Giordano Bruno e il mistero dell'ambasciata
Filosofi e spie, eretici e principi, intrighi e congiure
nella Londra di Elisabetta I
(John Bossy)
(Garzanti, 1992)
"La difficoltà è quella, ch'è ordinata a far star a dietro gli poltroni. Le cose ordinarie e facili son per il volgo ed ordinaria gente; gli uomini rari, eroichi e divini passano per questo camino de la difficoltà, a fine che sii costretta la necessità a concedergli la palma de la immortalità. Giungesi a questo che, quantunque non sia possibile arrivar al termine di guadagnar il palio, correte pure e fate il vostro sforzo in una cosa de sì fatta importanza, e resistete sin a l'ultimo spirto. Non sol chi vence vien lodato, ma anco chi non muore da codardo e poltrone: questo rigetta la colpa de la sua perdita e morte in dosso de la sorte, e mostra al mondo che non per suo difetto, ma per torto di fortuna è gionto a termine tale. Non solo è degno d'onore quell'uno c'ha meritato il palio, ma ancor quello e quell'altro c'ha sì ben corso, ch'è giudicato anco degno e sufficiente de l'aver meritato, benché non l'abbia vinto. E son vituperosi quelli, ch'al mezzo de la carriera, desperati si fermano, e non vanno, ancor che ultimi, a toccar il termine con quella lena e vigor che gli è possibile. Venca dunque la perseveranza, perché, se la fatica è tanta, il premio non sarà mediocre. Tutte le cose preziose son poste nel difficile. Stretta e spinosa è la via de la beatitudine" (Giordano Bruno, La cena delle ceneri, Dialogo II).
Soltanto un anno fa ricorreva il IV centenario del rogo di Giordano Bruno a Campo dei Fiori, e nell'occasione fiumi di inchiostro sono stati versati sulla figura del Nolano, per lo più1 trasfigurata in quella di eroe e martire della "modernità" e del "progresso", il cui avvento fu fino all'ultimo momento combattuto dalle forze della superstizione e dell'ignoranza. Conformemente a una diffusa versione ingenua dell'accaduto, Bruno sarebbe stato processato e condannato per aver appunto sostenuto, del tutto "innocentemente", talune opinioni banalmente vere, che sono oggi proprie di ogni bambino delle elementari: il fatto che la Terra gira intorno al Sole, l'infinità dell'universo, la molteplicità dei " soli" e dei mondi, etc.. Un buon cattolico, o meglio un "buon cristiano", insomma - Bruno fu anche sacerdote - che ebbe l'unico torto di voler anticipare il riconoscimento di qualche "verità" inconfutabile secondo il metro della "ragione", diventando così, come più tardi Galileo, un eretico per l'ottusa ortodossia del momento, la quale reagì con la consueta inesorabile ferocia.
Fedele al suo assunto costante di presentare ai lettori informazioni controcorrente, ma attendibili, capaci quindi di innescare un processo di revisione dell'opinione comune, Episteme propone adesso un'altra opera singolare, che mette in una luce completamente diversa la personalità, e le intenzioni, del celebre domenicano (palesemente "apostata"), dando senso, e coerenza, all'opposizione della Chiesa nei suoi confronti, e al fatale esito che ne fu conseguenza.
L'autore del libro in oggetto, prezioso in ogni caso per chi voglia avere una concezione realistica dei tempi, e dei conflitti ideologico-politici che li travagliarono, non è però stavolta uno di quei ricercatori indipendenti, non integrati, ai quali siamo tanto affezionati. Bossy (1933) ha studiato a Cambridge e a Belfast, è stato professore di storia all'Università di York, uno specialista dell'età della Controriforma. Che cos'ha da dirci di originale, questo accademico, sulla vicenda terrena di Giordano Bruno?
Introduciamo qualche "punto fisso" come riferimento. Tutto comincia quando gli Inglesi si liberano dalla "tutela" della Chiesa di Roma con l'Atto di Supremazia (1534), prendendo a pretesto2 la famosa questione del divorzio di Enrico VIII dalla spagnola Caterina d'Aragona in favore di Anna Bolena. Soltanto pochi anni prima (1517), il monaco agostiniano Martin Lutero aveva affisso le sue famose 85 Tesi al portale della chiesa di Wittemberg. La Chiesa di Roma si trova a dover fronteggiare la più violenta crisi, teologica e politica insieme, contro la sua supremazia da Costantino in poi. E' in questo clima che nasce a Nola (1548), nei pressi di Napoli, Filippo Bruno, che giovanissimo (1565) veste nella città partenopea il saio domenicano assumendo il nome di fra' Giordano. La smania di emancipazione dai successori di Pietro dilaga per l'intera Europa, e Paolo III cerca di arginare l'emergenza aprendo i lavori del Concilio di Trento (1545, lo stesso anno della morte di Lutero). Intanto in Inghilterra la situazione precipita: nel 1558 sale al trono Elisabetta I, figlia di Enrico VIII e di Anna Bolena, la quale emana immediatamente (1559) l'Atto di Uniformità, con cui si proibisce ogni forma di culto che non sia quello anglicano3. Comincia un grave periodo di tensione tra cattolici perseguitati ("papisti") e potere centrale (l'articolo di Stevan Dedijer pubblicato sul secondo numero di Episteme - "The Rainbow Scheme - British Secret Service and Pax Britannica" - ne offre una vivace drammatica descrizione). Pio IV scomunica Elisabetta I (1570), definita "eretica e nemica della Chiesa di Dio", ma gli atti di violenza, da una parte e dall'altra, non accennano a cessare. Si susseguono le congiure per assassinare la regina, e le terribili conseguenti repressioni. Sullo sfondo, l'aspra lotta per il trono (Elisabetta I fa decapitare Maria Stuart, 1587), e l'inizio della sfida militare tra l'Inghilterra protestante e la Spagna cattolica (gli inglesi appoggiano l'insurrezione antispagnola nei Paesi Bassi capeggiata da Guglielmo d'Orange-Nassau4; il 1588 vede la distruzione della cosiddetta Invincibile Armata ad opera delle forze navali britanniche). Fra tutto questo clamore di guerre, quali eventi segnano invece la modesta vita del nostro povero ma turbolento monaco campano5?
Nel 1572 prende gli ordini sacerdotali, però è manifesto che i suoi talenti sono piuttosto quelli dell'intelletto, e della polemica. Nel 1575 si laurea in teologia, e subito, accusato d'eresia, è costretto a fuggire (1576). Trova riparo a Roma, ma anche nella città eterna continua ad essere in mezzo ai guai: viene infatti implicato nell'omicidio di un religioso, e deve scappare ancora una volta, dopo aver abbandonato l'abito talare. Soggiorna a Genova, Venezia, Padova, Bergamo, dove torna a indossare la veste, salvo dismetterla di nuovo quando si reca a Ginevra e si accosta al calvinismo (1578). Nel 1579 è a Tolosa, nel ruolo di pubblico lettore di filosofia, e nel 1581 a Parigi. Dalla capitale francese si sposterà in Inghilterra, al seguito dell'ambasciatore di Francia Michel de Castelnau, ed è proprio in questo momento che l'attenzione di John Bossy si porta su di lui.
Siamo in pieno conflitto tra i "papisti" e i seguaci della regina, paranoicamente ossessionati dal sospetto (peraltro fondato) che si cercasse in tutti i modi di ucciderla. Le contromisure sono estese e spietate, e non meno atroci del rogo usato dai "romani" a scopo di purificazione. Si veda per esempio, nel citato articolo di Dedijer, la sentenza con la quale furono mandati a morte (1583), dopo essere stati torturati, Edmund Campion e altri gesuiti suoi compagni. Dallo stesso articolo (nella sezione: "England's Ragione di Stato versus Vatican's Ragione di Chiesa") citiamo: " According to the Encyclopedia Cattolica of 1953, "by 1600 over 1000 young English priests were trained and sent to England" by Allen and Persons to support the Catholic, and hence the Spanish cause against Elisabeth and her government. The English government saw to it that the English colleges in Rome, Rheims, and Douai were as Bacon would say "full of spies and false brethren." In England itself, with the support of a considerable section of the population, these priests and their "recusant" Catholic supporters were tracked, hunted, imprisoned by government "searchers" in the ports, professional informers, agents and officials. According to the Encyclopedia "During her [Elisabeth's] reign the number of Catholics who suffered [death] was 189, of whom 128 were priests, 58 laymen, 3 women." The brutality and severity with which Elisabeth's government dealt with these priests was extreme".
Bruno appare sulla scena di simili gesta tra il 1583 e il 1585, ed è esattamente in quegli anni che il servizio di sicurezza di sua maestà, diretto da Francis Walsingham, trova un valido occulto collaboratore in un certo Henry Fagot, nom de plume di una persona che denuncia attraverso sue relazioni scritte6 i "congiurati" cattolici, e consente alle guardie governative di arrestarli e metterli fuori gioco. L'azione di tale misterioso agente segreto, emulo della migliore tradizione7 dei britannici 007, cessa improvvisamente proprio quando Bruno lascia l'Inghilterra per rientrare a Parigi8, non senza aver prima permesso agli inglesi di sgominare un'altra cospirazione - quella capeggiata da William Parry (morto sul patibolo nel marzo 1585).
Saranno certamente bastate queste poche righe per far comprendere a chi ci ha seguito fin qui il proposito del bel libro di cui stiamo parlando, alla ricerca della vera identità del fantomatico Fagot, e delle sue motivazioni, che appaiono più ideali che non materiali. Un lavoro che si legge d'un fiato, alla stregua di un giallo, tutto teso com'è alla risoluzione di un reale enigma storico, che sarebbe forse rimasto per sempre avvolto nelle nebbie dell'oblio, se non fosse stato per l'intelligente indagine postuma dello storico di York, che conduce alla sorprendente conclusione della quale l'autore si dice infine totalmente persuaso, e con lui sicuramente molti dei suoi lettori:
Febbraio del 1600, Fagot al rogo.
Sicuro, si tratta di una ricostruzione indiziaria - né può essere altrimenti - ovvero di una "congettura", che Bossy descrive con le seguenti ammirevoli parole:
"Fino a questo momento abbiamo ripercorso i destini di due uomini, sia a Londra che a Parigi, per circa tre anni. I due avevano molto in comune. Entrambi erano italiani, ed entrambi erano sacerdoti cattolici. Entrambi vennero ad abitare da Castelnau a Londra verso l'aprile 1583, e in seguito prestarono servizio nella casa. Entrambi erano molto ostili al papato, alla Spagna e alle congiure cattoliche in Inghilterra. Entrambi incontrarono personalmente la regina Elisabetta ed entrambi scrissero di lei, dichiarandole, in termini esagerati, la loro devozione9. Entrambi lasciarono l'Inghilterra per Parigi insieme a Castelnau nel settembre del 1585, ed entrambi smisero di stare al suo servizio poco dopo essere arrivati a Parigi. Nel 1586 uno dei due partì da Parigi per l'ultima volta, e l'altro scomparve. Sembrano possibili due spiegazioni di queste vite parallele. O si trattava di due uomini molto vicini l'uno all'altro per origini, sentimenti, esperienze e movimenti, i quali vissero nella stessa casa per due anni e mezzo; e in questo caso dovevano diventare molto amici o darsi reciprocamente sui nervi. Oppure i due uomini erano in realtà lo stesso uomo" (JB, p. 97 - enfasi del recensore).
Chi vorrà potrà sempre naturalmente dichiararsi non convinto della verità di questa tesi, e richiedere prove maggiormente circostanziate, ma la messe di dati che Bossy mette a disposizione degli studiosi disposti a recepirli è davvero ingente, in un lavoro che è scrupoloso, appassionato, e corredato di tutta la documentazione opportuna (comprese numerose riproduzioni fotografiche).
Non diciamo di più per non togliere il piacere di ammirare la rigorosa catena di deduzioni a chi deciderà di scorrere un saggio storico che è al tempo stesso un romanzo, ma vogliamo concludere offrendo qualche ampia citazione dal testo sui possibili moventi concettuali del Bruno, allo scopo di far comprendere meglio, su "dati di fatto", quanto forte fosse l'avversione che egli nutriva nei confronti dell'intero cristianesimo (ed errata quindi l'interpretazione che lo rappresenta - al pari di Galileo, ma si tratta di un'altra faccenda, di cui si dà un cenno altrove in questo medesimo numero di Episteme - come la solita "brava persona" assolutamente ignara di intrighi, colpevole solamente di aver creduto e divulgato delle banali verità naturali), e sulla sua multiforme e decisa personalità, anche spietata nella misura che era forse necessaria per sopravvivere in tempi altrettanto spietati.
"L'unico movente di tutte le iniziative nelle quali abbiamo trovato coinvolto Bruno, era la distruzione del papato e di tutte le sue opere. E' il filo conduttore di tutte le lettere e di tutte le informazioni di Fagot [...] Il papato è il nemico universale, tiranno che opprime gli uomini, le coscienze e i beni, mandante di assassini e di traditori, sedicente "signore del mondo". I papisti e i "romani" sono i nemici, i libri filopapali sono propaganda nemica, "l'église papalle" qualcosa di abominevole. Alla luce della sua spietata ossessione, possiamo sospettare che quei contemporanei che pensavano che il papa fosse la "bestia trionfante" di cui veniva profetizzata la rovina nello Spaccio della bestia trionfante, fossero più vicini alla verità degli studiosi moderni che hanno pensato che il simbolo della bestia indicasse qualcosa di diverso. Bruno scriveva nella sua ultima lettera a Stafford che il loro compito era "di arrecare danni al nemico e di fiaccarlo con ogni mezzo possibile", e che, a suo avviso, qualsiasi mezzo era giustificato" (JB, p. 177).
"Castelnau non fu l'unica persona che Bruno tradì. Il Nolano tradì tutti quelli ai danni dei quali trasmise informazioni; in qualità di prete, tradì almeno una persona, che gli si presentò; o tradì, o si offrì di tradire, almeno un altro sacerdote e il suo ospite, che, se trovati colpevoli, sarebbero stati condannati entrambi per tradimento. Queste delazioni erano le conseguenze del suo tradimento di Castelnau: una cosa portava all'altra. Il suo tradimento di Enrico III non fu disonorevole quanto quello di Castelnau, perché non aveva vissuto sotto lo stesso tetto con il re per due anni e mezzo e più. Ma, salvo che non facciamo l'ipotesi, che sembra del tutto ingiustificata, che Enrico III lo avesse mandato a Londra a fare proprio quello che fece, si trattò effettivamente di tradimento. Non si trattò neanche di un semplice tradimento in ambito pubblico, perché il re, come Castelnau, era suo amico ed era molto gentile con lui. Mi soffermerò tra poco sui loro rapporti: furono onorevoli per Enrico III e disonorevoli per Bruno. Bruno non era un bugiardo nato, come potrebbero supporre i lettori del suo processo: disse a Walsingham e a Stafford la verità, come aveva promesso loro di fare, sebbene qualche volta dicesse un po' più della verità. Sappiamo che mentiva sotto interrogatorio, e ora possiamo aggiungere una grossa bugia nel suo interrogatorio più importante (quella del suo esercizio delle mansioni di sacerdote e dei sacramenti), e un interrogatorio minore (quello di Chateauneuf), nel quale mentì sistematicamente. Questo non è disonorevole per lui; può, tuttavia, rendere le cose più difficili per gli storici. Penso che mentisse abbastanza spesso e con una certa naturalezza [...] Nei casi nei quali ci siamo imbattuti, mentiva con uno scopo, e non ci possono essere dubbi su quale fosse questo scopo" (JB, p. 176).
"Se vogliamo tentare di scoprire che concezione Bruno avesse della sua condizione di sacerdote, ci troviamo ad affrontare un grosso problema, che non avevamo prima. A Venezia egli disse ai suoi compagni di prigionia di essere un nemico della messa e di considerare ridicola la transustanziazione e bestiali e blasfemi i riti cattolici. Paragonava l'elevazione dell'ostia all'impiccagione di un uomo, o forse alla pratica di sollevarlo con un forcone. Disse a qualcuno che aveva sognato di andare a messa che questo era un pessimo auspicio; rappresentò una farsa di una messa usando l'Ars Amandi di Ovidio come messale. Si prese gioco di preti affamati che uscivano dalla messa per andare a consumare una lauta colazione. Disse tutto il male possibile della messa intesa come sacrificio, e affermò che Abele, il modello del prete che sacrifica, era un macellaio criminale che venne giustamente ucciso dal vegetariano Caino. Una frase, che usò altrove, apparentemente sulla passione di Cristo e non esattamente sulla messa, sembra ugualmente esprimere con una certa precisione il suo giudizio sul rito: lo definì "non so che tragedia caballistica". Disse anche che il breviario era pieno di spazzatura, di favole e di pornografia, e che nessun uomo dignitoso poteva recitarne le preghiere: chi le aveva scelte, chiunque fosse, era un "becco fottuto", e Bruno certamente non le avrebbe recitate. Nell'insieme, le caratteristiche della condizione sacerdotale cattolica sembrano bestiali e perverse, non diversamente da come ce le si può aspettare da un clero governato dal papa. Ora, però, noi sappiamo che Bruno trascorse diciotto mesi della sua maturità, e per essere precisi i momenti in cui stava componendo le sue opere più famose, esercitando professionalmente questo ministero farsesco e disonesto a Londra. Sappiamo che diceva messa per Castelnau, per i suoi domestici, e per chiunque altro si presentava, ascoltava le loro confessioni e somministrava loro la comunione pasquale; presumibilmente fu proprio lui a sfregare le ceneri sulle loro fronti il mercoledì delle Ceneri e a battezzare la figlia di Castelnau [...] Faceva visita alle prigioni e - suppongo - distribuiva l'elemosina di Castelnau ai cattolici indigenti. Sembrava che leggesse il breviario, per lo meno prima di addormentarsi. Quando affermava di non avere nessun compito a Salisbury Court, salvo fare da "gentiluomo" di Castelnau, non diceva la verità; o piuttosto faceva sua la formula che Castelnau aveva inventato per presentarlo sistematicamente in pubblico [...] Si possono fare ipotesi su come Bruno può aver vissuto la sua condizione: che la ritenesse una routine nauseante, o uno scherzo, o un eccellente vantaggio per esercitare la sua professione di spia" (JB, p. 206-207 - enfasi del recensore).
"Quello che Bruno aveva quasi sempre detto era che agli uomini si deve far subire quello che loro stessi hanno fatto agli altri; e lo credeva. Questa sua convinzione rende conto della sua avversione alla dottrina della remissione dei peccati per fede e della sua ossessione per quella della trasmigrazione delle anime [...] Bruno riscrisse il discorso sulla montagna per poter affermare che se qualcuno ti ha dato uno schiaffo su una guancia, tu glielo devi restituire. Non poteva però credere che la regola dovesse essere applicata a lui stesso [...] Ma la regola si è vendicata di lui; possiamo dunque affermare, dopo aver ribadito tutta la nostra comprensione, che ben gli è stata la sua sorte" (JB, pp. 218-219 - enfasi del recensore).
1 - A parte quelle provenienti dalle associazioni laiche, ispirate al "libero pensiero", etc., non sono mancate naturalmente neppure interpretazioni alternative, dall'altra sponda. Ricordiamo per esempio l'intervista, a cura di Cosimo Baldaro e Cosimo Galasso, al Prof. Stanley L. Jaki O.S.B. (cosmologo e storico della scienza, insignito nel 1970 del premio Lecomte du Nouy e nel 1987 del premio Templeton per la Religione), sul tema: Giordano Bruno "martire della scienza"? (in http://www.alleanzacattolica.org/indici/dichiarazioni/jakis299.htm).
2 - Come non considerare questa una ben misera motivazione per un evento così importante? Citiamo soltanto il suggestivo eloquente titolo di un articolo pubblicato su Il Sabato (Antonio Socci, 5 Dicembre 1992): "Il terzo incomodo - Il sacerdozio femminile riapre il contenzioso tra Chiesa cattolica e anglicana. Che ha avuto un intruso interessato per quattro secoli: la massoneria. Ecco un po' di storia" (si noti l'intenzionale "anacronismo": nel 1534 la massoneria "ufficialmente" non esisteva ancora!).
3 - E' invece del 1563 il rinnovo da parte di Elisabetta dell'Atto di Supremazia, che rafforza la subordinazione della Chiesa d'Inghilterra alla Corona.
4 - Un Guglielmo d'Orange diventerà addirittura re d'Inghilterra (e d'Olanda) un secolo più tardi, nel 1689.
5 - In quanto segue ci gioviamo della snella opera di Gabriele La Porta dedicata a Giordano Bruno - vita e avventure di un pericoloso maestro del pensiero (Newton Compton 1988; Bompiani, 1991).
6 - Ecco come esempio due delle comunicazioni di Fagot (JB, pp. 254-255 - con questa sigla si rimanderà alla prima edizione italiana del libro in esame): "Monseigneur, con questa lettera intendo trasmetterVi l'informazione sicura che il Signor, l'Economo [della Casa Reale] ha un servitore di nome Monsieur Morris, che risponde agli ordini dell'ambasciatore. Morris riferisce a Castelnau le notizie di corte, di cui viene a conoscenza dal suo padrone. L'ambasciatore lo paga per le sue soffiate e per tutte le novità di corte, che Morris gli riferisce. L'ambasciatore è molto contento di Morris e lo definisce suo compagno e suo buon amico. Questo Morris è un papista convinto ed è amico di Monsieur Tindalle, e Vi assicuro che, se verrà interrogato, rivelerà molte cose. Tenetelo molto sotto controllo. Vi consiglio di fare attenzione a Monsieur Douglas perché viene pagato dall'ambasciatore. Henry Fagot"; "C'è un uomo rinchiuso nella prigione Fleet, che è un papista convinto. Questi mi ha detto che ringraziava Dio, perché Monsieur Throckmorton [giustiziato nel novembre 1583] non aveva detto la verità di quello che sapeva. Se lo avesse fatto, tutti i papisti si sarebbero trovati nei guai. Il suo nome è M. Huton; è un gentiluomo irlandese. Laurent Feron ha ricevuto denaro dall'ambasciatore. L'ambasciatore intende recarsi in Scozia; ma tenetelo d'occhio e tentate d'impedirglielo. Ho in serbo notizie segrete che vi svelerò più tardi. E' tutto vero, in fede".
7 - Sulle qualità di Bruno come spia, Bossy si esprime nel seguente modo (JB, p. 171): "Per essere schietti, Bruno fu un agente molto brillante. Come spia, era molto professionale e di grande successo. Era attento, paziente e prudente. Si valeva dei suoi talenti sociali, che erano effettivamente notevoli, per ottenere risultati eccellenti. Non permetteva, in generale, che i suoi sentimenti interferissero con il lavoro. Anche se ha, o forse si coltivò una reputazione di gran parlatore e di vanaglorioso, non parlò mai delle sue imprese nello spionaggio, né se ne vantò, né allora né più tardi. Nessuno lo scoprì. [...] Dopo essere tornato a Parigi, Bruno corse dei rischi, forse a causa delle pressioni di Chateauneuf, forse perché gli mancava la guida di Walsingham; ebbe, però, la capacità di capire dove fermarsi, di defilarsi e di andarsene in Germania. Siccome era una spia di eccellente valore, nessuno fino ad ora ha avuto gli elementi per poter commentare la sua prestazione; solamente in retrospettiva, si capisce che proprio Bruno in persona espresse la sua opinione in merito, in due brani delle sue opere pubblicate, e lo fece con legittimo compiacimento. Il primo è il brano sulla dissimulazione dello Spaccio: è la chiave di lettura della nostra storia [...] Il secondo è all'inizio del terzo dialogo della Cena, è quindi precedente, e fu composto quando i successi in clandestinità erano ancora molto recenti. [...] si discute se Bruno conosca l'inglese. Teofilo dice che non lo conosce, perché non è degno di un uomo di scuola. In risposta Frulla, il servitore che ha la funzione di intervenire facendo affermazioni inopportune e improntate da saggezza popolaresca dice di essere certo che Bruno in realtà capisce l'inglese, ma che asserisce di non intenderlo alfine di ascoltare che cosa stanno dicendo gli altri, quando pensano che non li capisca. Non sarei molto sorpreso se questa fosse la semplice verità".
8 - L'ultima delle lettere di Fagot proviene da Parigi, nel 1586, dove il fantomatico personaggio svolse certamente attività spionistica (JB, p. 121), ancora una volta proprio mentre nello stesso luogo si trovava il Bruno. "Se Fagot scrisse altre lettere in seguito, non ne è rimasta traccia" (JB, p. 87).
9 - Nota del recensore. Di questa devozione resta un ben preciso documento, una lettera indirizzata da Bruno alla regina, intestata: "En la serenissime Royne d'Angleterre, France et Yrlande salut, bonne, longue et heureuse vie. Amen". Leggiamo il commento che ne fa Bossy: "La lettera termina solennemente in latino: "Deus adjuvat te et maneat tecum omnibus diebus vite tue. Amen". [...] Ne deduco che, a parte la forte impressione personale che Elisabetta fece su di lui, Bruno si era fatto un'idea abbastanza chiara della regina e della propria relazione con lei. Era, per così dire, giustificato a dire agli inquisitori che non pensava che Elisabetta fosse divina; ma era convinto che fosse sacra. Non era sacra semplicemente perché era una regina [...] Era sacra in parte per il fatto di essere regina e per la sua personificazione delle virtù e delle caratteristiche che lui ammirava: ma lo era specialmente per la posizione che occupava, dove l'inviolabilità della sua persona e del suo governo simboleggiavano la presente sopravvivenza e la futura vittoria delle forze della luce e della verità su quelle dell'oscurità e dell'errore rappresentate dal papa, dal papato e dai papisti. La sua persona e il suo governo erano perciò oggetti della vera religione, e parlarne o agire contro era sia sacrilego, sia blasfemo. Il dovere di un vero religioso era proteggerla, difenderla e ostacolare i suoi nemici; il dovere di un vero sacerdote era di pregare e di sacrificare per lei, e di portare tutti i giorni della sua vita l'aiuto e la benedizione di tutti gli dèi. Sappiamo che Bruno pregava per lei e la benediceva; non sappiamo se sacrificasse per lei, ma non mi sorprenderei molto che lo facesse" (JB, pp. 205-206).
(UB)