiva di questa. [...] Anche se Tito
Livio non lo riferisce esplicitamente, si deve presumere che l'apparato
di intelligence di Roma si sia messo in quella circostanza febbrilmente
al lavoro per acquisire le informazioni da cui dipendeva il futuro stesso
della Repubblica. Si venne così a sapere che la nuova arma era stata realizzata
da un matematico di nome Archimede, il quale aveva fatto parte in precedenza
della scuola di Alessandria ed era stato anche allievo di Euclide. In particolare
lo specchio ustorio era stato realizzato prendendo a modello l'ottica del
Faro di Alessandria, autentico gioiello tecnologico passato poi alla storia
come 'una delle sette meraviglie del mondo'. Come esplicitamente lascerà
intendere poi Cicerone, non occorre gran dose di ingegno per comprendere
a questo punto i motivi per i quali non solo Archimede venne eliminato".
A "Fecia di Cossato" si è aggiunto ancora più recentemente
Giancarlo Meloni, con un articolo intitolato
"La storia di Ettore Majorana. Lo scienziato eliminato perché sapeva
troppo", pubblicato sul quotidiano Libero del 2 dicembre 2008, p.
34. In esso si propone una ricostruzione della vicenda assai simile
a quella da noi descritta in SEM (sebbene con alcune varianti, la più rilevante
delle quali che secondo Meloni E.M. fece ritorno a Napoli da Palermo, mentre
secondo noi tale viaggio non avvenne mai - parere espresso anche da Sciascia:
"Ma noi abbiamo qualche dubbio: e non nell'ipotesi che si sia gettato in
mare nel viaggio di ritorno, ma nell'ipotesi che non sia salito sul piroscafo
la sera del 26, a Palermo", op. cit., p. 59), ed oggi ulteriormente avvalorata
dalla scoperta che illustreremo nel prossimo paragrafo.
Ciò premesso, veniamo finalmente alla nostra "logica". Prendiamo
in considerazione i 5 messaggi scritti da E.M., gli ultimi in cui abbiamo
notizie di lui, che abbiamo indicato con le lettere maiuscole da A fino ad
E, e dividiamoli in due gruppi: A, B, quelli del giorno 25, e C, D, E, quelli
del giorno 26. La domanda che poniamo è la seguente: i messaggi del primo
gruppo corrispondono autenticamente alle intenzioni e ai sentimenti di E.M.,
oppure no? Ci sembra evidente che la risposta debba essere no, per i motivi
già accennati, ma agli "ingenui" che rispondono di sì, e credono dunque
davvero a propositi suicidi di E.M. in quel fatidico venerdì, facciamo
notare che, per coerenza, dovrebbero allora rispondere di sì anche all'analoga
domanda concernente i messaggi del secondo gruppo. Orbene, in essi E.M.
annuncia chiaramente che ha rinunciato ai propositi suicidi del giorno
prima, che farà ritorno a Napoli e che lascerà l'insegnamento (e, sembra
potersi estrapolare, lo stesso studio della fisica), eventi che non si
sono verificati perché di lui non si sono più avute notizie. Ergo,
i nostri "ingenui" sono costretti, per forza di pura logica, ad ammettere
che qualcosa è intervenuto a modificare i piani di E.M., e quindi che egli
è morto. Appare ridicolo ipotizzare un tentativo di suicidio tanto elaborato
ma incerto: prima sì, sebbene senza fretta, rimandando il tutto alla sera,
e chissà perché imbarcandosi su una nave diretta proprio a Palermo (è
soprattutto un possibile significato di quest'ultima "gita" che sfugge a
coloro che rifiutano l'eventualità di un omicidio). Poi ci ripensa e annuncia
che no, poi decide di nuovo per il sì (per coloro che credono a un suicidio
messo in atto durante il viaggio di ritorno), oppure di fuggire chissà dove
a rifarsi una nuova vita, lasciando in una perenne angoscia la madre, i
fratelli e la sorella.
E' assai più ragionevole invece rispondere di no alla nostra
prima domanda, e procedere quindi con la supposizione che E.M. sia stato
spaventato da qualcosa, e che stia cercando di porvi rimedio. Un evento
recente, perché non c'è traccia di turbamento nelle sue comunicazioni
dei giorni precedenti, fino a quella già menzionata al fratello Salvatore
del giorno 19, dove informava tra l'altro che sarebbe tornato sicuramente
a Roma il sabato successivo (tutto il comportamento di E.M. appare in generale
affrettato e poco lucido, compreso il noto episodio dell'inusuale visita
in Istituto la mattina del venerdì 25, in un giorno in cui non aveva lezione,
e della consegna di una "cartelletta" di appunti a una sua studentessa di
cui era forse un po' innamorato, la Sig.na Gilda Senatore, appunti sui quali
si è in seguito alla sua scomparsa tanto fantasticato). Simula pertanto
propositi suicidi, ma si reca a Palermo in modo pienamente consapevole per
qualche motivo da scoprire (altrimenti, avrebbe potuto suicidarsi gettandosi
in mare prima, e da qualsiasi altra imbarcazione), con l'idea di fuggire
successivamente se il viaggio fosse risultato infruttuoso (ci sarebbe stato
poi il tempo per avvertire segretamente la famiglia che non era affatto
deceduto). A Palermo, però, il sabato 26 avviene qualcosa che gli fa cambiare
idea, e in un certo senso lo rassicura (una conversazione, un incontro,
con chi?). Qualcosa che gli fa abbandonare il progetto di un auto-esilio
in qualche luogo lontano, lasciando credere ufficialmente che fosse morto
(è ovvio però che nessuna delle persone di cui temeva avrebbe creduto a
una tale morte, e che Majorana lo sapeva benissimo!), ma non quello di lasciare
per sempre l'ambiente della fisica. Alla nostra seconda domanda rispondiamo
quindi senza esitazioni di sì: le comunicazioni C, D, E, corrispondono autenticamente
alle intenzioni di Majorana il giorno 26, il ritorno a Napoli (indi di seguito,
c'è da credere, a Roma) e l'abbandono la fisica, decisione questa che avrebbe
dovuto tranquillizzare coloro ai quali la stava comunicando attraverso Carrelli
(su tale punto si veda anche quanto se ne dirà tra breve).
LUNGA NOTA - Se si risponde di sì ad entrambe le domande,
e ci si attesta per spiegare il caso sulle categorie I e III, si rischia
di finire in quella che senza esitazioni riteniamo l'ipotesi più ...
insensata suggerita per spiegare il caso (ma che forse proprio per questo
ha ricevuto una certa attenzione: per esempio è stata esposta in italiano
in un articolo apparso sulla rivista Newton nel novembre del 2006).
Infatti, se si pensa a un nuovo tentativo di depistaggio, in una successione
davvero perversa (prima annuncio che mi suicido, poi lo nego, comunque
mi ammazzo o sparisco), si va a concordare con quel fisico ucraino, Olaf
Zaslavskii, secondo cui E.M. avrebbe giocato (crudelmente) con i suoi
interlocutori (familiari compresi) ... al gatto di Schroedinger, mezzo
vivo e mezzo morto, secondo una ridicola ma diffusa interpretazione della
meccanica quantistica!
"Majorana ha fatto perdere le proprie tracce creando un gioco perverso
di prove e controprove, di affermazioni e negazioni che non può essere
risolto con la logica elementare. Chiunque abbia provato a districare il
giallo si è perso nella serie di indizi ambigui e contraddittori seminati
volontariamente. Riguardando il quadro da un nuovo punto di vista, però,
Zaslavskii ha scoperto che tutto ha un senso: Majorana ha trasformato la
sua scomparsa in una rappresentazione macroscopica del sorprendente mondo
della meccanica quantistica, il suo campo di ricerca. Un mondo dove l'osservazione
determina la realtà fisica delle cose, dove tutto si trasforma in continuazione.
dove le particelle elementari possono contemporaneamente essere e non
essere. Dopo la sua scomparsa, aggiunge lo scienziato ucraino, Majorana
non è più né vivo, né morto".
( http://diamante.uniroma3.it/hipparcos/majoranalink.htm
)
Osserviamo solo che, se fosse corretto quello che Valerio Tonini
(citato in precedenza) scrive di E.M., questi (come peraltro Fermi) non
era certo persona incline ad interpretazioni irrazionalistiche della
fisica, anzi, né nei suoi lavori scientifici appare nessuna traccia di
ciò.
Tornando al nostro discorso, la conclusione di tutto il ragionamento
non può essere che una sola: E.M. contava di ritornare a una vita
comunque "normale", ciò non è accaduto, quindi gli eventi che hanno chiuso
il caso sono avvenuti contro la sua volontà. Escluso il rapimento, rimane
purtroppo percorribile unicamente la pista dell'omicidio.
Abbiamo già accennato alla circostanza che una tale conclusione
non piace agli intelletti pigri, perché debbono cominciare a cercare
una risposta alle domande di prammatica: chi? come? perché? Lasciamo
all'intelligenza del lettore, e a quanto già scritto sull'argomento,
l'intuire possibili risposte, limitandoci a sottolineare che forse, più
che l'eventuale timore ispirato dal pensiero di un Majorana il quale avrebbe
potuto portare la propria competenza scientifica in campo avverso, giocò
il fatto che occorreva eliminare un personaggio che aveva troppo compreso
di certi piani di fuga, queste sì fughe vere...
Ci piace dedicare le ultime osservazioni del presente paragrafo
a qualche altro particolare che abbiamo visto sempre trascurato.
Prima di tutto, perché tante lettere a Carrelli (ben tre,
contro una ai familiari), in siffatti momenti comunque drammatici? Si trattava
di una persona che, se non di età molto più avanzata del giovane Ettore
(Carrelli era nato nel 1900), si trovava comunque rispetto a lui su un
gradino superiore della scala gerarchica, e non è facilmente pensabile
che un'amicizia profonda (per esempio come quella con Giovannino Gentile)
possa essere nata nei pochi mesi del soggiorno di Majorana nella bella
città partenopea (in una lettera a Gentile del 21 novembre 1937, ER p.
194, E.M. parla di semplici rapporti epistolari con Carrelli, e tale circostanza
è ribadita in una lettera alla madre dell'11 gennaio 1938, ER p. 196, dove
descrive il primo amichevole incontro con il Direttore, e accenna pure allo
stato mediocre in cui si trovava l'Istituto di Napoli, circostanza che non
era del resto ardua da supporre). Si osservi poi che la lettera A, così
come il telegramma D, possono ben essere stati inviati a Carrelli presso
l'Istituto di Napoli, il quale li avrebbe ricevuti entrambi mentre si trovava
al lavoro (pur essendo di sabato; si noti anche che a quei tempi le Poste
funzionavano perfettamente). Ma l'espresso E? Carrelli lo lesse la domenica
mattina, secondo le sue stesse dichiarazioni, quindi esso doveva recare
l'indirizzo privato del Direttore. Come si poteva permettere Majorana di
disturbare una persona a lui in fondo poco vicina in maniera tanto insistente,
e perfino mentre si trovava in famiglia, durante il pranzo della domenica?
(anche se erano scritti e non telefonate, il loro contenuto comunque drammatico,
sebbene criptico, non avrebbe potuto non turbare l'interlocutore).
Data la nostra ipotesi, è lecito immaginare che i messaggi a Carrelli fossero
necessari in quanto tramite lui arrivassero ad altri, il fisico napoletano
era per esempio buon amico di Fermi (tra l'altro, aveva partecipato anche
lui ai lavori della Commissione del concorso del 1937 di cui si è data
dianzi qualche notizia). Secondo Amaldi (nel "Ricordo..." citato nel paragrafo
precedente), infatti: "Carrelli, sconvolto da tale lettura, chiamò subito
al telefono Fermi il quale a Roma si mise in contatto con il fratello
Luciano".
E poi, perché l'asimmetria di tre messaggi a un quasi sconosciuto,
e uno solo alla propria famiglia (l'unico peraltro in cui l'intenzione
suicida era espressa più apertamente)? Ma perché E.M. il giorno 26 intendeva
davvero tornare a Napoli quanto prima, e il telegramma C all'albergo aveva
lo scopo precipuo di far conservare la sua camera nelle condizioni in cui
l'aveva abbandonata, recarvisi e quindi cestinare personalmente il biglietto
alla famiglia che aveva lasciato lì, senza averlo spedito, non c'era bisogno
di nessuna lettera di rettifica!
__________________________________________________________________
4 - LA NUOVA SCOPERTA
Veniamo finalmente all'unica vera novità contenuta in questo
aggiornamento del caso. Nella vicenda di cui ci stiamo occupando appare
di sfuggita un personaggio rimasto finora sempre misterioso. Ne parla Vittorio
Strazzeri, professore di Geometria presso l'Università di Palermo,
in una lettera spedita da Palermo a Salvatore Majorana il 31 maggio 1938,
in risposta alle ricerche che la famiglia stava portando avanti intensamente
nelle settimane successive alla scomparsa del congiunto. In particolare,
si cercava di stabilire se Ettore avesse mai effettuato il viaggio di ritorno
da Palermo a Napoli, e se la sera del sabato 26 o quella della domenica
27. La compagnia Tirrenia, che gestiva il "Città di Palermo" su cui si
imbarcò E.M. la sera del giorno 25, dapprima non trovò nulla (secondo l'appunto
citato nel primo paragrafo, ER p. 13: "La famiglia ha fatto ansiose ricerche:
è risultato che nessuna persona del suo nome abbia preso il piroscafo Napoli-Palermo
e Palermo-Napoli"), poi produsse addirittura due biglietti a nome Majorana,
dei giorni 25 e 27 marzo, aggiungendo che, a quel che risultava, la notte
tra la domenica e il lunedì, altri due uomini avrebbero diviso la cabina
con lui.
Riportiamo qui di seguito tale lettera integralmente (ER, p.
16, corsivi e altro nella fonte citata), perché finora non l'abbiamo
mai fatto in precedenti circostanze, reputandola un elemento di importanza
minore nelle indagini sul caso.
"Carissimo Signor Majorana,
È mia assoluta convinzione che, se la persona che ha viaggiato
con me era suo fratello, egli non si è soppresso, almeno fino all'arrivo
a Napoli. Poiché, quando mi sono levato [dal letto], eravamo davanti
al porto di Napoli, e molti passeggeri erano sulla tolda del piroscafo,
essendo già giorno chiarissimo. Ripeto che io in cabina non ho visto
bagagli, ma ciò che mi ha dato nell'occhio è stato che forse il gilet
o la giacca (insomma, qualche indumento) era stato deposto sulla rete che
sovrasta ogni letto; ciò mi ha dato nell'occhio perché la mia più grande
preoccupazione viaggiando è di salvare il portafogli e il passaporto. Non
metto in dubbio che il terzo viaggiatore si chiamasse Carlo Price,
ma debbo in proposito assicurarla che parlava italiano come noi, gente
del Sud, ed inoltre che mi è sembrato dovesse essere qualche negoziante
o giù di li, insomma una persona senza quella raffinatezza inconscia di
modi che procede dalla cultura... Torno a ripetere: se il giovane che ha
viaggiato con me era suo Fratello (dico giovane perché aveva i capelli al
completo e perché ho riportato quell'impressione), egli non si è soppresso
sicuramente fino all'arrivo del piroscafo a Napoli. La prego di baciare
le mani per me alla Sua Signora madre e di ossequiarmi i Suoi. Se ha notizie
me le comunichi, e creda che - se buone come spero e credo - mi procurerà
una vera gioia.
Mi creda con devozione, Suo Strazzeri. - Palermo, 31.5.1938
- P.S.: Mi perdoni se ardisco darle un suggerimento,
quale è quello di cercare se Suo Fratello si fosse chiuso in qualche
convento, come è capitato altra volta con persone non molto religiose
mi pare a Monte Cassino".
Abbiamo detto di importanza minore, perché persuasi che
tale viaggio di ritorno non avvenne mai, e che tutto quanto è stato detto
provenire dalla Compagnia Tirrenia rimane alquanto dubbio. Al massimo,
abbiamo ritenuto che tale viaggio di ritorno con un presunto Majorana avrebbe
potuto essere stato organizzato il giorno seguente alla sua vera dipartita
dal mondo, allo scopo di allontanare eventuali sospetti da Palermo, e
dalle persone che lì si trovavano, e di far credere che E.M. avesse comunque
fatto ritorno a Napoli, città dalla quale avrebbero dovuto pertanto
iniziare le ricerche dello scomparso. Un tentativo di depistaggio, insomma,
che si rivelò in pratica assolutamente inutile, perché nessuno ebbe
sospetti del genere di quelli che noi nutriamo, e la polizia si limitò
... a dormire sonni saporiti (si veda l'ironico commento di Sciascia, op.
cit., p. 10, riportato anche parzialmente nel nostro SEM, pp. 23-24). Inoltre,
curiosa la storia di uno straniero che parlava italiano come la gente del
Sud, tenuto conto di tutto una testimonianza tardiva e confusa cui non
era il caso di dare eccessiva attenzione, se non nei termini sopra riportati.
Riportiamo comunque estesamente un'analoga opinione espressa da Sciascia
(op. cit., pp. 60-61).
"Sollecitato da una lettera del fratello di Ettore (alla quale,
è ovvio pensarlo, sarà stata acclusa una fotografia), il professore
Strazzeri espresse due dubbi: di aver effettivamente viaggiato con Ettore
Majorana e che 'il terzo uomo' fosse un inglese [...] In quanto all'inglese,
non mette in dubbio che si chiamasse Price, ma parlava italiano come noi,
gente del sud ed aveva modi piuttosto rozzi, da negoziante o giù di lì.
Siamo davvero al 'terzo uomo'. Ma il problema non è di difficile soluzione.
Dato che il professor Strazzeri ha scambiato qualche parola con l'uomo che
doveva essere Carlo Price e nessuna con quello che doveva essere Ettore Majorana,
è facile ed attendibile l'ipotesi che l'uomo che non parlò, e che Strazzeri
seppe poi doveva essere Ettore Majorana, fosse invece l'inglese; mentre colui
che poi gli dissero doveva essere il Price, fosse invece un siciliano, un
meridionale, un negoziante quale appariva, che viaggiava al posto di Majorana.
E nulla di romanzesco, in questo: Majorana poteva essere andato alla biglietteria
della 'Tirrenia' all'ora opportuna e aver regalato il suo biglietto a uno
che stava per farlo e che magari - per età, statura, colore dei capelli
- un po' gli somigliasse [...] Se non si accetta questa ipotesi, si deve
o destituire di attendibilità la testimonianza del professor Strazzeri
o puntare - come qualcuno ha tentato - sul romanzesco del Price che non
fosse Price, ma un meridionale, un siciliano travestito da inglese che
seguiva Majorana e ne dirigeva le azioni. E su questa strada si può anche
arrivare all'amenità della mafia che si dedicasse alla tratta dei fisici
come a quella delle bianche".
Osserviamo che appare davvero inverosimile che un imminente
suicida (o fuggiasco) si preoccupi di non sprecare un biglietto, e si
rechi appositamente al porto per cercare qualcuno a cui regalarlo, a meno
che non voglia ancora confondere le acque per chissà mai quale motivo.
Data per buona la testimonianza, appare più ragionevole pensare che "l'inglese",
poi scomparso nel nulla, fosse veramente uno straniero, e che il "meridionale"
fosse invece davvero una persona che doveva impersonare Majorana; senza
che gli organizzatori dello 'scambio' avessero potuto trovare di meglio
(a parte la richiamata superficiale somiglianza fisica), e senza riuscire
a ingannare quindi la sensibilità del Prof. Strazzeri, il quale giustamente
non riconobbe sotto quelle vesti la "raffinatezza inconscia di modi che
procede dalla cultura", rimanendo quindi un po' spiazzato quando venne a
sapere con chi avrebbe viaggiato.
Orbene, è in tale contesto che si inserisce la sorprendente
scoperta del Dott. Guido Abate, grazie alla quale il misterioso Charles
Price diventa finalmente ... un po' meno misterioso. Il nostro giovane
interlocutore ha avuto la brillante idea di andare a curiosare negli archivi
in rete dell'Home Office, e lì ha trovato, tra i documenti provenienti dal
Ministry of Home Security, la notizia che un Charles Price è in un certo
senso esistito davvero!
http://www.nationalarchives.gov.uk/catalogue/displaycataloguedetails.asp?CATLN=6&CATID=5112166
Si tratta in effetti di una semplice pratica di naturalizzazione
di questo tal Zedick, verosimilmente un ebreo di origine russa (secondo
un corrispondente esperto di simili questioni, "dal nome originario Zedick,
ovvero 'il giusto' in ebraico, si deduce chiaramente la sua appartenenza
etnica"). Si può anche dire che le relative informazioni sono state segretate
per 100 anni a partire dal 1927 (quindi non saranno pienamente disponibili
se non a partire dal 2027), per una usuale e naturale tutela della privacy
, ma certo che il tutto lascia pensare, in particolare la presenza di
Zedick a Palermo in quella fine di marzo del 1938, fatale per il destino
del povero Majorana.
Per concludere, ci sembra che con tale notizia il cerchio si
chiuda, nel senso che tante "coincidenze" e incongruità appaiono sufficienti
per far inclinare il giudizio verso una possibile verità storica, se
non processuale, et de hoc satis...
Nota (aggiunta il 2.III.2011) - Ci viene cortesemente
segnalato che, nel libro di Melton S. Davis, Chi difende Roma?, Rizzoli,
1973, pag.153, si trova la seguente informazione: "Gli inglesi avevano in
Italia una rete di spionaggio e sabotaggio, capeggiata da un loro agente che
si faceva chiamare Giusto". Inutile sottolineare come essa possa assumere
una grande rilevanza nel nostro particolare contesto (un progresso nella
carriera del Giusto?).
E' doveroso precisare che il menzionato autore (nella sua opera
dedicata alla ricostruzione degli eventi che vanno dal 25 luglio all'8 settembre
1943) prosegue sostenendo che: "l'organizzazione era completamente
in mano al servizio segreto italiano", ma ci resta assai difficile immaginare
un agente, che tutto lascia presumere si potrebbe definire anglo-sionista,
il quale lavorava con sincerità a favore della causa dell'Italia fascista.
Forse il Giusto faceva davvero un doppio o triplo gioco, bisognerebbe cercare
di saperne di più...
Torna
al Forum di Episteme
Torna alla
home page