Decadenza del raziocinio

Dal razionalismo all'assurdo, passando per l'arbitrario

(Bruno d'Ausser Berrau)


 



In due nostri precedenti lavori1 abbiamo affrontato il problema costituito, sia dal ruolo che Cartesio svolge nel mettere le basi del razionalismo e sia, quindi, di quello del nascere, nei paesi di cultura europea, dell'illusione, all'epoca fortemente innovativa, della supremazia della ragione. L'impostazione di un metodo gnoseologico siffatto ha comportato la negazione di tutto quanto è pertinente al dominio sopra-individuale, con la conseguenza che la pura intuizione intellettuale ha cessato di svolgere qualsivoglia funzione nell'approccio epistemologico al reale. È così cominciata un'irreversibile crisi della comprensione della metafisica, dalla quale, tutti i segnali che ci giungono, attraverso i più recenti sviluppi filosofici, contribuiscono a rafforzare la percezione di un progressivo allontanamento culturale la cui entità appare, in sostanza, ormai incolmabile. Nella tripartizione dell'antropologia tradizionale - corpo, anima/psiche, spirito/intelletto - è appunto quest'ultimo,2 che si pone in posizione sopra-individuale, appartenendo il composto3 individuale al dominio psichico intermediario custode anche delle capacità logico-razionali.4 È quindi evidente come la confusione cartesiana di ragione ed intelletto, con la reductio antropologica binaria, abbia innescato una progressione delle istanze sociali e filosofiche di carattere individualistico e di portata eversiva nei riguardi del vecchio ordine. Questo, nonostante che il Nostro non abbia mai manifestato velleità di sorta sul piano politico-sociale e neppure su quello propriamente confessionale nonostante che il Protestantesimo, con l'introduzione del libero esame, abbia, in qualche modo, messo le premesse per l'accettazione di analoghi atteggiamenti anche in altri contesti. Da qui, si comprende perché, nella successiva storia del pensiero, razionalismo ed individualismo abbiano dato origine a potenti sinergie e soltanto in epoche recenti sembra sia proprio il razionalismo a mostrarsi soccombente in quest'infausta ma forse logora alleanza. Il metodo cartesiano è, di per sé, un procedimento semplificatorio,5 consistendo, nell'affrontare un problema, col ridurlo ai suoi elementi inferiori. La necessità di semplificare, da esso appunto introdotta, ha portato, quale logico sviluppo, ad una tendenza verso la quantità pura, proprio perché questa rappresenta il massimo della semplicità. Semplicità, il cui limite - che di per sé non può appartenere al concreto6 - sarà dato da un insieme indefinito di unità uguali tra loro ovvero dalla molteplicità numerica: unico dominio essa dell'assoluta "esattezza",7 altrimenti illusorio attributo d'ogni altra scienza. Stupisce quindi come certi neo-cartesiani lamentino la metastasi della formalizzazione matematica nelle scienze contemporanee, quando i germi di questa patologia erano tutti racchiusi nel semplicismo de la méthode. Soppresso, appunto, tutto il dominio sopra-individuale, la logica conseguenza, attinta dalle speculazioni dei successori, è stata quella di ricondurre la parte individuale (a livello d'antropologia e di concezioni filosofiche) alla sola modalità dell'ordine sensibile, intesa, disomogeneamente, come un semplice aggregato di componenti quantitativi. Ma, su tale pervasiva riduzione di tutto alla quantità ritorneremo tra poco nell'esaminare a cosa questa tendenza ha portato anche nell'ambito matematico propriamente detto. Passiamo adesso al caso particolare, che ha provocato queste riflessioni: esiste, dagli inizi della moderna cartografia, un problema topologico definito dei "quattro colori". Esso consiste nella constatazione empirica che, per attribuire alle differenti entità statali rappresentate su una mappa, i rispettivi colori in modo che nessuna abbia a condividerne qualcuno con le confinanti, sì da generare confusione, siano necessari ed appunto sufficienti quattro colori. Negli annali della matematica, questa dimostrazione sinora manca ma quello che ci ha stupito è stato apprendere, come, un professore dell'Università di Lione 1, Nikos Lygeros,8 desse invece la cosa per acquisita in virtù dei risultati ottenuti dall'aver messo in atto una procedura fondata su un'idea della dimostrazione che è agli antipodi di quella intesa da chi abbia una formazione matematica evidentemente non aggiornatissima. L'intero processo logico è superato, non assegnandolo, almeno parzialmente, al computer, il che sarebbe ancora accettabile pur dubitando che le attuali macchine ne sarebbero capaci, ma abbandonando del tutto i passaggi del procedimento dimostrativo per far eseguire al programma un'indefinita iterazione delle verifiche dell'assunto. La cosa, in quella che per noi era una novità, all'inizio c'era sembrata una bizzarria anche perché, affidare al metodo sperimentale un'ipotesi di carattere matematico, sul piano tecnico, veniva platealmente a collidere col concetto stesso di esattezza (cfr. supra, n. 6) mentre su quello - diciamo così - morale, appariva, francamente, una superflua abdicazione alle possibilità della logica. Superata questa fase di sconcerto e cercando di capire quali fossero i fondamenti di tale atteggiamento è venuto in luce come queste tesi siano, alla radice, assai più antiche di quello che non appaia. Il dibattito, perché è di dibattito che si tratta, nasce, in apparenza, col sorgere della scienza moderna e, in effetti, a quel momento, si verifica soltanto un riaffiorare, con nuove forze, di temi anti-aristotelici già ampiamente sviluppati dai sofisti empiristi e da Democrito. Tutti questi contestano che, il solo modo di giungere al vero sia il discorso deduttivo, impostato su una successione sillogistica, scaturita da una base d'assiomi la cui realtà è tale per intuizione immediata: essi invece ritengono che gli stessi principi siano spiegabili attraverso le loro conseguenze et vice versa. Un'altra figura chiave è proprio quel Carneade (di Cirene, -214/-129) di manzoniana memoria, che riteneva impossibile ogni corrispondenza tra la realtà esterna e la sua rappresentazione:9 un nesso tra loro poteva, infatti, avvenire soltanto sotto forma di due rappresentazioni, riconducendo pertanto qualsiasi atto cognitivo all'interno della stessa funzione rappresentativa di per sé priva di qualsiasi capacità costrittiva all'"assenso". È evidente come una posizione del genere portasse al più totale scetticismo. L'impasse era superato attraverso l'affermazione che, qualsivoglia fenomeno, pur non potendo sfuggire al limite gnoseologico della rappresentatività, fosse nondimeno noto. Tutto ciò, oltre a ridurre la conoscenza alla fenomenologia, implicava che ogni fenomeno acquisisse realtà soltanto nella misura in cui fosse in grado di "convincerci" del suo essere tale. Questo concetto della "persuasività" (piqanothV ) del fatto è stato tradotto da Cicerone con probabilitas (ab origo i.e: approvabilità) ed è secondo tale criterio probabilistico che Carneade ritiene debba essere osservato, sia il reale (per lui limitato al fenomeno, non dimentichiamolo), sia le sue interpretazioni. Ora il grado di possibilità di un fatto, cioè la rilevazione statistica della relativa uniformità della frequenza di un certo evento è quello prescelto dal Lygeros nella sua nuova fattispecie "dimostrativa" del problema dei "quattro colori". Non solo, esso si basa su quella tendenza di tutto riportare all'uniformità, tipica delle scienze attuali ossia quella di ammettere che possano esistere fenomeni identici (già nella Stoa era invece ben noto quel principio metafisico che, da Cicerone,10 trae nome di identitas indiscernibilium; esso fu ripreso da Cusano11 ed asseverato da Leibniz12) ma tale approccio, concettualmente errato, applicato ai fenomeni fisici, diventa una vera aberrazione introdotto nell'ambito dell'analysis situs ossia in un contesto strettamente geometrico-matematico però rilevante perché è attraverso questo tipo d'analisi che ben s'apprezza la connessione della matematica con la realtà sensibile ovvero con la fisica. Essendo, infatti, la matematica l'unica scienza alla quale si può, come già detto, correttamente applicare la qualifica di "esatta", la messa in atto, al suo interno, di un procedimento "empirico" si rivela, appunto, un'aperta contraddizione in termini. Ma ricordiamoci cos'è necessario per poter effettuare una dimostrazione (apodeix iV ); innanzitutto, bisogna avere il pieno possesso della facoltà intuitiva (intelletto), poi è indispensabile la padronanza delle capacità razionali (psiche): con la prima si sceglieranno i pochi postulati (principi assiomatici, intuitivamente veri) dai quali far discendere, in logica concatenazione, la serie di proposizioni13 che ci condurranno al teorema preso in considerazione. L'economia, la funzionalità e l'esaustività dell'intero processo sillogistico ne costituiranno l'eleganza, da non intendersi secondo un criterio meramente estetico-stilistico ma piuttosto secondo un canone d'efficacia architettonica. Sia la necessità dell'evidenza intuitiva, sia quella della correttezza formale della deduzione sono - ai fini del valore probatorio sul piano gnoseologico della conclusione - importanti anche per Cartesio. La cosa è rilevante, perché, la necessità di quest'ordine d'evidenza convive, nel suo sistema, con il concetto delle "idee innate", labile permanenza di una traccia metafisica non soppiantata dal formalismo razionalista. Bisogna precisare che Cartesio, nella sua teoria della conoscenza, confonde i due piani e, mentre concede la verità a priori degli assiomi - esemplificandoli proprio col more geometrico - n'assegna l'appartenenza all'ambito delle idee "chiare e distinte", le quali, pei loro due attributi, cioè nella loro "esattezza", sono però di pertinenza della ratio e non del "soprastante" intellectus. Per questi antecedenti antichi, non è senz'altro un caso che la scienza moderna abbia potuto svilupparsi soltanto dopo la massiva reintroduzione in Occidente della cultura classica e, in particolare, di quella della civiltà ellenistica.14 La precisazione s'impone perché è proprio in quel periodo che, nell'approccio epistemologico greco, non solo a livello della Gestalt ma, letteralmente, nel suo intero paradigma, s'era verificato un fondamentale mutamento: piuttosto che a fini di purezza conoscitiva, com'era avvenuto nel periodo classico, quel pensiero s'era allora volto a tutta una serie di realizzazioni pratiche. E qui, è bene dare qualche maggiore dettaglio: con singolare parallelismo nei confronti delle fasi relative alla nascita del mondo moderno, questa trasformazione comportò l'individualizzazione delle concezioni e la sostituzione dell'intellettualità con un esplicito razionalismo filosofico mentre, di conserva, nascevano sia un grande interesse per le scienze, sia (ma questo pur essendo cosa della massima rilevanza non è mai stato sufficientemente messo in evidenza)15 venivano messe a punto una serie di sorprendenti ricadute sul piano tecnologico. Per l'incontrovertibile, ininterrotta continuità storica16 del mondo ellenistico, proseguito nel contesto dell'Impero di Roma e di questo in quello costantinopolitano-bizantino, è nota la rilevanza, per lo sviluppo del Rinascimento, del transfert culturale avvenuto ad opera di quella costellazione d'ingegni, che si sviluppò alla scuola dei tardi epigoni di quest'ultimo avatar della civiltà antica: i più noti tra loro furono Giorgio Gemisto Pletone ed il Bessarione, cui fece seguito sulle nostre coste, dopo la conquista ottomana, tutta una successiva ondata d'eruditi in fuga. È interessante vedere quando, queste posizioni riescano a transitare da un ambito gnoseologico ad uno propriamente geometrico-matematico: già Leibniz ha reso problematico il discorso riducendo a semplici definizioni i principi della geometria e gli empiristi inglesi, si sono spinti fino a dar loro solo un significato sperimentale, affermando il fondamento induttivo d'ogni possibile scienza. La rimessa in ordine di Kant, che, di nuovo, porta questi stessi principi al rango di giudizi sintetici a priori, inerenti al dominio dell'intuizione soggiacente ad ogni esperienza, dura sino alla costruzione delle geometrie non euclidee ed al trionfo del formalismo anti-intuitivo in matematica ed in fisica.

Invero, ove si tolga valore a quella funzione intellettuale e metalogica che è l'intuizione diretta di un concetto - e non si parla qui nei termini dell'intuizionismo bergensoniano, epifenomeno della sfera sentimentale infrarazionale - s'assume che codesti concetti possano aggregarsi quali classi o costruzioni fatte d'elementi supposti. Tali elementi saranno, ovviamente, in quantità indefinita e pertanto qualsivoglia costruzione sarà sempre parziale e incompiuta: ne consegue l'incompatibilità dei concetti assiomatici col reale e viene a cadere il ruolo probante di quello sviluppo deduttivo che è la dimostrazione. L'indefinito (si preferisce questa parola a quella corrente d'infinito, che ha per noi un significato metafisico ben diverso) diventa pertanto una virtualità inerente alla costituzione della classe assiomatica, dando luogo ad una serie inesauribile di possibilità meramente formali, tutte egualmente "vere" e "reali" in virtù della semplice correttezza formale del processo logico, pervenuto a metterle in atto.

Assai prima dell'avvento del computer, nei primi decenni del secolo, Brouwer (L.E.Jan, 1881/1966) e Weyl (Hermann, 1885/1955) - una scuola logico-matematica - negavano che, in via di principio, si potessero legittimamente fare affermazioni d'ordine teoretico (i.e. enunciare teoremi), fatta salva la possibilità di una verifica "costruttiva" che n'asseverasse gli enunciati. Quando invece difficoltà d'ordine anche pratico (mancanza del tempo necessario ad es.) fossero intervenute a rendere materialmente ineseguibile questa verifica, ogni altra dimostrazione sarebbe stata da considerarsi solo presuntiva. In quegli anni, queste posizioni erano considerate decisamente estremistiche; adesso, con l'avvento dell'informatica, sembra siano riuscite ad avere piena soddisfazione. Ma la problematica suscitata dal sorgere delle geometrie non euclidee, lo sviluppo dell'algebra ed il fondersi in essa della logica, pongono l'opera17 di un matematico prussiano, David Hilbert (1862/1943), decisamente a principio di tutto questo nuovo modo di rapportarsi con i fondamenti del raziocinio e di conseguenza delle scienze matematiche m'anche - e questo è un ulteriore ma non meno importante, aspetto della questione - dell'argomentare,18 normalmente inteso. Le analogie, tra la sequenza sillogistica della dimostrazione matematica ed il processo che viene messo in atto per confermare o confutare una tesi, sono assolutamente evidenti. Sul piano della dialettica, tra i precursori classici di atteggiamenti anti-metafisici, nonostante ciò possa sorprendere, si deve includere lo stesso Aristotele: è come se, solo in questi ultimi tempi, certe potenzialità negative, delle sue teorizzazioni in questo specifico ambito, avessero potuto trovare piena attuazione. Infatti, per lui la dialettica è semplicemente un procedimento razionale non dimostrativo insomma. Prova ne sia che lo starting point del sillogismo non si colloca in premesse "vere" ma "probabili" (cfr. supra); cioè, "generalmente" ammesse. E l'attributo della loro ammissibilità ha l'anacronistico e mediocre sapore del "buon senso" cartesiano. Ben diverse le tesi degli stoici, fatte proprie anche dalla scolastica, dove la dialettica è intesa strettamente come logica e dove il ragionamento, fatto di premessa e conclusione, deve poggiare sull'evidenza. Tornando a Hilbert, egli, in sostanza, porta a completamento una riduzione della matematica e della geometria all'aritmetica e di quest'ultima, lato sensu, ad una mera sintassi logica. Per la geometria, subentra una distinzione tra il prenderla in considerazione come scienza dell'estensione ed il "costruirla" come un sistema del tutto ipotetico e deduttivo, indipendentemente dal contenuto intuitivo o - afferma - anche empirico degli assiomi di partenza. Tale perdita di "contatto" sviluppa una serie di notevoli conseguenze: non soltanto si perde il rapporto d'analogia che regge la relazione tradizionale tra sistema assiomatico immediatamente intuibile e metafisica ma entra in crisi anche quello tra gli enti geometrici di un qualsivoglia sistema ipotetico - però formalmente corretto - e realtà sensibile; relazione che sembrerebbe l'imprescindibile cardine di ogni Weltanschauung moderna. A questo punto, si capisce anche perché il termine stesso di dimostrazione sia quasi caduto in disuso nella matematica e nella logica contemporanee: con esso, s'indicano, di norma, una serie di enunciati, considerando ognuno di essi quale enunciato primitivo o, comunque, immediatamente derivabile da altri che lo precedano.19 L'inizio di questa fase scientifica, post-moderna è proprio contraddistinto dalla confusione tra enti teorici e mondo reale; essa ha dato luogo ad una matematica e ad una fisica del paradosso dove la distinzione tra modello ed oggetto sembra non più sussistere e, in ogni caso, la relazione tra i due ha assunto qualcosa di schizoide (cfr. n. 3). Alla fondata obiezione che anche la geometria e la meccanica classiche fossero fatte di modelli teorici quali, appunto, un cerchio rispetto ad una torta o un solido perfettamente elastico rispetto ad un pallone da calcio, può sempre essere risposto come la differenza fosse allora presente, o meglio, potesse essere presente alla coscienza dello scienziato o del tecnico mentre, attualmente, l'assenza di una formazione, la quale strettamente associ la matematica alla sua rappresentazione geometrica - avendo la geometria, a sua volta, perduto un sistema assiomatico intuibile - faccia sì che anche i modelli della nuova fisica possano essere confusi con il mondo sensibile, quand'invece la lontananza di essi da qualsivoglia verosimiglianza non è nemmeno paragonabile a quella degli enti teorici classici con il concreto. Ed è proprio la non rappresentabilità degli sviluppi formali della fisica contemporanea, che rappresenta uno dei segnali più inquietanti della deriva infra-razionale in atto. Questo sembrerebbe contrastare con la pretesa moderna di ridurre ogni cosa alla quantità mentre invece, se collochiamo la fase materialistica al suo giusto posto nello svolgersi di questo nostro ciclo di umanità, dobbiamo riconoscere che ogni fine non può presentarsi in modo diverso dalla dissoluzione. Pertanto, i segnali raccolti stanno proprio ad indicare il superamento della fase materialistica: la materia, presa in considerazione dalla meccanica quantistica, appare sciogliersi in un caos nel quale un qualche orientamento può trovarsi soltanto attraverso valutazioni probabilistiche. Cosicché, il cartesiano buon senso, fondato sugli aspetti più "solidi" della vita ordinaria, perde la sua forza di paradigma anche a ragione dello stravolgersi di quest'ultima, il cui concetto20 è ormai superato da eventi sociali sempre nuovi e mutevoli secondo una frequenza temporale incalzante. Tutto questo avviene per ragioni inerenti alla natura stessa del processo di "solidificazione": la condizione di "solido" è identica a quella di "corpo" ed esso è epifenomeno dello spazio anche se la "corporeità" è solo una delle modalità dell'estensione, la quale, presa di per sé, sarebbe meglio definibile secondo parametri qualitativi piuttosto che quantitativi (cfr. n. 15 e Annesso). Resta il fatto che, anche considerandola quantitativamente, dovrebbe essere presa in esame la quantità continua, passando invece al numero, si va esattamente nel senso opposto (quantità discontinua), col risultato che i corpi non possono più sussistere come tali e l'immagine del mondo concreto si frantuma: trasformandosi prima in un reticolo atomico, volatizzandosi poi nell'indistinzione del predetto e ben noto caos subatomico. La tendenza è onnivora e così, oggi, costatiamo come ciò che non riesca ad essere enumerato (digitalizzato) ovvero espresso secondo modalità meramente quantitative, sia considerato privo di valore scientifico e pertanto immeritevole d'ogni serio interesse. Nel caso preso in esame, la più illustre vittima di questo modus operandi, teso ad elaborare un ordine della realtà solo quantitativo ed ipotetico è - paradossalmente - lo stesso, preteso e proclamato, unico fondamento del pensiero moderno ossia la razionalità, qui rappresentata dalla fattispecie del procedimento dimostrativo, sostituito da un semplice accumulo di fatti. È per questo, che il materialismo ed ancor più la filosofia cartesiana, rappresentano una fase meno avanzata di tale processo distruttivo anche se lo hanno preparato e reso possibile, soltanto che avendo entrambe, in sé, le tossine portatrici del male, chi, soltanto ad esse si rifaccia, non ha chances di uscire dal "cerchio magico" nel quale si trova. Interessante è anche l'aver acquisito consapevolezza di come le potenzialità negative, connesse all'intima natura di certe conoscenze, fossero ben presenti alle coscienze e probabilmente ad una riservata memoria storica21 degli uomini di civiltà passate e come questi, pertanto, s'adoprassero nell'intento di limitarne l'apprendimento e d'impedirne un'applicazione massiva: soltanto con l'avvento della modernità e con il conseguente grande impulso ricevuto dalla tecnica, esse hanno infine potuto trovare pieno ed incontrastato compimento, determinando, col loro impatto, radicali mutamenti della mentalità e, di conseguenza, del costume. Forse è però proprio questo quello che si voleva ottenere. In altri termini, la modernità come mezzo ma non come fine: ed una riprova ne è, appunto, la crescita apparentemente bizzarra e paradossale dell'irrazionalità.

Ritornando al Lygeros non si può negare ch'egli sia estremamente chiaro quando, a proposito delle grandi capacità di calcolo proprie allo strumento, fa riferimento, per giustificare "l'avènement d'un nouveau type de preuve mathématique", a "une étude combinatoire…que ….une vie d'homme ne suffirait pas à la rendre explicite". Ma il testo qui rprodotto permetterà ad ognuno di giudicare.

Speriamo d'essere riusciti a rendere trasparenti, nei limiti di una breve analisi, i precedenti, la portata e gli estremi concettuali di un misfatto, che, per le caratteristiche anti-intellettuali ed infrarazionali sarebbe meritevole d'ulteriori approfondimenti.

Annesso

La natura del problema dei «quattro colori» è strettamente topologica, e viene affrontata con gli strumenti propri dell'analysis situs. Ci sembra pertanto opportuno significare come le determinazioni qualitative dello spazio siano fondamentalmente le dimensioni e le direzioni di esso. Partendo da questa considerazione di base, si può rilevare la stretta relazione esistente tra tali determinazioni ed il compito di separare porzioni di esso, colorandole in modo da definirle senza generare confusione nella contiguità. Ecco dunque le relazioni intuibili: in uno spazio ad una dimensione (una retta), ci sono due direzioni e, allo scopo, sono necessari e sufficienti due colori. In uno spazio a due dimensioni (un piano, la carta geografica), ci sono quattro direzioni e sono n. e s. quattro colori. In uno spazio a tre dimensioni, ci sono sei dimensioni (la croce solida) e sono n. e s. sei colori. In questa fattispecie, che corrisponde alla realtà sensibile, è singolare come proprio sei siano i colori più evidenti dello spettro visibile: rosso, arancio, giallo, verde, azzurro, violetto.

Riassumendo schematicamente:

1dm ® 2dr ® 2cl

2dm ® 4dr ® 4cl

3dm ® 6dr ® 6cl

Passiamo ora all'articolo in argomento, tratto dal seguente indirizzo internet:

http://www.desargues.univ-lyon1.fr/home/lygeros/Mensa/couleur.html

DEMONSTRATION, ORDINATEURS ET COULEURS

par Nikos Lygeros

(lygeros@desargues.univ-lyon1.fr)

Considérons le principe suivant. Si un théorème dépend de toute la structure de l'objet étudié, alors, pour rendre son utilisation effective il faudra sans doute l'ordinateur. Il est bien évident que la véracité de ce principe dans le cas général est contestable, pour le voir il suffit de considérer un problème qui ne concerne que peu d'objets. Par contre si l'on a affaire à un grand nombre d'objets et s'ils sont un tant soit peu compliqués, alors, la puissance du principe devient flagrante. De sorte qu'il est préférable de l'énoncer sous une forme plus précise - mais un peu plus formelle. Si une démonstration d'un théorème sur n objets (pour n suffisamment grand mais fini) nécessite l'utilisation d'un théorème qui dépend de toute la structure (suffisamment complexe) des objets auxquels il s'applique alors l'ordinateur sera nécessaire à sa réalisation. Il semble que l'on puisse aller encore plus loin dans cette idée en augmentant soit le nombre n d'objets soit leur complexité car alors on en arrive à l'énoncé qui est inaccessible même à l'aide de l'ordinateur, du moins dans sa totalité. Par exemple l'on pourrait se retrouver dans la situation suivante qui représente bien sûr un cas particulier du précédent principe. Si le problème général est indécidable alors le problème partiel rend l'ordinateur indispensable. Il est bien évident qu'en se restreignant à des préoccupations générales comme nous l'avons fait l'on ne saurait obtenir comme résultat autre chose que des principes. De toute façon le but que nous désirons atteindre ici n'est pas de construire une théorie complètement axiomatisée du rôle de l'ordinateur au sein de la théorie de la démonstration. Nous nous contentons seulement, du moins pour l'instant, d'écrire les prémices de cette théorie de la démonstration. En ce qui concerne le théorème des 4 couleurs Appel et Haken sont convaincus par des analyses probabilistes qu'un ensemble inévitable beaucoup plus petit et contenant des configurations de beaucoup plus petite taille n'existe pas. De récents développements dans la démonstration du théorème des 4 couleurs qui ont simplifié la partie traitée par l'humain et non par l'ordinateur vont dans ce sens. Appel et Haken ont employé 1000 heures de temps de calcul à prouver la réductibilité des 1880 configurations de leur ensemble. Ils croient qu'il est possible de produire un ensemble qui exige seulement 200 heures pour la vérification. Mais ils sont sûrs qu'il est impossible de produire une telle preuve vérifiable à la main. Jean Mayer, un des grands experts en matière de réductibilité, ne croit pas que la tâche de vérifier un tel ensemble à la main soit praticable. Ainsi, si personne ne trouve une preuve plus simple sans utiliser d'ordinateur, il faudra admettre que le théorème des 4 couleurs exige une preuve que personne ne peut vérifier à la main même en y passant toute sa vie. La solution exige une étude combinatoire d'autant plus complexe que les données logiques sont plus simples et peu susceptibles d'engendrer des théorémes généraux. Pour les mêmes raisons, l'ensemble inévitable de configurations réductibles ne peut se réduire à un petit nombre d'éléments. Enfin, la plupart des réductions auxquelles on aboutit sont impraticables à la main, vu le grand nombre de coloriages mis en jeu : on voit donc en quoi la démonstration du théorème, quoiqu'accessible à notre logique, dépasse par son ampleur les capacités de l'intelligence individuelle. Elle illustre l'avènement d'un nouveau type de preuve mathématique. En effet, c'est la première fois, à notre connaissance, qu'un théorème impliquant par sa nature un nombre infini de cas se trouve ramené à une étude combinatoire finie, mais d'une ampleur telle que la preuve a nécessité plusieurs centaines d'heures d'ordinateur et que, même a posteriori, une vie d'homme ne suffirait pas à la rendre explicite. Réflechissons un peu sur ce dernier point et analysons l'idée sur laquelle il est basé. Tout d'abord le problème initial concerne deux infinités, le nombre de cartes et le nombre de couleurs, qui ont bien sûr un rôle dissymétrique. Le problème est de trouver le plus petit nombre possible de couleurs tel que la propriété soit vérifiée. Il est trivial de montrer que ce nombre est supérieur ou égal à 4 et il est facile de montrer que ce nombre est inférieur ou égal à 5. Il s'agit donc d'un problème où l'on peut aisément obtenir une borne supérieure et une borne inférieure de la valeur recherchée. Par contre il n'est absolument pas trivial de montrer que la valeur est précisément 4. Pourquoi une telle différence de complexité ? Du point de vue théorique il est naturel que la minoration soit plus facile à obtenir puisque somme toute il ne s'agit que de trouver une carte qui nécessite un nombre donné de couleurs pour la colorier. Par ailleurs dans le cas présent la facilité d'obtenir une majoration provient non pas d'un raisonnement symétrique mais des contraintes imposées sur le graphe associé à la carte considérée par la formule d'Euler. Ainsi pour la valeur recherchée, la difficulté consiste bien à prouver l'égalité avec l'une des deux bornes, seulement ce problème concerne une infinité de cartes même en les traitant à isomorphie près. La méthode utilisée, du point de vue de la mathématique pure, va consister à rendre fini le nombre de cartes à étudier. Ce passage de l'infini au fini représente une étape fondamentale ; c'est sans aucun doute l'une des situations où l'on peut le mieux prendre conscience de la puissance de l'outil mathématique. Une fois cette étape cruciale franchie un autre problème apparait : le nombre de cas à traiter. Bien sûr si ce nombre est très petit, la gêne causée devient dérisoire. Mais qu'en est-il lorsqu'il est grand ? S'il est vraiment très grand et qu'il appartient aux nombres métaphysiques comme dirait F. Le Lionnais, l'on ne peut guère en dire quoi que ce soit puisqu'il est par définition inaccessible à toute méthode raisonnable. Par contre si ce nombre est accessible, cela dépend bien sûr du problème, et alors plusieurs difficultés méthodologiques apparaissent : Tout d'abord comment faire pour réduire ce nombre ? Dans les cas les plus favorables il faut réitérer la méthode, cependant ils ne représentent pas la majorité. Dans les cas plus difficiles seul le changement de la méthode utilisée permet de réduire ce nombre. Mais dans les cas les plus difficiles on ne sait pas faire mieux, alors si cela est possible on fait appel à l'ordinateur. Ce qui a pour conséquence directe de donner un rôle important à ce dernier. Si celui-ci permet d'obtenir un contre-exemple, son rôle est effacé et l'on n'en parle plus que laconiquement. S'il permet de compléter la démonstration du théorème conjecturé alors dans un ultime effort l'on essaye a posteriori et en utilisant les résultats de ses calculs d'éliminer sa contribution. Pourtant dans le cas du théorème des 4 couleurs cette dernière tentative a échoué et l'on s'est retrouvé avec un résultat démontré grâce à l'ordinateur. Ensuite lorsque l'on se trouve dans une situation où l'ordinateur a été indispensable, l'on est en droit de se demander si en utilisant une autre méthode (dans le futur) il aurait encore été nécessaire. En ce qui concerne le problème des 4 couleurs on sait grâce aux analyses probabilistes d'Appel et Haken que des variantes de la méthode utilisée seraient obligées d'employer l'ordinateur. Seulement cela n'est pas convaincant car il s'agit de méthodes trop proches pour résoudre le cas général. C'est à ce niveau là que nous prenons le contre-pied de l'opinion majoritaire. Nous nous plaçons dans la problématique qu'aurait eue un épistémologue prégödelien fictif. Car si à l'époque de Gödel les mathématiciens n'ont point trouvé son théorème, cela ne provient pas tellement de la difficulté technique mais plutôt conceptuelle. En fait de façon plus concise l'on peut dire qu'ils ne réfléchissaient pas au bon problème. Ils s'étaient tous mis dans l'idée de chercher à unifier les mathématiques en les ramenant à une structure dont ils espéraient démontrer la cohérence sans se poser un seul instant la question de savoir si cela était seulement possible! À notre époque certains mathématiciens s'acharnent à trouver des démonstrations où l'intervention de l'ordinateur est éliminée. Mais après tout il ne peut s'agir là que d'un acte de foi car l'on ne sait pas si cette procédure est possible dans le cas général. Car de la même façon que l'on ne peut lutter contre les lois physiques, l'on ne peut guère lutter contre un fait mathématique (comme c'est le cas lorsque l'on a affaire à des structures indépendantes). Par exemple une des grandes réussites du 20ème siècle sur le plan mathématique a été la classification des groupes finis simples et donc aussi l'explicitation des groupes sporadiques, l'oeuvre de nombreux mathématiciens, qui ont travaillé pendant plusieurs décennies, dont la démonstration comporte actuellement plus de 15000 pages ! Mais que se serait-il passé si au lieu de 26 groupes sporadiques, il y en avait eu 260 ou 2600 ? Car l'esprit humain, et par conséquent les mathématiques qui en sont un des honneurs, a toujours tendance à unifier, à synthétiser les objets qu'il étudie pour mieux les comprendre, mais comment faire s'il y a à faire face à des structures véritablement indépendantes? Ainsi si l'on arrivait à démontrer qu'un problème comporte un grand nombre de structures indépendantes on montrerait du même coup la nécessité d'utiliser un ordinateur, si le nombre est accessible évidemment. Pour cela il faudrait montrer quequelque que soit la méthode utilisée, la donnée des structures à considérer est incompressible. Peut-être d'ailleurs que le théorème, qui démontrera la nécessité de l'utilisation de l'ordinateur pour démontrer un théorème sera lui-même démontré à l'aide de l'ordinateur ? Après tout lorsque l'on parle de fondements l'autoréférence est souvent au rendez-vous. Pour finir essayons d'expliciter ce que nous avons voulu démontrer. Nous avons voulu mettre en évidence que du point de vue de la théorie de la démonstration, l'action de l'ordinateur intervenait de la même façon que l'utilisation d'un axiome. En effet l'alternative est simple : soit on utilise l'axiome de l'ordinateur c'est-à-dire que l'on se permet d'employer une procédure mécanique qui détermine si un ensemble fini, mais grand, de cas à considérer vérifie ou pas une certaine propriété, soit on exclut la possibilité et dans certains cas - comme celui du théorème des 4 couleurs - l'on n'arrive pas à prouver la vérité d'une conjecture.
 
 


Note


 






1 Janua Inferni e Sum ergo cogito.

2 Spirito ed intelletto sono sinonimi.

3 Perché di tale amalgama si tratta come ben vedesi nel caso di alcune patologie della psiche: la schizofrenia (da scizw, scindo) è, infatti e letteralmente, una rottura di quel composto.

4 È bene precisare che la razionalità è ciò che gli scolastici collocavano tra le differentiæ animalis come carattere distintivo dell'uomo rispetto agli altri esseri viventi in questa nostra modalità d'esistenza essendo essa assente e non necessaria per la presenza di un altro porsi dell'evidenza negli stati superiori dell'essere.

5 Caratteristico è il suo riferirsi al "buon senso" nell'affrontare temi filosofici; assoluta novità in materia perché anche lo scettico Arcesilao (di Pitane, -315/-240) considera l'eulogon quale valido fondamento soltanto per l'azione pratica e lo stesso Aristotele sembra accennare a qualcosa di simile nei fondamenti della sua Dialettica.

6 Qualsivoglia continuo, per la sua stessa natura, non può ammettere l'esistenza di un "ultimo elemento" perché dal punto di vista dei "componenti" esso è, in quanto tale, un insieme indefinito. È chiaro allora come qualsiasi variazione abbia la sua "fine", lo "stato ultimo", il suo "limite" non in se stessa - perché non c'è un valore ultimo dei valori successivi della variabile (n + 1 è sempre possibile) - ma "al di fuori", con un saltus ovvero una discontinuità necessaria. Del resto, per "definire", "limitare" una qualsivoglia condizione, è implicito che ci si debba trovare "al di fuori".

7 Ciò che è "esatto" non è necessariamente "vero", essendo esso soltanto il risultato garantito dall'osservanza delle regole reggenti le procedure di un determinato ambito e, di effettivamente esatto, non può allora darsi che la matematica, quale sola referente della pura quantità: quindi, l'esattezza è una caratteristica strettamente connessa all'osservanza di un preciso formalismo, il cui campo di competenza sarà l'astrazione e non il concreto (unica parte del reale che realmente interessi queste scienze). Da qui la non "verità", la convenzionalità - spesso esplicita - delle teorie delle scienze fisiche matematizzate ancorché appaiano dotate di tutte le correttezze formali previste dalle corrispondenti procedure.

8 Ci sembra opportuno fornire il testo in argomento, disponibile in rete e qui riprodotto in calce: vd. Annesso.

9 Quella che gli stoici definivano rappresentazione catalettica (fantasia katalhptikh): vale a dire, l'evidenza come conseguenza di un atto dell'intelletto, il quale garantisce la piena congruenza dell'oggetto con la sua rappresentazione.

10 Acad. III. 17. 18

11 De Docta Ignor. 2.1 : "nell'universo due cose non possono essere assolutamente eguali".

12 IV Lett. a Clarke, Op. : "porre due cose indiscernibili significa porre la stessa cosa sotto due nomi".

13 Di esse potranno far parte anche tutti i teoremi la cui dimostrazione è data per acquisita.

14 Per meglio apprezzare la vastità culturale dell'ellenismo, basti ricordare come in esso confluissero la civiltà egizia (Tolomei), che investiva oltre all'Egitto propriamente detto anche gran parte dell'attuale Medio Oriente e Nord Africa, quella persiano-caldaica (Seleucidi) ed infine con la Battriana fosse tutta l'Asia Centrale ad entrare, con sé trascinando anche le sue relazioni con l'India e la Cina.

15 In un libro (La rivoluzione dimenticata, Feltrinelli, 1999) brillante e ben documentato Lucio Russo (Univ. di Roma Tor Vergata) dimostra che la nascita della scienza moderna deve essere retrodatata alla fine del IV sec. a. C. ossia all'inizio del periodo ellenistico, quando la coalescenza del pensiero greco con le culture degli antichi imperi, dalla Mesopotamia alla Valle del Nilo, determinò gli sviluppi sopra accennati. Sviluppi, nei quali i prodotti tecnologici raggiunsero un grado di raffinatezza e d'ingegnosità che, solo dopo duemila anni, esso cominciò a riproporsi sul proscenio della storia. I motivi dell'interruzione di questo processo sono, dall'autore, attribuiti alla mentalità romana; la qual cosa racchiude, sicuramente, molti elementi di verità, non disgiunti, a parer nostro, da altri fattori connessi a quelle che potremmo definire le determinazioni qualitative del tempo. Concetto questo, necessitante di un qualche approfondimento: come i corpi ineriscono e, di conseguenza, si rapportano allo spazio, gli eventi mantengono analoga relazione col tempo. La differenza consiste nella preponderanza di attributi qualitativi nel tempo piuttosto che nello spazio. A riprova, è che la misura del primo sia possibile soltanto in rapporto al secondo e solo pel tramite del movimento, che viene posto in corrispondenza analogica col suo "scorrere". Ne consegue che, come non tutti i corpi sono adatti a qualsivoglia spazio, così, non tutti gli eventi possono accadere in qualsiasi epoca: anzi, mentre i corpi non è escluso possano muoversi nello spazio, ciò è rigorosamente impossibile agli eventi, la cui "localizzazione" è "inamovibile". Sono dunque tali determinazioni (corrispondono a ciò che s'intende con l'esprit du temps), le quali fanno sì che, prima di una certa data (e quella sopra indicata può ben essere presa quale riferimento) certe cognizioni ancorché note fossero destinate ad un ambito riservato (riguardo ai motivi, ci limitiamo ad alludere a una loro qual certa "pericolosità") mentre, a partire da tempi ad essa successivi, ebbe, di nuovo, a verificarsi un'immersione di tale, particolare, carsica corrente del sapere. Il loro più recente riaffiorare è l'oggetto del presente lavoro. Concordiamo, infatti, con la scuola di Tubinga, la quale, prendendo sul serio la condanna platonica della scrittura - ovvero quella che, con apparente paradosso, ricadrebbe sugli stessi dialoghi, perché, esplicita, è possibile leggerla nel Fedro (274B - 278E) e nella Lettera VII (344C, D) - ha redatto una serie di studi (fondamentali quelli di H.J.Krämer e di K. Gaiser), con cui s'è cercato di ricostruire la dottrina orale e riservata, sottesa ai testi pervenutici. Se poi teniamo conto che tale atteggiamento esoterico era tratto comune della mentalità arcaica non solo dei greci (cfr. Iliade, 7.360 e 12.234) ma di tutte le culture degli antichi imperi, dove il sacerdozio era il custode della conoscenza, possiamo spiegarci come, pur in mancanza, presso di esse, del ritrovamento archeologico di elaborati sufficientemente giustificativi, siano state possibili opere stupefacenti, la cui realizzazione comportava, di per sé, precise conoscenze teoriche e tecniche. La disciplina del segreto di mestiere vincolava, infatti, allo stesso modo di quella attinente alla scienza sacra. Non si deve infine dimenticare - e qui dissentiamo da Russo - che, dopo le conquiste di Alessandro (-336/-323), sia per le dottrine, sia per tutte le scienze, i greci, ampiamente, attinsero dagli egizi (nonché dalle civiltà mesopotamiche e indù: cfr. n. 14) dei quali, già prima, riconoscevano la preminenza culturale. Così, del resto, essi stessi, più volte, hanno esplicitamente affermato e, soltanto per quello che, in argomento, ha detto Platone, ci si può meglio rendere conto del loro atteggiamento col rileggere: Leg. VII, 819b; Epinom. 987a; Gorg. 511d; Tim. 21c, 21e, 25b; Criti. 114c, Leg. IV, 707e. La differenza sta nel fatto che, di certe cose assai contingenti e specifiche, la civiltà ellenistica invece profusamente scrisse e ne implementò in via culturale e sociale l'impatto sul costume, rivelando in questo, com'anche pel penchant tecnologico ed inventivo, un tratto tutto "moderno" mentre gli altri avevano taciuto, limitandosi ad esprimere, su quest'ultimo piano, mute ed enigmatiche immensità architettoniche, nelle quali includere, tramite strutture, disposizioni, articolazioni e proporzioni, la summa stessa del loro sapere.

16 Le tracce di questa continuità stanno venendo, chiaramente, in luce dal lavoro di recupero effettuato sui palinsesti (da palimy hstoV : raschiato di nuovo per scrivervi ancora), che la parsimonia medievale ci ha lasciato nelle legature di antiche pergamene o "tra le righe" delle successive riscritture. Labili tracce, rese evidenti soltanto dalle più recenti tecniche di elaborazione digitale dell'immagine, le quali ci consentono recuperi assai più soddisfacenti di quelli volenterosi ma approssimati e distruttivi messi in atto da quel benemerito precursore, tanto ammirato dal Leopardi, che fu Angelo Mai. Tra queste opere "perdute" (per tutti?): l'originale greco di Sui corpi galleggianti ed il totalmente inedito Sui teoremi meccanici, entrambi di Archimede. Tali ricerche sono condotte in Italia dall'Università di Bologna (Ravenna), tramite la "Fotoscientifica" di Parma e negli USA dalla John Hopkins University e dal Rochester Institute of Tecnology. Vd. articolo di Guglielmo Cavallo, p. 35, sul n. del 15.11.00 del Corriere della Sera.

17 Grundlagen der Geometrie, 1900; raccolte in Gesammelte Abhandlungen, Berlin, 1932-35; trad. it. I fondamenti della Geometria, con i supplementi di P. Bernays, Milano, 1970.

18 Il precitato Prof. Russo (cfr. n. 15) ha toccato quest'aspetto, tutt'altro che peregrino, nella sua relazione tenuta in Firenze al Convegno "Perché l'Antico" (28 Genn. 2000) ed organizzato da quell'Università.

19 R. Carnap, Logical Syntax of language, § 10; trad it. Sintassi logica del linguaggio, Milano, 1966.

20 Questo tipo di perdite è generalizzato; significative, le note difficoltà concettuali e di giudizio, nelle quali possono imbattersi i magistrati, quando, in certe circostanze, si vedono costretti ad appellarsi all'ancor prescritto "comune senso del pudore".

21 In quel demi-monde, situato nell'ombra degli argomenti viziati dall'imperversare di visionari e truffatori, con la debita controparte di preconcetti negatori d'ogni fenomeno difficilmente catalogabile, si collocano, a tal proposito, le cosiddette "pietre di Ica"; il cui valore e la cui testimonianza di un momento "tecnologico" arcaico, dovrebbe essere, infine, vagliata con un minimo d'attenzione e obiettività.
 
 


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[Una presentazione dell'autore si trova nel numero 1 di Episteme]

E-mail: ausserberrau@hotmail.com