DELLA NATURA "AMBIGUA" DELLA LUCE
Sutra di storia del pensiero scientifico
(Umberto Bartocci)
1 - Si può fissare l’origine della scienza moderna,
e la fine di quel periodo che chiamiamo Medioevo, nel progetto di Enrico
il Navigatore (collegato ai resti dell’Ordine Templare, dopo la persecuzione
che lo estinse quasi completamente all’inizio del XIV secolo), di chiamare
intorno a sé a Sagres (1416) i massimi esperti del tempo di matematica,
geografia, astronomia, etc., per la maggior parte arabi o ebrei. Lo scopo
è quello di utilizzare le conoscenze scientifiche dell’antichità
per l’esplorazione del globo, e la conquista di nuove terre. Si sa bene
quali furono le conseguenze dell’iniziativa del principe Enrico, meno bene
si comprende che essa fu anche la causa scatenante della cosiddetta rivoluzione
astronomica (Copernico, De Revolutionibus Orbium Coelestium, 1543).
2 - La scienza moderna nasce quindi applicativa,
e non teorica, esattamente nella successione inversa che comunemente
si crede (cfr. Martin Heidegger, "La questione della tecnica", 1953), anche
se gli esiti delle sue prime "applicazioni" divennero presto eminentemente
speculativi, e in grave rotta di collisione con la concezione generale
del mondo allora dominante nell’Europa cristiana. É solo relativamente
tardi che il pensiero scientifico comincia ad elaborare teorie sistematiche
di tipo moderno (ovvero, "non-sacro"), e dopo gli eventi che vedono protagonisti
Galileo e Keplero all’inizio del XVII secolo, il primo tentativo degno
di nota in questo senso è quello di Cartesio. Egli riprende l’opinione
secondo la quale lo spazio vuoto è una "assurdità fisica"
- che fu già professata in tempi antichi prima da Anassagora e poi
da Aristotele - nel suo grande trattato di fisica teorica Principia
Philosophiae (1644). Lo spazio di Cartesio (res extensa) è
tutto pieno di una materia sottile onnipervadente (etere), il cui movimento
rotatorio intorno al Sole è per esempio la causa dei moti dei pianeti
(teoria dei vortici). Questa concezione suggerisce a Christiaan Huyghens
(Tractatus de Lumine, 1690) quella che oggi chiamiamo la teoria
ondulatoria
della luce, laddove scrive: "Non c’è dubbio che la luce arrivi da
un corpo luminoso a noi come moto impresso alla materia interposta". Del
resto, la concezione fluido-dinamica dell’universo, ovvero la teoria dello
"spazio pieno", mal si concilia evidentemente, a livello di "analogia"
(essenziale nel pensiero cartesiano per ogni tentativo di "spiegazione"),
con una descrizione corpuscolare della luce.
3 - La teoria cartesiana suscita subito grandi entusiasmi,
ma anche grandi ostilità. É indubbio comunque che il suo
"dualismo" tra materia e "spirito" (res cogitans) è il primo
- ed ultimo?! - ampio tentativo di sintesi tra il nuovo e l’antico. Alla
fine del 600 compare sulla scena il gigante Isaac Newton, la cui opera
è tutta anti-cartesiana (è ovvio sin dal titolo dei Philosophiae
Naturalis Principia Mathematica, 1687, il rimando "critico" all’opera
di Cartesio: l’aggiunta dei due aggettivi Naturalis e Mathematica allude
a due specificazioni entrambe di grande significato filosofico), e lo spazio
diventa all’improvviso completamente vuoto, sede di non meglio identificate
"forze". Nella concezione cartesiana, invece, una forza è soltanto
una vis a tergo, e l’attore è lo spazio fisico stesso. Questa
(prima) scomparsa dell’etere dona naturalmente vigore alla teoria corpuscolare
della luce. In verità Newton, come pensatore di passaggio, è
ancora intriso di dubbi, e di ripensamenti, ma i "newtoniani" sono più
decisi del maestro, come capita sovente (ne vedremo un altro esempio più
avanti, in relazione ad Albert Einstein, e alla "seconda" scomparsa dell’etere):
"Non ci sarà assolutamente luogo per i movimenti delle comete, se
quella materia immaginaria non viene completamente rimossa dai cieli" (Roger
Cotes, Prefazione alla seconda edizione dei Principia, 1713).
4 - Nonostante isolati illustri tentativi (Leibniz per
esempio cerca di precisare matematicamente quella che si può definire
la teoria cartesiana della gravitazione, a partire dal suo Tentamen
de motuum coelestium causis, 1689), la stella di Cartesio si eclissa
di fronte all’affermazione della matematica newtoniana. Che al definitivo
successo dei partigiani dell’inglese contribuiscano anche (soprattutto?!)
motivi ideologici (cfr. Margaret C. Jacob, The Newtonians and the English
Revolution 1689-1720, Gordon & Breach, N.Y., 1976), appare chiaro
dalla descrizione che dà Voltaire (il quale non può dirsi
proprio noto per i suoi talenti fisico-matematici) dei due punti di vista
in contrapposizione (Lettere inglesi, 1734): "Un francese che arriva
a Londra trova le cose veramente cambiate ... Ha lasciato il mondo pieno;
lo trova vuoto. A Parigi, l’universo lo si vede composto di vortici di
materia sottile; a Londra non si vede niente di tutto ciò ... La
generale opinione sui due filosofi in Inghilterra è che il primo
era un sognatore, l’altro un saggio. Sono molto poche le persone che leggono
Descartes, le cui opere in realtà sono divenute inutili ... Non
nego che tutte le opere di Descartes brulichino di errori ... la sua filosofia
divenne solo un romanzo ingegnoso, e tutt’al più verosimile per
gli ignoranti ... Non credo che si osi, in verità, minimamente paragonare
la sua filosofia a quella di Newton: la prima è un tentativo, la
seconda è un capolavoro". Vedremo purtroppo che, nonostante un breve
momento nel XIX secolo, i giudizi espressi da Voltaire sono rimasti sostanzialmente
immutati! Eppure, "La cosmogonia di Cartesio, prima di essere ripudiata,
ebbe un momento di vero trionfo. E fu questo l’istante in cui l’uomo, per
pura intuizione andò più vicino alla realtà dell’architettura
dell’Universo!" (Marco Todeschini, Teoria delle Apparenze, Bergamo,
1949, p. 29).
5 - Il XVIII secolo vede ovunque il trionfo dell’Illuminismo:
la luce della ragione libera finalmente l’uomo dall’oscurità delle
religioni e delle superstizioni; l’antichità, secondo il "modernista"
Francis Bacon (1561-1626), è soltanto l’infanzia dell’umanità.
La matematica viene ritenuta unico criterio di verità per ogni forma
di investigazione nel campo della conoscenza, tra le quali viene così
privilegiata quella "scientifica". Si avvera così il detto di un
altro proto-illuminista, Nicola Cusano (1401-1464): "Nihil certi habemus
in nostra scientia nisi nostram mathematicam". Regina della fisica diventa
la teoria newtoniana dei moti, vale a dire la meccanica, di cui
quella cosiddetta "celeste" costituisce l’indiscussa gemma. Anche in questo
caso, sparute autorevoli eccezioni (Leonhard Euler, "Mémoire dans
lequel [sic] on examine Si les Planetes se meuvent dans un milieu dont
la résistance produise quelque effet sensible sur leur mouvement?",
1762 - cfr. anche "De Causa Gravitatis", in questo stesso numero di Episteme)
non modificano il quadro generale. Per quanto riguarda la luce, "la fiducia
nei metodi newtoniani, portata all’esagerazione, aveva reso quasi tutti
credenti nell’ipotesi dei corpuscoli luminosi emessi quali proiettili e
regolati dalle leggi meccaniche" (Giovanni Giorgi, L’etere e la luce,
Ed. Cremonese, Roma, 1938, p. 23). Quando il newtoniano James Bradley scopre
il fenomeno dell’aberrazione astronomica (1728; il moto annuale del nostro
pianeta intorno al Sole si riflette in un analogo moto apparente annuale
di ogni corpo celeste visto dalla Terra), è proprio rifacendosi
alla teoria corpuscolare della luce che egli spiega quanto da lui osservato.
6 - La situazione cambia alquanto agli inizi dell’800,
con il progredire degli studi fisici in altri campi, quali l’ottica e l’elettromagnetismo,
come diciamo oggi (in realtà, la comprensione dei rapporti tra elettricità
e magnetismo fu una graduale e grande conquista delle ricerche di questo
periodo). Thomas Young (1801) e Augustin J. Fresnel (1815) illustrano il
fenomeno dell’interferenza luminosa, il quale riporta in auge la teoria
ondulatoria della luce e il fantomatico etere (o etere luminifero - la
"nuova" concezione della luce si rivela capace anche di spiegare il fenomeno
dell’aberrazione astronomica: T. Young, 1804). La realtà fisica
dell’esistenza di questo "mezzo" elusivo riceve nuove conferme anche dalle
ricerche di Michael Faraday, che "vede" i vortici d’etere (etere elettromagnetico)
attraverso la disposizione della limatura di ferro intorno ai poli di un
magnete (linee di forza del "campo"). Tutto questo movimento d’opinione
vede il suo culmine nell’opera di James Clerk Maxwell, il quale teorizza
la luce come fenomeno elettromagnetico, unificando quindi così "diversi"
tipi di etere: "Riempire tutto lo spazio con un nuovo mezzo ogni volta
che si debba spiegare un nuovo fenomeno non è certo cosa degna di
una seria filosofia, ma se lo studio di due diverse branche della scienza
ha suggerito in modo indipendente l’idea di un mezzo, e se le proprietà
che si devono attribuire al mezzo per spiegare i fenomeni elettromagnetici
sono identiche a quelle che si attribuiscono al mezzo per spiegare i fenomeni
luminosi, si rafforzerà notevolmente il complesso di prove a favore
dell’esistenza fisica del mezzo". Maxwell sostiene infine, in conclusione
del suo celebre Treatise on Electricity and Magnetism, 1873, che:
"All these theories lead to the conception of a medium in which the propagation
takes place, and if we admit this medium as an hypothesis, I think it ought
to occupy a prominent place in our investigations". Lo stesso concetto
si ritrova nel suo "Etere e campo", 1890: "Per quante difficoltà
possiamo incontrare nella formulazione di una valida teoria della struttura
dell’etere, non vi può essere dubbio che gli spazi interplanetari
e interstellari non sono vuoti, ma sono occupati da una sostanza o corpo
materiale, che è certamente il corpo più esteso e probabilmente
il più uniforme che si conosca".
7 - Alla fine del XIX secolo troviamo dunque la fisica
in una situazione assai curiosa, e imbarazzante. Da un canto lo spazio
è tutto vuoto per la meccanica, pilastro basilare della fisica
(e "mito fondatore", con le ben note vicende relative all’opposizione della
Chiesa alla teoria copernicana, dell’immagine di questa scienza presso
il pubblico), ed è invece tutto pieno per i teorici dell’ottica
e dell’elettromagnetismo, che vedono nelle proprietà fisiche dell’etere
la migliore spiegazione possibile per i fenomeni di loro competenza. Una
situazione altamente contraddittoria quindi, anche se relativa a due campi
di indagine differenti, per una fisica ancora incapace di escogitare gli
artifici dialettici post-relativistici e post-darwinisti, quando a un intelletto
ormai ridotto a quello di un "povero mammifero primate" (la "rivoluzione
evoluzionista" data dal 1859), manifestamente insufficiente per intuire
i profondi misteri della struttura dell’universo, poté parlarsi
del dualismo onda-corpuscolo; vale a dire, elaborare una teoria secondo
la quale la luce si manifesta per noi talvolta come un’onda, tal’altra
come una particella, ma che in realtà non è nessuna delle
due (principio di complementarità di Niels Bohr: "Esiste un’esclusione
mutua tra particella ed onda, le quali devono essere considerate descrizioni
complementari dei sistemi atomici" - Franco Selleri, La causalità
impossibile - L’interpretazione realistica della fisica dei quanti,
Ed. Jaca Book, Milano, 1987, p. 84). Siamo soltanto noi esseri umani ad
essere incapaci di concepire cosa essa realmente sia (se questa asserzione
ha qualche senso), per la limitatezza dei nostri concetti mentali basati
su una assolutamente scarsa esperienza. Riuscire a prevedere di tanto in
tanto con le nostre formule matematiche gli effetti quantitativi di certi
fenomeni ci deve bastare, come ammonisce l’illustre fisico Richard P. Feynman,
premio Nobel per questa disciplina nel 1965: "What I am going to tell you
about is what we teach our physics students ... and you think I’m going
to explain it to you so you can understand it? No, you are not going to
be able to understand it. ... It is my task to convince you not to turn
away because you don’t understand it. You see, my physics students don’t
understand it either. That is because I don’t understand it. Nobody does.
... It’s a problem that physicists have learned to deal with: They’ve larned
to realized that whether they like a theory or they don’t like a theory
is not the essential question. Rather, it is whether or not the theory
gives predictions that agree with experiment. ... The theory of quantum
Electrodynamics describes Nature as absurd from the point of view of common
sense. And it agrees full with experiment. So I hope you can accept Nature
as She is - absurd" (QED - The strange theory of light and matter
, Princeton University Press, 1985, pp. 9-10).
8 - Ma procediamo con ordine. Le cose stavano al punto
in cui le abbiamo lasciate alla fine dell’800, quando arriva il "newtoniano"
Albert Einstein, il quale sostiene con la sua teoria della relatività
(1905) che l’etere non esiste, o meglio che non ce n’è alcun bisogno,
che si tratta di un ente la cui introduzione è "superflua" (ma,
come accadde nel caso di Newton, la mera inesistenza dell’etere è
la lezione che tutti hanno successivamente tratto dai suoi insegnamenti;
a proposito invece dei reali rapporti conflittuali di Einstein con tale
concetto, cfr. Ludwik Kostro, Einstein and the Ether, di prossima
pubblicazione - e presentazione su Episteme). É da notare
che il tentativo einsteiniano (per certi versi riuscito) di salvare capra
e cavoli si inserisce proprio in un momento in cui così si esprimevano
gli eteristi: "L’unica nube nel cielo limpido della teoria dell’etere è
il risultato dell’esperimento di Michelson-Morley", Lord Kelvin, 1900;
"La probabilità dell’ipotesi dell’etere sfiora la certezza", J.
Chwolson, 1902. Einstein, con abilità retorica senz’altro apprezzabile,
riuscì a convincere tutti, o quasi, utilizzando per i meccanici
il sacrosanto principio di relatività (i moti uniformi non hanno
effetti fisici - uno dei principi fondatori della meccanica newtoniana,
perfettamente compatibile con l’ipotesi dello spazio vuoto), per gli "eteristi"
l’altrettanto sacrosanto principio dell’invarianza della velocità
di propagazione di una perturbazione dalla velocità della sorgente
perturbatrice (relativamente al mezzo in cui la perturbazione si propaga).
Ecco spiegata la ragione del fenomeno per cui TUTTI trovano accettabile
e intuitivo almeno un principio della relatività, ma di solito non
l’altro! In effetti, le due "concezioni" da cui detti principi provengono
sono tra loro assolutamente antitetiche, e l’opzione di Einstein, attraverso
possibili tentativi di riconduzione del secondo principio al primo, è
tutta a favore dell’ipotesi dello spazio vuoto, omogeneo e isotropo, comune
ai padri fondatori della meccanica, ma non a quelli dell’elettromagnetismo.
É indubbio che la riconciliazione tra i due punti di vista avviene
soltanto sul piano formale, puramente logico-matematico (felici per questo
ruolo fondante della matematica sono soprattutto i cultori di questa disciplina,
che non aspettavano altro che vedere anche le loro generalizzazioni astratte
indispensabili per la costruzione di qualsiasi modello fisico), e costa,
privilegiando un modo irrimediabilmente contro-intuitivo di fare fisica,
la rinuncia definitiva alla categorie ordinarie di spazio e di tempo, oltre
che un primo scrollone al principio di causalità (disfatta della
RAZIONALITÀ ORDINARIA). Il fisico Fabio Cardone (vedi prossimo numero
di Episteme) contrappone un proprio "Ordo et connectio idearum idem
NON est ac ordo et connectio rerum" allo spinoziano "Ordo et connectio
idearum idem est ac ordo et connectio rerum", che lo scrivente invece cerca
di rinverdire nell’ambiente dei fisici (e dei matematici) da oltre 20 anni,
anche se, deve ammettere, con scarso successo.
9 - Con l’affermazione della relatività riprende
nuovo vigore la teoria corpuscolare della luce, e il concetto di fotone
(quanto di luce), che Einstein utilizza con successo per spiegare l’effetto
fotoelettrico. Questa, e non l’ancora da alcuni aborrita teoria della relatività,
sarà la motivazione per il suo Nobel del 1921-1922, due date per
una storia nella storia alquanto interessante. Dell’effetto in questione
Einstein stesso dice: "Questo risultato sperimentale non poteva prevedersi
in base alla teoria ondulatoria. Ancora una volta una nuova teoria sorge
dal conflitto tra teoria in voga ed esperimento" (L’evoluzione della
fisica, 1938, con Leopold Infeld; ed. it. Boringhieri, 1965, p. 269).
Si può sottolineare come tale pubblica sottomissione di Einstein
all’esperimento appaia piuttosto frutto di un atteggiamento politically
correct, poiché si sa infatti assai bene come quegli privilegiasse
piuttosto la sistematicità e la coerenza delle teorie, sostanzialmente
condividendo quanto brillantemente osservato dal fisico dissenziente Tom
Phipps: "Ergo, as usual, experimental evidence is ambiguous or indecisive".
Quasi tutti oggi ritengono che le cose stiano nei termini detti da Einstein,
ma non per esempio un altro fisico "eretico", Theo Theocharis, il quale
scrive sull’American Journal of Physics (54, 11, 1986, p. 969),
che: "It is not well known, but it is well established that the alleged
particle behavior of light, photoelectric and Compton effects, is explainable
purely in terms of waves" (vengono citati i lavori di R.H. Stuewer, 1970,
e J.N. Dodd, 1983).
10 - Le vicende della fisica contemporanea non si fermano
qui, perché nasce ormai con la teoria della relatività una
fisica che dovrà rinunciare d’ora in poi e per sempre a ogni tentativo
di spiegazione per analogie, e quindi a una fisica qualitativa che si accompagni
a una fisica quantitativa. Infatti, con il crescente progresso delle indagini
sul mondo microfisico (particelle), si continuano ad incontrare fenomeni
di tipo ondulatorio ASSIEME a fenomeni di tipo corpuscolare, e per gli
STESSI enti. Come la luce, che più spesso ci appare nel suo aspetto
di "onda", a volte si comporta come costituita da tante "particelle", così
un elettrone, per esempio, a volte si comporta nettamente come una particella,
a volte sembra invece possedere strane proprietà di interferenza,
che ne rivelerebbero una natura ANCHE ondulatoria. Vediamo come il già
citato Feynman descrive questo fenomeno all’inizio delle sue celebrate
lezioni di Meccanica Quantistica, 1965: "We choose to examine a phenomen
which is impossible, absolutely impossible, to explain in any classical
way, and which has in it the heart of quantum mechanics. In reality, it
contains the only mystery".
11 - In effetti, tolto di mezzo l’etere, viene meno anche
ogni possibilità di cercare di spiegare certa bizzarra fenomenologia
delle particelle "quantistiche" attraverso l’interazione di queste con
il "mezzo" (la quale si avverte meno per i corpi "più grandi" della
meccanica classica, ma che comunque ci deve essere sempre). Così
si esprimono ancora ai nostri giorni altri due fisici, Bernard H. Lavenda
ed Enrico Santamato, che cercano di dare della meccanica quantistica un’interpretazione
che non impropriamente si potrebbe definire "razionale" nel senso che qui
stiamo illustrando: "Quantum indeterminism is explainable in terms of the
random interactions between quantum particles and the underlying medium
in which they supposedly move"; "It might perhaps be possible to develop
a completely classical formulation of quantum mechanics based upon the
irregular motion of a single Brownian particle immersed in a suspension
of lighter particles" (Foundations of Physics, 11, 9/10, 1981; International
Journal of Theoretical Physics, 23, 7, 1984). Dopo il successo della
relatività, però, questa strada viene detta non più
percorribile, e si propongono invece delle "irrazionalità", quali
i già enunciati dualismo onda-corpuscolo e principio di complementarità,
per non dire del principio di indeterminazione di Werner Heisenberg (non
si possono stabilire con assoluta certezza e allo stesso tempo posizione
e velocità di una particella, per cui ogni descrizione della fenomenologia
quantistica non può essere che di natura statistica e probabilistica).
Tutte asserzioni relative a una fenomenologia che si afferma essere inspiegabile
razionalmente, di cui invece una semplice analogia su base eterista riuscirebbe
a dare decente ragione, almeno da un punto di vista qualitativo. Bisognerebbe
aggiungere, per la verità, che Einstein a questo punto si sveglia,
e protesta: non gli piace la visione del mondo acausale e indeterministica
che è venuta fuori dalla sua stessa fisica. "Dio non gioca a dadi",
proclama, tentando di costruire alternative, ma ormai è troppo tardi,
e muore sostanzialmente ignorato da tutti coloro che contano nel Gotha
della fisica.
12 - Oggi siamo di fronte a una situazione che il fisico
teorico Franco Selleri chiama, con definizione molto pertinente: "epistemologia
della rassegnazione". Nessuno ha la minima idea di come possano essere
convenientemente interpretati quasi tutti i fenomeni naturali (luce, gravitazione,
elettricità, magnetismo, ... - ricevo da un altro fisico eretico,
George Galeczki, l’informazione che: "Einstein himself told Pauli, decades
after 1905, that he till had no idea how light is propagating, although
light plays a central role in STR. This was characteristic of him"). Esistono
soltanto dei modelli matematici più o meno complicati, di cui si
riconosce il maggiore o minore valore a seconda del grado di predittività
quantitativa, e di applicabilità tecnologica. Senza peraltro analizzare
a cosa sia dovuto il fenomeno che lamenta, il fisico Carlo Bernardini ammette
che la fisica si sia per lo più trasformata nella sola capacità
di saper fare uso di una sorta di prontuario "per tecnici praticoni, per
ingegneri, che hanno bisogno di regole piuttosto che di idee" (L’Espresso,
1984). Si rinvia al libro contro-corrente di Selleri già citato
per particolareggiate informazioni storiche sul periodo che vede l’affermazione
dell’interpretazione attuale della meccanica quantistica (la cosiddetta
interpretazione di Copenhagen), specialmente a proposito della vicenda
intellettuale di Erwin Schrödinger, di cui fu accettata la famosa
equazione, ma non la relativa interpretazione strettamente ondulatoria
e causale (è ben nota la "delusione" di questo scienziato nei confronti
di "un’interpretazione di tipo trascendentale, quasi psichica, del fenomeno
ondulatorio ... ben presto salutata dalla maggioranza dei teorici più
importanti come la sola conciliabile con gli esperimenti, e che ora è
diventata il credo ortodosso, accettata da quasi tutti, con alcune notevoli
eccezioni"; loc. cit., p. 33).
13 - Una nota di ottimismo, all’autore di solito estranea.
La situazione sta forse lentamente cambiando, tanto che un altro fisico
eretico di oggi, Dennis McCarthy, è costretto a dire più
o meno quello che diceva Maxwell cento anni fa: "Some people think it’s
silly to argue that it’s just a big conspiracy of coincidences that electromagnetism
should exhibit so many properties that are unique to media - including
interference, Doppler, Lorentzian retardations, Sagnac effect, aberration,
refraction, diffraction, amplitude, frequency, etc. If you don’t believe
electromagnetism is a media process, then it must seem as if this allegedly
intangible force of the universe was deliberately endowed with a plethora
of media characteristics just to fool people like Maxwell, Huygens, Lorentz,
Young, Fizeau, and Sagnac... ".
14 - I fisici contemporanei, relativistici e quantistici
(potremmo dire con una sola parola: "modernisti") continuano naturalmente
ad andare avanti per la loro strada, sostenendo senza apparente imbarazzo
opinioni del tipo: "Special relativity: Beyond a Shadow of a Doubt" (Clifford
Will, Was Einstein right?, Oxford University
Press, 1988), o: "La possibilità che un dubbio sulla teoria della
relatività possa essere accolto è la stessa che avrebbe un
dubbio sul sistema copernicano" (Tullio Regge, Cronache dell’Universo,
Ed. Boringhieri, Torino, 1981), e a portare avanti, a favore delle loro
pure speculazioni (tra le quali la celebre teoria cosmologica del Big-Bang),
esperimenti tanto reclamizzati come quello di J.C. Hafele e R. Keating,
relativo al cambiamento del ritmo di orologi in volo su un aereo. Così
facendo, mostrano di ignorare quanto risulta da un rapporto interno della
Marina degli Stati Uniti (USNO, Hafele, 1971), finalmente disponibile al
pubblico, riportante un parere dello stesso Hafele: "Most people (including
myself) would be reluctant to agree that the time gained by any one of
these clocks is indicative of anything ... The difference between theory
and measurement is disturbing" (informazione da un altro fisico eretico:
Al G. Kelly, "A New Theory on the Behavior of Light", The Institution of
Engineers of Ireland, Monograph N. 2, 1996, p. 8).
15 - Chiudiamo ricordando le recenti parole del direttore della rivista
Time, Walter Isaacson (31.12.1999, numero speciale dedicato al personaggio
del secolo, Albert Einstein): "L’impatto della teoria di Einstein ha travalicato
l’ambito della scienza … Indirettamente, la teoria della relatività
ha aperto la strada a un nuovo relativismo nella morale, nell’arte, nella
politica. Con lei si è incrinata totalmente la fede nei concetti
assoluti, non solo a proposito dello spazio e del tempo, ma anche della
verità e della morale … Così come il darwinismo è
diventato, un secolo fa, non soltanto una teoria biologica ma anche una
teoria sociale, allo stesso modo la relatività ha dato forma alla
teologia sociale del XX secolo". A queste aggiungiamo quelle di un noto
collaboratore di Einstein a Princeton, e suo esecutore testamentario, Gerald
Holton, attualmente professore ad Harvard: "La sua visione unitaria della
fisica si sposava con il suo profondo istinto democratico. Le leggi della
fisica dovevano rimanere identiche, per qualunque osservatore, ovunque
nel cosmo. Questa è stata la sua intuizione fondamentale in fisica.
E le leggi morali dovevano vincolare allo stesso modo qualsiasi essere
umano, ovunque nel mondo. Il legame profondo tra questi due assunti era
chiarissimo per lui". Tutto ciò può far comprendere quanto
sia difficile scardinare oggi l’intrico ideologico-politico-scientifico
che si è venuto determinando nel corso degli ultimi decenni: altro
che Galileo, con quei quattro gatti di poveri preti suoi contraddittori,
che cercavano di difendere un mondo in via di estinzione, ma non erano
abbastanza in gamba per poterci riuscire...
Bibliografia essenziale:
E.T. Whittaker, A History of the Theories of Aether and Electricity,
Dublino, 1910; Vasco Ronchi, Storia della Luce, Ed. Laterza, 1953; Umberto
Bartocci, http://www.dipmat.unipg.it/~bartocci (in questo sito si possono
trovare maggiori informazioni, anche bibliografiche, sugli argomenti trattati
nell’articolo).
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Umberto Bartocci è nato a Roma, nel 1944. Laureato
in Matematica (Roma, 1967), assistente di Istituzioni di Geometria Superiore
a Roma dal 1969, borsista CNR a Cambridge (Inghilterra) dal 1972 al 1974,
è dal 1976 professore ordinario di Geometria presso l’Università
di Perugia, dove insegna anche, da 20 anni, Storia delle Matematiche. Coordinatore
del gruppo di ricerca in "Geometria e Fisica", si occupa attualmente di
storia del pensiero scientifico e dei fondamenti della fisica e della matematica,
rivolgendo la propria attenzione al mondo dell’eresia scientifica (ha promosso
quattro congressi internazionali ad esso dedicati: 1989, Perugia; 1991,
Ischia; 1996, Perugia; 1999, Bologna). Opere più significative:
America:
una rotta templare - Un’ipotesi sul ruolo delle società segrete
nelle origini della scienza moderna, dalla scoperta dell’America alla Rivoluzione
copernicana", Della Lisca, Milano, 1995; Albert Einstein e Olinto
De Pretto: la vera storia della formula più famosa del mondo,
Andromeda, Bologna, 1999; La scomparsa di Ettore Majorana: un affare
di stato?, Andromeda, Bologna, 1999.