NOTE PER UNA FENOMENOLOGIA

DEL POSTMODERNO

(Giovanni Stelli)

 

"Possiamo auspicare la costruzione di un ordine mondiale il cui modello sia un bazaar circondato da molti club privati esclusivi": secondo Richard Rorty, è questo l'esito inevitabile, e in parte già realizzato, dell'attuale irriducibile proliferare di idee, dottrine, concezioni in conflitto e molto spesso incommensurabili. Nel bazaar sono ammassate alla rinfusa e senza ordine le merci più diverse e vi si incontrano le persone più differenti e con le idee più disparate, gradevoli e anche sgradevoli, e nonostante ciò si contratta in continuazione e in modo proficuo: "tutto ciò che serve è la capacità di controllare le proprie emozioni quando le persone che vi appaiono irrimediabilmente differenti si mostrano al municipio, ai mercati ortofrutticoli, o al bazaar. Quando ciò accade, fate un gran sorriso, fate i migliori affari che potete e, dopo un duro giorno di contrattazioni, ritiratevi nel vostro club."1

Idee, dottrine e concezioni sono quindi merci che ognuno può scegliere in base al suo gusto soggettivo e alla sua sensibilità: il loro valore è determinato dalle preferenze del consumatore e non ha alcuna base oggettiva. Dal punto di vista della produzione delle idee, delle merci che vengono portate nel bazaar per essere vendute, è evidente che non ha senso preoccuparsi di una loro presunta "verità", ma piuttosto badare a che esse siano nuove e originali.2 Nella filosofia e nella scienza dobbiamo abbandonare l'ideale arcigno del rigore, parente stretto della "verità", e mirare invece al "trionfo del vago", della "metafora". La metafora, lungi dall'avere una funzione meramente ornamentale, sta sullo stesso piano della percezione e della inferenza; è anzi la fonte di credenze più importante, perché non lascia inalterato il repertorio del nostro linguaggio, ma lo trasforma e lo modifica di continuo in modo creativo. Dobbiamo abbandonare l'idea, caratteristica della tradizione filosofica, che la storia della cultura sia l'espressione di una "razionalità nascosta" e che "ragione", Vernunft, sia "il nome di qualcosa che esiste da sempre, piuttosto che il nome di alcune semplici metafore recentemente letteralizzate".3

Le analisi rortyiane costituiscono la più chiara descrizione filosofica del postmoderno, categoria che, per quanto discussa e discutibile, e soprattutto abusata (come denunciato dallo stesso Rorty), resta, a mio parere, indispensabile per comprendere la situazione spirituale del nostro tempo.4 Alla luce dell'impostazione postmoderna perdono di senso e si dissolvono le classiche distinzioni di tipo gerarchico che la tradizione filosofica occidentale, dai Greci all'Illuminismo, ha in vario modo codificato. Le distinzioni gerarchiche non vanno naturalmente confuse con le differenze, sulla cui radicale irriducibilità i postmoderni insistono in polemica con la ragione moderna e la sua assolutistica pretesa di reductio ad unum. Proprio l'esaltazione delle differenze è coerente con la negazione di qualsiasi distinzione di valore tra di esse e con la orizzontalizzazione senza residui di tutti gli aspetti della realtà e della vita.

Particolarmente interessanti sono le conseguenze derivanti dalla dissoluzione postmoderna di tre distinzioni di tipo gerarchico: tra i valori, tra le facoltà umane e sul piano dell'ordine sociale.

  1. Relativismo morale ed etnocentrismo

Sul piano dei valori dobbiamo prendere atto senza rimpianti, secondo i postmoderni, della impossibilità di un punto di vista "oggettivo", del punto di vista "dell'occhio di Dio": ogni convinzione morale e politica è situata e prospettica, sempre "locale" e mai "universale", vincolata ad un vocabolario tra i tanti esistenti e possibili, radicalmente contingente insomma, come contingente è il linguaggio che non rappresenta alcuna realtà in sé, ma è proliferazione polisemica, disseminazione incessante di giochi linguistici.

Una situazione del genere evoca però inevitabilmente, per dirla sempre con Rorty, "lo spettro del relativismo" morale. L'aspetto devastante del relativismo morale fu già descritto a suo tempo perfettamente da Sade. Il lato più interessante e profondo dell'opera sadiana consiste nella dissoluzione, filosoficamente riflettuta, del concetto di "natura", a cui Sade sottrae ogni stabilità ontologica e, di conseguenza, qualsiasi valore normativo. Tutte le passioni e tutti i gusti vanno riguardati come ugualmente "naturali", anche le passioni e i gusti "virtuosi", che esistono di fatto e che sono quindi evidentemente "convenables a certaines têtes"5: possiamo essere "buoni" per natura, inclinati al bene in forza di una determinata costituzione biologica, così come possiamo essere inclinati al male, e le due inclinazioni sono perfettamente equivalenti in quanto pura fatticità.6 Naturalmente coloro che hanno la seconda inclinazione sono "organizzati in modo più vigoroso" ed eserciteranno facilmente il loro dominio sugli altri, su coloro in cui prevale la prima inclinazione, utilizzandoli senza scrupoli per perseguire i propri interessi.7

Sulla base di queste premesse, come può allora il sostenitore tollerante del relativismo morale respingere le pretese dell'intollerante e dell'immoralista che intendano affermare una visione autoritaria e sopraffattrice, e per di più con mezzi violenti? Se fa appello al carattere prospettico e situato dei punti di vista (l'unico argomento di cui dispone), cade nella trappola costruita da lui stesso.

E tuttavia lo spettro del relativismo morale, insieme ai pericoli che ne conseguono, può essere esorcizzato, secondo Rorty, non con argomenti, ma ricorrendo alla decisione di assegnare uno speciale privilegio alla comunità e al sistema etico-politico a cui apparteniamo, senza fingere "una impossibile tolleranza per ogni altro gruppo".8 In questa formulazione estrema l'equivalenza postmoderna di tutti i valori si capovolge in etnocentrismo, nella asserzione, frutto di una semplice decisione pratica, della superiorità di una particolare visione (l'occidentale nordatlantica) sulle altre. Naturalmente etnocentrismo non significa, nella concezione rortyiana, chiusura verso le culture altre, al contrario: la visione occidentale-nordatlantica è quella più aperta alla comprensione delle culture diverse e proprio in ciò consiste la sua superiorità. Ma il motivo per cui dobbiamo scegliere questa visione, ossia essere etnocentrici, non ha alcuna giustificazione teoretica: "nella pratica, dobbiamo privilegiare il nostro gruppo, anche se non vi può essere alcuna giustificazione non circolare per tale condotta".9

Se questo esorcismo pratico possa essere considerato anche la soluzione di un reale, difficile problema è dubbio e resta comunque una questione aperta.

2. Il ritorno alla cosa

Il rifiuto generale di qualsiasi distinzione di valore porta anche alla dissoluzione postmoderna delle distinzioni di tipo gerarchico tra le diverse facoltà umane e tra i diversi sensi, tra l'organico e la ragione, tra l'inorganico e l'organico. Va così respinto il primato classico della vista, tradizionalmente connesso, dalle similitudini platoniche del Sole e della caverna al luminismo del paradiso dantesco, alla celebrata supremazia della razionalità. Rorty condivide la preferenza di Heidegger per le metafore dell'ascolto rispetto alle metafore della visione, privilegiate dalla tradizione filosofica. Ma la dissoluzione di questo tipo di distinzioni, testimoniata soprattutto dall'arte postmoderna e dai suoi teorici, è ben più radicale. Non si tratta infatti di rivalutare romanticamente, nei confronti della luce meridiana della ragione e del primato della vista, dell'esteriorità, il lato oscuro e misterioso, il significato più profondo dell'interiorità, della notte che, comunque, con Novalis continua a custodire, in sé disseminata, la luce10. Si tratta di recuperare ciò che è del tutto privo di luce, ciò che è buio, informe e con cui siamo in contatto senza distanza e senza misura.

Vanno così riscattati i sensi "inferiori", soprattutto il tatto con cui ci assimiliamo ai corpi e alle cose. L'arrogante "io penso", che progetta affannosamente nel tempo lineare e teleologico, deve essere spodestato dall'impersonale "si sente", che nega il tempo nella passiva ripetizione caratteristica dell'inorganico. A differenza dell'organico, infatti, in cui è ancora presente una sorta di teleologia e quindi di "presogggettività", l'inorganico non porta in sé alcuna traccia, alcuna prefigurazione della soggettività progettante nel tempo.11

Tutte le classiche distinzioni di valore vanno così abolite in nome di un ritorno alla passività cosale eppure senziente, che non è affatto un romantico ritorno alla natura preumana, in quanto riconosce e accoglie in sé l'artificialità tecnologica: l'"umano" si compie e, al tempo stesso, si autonega nel "postumano", nel ritorno consapevole alla cosa che sente, alla cosa artificiale che ripete la cosa originaria a cui restituisce dignità ontologica; e il movimento del tempo si conclude nella sua negazione ossia nella ripetizione sempre uguale dell'inorganico.12

Ci si può chiedere tuttavia se non sussista una contraddizione dirompente tra ciò che afferma la tesi in questione - ossia l'equivalenza dei sensi e delle facoltà umane - e il fatto che essa sia appunto una tesi, consista cioè di argomenti, di cui si presuppone, o almeno si auspica, la lettura, tramite il senso della vista, e la comprensione, tramite la ragione! Non vengono in tal modo inevitabilmente riaffermate proprio quelle distinzioni di tipo gerarchico che il postmoderno intende negare?

3. La nuova socialità dionisiaca

Al livello dei rapporti sociali, infine, nei confronti della società moderna - dominata da Prometeo ossia dall'energetismo produttivistico - che è il corrispettivo economico-sociale dell'ansia progettuale dell'individuo moderno - e caratterizzata dalla dicotomia tra individuo e società, i postmoderni rivalutano Dioniso ossia lo "stare insieme" primordiale, affettivo e agerarchico, sistematicamente indebolito dalla tradizione razionalistica.13 Nella socialità postmoderna assume un ruolo centrale il sentimento, inteso come partecipazione affettiva conglobante non razionale, come esplicita regressione alle forme più elementari radicate "nello slancio vitale della vita vegetale". In questo nuovo ordine confusionale il soggetto tradizionale, fondato sul principio di individuazione, si dissolve per confondersi nel tutto e nell'indiviso: il nuovo "soggetto" non domina se stesso, non progetta nel tempo e non progetta il tempo, ma vive l'istante e in esso si esaurisce in un ciclo senza fine.

Si starebbe già configurando una nuova etica sociale fondata sul godimento improduttivo, che rifiuta l'utilitarismo e il linearismo storico di tipo teleologico, le separazioni artificiose e limitatrici stabilite dalla tradizionale logica amministrativa della ratio: Prometeo, che ha ormai realizzato il suo compito, è divenuto anacronistico e cede alla rivincita di Dioniso, lascia il passo ad un mutamento di valori profondo e positivo: "la fine di un certo senso della Storia, le "rovine del senso", il fallimento del politico o la stanchezza dell'economia non rinviano necessariamente al catastrofismo. [...] La saturazione dei valori prometeici che hanno trionfato per un periodo [...] nel nostro ambito di civiltà, non implica minimamente una qualunque apocalisse"; al contrario, si sviluppano "reticoli di solidarietà che testimoniano la perduranza del voler-vivere collettivo", emerge una sorta di "umanesimo antropologico che può far dire: "Niente di ciò che è infra-umano... mi è estraneo"", le cui manifestazioni più significative sono "la relativizzazione della morale del lavoro, l'accentuazione del corpo, l'erranza polimorfa, il disimpegno ideologico, i gruppi puntuali di consumo, i reticoli di cameratismo amoroso, l'importanza dell'abbigliamento e della cosmetica".14 Emerge di fatto una nuova socialità, fondata su una sorta di originaria "simpatia universale" che ha superato il principio di individuazione e QueQutende all'autopienezza, all'unità contraddittoriale delle origini, e che ha come segno emblematico la bisessualità.15 L'idea di una struttura originaria anteriore a separazioni e gerarchie richiama ciò che Freud aveva tentato di esprimere nella nozione, assai discutibile se non aporetica, di "narcisismo primario", di uno stadio della vita psichica anteriore alla costituzione dell'Io e a qualsiasi investimento oggettuale. È quindi nel segno della ripetizione e dell'amplificazione di una sorta di "narcisismo primario" che dovrebbe costruirsi la nuova socialità postmoderna.

La problematicità di queste "nuove" categorie etiche e sociali è evidente. Ma, anche a volerle assumere provvisoriamente senza critica, permane una difficoltà decisiva: che la nuova socialità postmoderna sia necessariamente positiva e liberatoria, che il nuovo stare-insieme si manifesti inevitabilmente, o almeno prevalentemente, come erotismo generoso e aggregativo, cemento comunitario, sembra infatti puramente postulato. Non potrebbe il nuovo ordine confusionale generare, all'opposto, un immoralismo asociale e distruttivo, un erotismo sado-masochista replicante, a livello di esplicita e moltiplicata violenza, i tradizionali rapporti di dominio? E forse l'ombra di Dioniso nasconde a malapena la maschera inquietante del Divino Marchese.

Note

1 R. Rorty, Objectivity, Relativism and Truth. Philosophical Papers, vol. I, Cambridge University Press, 1991; cito dalla ed. it. curata da Aldo G. Gargani, Scritti filosofici, Roma-Bari 1994, Laterza, vol. I, pp. 281-282.

2 Nella nuova "retorica della cultura" auspicata da Rorty "si discuterebbe meno del rigore e più dell’originalità. L’immagine del grande scienziato non sarebbe quella di chi attinge al vero, ma quella di chi produce il nuovo." (Ibidem, p. 59)

3 Id., Essays on Heidegger and Others. Philosophical Papers, vol. II, Cambridge University Press, 1991; cito sempre dalla ed. it. curata da Aldo G. Gargani, Scritti filosofici, Roma-Bari 1994, Laterza, vol. II, pp. 18-19, 22.

4 Per un’analisi delle strutture filosofiche del "postmoderno" mi sia consentito di rinviare al mio lavoro Il labirinto e l’orizzonte, Milano 1998, Guerini e Associati.

5 Sade, La philosophie dans le boudoir, Paris 1972, U.G.E. 10/18, p. 70.

6 Ibidem, p. 125: "il ne faut pas plus s’enorgueillir de la vertu que se repentir du vice, pas plus accuser la nature de nous avoir fait naître bon que de nous avoir créé scélérat:"

7 Id., Justine ou le malheurs de la vertu, in "Oeuvres", Paris 1995, Gallimard, III, pp. 163, 316-317.

8 R. Rorty, Scritti filosofici cit., vol. I, p. 39.

9 Ibidem.

10 "Also nur darum / Weil die Nacht dir / Abwendig macht die Dienenden / Säetest du / In des Raumes Weiten / die leuchtenden Kugeln / Zu verkünden deine Allmacht / Deine Widerkehr / In den Zeiten deiner Entfernung." ("Solo perché la notte distoglie / e allontana da te i tuoi fedeli, / tu seminasti per gli spazi immensi / le sfere luminose, ad annunziare / l’onnipotenza tua - / il tuo ritorno - / nel tempo della tua lontananza.") (Novalis, Hymnen an die Nacht, I, vv. 92-100; tr. it. di G. Bemporad, Milano 1986, Garzanti, pp. 8-9).

11 M. Perniola, Il sex appeal dell’inorganico, Torino 1994, Einaudi, pp. 11 e 38.

12 Ibidem, p. 44 e passim.

13 M. Maffesoli, L’ombre de Dionysos. Contribution à une sociologie de l’orgie, M. Maffesoli 1988; cito nella tr. it. di E. Scarpellini, L’ombra di Dioniso, Milano 1990, Garzanti, pp. 27 e 94.

14 Ibidem, pp. 188, 240-241.

15 Ibidem, pp. 45, 96-98 e passim.

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Giovanni Stelli è nato a Fiume nel 1941. Laureato in Filosofia, è stato docente nei Licei. Attualmente lavora all'Istituto Regionale di Ricerca e Sperimentazione Educativa dell'Umbria e insegna Pedagogia generale all'Università della Basilicata. Collaboratore dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, si è occupato dell'idealismo tedesco, di filosofia contemporanea e di didattica della filosofia. Tra le sue pubblicazioni: La ricerca del fondamento. Il programma dell'idealismo nello scritto fichtiano "Sul concetto della dottrina della scienza" (Milano, 1995, Guerini e Associati); Il labirinto e l'orizzonte. Strutture filosofiche del postmoderno (Milano, 1998, Guerini e Associati); Modelli di insegnamento in filosofia (Roma, 2001, Armando). Nelle edizioni Armando ha inoltre pubblicato i primi due volumi di un manuale di storia della filosofia (Filosofia antica e medievale e Filosofia moderna, 1999-2001) abbinato a un CD-Rom di esercizi filosofici, la cui progettazione informatica è di David Lanari.

E-mail: stelli@irrsae.umbria.it