DE CAUSA GRAVITATIS
Commentatio ab indice ENESTROEMIANI abest
Miscellanea Berolinensia 7, 1743, p. 360-370
(Leonhard Euler)
Presentazione (Alessandro Moretti):
E’ quasi unanimemente ritenuto che la filosofia naturale
abbia subito una evoluzione lineare nel corso del tempo con la progressiva
sostituzione di teorie considerate inadeguate a favore di altre teorie,
percorrendo un iter che parte dai primi timidi tentativi di spiegazione
dei fenomeni fino alle odierne teorie fisiche, raffinate e complesse. Questo
però, se si esaminano con un pò più di attenzione
i fatti, si rivela essere un effetto dovuto al nostro retaggio culturale
derivante tanto dalla nostra concezione lineare del tempo quanto dall’influsso
onnipervasivo dell’idea darwiniana di evoluzione. Nella realtà lo
svolgersi dei fatti è stato molto più complesso di ciò
che appare.
Uno dei periodi più turbolenti sotto questo punto
di vista è stato il XVII secolo. In quel periodo videro la luce
due delle teorie più importanti dell’intera storia della filosofia
naturale: mi riferisco ovviamente alla teoria cartesiana dei vortici e
alla teoria newtoniana dell’attrazione. La storiografia ufficiale insegna
che la prima teoria, frutto delle speculazioni meramente filosofiche del
genio di Cartesio, non era molto efficace sul piano descrittivo seppure
estremamente suggestiva ed efficace sul piano esplicativo mentre la seconda,
anche se meno fascinosa, era estremamente precisa proprio dal punto di
vista dei calcoli e delle previsioni quantitative. E’ naturale che la seconda
teoria finisse per prendere il sopravvento anche per l’apporto e il sostegno
accordatole da figure eminenti della cultura dell’epoca.
A questo punto sarebbe naturale aspettarsi, in base ai
fatti enunciati sopra, che in seguito alla definitiva affermazione della
teoria newtoniana nessuno studioso,dal più marginale al più
importante, si sia avvalso dei principi della teoria cartesiana, considerata
"falsa". Questo invece non corrisponde al vero.
Leonhard Euler (1707-1783) è stato senza dubbio
una delle figure più rappresentative del XVIII secolo, e senza esagerare
anche dell’intera storia della scienza. Nacque a Basilea e fu edotto da
un maestro d’eccezione come Jacques Bernoulli. Il suo talento matematico
era fuori dal comune e la sua capacità di scrivere non aveva eguali;
ben presto il suo valore venne riconosciuto dai suoi contemporanei. Nel
1741 Federico il Grande lo volle all’Accademia delle Scienze di Berlino.
Qui coltivò quelli che sono stati i suoi interessi di sempre: non
si limitava infatti all’analisi matematica, ma si dedicava anche a studi
in fisica matematica, meccanica e cosmologia, scienze che avevano ricevuto
notevole impulso dalla rivoluzione newtoniana. In quegli anni scrisse il
breve saggio che qui presentiamo, dove tentava per la prima volta di rendere
ragione delle cause dei fenomeni celesti, come molti suoi illustri predecessori
ma differentemente dalla quasi totalità dei suoi contemporanei.
Il saggio venne pubblicato anonimo nel 7 volume della "Miscellanea Berolinensia",
gli Atti dell’Accademia di Berlino. L’attribuzione dello scritto ad Euler
è pressochè certa grazie ad una lettera di uno studioso francese.
George-Louis Lesage era uno studioso che soleva corrispondere con molti
degli accademici del tempo. In una lettera che indirizzò ad Euler
stesso, datata 9 Agosto 1765, egli criticava la teoria esposta in un breve
saggio apparso anonimo sul settimo volume delle "Melanges de Berlin". La
reazione immediata e ferma non lascia adito a dubbi sulla paternità
dello scritto. A questo saggio fecero seguito negli anni altri scritti
sullo stesso argomento, ma questi rimangono sostanzialmente poco conosciuti
alla gran parte degli studiosi.
In questo saggio in particolare, dopo una discussione
su quali dovrebbero essere i principi da seguire nell’indagine fisica,
reintrodusse quel fluido pervadente l’intero universo che la teoria dell’attrazione
aveva reso superfluo. Tale fluido era concepito sottoposto a grande pressione.
Proprio a questa pressione era da imputare l’insorgere del fenomeno della
gravitazione. In seguito, sulla base di questa, dedusse la legge dell’inverso
del quadrato della distanza dal centro di gravitazione.
Ma non vogliamo togliere troppo al piacere della scoperta
lasciando il lettore al testo euleriano.
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Leonhard Euler, b. Apr. 15, 1707, d. Sept. 18, 1783, was the most prolific mathematician in history. His 866 books and articles represent about one third of the entire body of research on mathematics, theoretical physics, and engineering mechanics published between 1726 and 1800. In pure mathematics, he integrated Leibniz’s DIFFERENTIAL CALCULUS and Newton’s method of fluxions into mathematical analysis; refined the notion of a FUNCTION; made common many mathematical notations, including e, i, the pi symbol, and the sigma symbol; and laid the foundation for the theory of special functions, introducing the beta and gamma TRANSCENDENTAL FUNCTIONS. He also worked on the origins of the CALCULUS OF VARIATIONS, but withheld his work in deference to J. L. LAGRANGE. He was a pioneer in the field of TOPOLOGY and made NUMBER THEORY into a science, stating the prime number theorem and the law of biquadratic reciprocity. In physics he articulated Newtonian dynamics and laid the foundation of analytical mechanics, especially in his Theory of the Motions of Rigid Bodies (1765). Like his teacher Johann Bernoulli (see BERNOULLI, JACQUES), he elaborated continuum mechanics, but he also set forth the kinetic theory of gases with the molecular model. With Alexis CLAIRAUT he studied lunar theory. He also did fundamental research on elasticity, acoustics, the wave theory of light, and the hydromechanics of ships.
Euler was born in Basel, Switzerland. His father, a pastor, wanted his son to follow in his footsteps and sent him to the University of Basel to prepare for the ministry, but geometry soon became his favorite subject. Through the intercession of Bernoulli, Euler obtained his father’s consent to change his major to mathematics. After failing to obtain a physics position at Basel in 1726, he joined the St. Petersburg Academy of Science in 1727. When funds were withheld from the academy, he served as a medical lieutenant in the Russian navy from 1727 to 1730. In St. Petersburg he boarded at the home of Bernoulli’s son Daniel. He became professor of physics at the academy in 1730 and professor of mathematics in 1733, when he married and left Bernoulli’s house. His reputation grew after the publication of many articles and his book Mechanica (1736-37), which extensively presented Newtonian dynamics in the form of mathematical analysis for the first time.
In 1741, Euler joined the Berlin Academy of Science, where he remained for 25 years. In 1744 he became director of the academy’s mathematics section. During his stay in Berlin, he wrote over 200 articles, three books on mathematical analysis, and a scientific popularization, Letters to a Princess of Germany (3 vols., 1768-72). In 1755 he was elected a foreign member of the Paris Academy of Science; during his career he received 12 of its prestigious biennial prizes.
In 1766, Euler returned to Russia, after Catherine the
Great had made him a generous offer. At the time, Euler had been having
differences with Frederick the Great over academic freedom and other matters.
Frederick was greatly angered at his departure and invited Lagrange to
replace him. In Russia, Euler became almost entirely blind after a cataract
operation, but was able to continue with his research and writing. He had
a prodigious memory and was able to dictate treatises on optics, algebra,
and lunar motion. At his death in 1783, he left a vast backlog of articles.
The St. Petersburg Academy continued to publish them for nearly 50 more
years.
R. Calinger
Bibliography: Bell, Eric T., Men of Mathematics (1937;
repr. 1986); Boyer, Carl, A History of Mathematics (1968); Spiess, Otto,
Leonhard Euler (1929); Truesdell, C., "Leonhard Euler, Supreme Geometer
(1707-1783)," in Irrationalism in the Eighteenth Century, ed. by Harold
E. Pagliaro (1972).
(The Software Toolworks Multimedia Encyclopedia,
1992 Edition)
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Gravitatio corporum in se mutua tam latissime patet, ut plurimi philosophi non dubitaverint eam ad primas materiae proprietates, cuiusmodi sunt extensio et inertia, referre, mutuamque corporum sese attrahentium actionem a viribus insitis deducere. Cum enim corporibus extensio et inertia ideo tribuantur, quod omnibus constanter et perpetuo inesse deprehendantur, similis fere ratio gravitatis videbatur, propterea quod vix ullum adhuc sit observatum corpus, quod gravitatione penitus careret. Non solum enim omnia corpora circa terram posita deorsum nituntur, sed etiam terram ipsam cum reliquis planetis solem versus urgeri, observationes astronomicae ad leges Mechanicae examinatae luculenter docuerunt; quin in minimis etiam corporibus, quae quidem experimentis subiici possunt, similis quaedam vis sive magnetica sive electrica quotidie magis magisque evincitur. Sane in Astronomia attractionis hypothesis utiliter adhibetur in explicandis gravitatis phaenomenis. Planetae enim et Cometae perinde moveri observantur, acsi cum a sole tum a se mutuo attraherentur, iisdemque legibus progrediuntur, quas eis ex hac hypothesi Vir summus NEWTONUS praescripsit. Mathematico ad determinandam quantitatem effectuum et virium minime opus est, ut qualitates et causas earum rerum perspectas habeat, adeoque omni iure utitur termino attractionis ad indigitandam causam, etsi hanc prorsus ignoret. Cumque in natura effectus unus sit causa alterius effectus, Physicus rationem effectus ab alio, cuius causa ipsum fugit, redditurus, hunc eius causam allegare, adeoque ex attractione tanquam ex indubitabili Phaenomeno aliorum Phaenomenorum rationem reddere tenetur. Imo etiamsi vel maxime vera attractionis causa detecta fuerit, non tamen in explicandis singulis eius effectibus ab ista causa remota ratio petenda esset, quae ab effectu eius observabili tanquam a proxima merito derivatur. Ast battologiam a CARTESIO feliciter profligatam in Philosophiam iure quasi postliminii reducunt, sibique et aliis viam ad solidiorem rerum naturalium cognitionem praecludunt, quotquot de investiganda gravitatis causa desperantes nodum gordium secare conantur, dum attractionem vim primitivam corporibus inhaerentem esse, acriter contendunt. Nimirum ex notione effectuum seu Phaenomenorum attractionis, quae sola observatione innotescunt, per praecipantiam fingunt eandem causae notionem, idemque per idem explicantes committunt circulum maxime vitiosum. Attractionem enim concipiunt per vim, qua corpora ad se invicem urgentur, et gravitas ipsis est vis, qua corpus fertur versus centrum terrae; rationem autem reddituri cur id fiat, affirmant, id fieri propter attractionem seu gravitatem, quod idem est, ac si affirmarent, corpora ad se accedere mutuo, quia mutuo ad se accedunt, corpora tendere ad centrum terrae quia ad centrum terrae tendunt. An luculentius circuli vitiosi afferri possit exemplum, merito dubitandum. Ex primis Philosophiae principiis, seu ex notionibus communibus, quibus axiomata omnia constant, demonstratum est, in causae notione contineri notionem principii, quod nec admitti nec fingi debet, nisi ex eius determinationibus, per quas concipitur, effectus inde dependens sit explicabilis; alias Philosopho quidlibet pro lubitu fingere liceret. Causa itaque et principium differunt ab effectu et principiato, uti determinans a determinato. Admodum diversae sunt istae notiones, resque per illas repraesentatae; trianguli latera, quibus anguli determinantur, non sunt ipsi anguli. Ergo nec attractio et gravitas seu phaenomena, quae hoc nomine compellantur, sunt eorum causa. Non solum vero admissa attractione seu gravitate instar vis corporibus insitae mirum in modum confunduntur notiones causae et effectus, sed et praeterea pullulant innumerae difficultates inextricabiles. In hac enim hypothesi attractio producit omnes suos effectus absque omni contractu et impulsu et sine ullo concursu sive materiae propriae ex corporibus emanantis, sive alterius materiae intermediae: Stabilitur itaque eo ipso realitas adeoque multo magis possibilitas actionis in distans, quae fieri concipitur absque ullo contactu. Non ergo repugnat Sonum ad aures meas deferri sine aeris interventu; conspici a me objecta, quae ob infinitam locorum intercapedinem organa mea sensoria tangere nequeunt; herbas in planeta Saturno crescentes vi attractrice in se incomprehensibili in corpore meo vomitus aliosque vehementes intestinorum motus excitare, etiamsi neque nares neque os quicquam inde hauserint. Admissa enim corporum actione in distans sine impulsu, ex maiori vel minori eorum distantia ratio diversitatis effectuum reddi nequit. Concedunt attractionis patroni, corpora eo quod sint entia composita extensa et mobilia, in conflictu adeoque per contactum iuxta regulas motus infinitis mutationibus obnoxia esse, eamque ob causam ea tanquam machinas considerari posse ac debere. Nec minori evidentia demonstratum est, nullam in composito adeoque corpore accidere posse mutationem, nisi quoad figuram, magnitudinem partium, et locum totius, omnesque inde proficiscentes modificationes ex motu originem trahere. Sane scientia Physices ex eo demum tempore incrementa cepit, quo, explosis qualitatibus occultis, Philosophia Mechanica invaluit, quippe quae, facem praeferente Geometria, modificationes corporum ad causas suas revocans in eo versatur, ut ex eorum structuris texturis et mixtionibus, id est, ex modo compositionis mutationes inde pendentes secundum leges motus intelligibili modo explicet. Harum legum prima est, quod corpus unumquodque perseveret in statu suo quiescendi vel movendi uniformiter in directum, nisi quatenus illud a viribus impressis cogitur statum suum mutare. Quoniam veritas istius propositionis per exempla patet, sumunt eam Mathematici instar axiomatis, illique tanquam firmissimae basi arduam motus Scientiam superstruunt. Negari tamen nequit, evidentiam huius axiomatis pendere ab alio antiquiore, quod ex nihilo nihil fiat, seu ex principio rationis sufficientis; hoc enim sublato nihil amplius obstat, quo minus mobile ipsummet suam mutet celeritatem atque directionem. Evanescit itidem evidentia utriusque axiomatis in conceptu attractionis instar vis primitivae, corpori insitae, quippe per supra notata attractio seu gravitatio Phaenomenon tantum nihilque praeterea denotat, causam vero mentitur termino inani, cui nulla notio, id est nihilum respondet, nisi fingendi licentiam tibi arrogans in gratiam attractionis corporibus animam quandam inque ea appetitum, si non rationalem, saltem sensitivum, amorem vel instinctum, consequenter in corpore duplicem Mechanismum concipere velis, quorum unus ex mechanicis explicabilis legibus contiguitatem et contactum necessario requirit, alter vero absque contactu motum adeoque mechanismum immaterialem generat: In hac igitur hypothesi gravitatio aeque ac extensio omnibus corporibus tam sunt propriae, ut etiamsi corpus quodcunque per se a reliquis corporibus remotum spectetur, gravitate tamen tanquam essentiali attributo carere nequeat, unde et praeterea prono alveo fluit, gravitationem pariter ac motum concipi per se in uno corpore absque ulla relatione ad alia corpora, hoc est extra omnem nexum et Systema mundi materialis. Etsi autem ex hoc labyrintho exitus nullus pateat, attractionis tamen quidam defensores in eo ultimum praesidium quaerunt, quod nemo adhuc causam physicam gravitationis, quae omnibus phaenomenis satisfaciat, detegere potuerit. Fatentur nihilominus iniquissimam atque Philosopho indignam sententiam esse, cuius effectus causam assignare nequeunt, eiusdem omnino causam dari negare. Videamus igitur an gravitatis causa mechanica indicari possit? Quid tentasse nocet?
In Mechanica ex prima motus lege demonstratur, a corpore
A non posse moveri corpus B nisi ipsum A in motu sit constitutum, consequenter
in nullo corpore status mutationem concipiendam nisi per conflictum, quo
fit ut unius status conservari nequeat salvo alterius impingentis statu.
Inde ostendi posset, in omnibus, quibus mundus materialis componitur, partibus,
statu quidem discrepantibus, inter se tamen arctissimo nexu cohaerentibus,
continuam mutationem consequi, ita ut nullum corpus vel puncto temporis
in statu suo conservetur. Dum igitur corpus, quod etsi circa terrae superficiem
quiescit, tamen deorsum nititur, a vi quadam externa deorsum urgeatur,
sanciunt leges motus. Haec pressio, cum a nulla materia visibili efficiatur,
ab invisibili ortum trahat necesse est, quae in corpus vel directe impingendo
vel ob vim centrifugam premendo totum nisum producat: Tertium causae mechanicae
modum dari non suspicantur attractionis Patroni. Verum gravitatem ab allisione
materiae subtilis deorsum incurrentis oriri recte negant, neque fere minori
iure explicationes a vorticibus petitas, in quibus corpora per vim centrifugam
deorsum pellantur, reprehendunt, quoniam hac ratione vel phaenomenis non
fit satis, vel ipsi vortices tam complicati excogitari debent, ut simplicitati,
quam natura constanter affectat, nimium adversentur. Hinc igitur, cum praeter
binos hos explicandi modos tertium non dari autument, merito sibi concludere
videntur, gravitatis causam mechanicam seu explicabilem omnino non dari.
Quamvis autem ista, quam faciunt, causarum enumeratio perfecta videatur,
tamen in eo peccat iudicium, quod gravitas immediate ex uno vortice oriri
assumatur, cum esse queat effectus mediate ex pluribus vorticibus oriundus.
Ex minimis autem vorticulis primum elasticitatem provenire posse dubitare
vix licet, atque hinc summa aetheris elasticitas ortum habere merito videtur.
Sub aetheris nomine intelligo fluidum subtilissimum universum mundi spatium
ita implens, ut vix dentur pori ab eo vacui: cuius fluidi existentiam praeter
alias rationes radiorum lucis sive emissio sive propagatio evidentissme
[sic] comprobant. Simul vero ex his phaenomenis perspicitur, universum
aetherem in statu maximopere compresso versari, cuius compressionis causa,
si cui minus recte vorticulis tribui videatur, is saltem aetherem tanquam
aquam undique maxima vi comprimi concedet; quicquid autem sit, nihil contra
leges philosophandi saniores mihi quidem assumere videor, si aetherem esse
fluidum undique circumfusum ac summopere compressum statuam; haec enim
hypothesis tum experimentis et observationibus maxime est consentanea,
tum a suspicione qualitatum occultarum, qualis est attractio, alienissima.
Cum igitur aether vehementer sit compressus, omnia corpora, quae in eo
versantur, undique ingenti vi comprimantur necesse est, a quo effectu duritiem
et cohaesionem corporum oriri verisimillimum videtur; corpus autem sic
undique compressum ad motum non ciebitur, nisi pressiones, quas quaquaversus
sentit, fuerint inaequales. Quamobrem si aether ubique aequali vi esset
compressus, in corporibus nullus prorsus motus generaretur; sin autem compressiones
aetheris fuerint inaequales, tum utique corpora sollicitari deberent eam
regionem versus, ubi compressio aetheris fuerit minor. Quodsi ergo causa
investigari posset; ob quam compressio aetheris minor esset futura prope
terram, quam alibi, causa gravitatis eo ipso foret assignata. Cum autem
aether sit fluidum subtilissimum compressiones per eum ita aequaliter distribui
debere videntur, ut eiusmodi inaequalitas, qualis ad gravitatem producendam
requiritur, locum habere nequeat; statim enim ac compressio uno in loco
fuerit minor quam in adiacentibus, in his compressio relaxatur, atque quasi
puncto temporis in aequilibrium reducetur. Verumtamen ex hoc ipso fonte
explicari poterit, quemadmodum inaequalitas in aetheris compressione locum
habere queat; cum enim si eiusmodi inaequalitas affuerit, motus in aethere
subsequi debeat, ita vicissim, si motus in aethere adsit, ibidem compressio
minor sit necesse est. Quoniam namque motus generari non potest sine dispendio
virium, si aetheri motus prope terram tribuatur, iste motus neque produci
neque conservari poterit, nisi compressio aetheris his in locis diminuatur.
Quod etiamsi ex natura motus fluidorum ostendi posset, tamen facilius per
observationes in aere et aqua agnoscitur, ubi compressiones, quamprimum
motus accesserit, fiunt inaequales. Cum igitur valde sit probabile, aetherem
circa terram in continuo motu esse positum, quod cum plurima alia phaenomena
suadent, tum vero maxime virtus terrae magnetica evincit, nihil, quod legibus
motus non sit conforme, assumere mihi equidem videor, si aetheris compressionem
prope terram minorem statuam, quam in regionibus a terra remotis, ubi iste
aetheris motus minus viget. Hac autem inaequalitate compressionis in aethere
admissa, omnia corpora, quae circa terram sunt posita, maiori vi deorsum
prementur, quam sursum, propterea quod supra corpora aetheris compressio
maior est quam infra ea, et hanc ob rem ad descensum sollicitabuntur. Simili
modo si aether prope solem in motu continuo fuerit constitutus, gravitatio
planetarum versus solem hinc modo satis plano explicabitur. Effectus autem
magnetici perpetuum aetheris motum vorticosum circa tellurem declarant,
cuius generationem et conservationem alia occasione ex legibus motus explanabo,
unde manifestum est, quae causa virtutem magneticam producat, eandem gravitatis
principium in se continere; quae cum ob simplicitatem et conformitatem
naturae maxime conveniant, ob hoc ipsum nullum dubium relinquunt, quin
causa gravitatis in diminutione vis, qua aether prope terram comprimitur,
collocari debeat. Quo autem gravitas ad terram appropinquando crescat in
ratione duplicata viciniae a centro, quam legem phaenomena indicant, necesse
est, ut diminutiones compressionis aetheris in ratione distantiarum simplici
decrescant, quae ratio cum sit omnium simplicissima, simul veritatem huius
explicationis non mediocriter confirmat. Sit compressio aetheris absoluta
seu non diminuta = c, erit ea in distantia a centro terrae x aequalis c
minus quantitate ipsi x reciproce proportionali; ponatur ergo compressio
aetheris in distantia x a centro terrae C = c - cg/x . Hinc si corpus AABB
circa terram versetur, eius superficies superior AA deorsum premetur vi
= c - cg/CA , inferior autem superficies BB sursum premetur vi = c - cg/CB
, quae vis cum minor sit quam prior, corpus deorsum premetur
vi = cg( 1/CA - 1/CB ) = (cg*AB)/(AC*BC) .
Cum igitur magnitudo corporis AB sit incomparabiliter
minor quam distantia CB, erit AC = BC , hinc eiusdem corporis gravitas
in distantia a centro quacunque erit ut 1/AC2 hoc est reciproce
ut quadratum distantiae a centro. Similis ergo erit ratio diminutionis
compressionis aetheris circa solem atque planetas, propterea quod vis,
qua corpora eo urgentur, pariter reciproce est proportionalis quadratis
distantiarum. Aetheris vero constitutionem prope quaevis corpora alterari,
inflexio radiorum quae observatur, dum radii praetereunt, non obscure indicat.
Cum enim radii in motu aetheris undulatorio constent, iste autem motus
a compressione aetheris pendeat, evidens est, ubi radiorum inflexio eveniat,
ibi quoque compressionem aetheris diversam esse oportere. Ex hoc vero fonte
vis electrica corporum pariter atque adhaesio aquae ad vitrum in tubulis
capillaribus, aliaque similia phaenomena explicationem facilem nanciscuntur;
quae omnia attentius perpendenti sponte fient clariora.