(Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio - L'incredulità
di S. Tommaso)
Cristo, una vicenda storica da riscoprire
David Donnini
(Roberto Massari Ed., Bolsena, 1994)
(http://diaframma64.supereva.it/files/donnini.htm?p
http://www.nostraterra.it)
Non si può fingere infatti che quella qui trattata sia materia qualsiasi, dati i quasi 2000 anni di presenza - pure morale e politica - del cristianesimo nella storia dell'Occidente, e che esso tuttora assolve dottrinalmente una rilevante funzione di k a t e c w n (katéchon, "colui che trattiene", II Tess. 2,7) di fronte alle spinte dissolutrici della civiltà tradizionale2 europea che provengono dai progetti mondial-liberisti, dall'ideologia riduzionista della globalizzazione totale (che appiattisce l'esperienza umana sul piano esclusivo dell'economia). Più importante di ogni altro aspetto ci è sembrato però, come sempre, stabilire, o ricercare, fin dove è possibile, la pura e semplice verità, nonostante il grave "prezzo sociale" che un'eventuale "verità scomoda" potrebbe esigere in pagamento3. Lo stesso Donnini non è inconsapevole delle prevedibili "ricadute" indirette di studi quali i suoi, e a tale argomento dedica in effetti ampio spazio in sede di "Premessa" e di "Conclusioni" del suo lavoro, sicché ci è parso opportuno riproporre entrambe qui di seguito integralmente. L'autore sembra dare libero corso, senza impedimenti di alcun genere, alla sua brama di verità (e non di gratuita distruttività), ma oscilla anche tra i due corni di una delle inevitabili "antinomie" in cui ci si imbatte in siffatti frangenti, allorché si rende ben conto che in mancanza di "pietose bugie" appare impossibile edificare una qualsivoglia struttura sociale4, o almeno che tale sforzo è stato vano fino al presente stadio di evoluzione dell'umanità. In ogni caso, certe storiche influenti "bugie" del passato non possono non essere ritenute ormai giunte al grado estremo della loro "funzionalità", e Donnini chiude (come si vedrà) il suo appassionato intervento con le parole: "Abbiamo bisogno di bugie più nuove. Speriamo che qualcuno le inventi presto".
Un compito invero gigantesco, e parzialmente antinomico: da una parte, l'esigenza di ridimensionare un "mito", introdurre ragionevolezza, credibilità, nella storia; dall'altra, di escogitare qualche "favola" inedita. Chi scrive queste righe non saprebbe neppure da dove cominciare ad affrontare una simile impresa, ma ripete che spera si verifichi l'affermazione di una forma nuova (razionale) di spiritualità, sganciata da ogni tipo di menzogna (benevola o no che pretenda di essere, alla resa dei conti è la stessa cosa5), che alcuni dei fondatori di Episteme hanno creduto per esempio di poter individuare in un pensiero ancora attuale (si potrebbe dire addirittura inesplorato) come quello di Cartesio…
Torneremo, dobbiamo tornare, a discutere siffatti problemi, sia perché
sono ben lungi dall'essere definitivamente risolti6,
sia perché rivestono senza dubbio un'importanza capitale per la
comprensione del percorso da cui la nostra civiltà proviene, e quindi
delle strategie da mettere in atto per rispondere alle sfide che il futuro
ci prospetta con evidenza e insistenza crescenti, costringendo a una sgradevole
scissione mentale tra il legittimo desiderio di difendere e mantenere un'identità
- e ammettiamo pure il "benessere" proprio di una civiltà avanzata
- e la necessità di eliminare, o attenuare, il potenziale latente
di conflittualità che a tale proposito si associa ineludibilmente
(a quanto pare). Nel prossimo numero ospiteremo un nuovo straordinario
articolo di Flavio Barbiero collegato alle tematiche in oggetto, sperando
di non fare, di non aver fatto, il "gioco" di nessuno, contribuendo involontariamente
a favorire posizioni e intenzioni difficilmente condivisibili, una volta
che le si sia comprese a fondo7. Ciò purtroppo non è
sempre facile: troppo spesso si rischia di essere "diminuiti non solo a
strumento, ma a strumento inconscio di formazione di una realtà
completamente diversa da quella per la quale si è combattuto" (ancora
dal libro di Maria Caredio citato nella Nota N. 3) - e il "brutto" è
che la descritta trasposizione potrebbe non avere un'origine casuale, involontaria,
bensì essere conseguenza di una manipolazione, di una pre-visione,
da parte di gruppi di accorti "registi" (prossimamente pure una discussione
sulle ipotesi storiografiche di Maurizio Blondet, e i suoi strateghi della
"dissoluzione").
1 - In effetti, una recensione piuttosto anomala, e dalla struttura complessa, come il lettore si renderà subito conto, ma che paradossalmente, tra le diverse "mani" a cui è stata affidata, rischia di omettere anche solo un cenno ai punti più rilevanti delle originali argomentazioni di Donnini, quelli riguardanti per esempio la possibile esistenza di due Messia, ovvero due distinte persone, e non una soltanto, che la storia avrebbe successivamente fuso in una; l'inesistenza di una città di nome Nazareth; la vera famiglia di Gesù; etc.!
2 - Si fa notare, a chi è attento a certi "dettagli", che l'iniziale della parola è decisamente minuscola, come dire che non si vuol fare alcun riferimento a "leggende" su un presunto "sapere" sacro primordiale, che risale alla notte dei tempi, e sarebbe (ancora oggi) trasmesso per via iniziatica, secolo dopo secolo, attraverso diverse "fasi" della storia dell'umanità.
3 - Un "pagamento" c'è comunque stato, c'è sempre, non lo si può evitare, dal momento che: "La fede ... distolse la mente dalla realtà, modificò e cancellò la Storia, sconfessò le testimonianze che non collimavano, abituò i seguaci ad appagarsi di formule e di immagini, a non indagare, a non dubitare e a non fidarsi delle proprie esperienze e riflessione ... Il criterio di verità diviene, allora, non il dato o l'esperienza, ma la retta trasmissione da parte del vescovo. La verità non è più un valore ultimo, sussistente di per sé, coincidente con il dato, il reale, l'accaduto, da non traviare perché è Dio che bisogna ritrovare dietro la storia e l'evento, è Dio che ha imposto di non testimoniare il falso. Essa diviene una manifestazione, un'emanazione dell'autorità che, per ciò stesso, usurpa un attributo divino ... la nuova storiografia cristiana minimizzava e annullava la gravità dei delitti, come se, cambiando ideologia fosse cancellato il male fatto precedentemente e le distruzioni di interi popoli [da parte dei Romani] non fossero mai avvenute" (dal bel libro di Maria Caredio Il Messia e il potere, Ed. Kineret, 1995, che pure si può trovare nel sito di Donnini). Per rimanere in tema, secondo lo stesso Donnini: "Purtroppo sono molti coloro che credono di far bene ad anteporre il credere al capire, orgogliosi come se fosse un merito l'aver subordinato l'intelligenza ad alcuni presupposti ideologico-dottrinari. Sono coinvolte in questo fatto molte delicate questioni relative al senso della propria identità, per rinforzare il quale siamo disposti, troppo spesso, a sacrificare una parte di ragione" (in "Il cristianesimo (anno 2001) - Indagine critica dal mito alla storia - Fede, storia, ragione, scienza e futuro", ancora nel sito citato - enfasi del recensore).
4 - Del resto già in Platone si trova chiaramente enunciata la necessità di "nobili menzogne" (quali quella dell'essere i cittadini "tutti fratelli") al fine della costituzione di uno stato: La Repubblica, Libro III, XXI. E' forse curioso ricordare che Federico di Prussia (dietro suggerimento dell'illuminista D'Alembert) invitò nel 1777 il meglio dell'intelligenza europea a discutere la stessa questione ("E' utile ingannare il popolo?"). Il premio che era stato messo in palio per la migliore soluzione del dilemma fu aggiudicato a pari merito a due matematici (Frédéric de Castillon e il più noto Condorcet), i quali dettero però risposte del tutto antitetiche alla domanda (Bisogna ingannare il popolo?, Ed. De Donato, Bari, 1968).
5 - Non esiste in effetti un grosso rischio ad ancorare certi valori morali, in larga misura presumibilmente naturali, a concezioni metafisico-soprannaturali, suscettibili di essere quindi frantumate, quando poggiano su una base storica confutabile? Si accenna qui evidentemente al problema della resurrezione, intesa quale evento storico su cui si basa la fede cristiana, e non viceversa, come oggi invece da più parti si pretenderebbe, con un salto teologico invero "mortale" (in ordine a ricercatori indipendenti interessanti, e a un testo che al contrario, secondo il punto di vista di un "credente", prende alla lettera il racconto evangelico - con coerenza comunque ammirevole, a nostro parere - citiamo: Don Antonio Persili, parroco di S. Giorgio, Tivoli, Roma, Sulle tracce del Cristo risorto - Con Pietro e Giovanni testimoni oculari, pubblicato in proprio, C.P.R., 1988). Per quanto riguarda la "morale" della Chiesa, e la sua possibile identificazione con il fondamento stesso della civiltà europea, si afferma da settori cattolici che gli odierni attacchi di ispirazione mondialista e globalizzatrice contro la seconda (o entrambe) "intend[ono] abbattere esplicitamente il fondamento della tradizione giudaico-cristiana, cioè il primato dell'essere umano e la bontà della sua presenza sul pianeta" (da un "manifesto" divulgato in rete da: it.politica.cattolici - Lista di informazione su cattolici e politica sotto la protezione di Giuseppe Tovini, politica_cattolici-owner@yahoogroups.com, con il titolo "G8 e Anti G8. Da cristiani a cristiani", 7.7.2001). Ma ci sarebbe da chiedersi: la teoria della dignità della persona è davvero un'esclusiva della concezione giudaico-cristiana del mondo? (si potrebbe poi molto discutere su quanto tale "teoria" sia coerente con alcuni, non marginali, passi dell'Antico Testamento). Integrità morale, solidarietà interpersonale, senso della famiglia e del dovere, non possono essere giustificati senza passare attraverso "leggende" sempre meno credibili?
6 - In realtà, come diceva S. Agostino (De civitate Dei, L. XXII, V), non si può negare che siamo di fronte a "tre fatti incredibili e tuttavia realizzati: E' incredibile che Gesù Cristo sia risuscitato nella sua carne e che con essa sia salito al cielo; è incredibile che il mondo abbia creduto una cosa così incredibile; è incredibile che pochi uomini sconosciuti, di umile condizione e senza cultura, abbiano potuto far credere al mondo e ai sapienti del mondo un avvenimento tanto incredibile e con tanto successo". Fornire una spiegazione credibile di questi tre fatti "incredibili" è sicuramente questione di non poco conto...
7 - Non è fuor di luogo fare un cenno alle accuse
di antisemitismo che provengono da chi vede nella messa in discussione
di certa eredità un attacco alla cultura da cui essa storicamente
proviene. Tra "persone di scienza" non si dovrebbe aver paura di termini,
di "definizioni" (tra l'altro alquanto sballate: a parte la circostanza
che chissà perché il riferimento è soltanto agli ebrei
e non per esempio anche agli arabi, si veda pure la Nota N. 7 alla recensione
del libro di Flavio Barbiero La Bibbia senza segreti, apparsa sul
N. 2 di Episteme), ma il loro utilizzo è sicuramente "sleale",
laddove l'intenzione è di procurarsi un facile "vantaggio" facendo
rimando, piuttosto che a civili discussioni su dati di fatto, o opinioni,
a suggestioni psicologico-emotive, che evocano gli orrori della guerra,
campi di concentramento, morti, persecuzioni, etc.. Non si vede poi (o
meglio lo si vede anche troppo bene!) perché quella in parola sia
diventata una sorta di cartina di tornasole alla quale ciascun "sistema"
concettuale è chiamato a rispondere - pena l'esecrazione di massa,
se non peggio - quando "anti-x" lo si è sempre in numerosi modi
diversi, tutte le volte che non si accetta legittimamente "qualcosa", scorgendone
dei lati negativi...
(UB)
* * * * *
Premessa
Mentre scrivo queste parole, a conclusione di un lavoro protrattosi per circa quattro anni, sulla scena mondiale numerose tragedie si stanno consumando...nel nome del Padre.
Nella ex Yugoslavia e nella stessa terra in cui si ambienta l'argomento di questo libro, per citare solo i casi che i mass-media hanno reso più famosi, inaudite violenze si commettono fra uomini che appartengono a religioni diverse. Spesso con la ferma convinzione che tali azioni siano giustificate, se non addirittura santificate, dal fatto di essere compiute in nome della fede.
Purtroppo, possiamo citare numerosi altri focolai di violenza fra popoli appartenenti a religioni diverse; nell'Irlanda del nord cattolici e protestanti si fronteggiano da decenni; indù, musulmani e buddhisti danno luogo a crisi ricorrenti che insanguinano l'India da sempre. Qualche secolo fa un ingenuo profeta credette di trovare la soluzione alla ricorrente violenza religiosa indiana e creò la setta dei sikh, la cui dottrina era stata ricavata dall'assemblaggio sincretistico di elementi islamici e induisti. Un quarto polo di potenzialità conflittuale si aggiunse agli altri, e il tempio d'oro di Amritsar, nel Punjab, è stato teatro di massacri anche in tempi recenti.
Di fronte a queste dolorose osservazioni alcuni rispondono che la colpa non è della religione, ma degli uomini, senza tener conto del fatto che essa, come dottrina e come istituzione, è l'espressione che riguarda gli aspetti più importanti della cultura e del comportamento collettivo: l'etica, la morale, il diritto. Vogliamo forse chiudere gli occhi davanti al fatto che le principali linee di conflitto all'interno del genere umano sono proprio i confini fra le religioni?
C'è un solo motivo per misconoscere questa triste realtà, o per voler negare a tutti i costi la responsabilità delle religioni nel dramma della guerra e della violenza: l'interesse a difendere, non tanto quella verità di cui ogni religione si dichiara depositaria e rappresentante, quanto i presupposti della egemonia sociale, culturale, e magari anche politica ed economica, di una istituzione religiosa.
Questo libro, che agli occhi di molti può apparire come un attacco perpetrato direttamente e specificamente alla fede cattolica, vuole essere una analisi della divergenza che, in senso del tutto generale, può esistere fra la verità come espressione di una realtà (storica nel nostro caso) e la verità come espressione di una dottrina. Il cattolicesimo e la sua interpretazione della figura di Cristo sono solo un pretesto, scelti per la semplice ragione che l'autore è nato in un paese cattolico, ed è in esso che vive e lavora.
Il lettore che non vorrà arroccarsi in una posizione rigidamente difensiva, mosso esclusivamente dal bisogno di confutare tutto ciò che turba i presupposti della sua fede, riuscirà, forse, ad intravedere, in ogni passo di questo lavoro, la ragione di fondo che lo ha determinato: il desiderio di mettere in discussione, non l'insegnamento di una religione in particolare, ma il procedimento culturale che ha operato, sempre e dovunque, nella genesi delle dottrine di tutte le grandi religioni storiche.
All'interno di ogni società omogenea la religione ha sempre svolto una funzione determinante ed irrinunciabile: una funzione coesiva, didattica, senza la quale il tessuto socio-culturale andrebbe inevitabilmente incontro al disfacimento. In molti paesi cristiani il testimone di un processo, prima di deporre, giura sulla Bibbia, poiché essa costituisce una autorità che sovrasta anche le strutture della legge e dello stato.
Perché dunque una analisi impietosa che sembra finalizzata a demolire le strutture elementari su cui si regge la fede cristiana e sulla quale è costruita la civiltà occidentale?
Ci sono due risposte da offrire a questa domanda. La prima è che questa analisi non vuole avere come vittima una particolare dottrina, ma il principio generale di tutti quegli insegnamenti che sviluppano nella mente l'attitudine a credere in modo cieco e supino. La seconda è che il genere umano ha un bisogno drammatico ed urgente di risolvere gli aspetti conflittuali delle sue disomogeneità culturali, ovverosia di comprendere in quale misura gli insegnamenti e le tradizioni nazionali che gli provengono dal passato (le religioni in primo luogo), sui quali i popoli hanno costruito la propria identità culturale, sono utili e necessari nella attuale situazione.
Nei prossimi anni, avremo tristemente modo di osservare nello scenario mondiale in quale dolorosa misura le religioni storiche saranno sempre meno causa di ciò che promettono, ovverosia di amore, di tolleranza e di comprensione, e sempre più duramente protagoniste della conflittualità; fino al punto da mettere a repentaglio la sicurezza e la vita di centinaia di milioni di persone innocenti. Ma anche fino al punto da mettere in discussione, davanti agli occhi del mondo intero, se stesse.
So che queste parole hanno i toni cupi del presagio apocalittico, ma lo spirito che le anima è molto lontano da quello dei profeti biblici, sebbene somigliante; è solo la ragione lungimirante che porta, se non ad un totale pessimismo, al cauto riconoscimento dei pericoli oggettivi che incombono sul prossimo destino storico del genere umano.
Chi si ostina a misconoscere tutto ciò, non potrà sottrarsi alle proprie responsabilità.
E così, anche se per il lettore questo potrebbe sembrare troppo lontano e troppo in secondo piano rispetto agli obiettivi primari del libro, l'analisi critica della dottrina storica del cristianesimo è stata condotta allo scopo di favorire l'emancipazione culturale di cui ha bisogno l'uomo del duemila: lo sviluppo di una cultura planetaria che, se non deve significare il livellamento e la distruzione delle tradizioni, deve comunque abbattere quelle disomogeneità che già si manifestano come grave ostacolo ai rapporti di convivenza, di confronto e di dialogo fra popoli che la tecnologia e l'economia hanno imposto.
Di fatto un livellamento è già in corso, quello che i modelli del consumismo occidentale hanno provocato in tutti i paesi, mettendo veramente in pericolo le culture e le tradizioni nazionali, lasciando di esse solo il potenziale distruttivo e conflittuale (che, tra l'altro, fa comodo al sistema economico perchè offre al mercato la colossale chance del traffico di materiale bellico).
Non farà male ai cristiani comprendere le dinamiche storiche reali del processo che portò alla nascita e allo sviluppo del cristianesimo, al di là delle immagini manipolate che l'istituzione ecclesiastica ha dovuto trasmettere per sostenere le tesi e i dogmi che erano necessari alla sua egemonia. Nessuno deve temere o sottovalutare la conoscenza delle proprie origini più di quanto non debba temere l'ignoranza e le sue conseguenze sul piano del senso di identità; è quest'ultimo, infatti, l'elemento fondamentale dell'equilibrio psicologico e culturale tanto del singolo quanto della collettività, ed è un senso della propria identità errato o carente che produce la totalità dei disturbi del comportamento individuale e collettivo.
Ed ecco il nocciolo della questione: la frammentazione del senso di identità del genere umano che, nel contesto economico e tecnologico del mondo di oggi, ha urgente bisogno di imparare a sentirsi omogeneo ed unito, piuttosto che eterogeneo e diviso in centomila culture conflittuali.
Gli esponenti delle religioni potrebbero domandare, a questo punto: siamo forse noi che impediamo lo svolgimento del processo di integrazione e di armonizzazione delle diverse culture planetarie? La risposta onesta ad un tal genere di domanda non può essere che una: le istituzioni ecclesiastiche, di fronte a questa impellente necessità di emancipazione culturale, possono facilmente assumere un atteggiamento negativo; nella misura in cui esse non vogliono che sia messo in discussione il loro privilegio di avere, ciascuna, la verità in mano e l'autorità esclusiva per trasmetterla e per insegnarla; nonché nella misura in cui esse antepongono gli interessi della propria egemonia, in parte senza nemmeno rendersene conto, agli interessi della salvezza del genere umano,.
Già qualche anno fa fu realizzato un incontro ad Assisi, nel quale i capi delle più diverse religioni sedettero insieme alla ricerca di dialogo e di unità. Sebbene l'intento di un simile meeting debba comunque essere apprezzato, non possiamo fare a meno di ammettere che i rappresentanti si guardarono in faccia con elargizione di grandi sorrisi, belle promesse e benedizioni reciproche, ma senza cambiare una briciola della sostanza del loro rapporto.
Un fatto si è evidenziato in tutta la sua nuda chiarezza: le religioni, per la loro stessa natura, sono sistemi chiusi, costruiti in funzione della conservazione di se stessi, non del dialogo aperto, e non prevedono alcuna flessibilità nei confronti delle proprie strutture teologiche e dottrinarie. Gesù è l'unico ed irripetibile Figlio di Dio che abbia trasmesso l'unica rivelazione che oggi, per i cristiani, può essere accettata e creduta; Jahvè è l'unico Padre di tutto il genere umano e Israele è il suo popolo prediletto; Allah è l'unico Dio e Maometto è il suo profeta; Krishna è l'unica incarnazione terrena di Vishnu, ecc... Stando così le cose, dove le condizioni sono favorevoli, ovverosia dove la gente è in crisi di trasformazione sociale e ricorre al più vecchio e collaudato fra i mezzi di riconoscimento o di mantenimento della propria identità culturale, ogni religione non può far altro che partorire lo spettro dell'integralismo, il più duro scoglio contro il progresso culturale dell'umanità e contro l'avvicinamento, il dialogo e la comprensione fra i popoli.
E' significativo che un uomo come Gandhi, che si dichiarava contemporaneamente indù, cristiano e musulmano, sia sopravvissuto alla lotta contro il dominio britannico per l'indipendenza dell'India e sia morto per mano di un indù che non sopportava le sue elasticità teologiche. Non è un caso, come non è un caso che gli alleati della Serbia, il paese che oggi l'occidente sembra unanime nel condannare per la sua politica, siano i Russi e i Greci, gli unici paesi al mondo che, come i serbi, sono cristiani-ortodossi.
Purtroppo non c'è altro da fare se non da attendere e magari agevolare quello che forse sarà il salto culturale più grande nella storia del genere umano: l'emancipazione della spiritualità dal dogmatismo e la sua liberazione dalla fissità delle dottrine teologiche.
Dio, il grande artefice del mondo, non ha mai incaricato nessuno in
particolare di rappresentarlo; né alcuno può arrogarsi il
diritto di essere suo testimone esclusivo (se non per guadagnare un potere
sugli uomini); né le sue verità furono scritte in alcun volume
se non in quell'immenso libro, dalle pagine sempre aperte, che è
l'universo intorno a noi.
- - - - -
Conclusioni
Quando ero ragazzo, anzi bambino, i miei genitori mi hanno mandato, come di norma, al catechismo. Infatti sono stato battezzato ed educato secondo la più consueta tradizione cattolica; ad otto anni presi la prima comunione, più grandicello fui cresimato.
Ma il rapporto fra me e la religione è sempre stato difficile; ero ancora uno sbarbatello quando già discutevo accesamente col professore di religione, contestando il dovere di credere per fede, ciecamente, a quanto mi veniva insegnato.
Un adolescente, naturalmente, non ha tutti gli strumenti intellettuali per mettere perfettamente a fuoco ciò che sente e per dare una forma matura e consapevole ai propri pensieri. Ciò non ostante, verso gli undici-dodici anni, un sentimento molto chiaro albergava nella mia mente: la più assoluta intolleranza per lo stridente contrasto che l'insegnamento religioso, almeno nel modo in cui era trasmesso dai miei interlocutori (sacerdoti e professori), finiva per creare tra spiritualità e ragione.
Molto spesso sembrava che fosse proibito chiedere perché, e al mio desiderio di comprendere, di spiegare, e persino di dare una dimostrazione alle cose, si rispondeva non solo con l'invito a rinunciare a tale atteggiamento, ma anche con la sua condanna, come se esso fosse, per sua stessa natura, irriverente nei confronti della religione, offensivo, blasfemo. Mi furono citati esempi dalle scritture in cui qualcuno era stato premiato da Dio per avere semplicemente creduto, senza essersi domandato niente, senza avere chiesto alcuna prova, per un atto di pura fede; come la famosa emorroissa, o il centurione romano. Mi furono citati in contrapposizione altri esempi di persone che erano state punite per avere subordinato la fede alla ragione, per non essere stati capaci di credere senza avere le prove.
Il caso più eclatante, sebbene non appartenga alle scritture sacre, era quello di Ulisse, che il sommo poeta aveva condannato per avere dato la priorità assoluta al desiderio di conoscenza; quasi come se il "...fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza..." potesse essere in qualche modo una colpa, piuttosto che la più alta e nobile delle attitudini umane; l'unica, forse, che possa realmente distinguere l'uomo dalle altre creature. La cosa mi irritava e mi riempiva del sospetto che dietro a questa inclinazione della cultura ci fosse qualcosa, un inganno, un trucco, uno strano mistero che un adolescente non può avere le capacità di spiegare.
Non si trascuri, nel leggere queste note autobiografiche, che questi furono i vissuti di un ragazzo nel periodo immediatamente precedente il '68, quando autoritarismo e vecchie mentalità non erano ancora stati messi in discussione da un fenomeno culturale e psicologico di così vaste proporzioni come la contestazione giovanile.
Così, pur conservando nel profondo la sensazione che il mistero dell'esistenza non potesse trovare la sua esauriente spiegazione nel materialismo e nelle teorie scientifiche, mi allontanai dalla religione cattolica e mi rifugiai per lungo tempo in una sorta di agnosticismo: potrei chiamarlo un parcheggio, in attesa di qualcosa di più di ciò che preti e catechisti erano riusciti a dirmi.
Nel frattempo osservavo e notavo quelle che, a mio modo di vedere, erano le gravi ipocrisie congenite del mondo cattolico: ci voleva poco, ad una persona che non aveva accettato la supinità mentale, per rendersi conto che la prassi degli appuntamenti fra il cattolico e la sua religione contrastava nella maniera più stridente col messaggio etico e spirituale del Vangelo. Il cattolicesimo degli anni cinquanta e sessanta camminava fianco a fianco col perbenismo, col benpensantismo, con la mentalità borghese (uso una terminologia che è volutamente quella del periodo dello scontro frontale fra il polo laico marxista e quello cattolico conservatore), insomma con tutto ciò che si opponeva allo spirito espresso dalla figura di Gesù; il quale infrangeva le regole del sabato e quelle della purità, sedendo a tavola con i pagani e coi peccatori, che era dolce con gli umili e aggressivo coi potenti e coi sacerdoti del tempio.
Gesù, con queste sue attitudini, non si presentava come un contestatore a tutti i costi, ma come un intransigente cercatore di verità, come colui che non esitava a trapanare tutti gli strati della ipocrisia e della convenienza per giungere alla sorgente della verità e della giustizia: là dove le cose, spogliate da ogni maschera, non possono più essere giustificate dalla consuetudine e si rivelano per quello che sono.
Da questo punto di vista il Vangelo mi affascinava, mentre il cattolicesimo mi respingeva.
Molti anni dopo, già trentenne, laureato, insegnante, sposato, padre, mi rivolgevo alle culture orientali, con la segreta speranza di trovare, nella suggestiva civiltà del sole nascente, quella coerenza e quella verità che in occidente non avevo trovato. E' bello rifugiarsi nell'idea che qualcosa che viene da lontano contenga la risposta a tante domande e la soluzione a tanti problemi. E così mi sono dedicato allo studio e alla pratica della disciplina Yoga, dell'Induismo, del Buddhismo, del Taoismo, scoprendo cose interessantissime; non esclusa l'importanza che tali culture attribuiscono a valori ed aspetti che in occidente sono trascurati; la cui mancanza, spesso, è proprio la causa di qualcuna delle afflizioni croniche dell'occidente.
Eppure, anche nel molteplice e ricchissimo universo delle spiritualità e delle filosofie orientali, uno spettro maligno si aggira esattamente come nelle culture religiose dell'occidente, uno spettro che non tardai a riconoscere non appena ebbi modo di frequentare qualche seminario e di incontrare bonzi, lama, swami e yoghi famosi ed apprezzati a livello internazionale per la validità del loro insegnamento.
Quello spettro era l'ortodossia, la dottrinalizzazione della conoscenza, la subordinazione della verità alle esigenze delle persone e delle istituzioni che di essa si sono fatte rappresentanti.
Sempre e comunque, là dove una qualsiasi consapevolezza ha superato il momento felice della sua nascita nella mente umana, ed è già passata allo stadio in cui viene gestita da qualche organismo istituzionale come mezzo per educare, e per attuare il controllo psicologico e culturale della gente, la verità slitta in una posizione subordinata nella quale le è consentito di essere sé stessa fintantochè non turba lo status quo. Non appena essa reca turbamento e cessa di essere funzionale agli equilibri istituzionali e agli interessi dominanti, qualsiasi elemento della verità non è più riconosciuto come tale e viene totalmente cancellato, non solo dall'ufficialità del sapere, ma dai processi di pensiero della persona, attraverso un sottilissimo meccanismo di ricatti in cui si gioca l'appartenenza dell'individuo al sistema o la sua emarginazione. In questo modo la sostituzione del pensiero libero, incline alla verità totale, col pensiero condizionato, incline alla verità di convenienza, avviene inconsciamente, come se un file di controllo (per usare la terminologia informatica al posto di quella psicologica) lavorasse nel sistema operativo cerebrale per escludere tutte quelle opzioni che generano conflittualità con la cultura e con la morale sociale. Questo avviene soprattutto nella mente di coloro che nel sistema vogliono porsi in una situazione di vantaggio, così come in quella di coloro che sono troppo semplici e troppo poco coraggiosi per pensare in maniera autonoma, senza lasciarsi indottrinare e senza resistere alla facile suggestione della cultura dominante.
E così, anche nell'affascinante mondo delle culture orientali osserviamo l'esistenza di un complicatissimo mosaico di parrocchie piccole e grandi, ciascuna con le sue verità di regime, con i suoi moralismi, con le sue invenzioni ad uso e consumo di qualche sistema.
Se non avessi una profonda convinzione che il cammino verso la verità è l'unica ragione valida della nostra esistenza, pur essendo destinato a rimanere un anelito incompiuto, le precedenti considerazioni sarebbero più che sufficienti a giustificare uno stato di depressione e di cinismo. Beati coloro che si sono sistemati in una qualunque delle centomila parrocchie di questo mondo e, rinunciando alle colonne d'Ercole, non si sono macchiati della colpa di Ulisse!
Il quadro ha cominciato a farsi meno oscuro quando, una decina di anni fa, ho sentito il desiderio di scavare alle radici della cultura cristiana, nella quale sono stato generato e cresciuto, per trovare quanto in essa ci fosse di comune con le altre religioni del mondo, e magari di autentico, di precedente al processo che tutte le culture storiche hanno subito, cioè la canonizzazione e la riduzione a qualche forma di ortodossia.
E' stato un viaggio affascinante che mi ha portato alla scoperta dei manoscritti del Mar Morto, dei Vangeli gnostici, della molteplice letteratura apocrifa, dei risvolti più dimenticati della storia antica e, soprattutto, che mi gratificava ogniqualvolta scoprivo l'esistenza reale di collegamenti fra le radici dell'ebraismo e del cristianesimo con quelle delle religioni orientali.
Ma, ahimé, il Cristo non era quello che avrei avuto piacere di scoprire, cioè una sorta di asceta alla maniera indo-buddista, che magari fosse addirittura stato in India, come alcune fonti sostengono; uno spirito libero privo di quel genere di collocazioni ortodosse che ho sempre detestato. Al contrario, il Cristo che i romani hanno voluto arrestare e crocifiggere non era allineato alla ortodossia del giudaismo fariseo e sadduceo, ma era il più autentico rappresentate dell'integralismo jahvista dei suoi tempi, il Messia di Israele, il re dei giudei. Encomiabile per la sua coerenza, per l'abnegazione e il coraggio dedicati alla causa, per il prezzo che è stato disposto a pagare; criticabile per la mancanza di senso della realtà, dei rapporti di forza e del grado di consenso, al punto da marciare dritto verso il fallimento, nonché per quello che, visto con occhi moderni, non può essere chiamato in altro modo che fanatismo, il tipico scellerato fanatismo degli integralisti.
Resta aperta la possibilità lasciata dall'ipotesi non del tutto inverosimile che il Gesù Cristo del Vangelo, frutto della sintesi paolina, sia il prodotto di una sovrapposizione di caratteristiche appartenute a personaggi diversi: un messia politico, giustiziato dai romani, e un messia religioso, rilasciato perchè non riconosciuto colpevole di atti contro la sovranità imperiale. In tal caso l'attenzione si sposta sul personaggio di Jeshu bar Abbà, probabile maestro di tecniche iniziatiche, che avrebbe impartito i suoi principali insegnamenti ai membri della famiglia zelotica, ai fratelli partigiani, all'aspirante messia, alla moglie di costui, Myriam, al cognato, Eleazar. Ma gli elementi sono pochi, veramente troppo pochi per tentare una seria ricostruzione di questo enigmatico personaggio.
In fin dei conti, non è ai termini tecnici della ricostruzione storica che è diretto il nucleo essenziale del mio interesse, sebbene tanta energia abbia dedicato a questo lavoro, bensì ai significati più generali che da essa si possono estrarre. Infatti posso aver compiuto numerosi errori, o avere tratto conclusioni sbagliate, e molti difensori della ortodossia si affretteranno, possibilmente anche con ragione, a confutare questa o quella fra le tesi che ho sostenuto in questo studio. Ciò che mi interessa è il fatto di avere mostrato, al di là delle singole questioni storiche (con un lavoro divulgativo che, forse per la prima volta in assoluto, porta il lettore medio a conoscenza delle mille problematiche relative alla lettura critica del Nuovo Testamento), che è esistito un preciso intervento, consapevole ed intenzionale, protratto nel tempo di secoli, da parte di una limitata comunità prima (i seguaci di Paolo di Tarso) e di una colossale istituzione ecclesiastica poi (la chiesa del dopo Costantino), per costruire su misura una teologia e una dottrina che fossero funzionali al sistema che si intendeva stabilire o difendere.
Gesù Cristo, a dispetto del suo essere ebreo, aveva fondato una nuova religione; Gesù Cristo, a dispetto del suo titolo messianico, non aveva assolutamente niente a che fare con la lotta jahvista; Gesù Cristo era una incarnazione divina; gli ebrei erano i principali responsabili della sua morte; i romani erano incolpevoli e Pilato era stato praticamente raggirato.
Questi presupposti onnipresenti nei vari aspetti della dottrina cristiana di oggi, così come nei diversi stadi del suo sviluppo, a partire dai più primitivi, che sono senza ombra di dubbio il prodotto degli interventi di manipolazione, possono essere spiegati col fatto che la nuova fede cristiana aveva rinnegato la concezione messianica tradizionale, aveva realizzato uno scisma dal giudaismo, aveva sostituito al messia della nazione ebraica un salvatore universale mutuato dalle filosofie del vicino e lontano oriente: il Soter dei greci, il Saoshyant dei persiani, il Buddha degli indiani.
A conti fatti non credo che l'opera di Paolo debba essere considerata semplicemente disonesta in quanto lavoro di falsificazione di una realtà storica; direi piuttosto che c'è, nella colossale formulazione sincretistica del Gesù Cristo di Paolo, una genialità senza precedenti. L'impero romano non aveva mai avuto altra unità se non quella del potere politico e militare emanato dalla sua capitale: i popoli sottomessi sono sempre stati stranieri fra loro, ciascuno con la sua religione e i suoi culti; che Roma, acuta nell'arte del dominio, sapeva rispettare. Forse l'elemento comune ai numerosi popoli e alle numerose culture abbracciate dal potere dell'urbe può essere individuato nel sentimento escatologico, non improbabile nella psicologia di coloro che si sentono intrappolati in una condizione irrisolvibile, almeno a breve termine, di inferiorità e di subordinazione, quando non di miserabile schiavitù, privati della padronanza del proprio destino e del diritto a costruire in modo autonomo la propria felicità.
Questo era il clima psicologico comune, conscio o inconscio, che Roma aveva determinato nell'area del suo potere.
Paolo aveva sicuramente intuito, non solo la scarsa probabilità di successo materiale del progetto messianico, ma soprattutto la limitatezza di quell'anelito alla salvezza e alla libertà che, in seno alla fede giudaica, aveva preso la forma del rigoroso integralismo nazional-religioso jahvista. Magari esistessero oggi, nel mondo in cui la presa di coscienza collettiva dei problemi reali e drammatici del genere umano è ostacolata e resa penosamente lontana dal persistere di antichi integralismi e fanatismi, un uomo della larghezza mentale e della lungimiranza di Paolo (ma è mai esistito il Paolo di cui parla la tradizione? O è solo il punto leggendario su cui è fatto convergere il lavoro di numerosi uomini nell'arco di molto tempo?). Insomma, esistito come persona o come processo storico, quello che chiamiamo Paolo ha intuito che se il salvatore nazional-religioso degli ebrei aveva un improbabile destino, in quanto solo contro tutti, il salvatore universale del genere umano aveva un probabile destino, in quanto si collocava, nel clima psicologico e culturale del ventaglio di popoli sottomessi a Roma, come colui che rappresentava le istanze più insoddisfatte dell'animo umano: un Dio degli umili, e non dei potenti, un Dio senza razza, un Dio buono, un Dio venuto fra gli uomini a promettere a tutti la salvezza ma, soprattutto, a restituire la dignità umana a coloro ai quali, nella società schiavistica e totalitaria, era stato fatto dimenticare di possederne una.
E così, ricucendo insieme l'escatologia messianica degli ebrei con spezzoni di religioni misteriche ed orientali, Paolo costruì il più potente strumento di trasformazione culturale del bacino mediterraneo: Gesù Cristo. Qualcosa che a quel tempo, ne sono profondamente convinto, era veramente suggestivo e meraviglioso.
Che cosa importa se Gesù Cristo, il Gesù Cristo di Paolo, non è mai esistito? Vale forse meno del Cristo realmente esistito, quello condotto al patibolo da una fede fanatica e dura come un macigno? Quella fede che ha portato Gerusalemme ad essere rasa al suolo e gli ebrei ad essere sparsi e odiati fra genti straniere. O vale di più un Gesù Cristo che, per quanto fantastico, ha prodotto una omologazione culturale nell'area circum-mediterranea determinando quell'unità fra i popoli cristiani che, se non fosse esistita, non avrebbe mai visto lo sviluppo planetario della civiltà occidentale moderna ma, piuttosto, al suo posto, una civiltà islamica, una civiltà cinese, o chi sa cosa.
L'analisi storica delle origini cristiane, purché non sia quella sponsorizzata da coloro che hanno interesse a difendere i sistemi ortodossi, vista in funzione dei problemi dell'umanità di oggi è certamente una grande lezione: perchè anche oggi, come ai tempi in cui i vessilli imperiali di Roma sventolavano col loro aspetto blasfemo nella città santa degli ebrei, l'umanità, vittima del dominio di uno strapotente impero, si dibatte nella frustrazione di non saper trovare una soluzione alle sue attese di salvezza. Oggi, come allora, il sentimento che accomuna tutti i popoli della terra, stranieri fra loro, è un sentimento escatologico. E, come allora, numerose forme di messianismo sono intervenute nel tentativo di colmare le aspettative.
Forse il più largamente diffuso dei messianismi moderni che, come lo jahvismo degli esseni e degli zeloti, ha avuto la carica suggestiva di una promessa rivoluzionaria, che si attribuisce la capacità di abbattere l'impero dominante e di costruire la giustizia, è stato sicuramente il comunismo. Ma, come il messianismo jahvista, il comunismo è crollato alla prova dei fatti, mostrandosi scellerato dove avrebbe voluto essere buono, meschino dove avrebbe voluto essere grande; creando la catastrofe dei popoli dove avrebbe voluto creare la prosperità.
Nella crisi di identità e di ideali dei tempi attuali, alcuni si scoprono messaggeri di verità, che può essere considerata tale soltanto nel deserto delle verità in cui si sta incamminando questa esule umanità in cerca di terra promessa, e speculano sulla loro posizione riproponendo i vecchi modelli culturali: il cattolicesimo, l'islam, l'ebraismo; circondati da una costellazione di sottoverità che, in più rispetto a quelle superortodosse, hanno solo la facile ma illusoria suggestione del diverso, dell'alternativo, del rivoluzionario: i testimoni di Geova, gli Hare Krishna, i buddhisti occidentali. In effetti ogni religione storica, come quella creata dalla sintesi paolina, ha avuto un grande valore evolutivo nel suo momento nascente, e ha portato a battesimo una qualche civiltà. Chi avrebbe potuto trasformare le bande beduine in un popolo di conquistatori, mercanti e scienziati, come furono gli arabi, se non l'islam? Chi avrebbe potuto fare dei figli della sabbia (i semiti analfabeti e nomadi che gli egizi usavano come schiavi) un popolo orgoglioso ed indistruttibile sotto tutti i gioghi, se non la sintesi mosaica? Chi avrebbe creato le civiltà dell'oriente, l'India, la Cina, il Tibet, se non l'Induismo e il Buddhismo?
Ma, naturalmente, ciascuno di questi grandi motori dell'evoluzione morale e culturale dell'umanità attraversa le sue stagioni e, dalla fase creativa, passa a quella matura, in cui si consolida come ortodossia, nella quale si effettua lo slittamento della verità verso posizioni subordinate, e il valore evolutivo è sostituito da quello coesivo; per giungere quindi alla fase di invecchiamento, in cui il valore coesivo finisce per diventare una attitudine sclerotica quando non, addirittura, un potenziale conflittuale.
I moderni araldi delle vecchie religioni storiche, papi, patriarchi, lama ed ayatollah, non si rendono conto che di esse, raggiunta la loro ultima fase e divenute senili, una volta esauriti i principali valori evolutivi, non resta che un mucchio di patetiche bugie, delle quali ho voluto dare un saggio nella mia analisi storica del racconto evangelico. Se non capita invece, come nella ex Yugoslavia fra cattolici, ortodossi e musulmani, o come in medio oriente, fra ebrei e musulmani, o come in tante altre circostanze analoghe nel mondo, che le religioni storiche esprimono tutta la negatività della loro degenerazione senile e producono quel tipico genere di bestialità che si giustificano con santi scopi.
Molti dei miei lettori, forse, a metà del libro chiuderanno le pagine pensando che l'autore sia un rappresente tardivo del razionalismo anticlericale, appartenente ad una sinistra ormai abbondantemente superata. Non si saranno resi conto che ho voluto invece augurare la nascita di una nuova sintesi paolina, che superi le insufficienze dei moderni messianismi parziali. Questa volta non è l'impero di Roma il nemico, né il mediterraneo il teatro ma, rispettivamente, l'economia della autodistruzione e il pianeta.
Abbiamo bisogno di bugie più nuove. Speriamo che qualcuno le inventi presto.
Gennaio 1994, David Donnini.
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David Donnini, nato a Firenze nel 1950, ha ivi conseguito la laurea nel 1975, mentre nel 1990 ha frequentato un seminario di specializzazione presso la Michigan Technological University (USA). Attualmente è insegnante di Tecnica Fotografica presso un Istituto Professionale di Stato. Da circa vent'anni si occupa di religioni orientali ed anche dello studio delle origini cristiane. Ha svolto un servizio fotografico in Palestina, nei siti che riguardano il cristianesimo primitivo. In Israele ha approfondito i contatti col Prof. Daniel Gershenson (Università di Tel Aviv), che lo ha aiutato nel suo lavoro di ricerca e che condivide le sue conclusioni. Ha pubblicato sull'argomento alcuni libri:
Nuove Ipotesi su Gesù
Macro-Edizioni, Cesena (FO) Tel. 0547/346290
Seconda edizione (1998) riveduta e corretta, corredata con 14 fotografie
a colori
Cristo, una vicenda storica da riscoprire (1994)
Roberto Massari Editore, CP 144, 01023 Bolsena (VT)
Tel. 0761/799831
Terra di Giuda (1997)
Appunti di viaggio fra i drammi e i misteri storici di Israele
(pubblicato on-line)
Alcune questioni discusse nei siti di Donnini:
Premesse per l'analisi storica del racconto evangelico
I Manoscritti del Mar Morto - la storia
I Manoscritti del Mar Morto - estratti dai testi
La letteratura giudeo-cristiana
La redazione dei 4 vangeli canonici
Analisi critica dei racconti sulla nascita di Gesù Cristo
Il mistero di Barabba
Il problema del titolo "Nazareno"
Perché San Paolo ha inventato il cristianesimo?
CRISTO E QUMRAN, QUALI CONCLUSIONI?
Il martirio zelotico e quello cristiano
Fratelli e sorelle di Gesù Cristo
Il problema del discepolo senza nome
"7Q5", una prova schiacciante delle relazioni fra esseni e cristiani?
Estratti da Filone Alessandrino e Giuseppe Flavio sugli "Esseni"
Sulle origini storiche del Vecchio Testamento
ESTRATTI DA VANGELI APOCRIFI:
Dal codice Arundel 404
Dal vangelo di Pietro
Dal vangelo di Maria
Dal vangelo copto di Tomaso
Dal vangelo di Filippo
Note ai vangeli gnostici di Tomaso, Maria e Filippo
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Breve commento sui lavori cristologici
del Dr. Daniele Donnini
L'amico Prof. Bartocci mi ha chiesto un commento all'opera del Dr. Daniele Donnini1 e, a tale sollecito, volentieri consento, seppur assai brevemente. Nell'ormai lontano Ottobre del 1999, dietro segnalazione di un amico stampai da INTERNET, due studi di questo ricercatore; il primo, dal titolo di Gamla, individuava in questo omonimo e ben poco conosciuto sito archeologico delle alture del Golan, quello che avrebbe dovuto essere il vero villaggio dove, in alternativa alla notissima Nazareth, Gesù sarebbe invece vissuto. Debbo dire che la disanima delle ragioni storiche e geografiche, che rendono impossibile come quest'ultima località possa corrispondere alle caratteristiche riscontrabili nella narrazione evangelica, è del tutto convincente. Efficace anche la messe di contestazioni, in ordine all'evidente forzatura, insita nel voler far coincidere l'appellativo di <<nazareno>> con quello di abitante di Nazareth, che, da varie fonti, attentamente raccoglie: sono, queste ultime, cose note ma, collazionate con le altre osservazioni, vieppiù contribuiscono ad accreditare la tesi favorevole all'individuazione di Gamla quale right place.
Il secondo lavoro, è uno studio assai più ambizioso e s'intitola CRISTO, UNA VICENDA STORICA DA RISCOPRIRE.2 Di esso è forse bene riprodurne il sommario per avere una qualche idea della vastità degli argomenti affrontati:
Premessa
Sommario
Introduzione
1. La cena misteriosa.
1.1. Una sera, a Betania.
1.2. Il Vangelo al Computer.
2. Il Giallo di Gerusalemme.
2.1. Sinossi della passione e morte di Cristo.
2.2. L'arresto.
2.2.1. Il bacio di Giuda.
2.2.2. Lo scontro armato.
2.2.3. L'arresto.
2.3. Il Processo Giudaico.
2.3.1. Il trasferimento presso il sommo sacerdote.
2.3.2. Il rinnegamento di Pietro.
2.3.3. Il processo davanti alle autorità ebraiche.
2.3.4. Gli oltraggi.
2.4. Il Processo Romano.
2.4.1. Il trasferimento presso Pilato.
2.4.2. La morte di Giuda.
2.4.3. L'interrogatorio davanti a Pilato e le accuse dei Giudei.
2.4.4 Gesù al cospetto di Erode
2.4.5. Il ballottaggio: o Cristo o Barabba.
2.4.6. Il verdetto.
2.5. La Via Crucis.
2.5.1. Lo scherno dei soldati.
2.5.2. Il trasporto della croce.
2.5.3. La crocifissione.
2.5.4. Gli insulti e l'agonia.
2.6. Morte e Sepoltura.
2.6.1. Morte ed eventi soprannaturali.
2.6.2. L'intervento di Giuseppe di Arimatea.
2.6.3. Deposizione e sepoltura.
3. Il Giallo di Betlemme.
3.1. E' nato Gesù.
3.2. I luoghi.
3.2.1. Il luogo di nascita di Gesù secondo gli evangelisti Matteo e Luca.
3.2.2. Il luogo di residenza della famiglia di Gesù secondo gli evangelisti Matteo e Luca.
3.2.3. I contrasti sui luoghi.
3.3. I tempi.
3.3.1. Il tempo della nascita secondo gli evangelisti Matteo e Luca.
3.3.2. I contrasti sui tempi.
3.4. Le Genealogie.
3.4.1. L'albero genealogico secondo gli evangelisti Matteo e Luca.
3.4.2. I contrasti sulle origini.
3.5. La Dinamica della Natività.
3.5.1. La dinamica della natività secondo gli evangelisti Luca e Matteo.
3.5.2. I contrasti sulla dinamica della natività.
4. Il Giallo di Nazaret.
4.1. La Profezia del Nazareno.
4.2. La Città di Cristo.
4.3. La Famiglia Storica.
4.3.1. Il numero dei figli.
4.3.2. I fratelli di Cristo.
4.3.3. Fratelli, apostoli e zeloti.
4.3.4. I Genitori di Cristo.
5. Il Giallo di Betania.
5.1. Sempre sulla cena del mistero.
5.1.1. Maria Maddalena = Maria di Betania?
5.1.2. Chi era Maria di Magdala-Betania?
5.2. "Colui che ami è ammalato".
5.2.1. Il miracolo di Betania o che cos'altro?
5.2.2. I miracoli di resurrezione nei Vangeli.
5.2.3. Eleazar ben Jair.
6. Conclusioni.
Indice analitico
Note bibliografiche
Testi classici di riferimento
Bibliografia
Non volendo questa nota essere una vera recensione, mi limito a segnalare l'interesse del lavoro del Donnini, il quale affronta il problema delle origini del Cristianesimo col sottolinearne la diversità tra quanto di storico possa essere ricostruito e quello che invece c'è pervenuto attraverso l'interpretazione canonica. Personalmente, io condivido molte delle sue conclusioni, che vedono nella narrazione canonica una complessa opera mitopoietica anche se non mi sembra di poter consentire su una qualche ingenuità positivistica nel taglio di certi giudizi: truffe e raggiri di personaggi furbeschi, intenti soltanto a creare storie, volte queste - si presume - a meglio dominare le masse. È chiaro come, per quest'autore, il mito sia, in linea di massima, una sovrastruttura priva d'ogni potere anagogico.
Il Donnini non deve però essere totalmente posseduto da questo spirito cartesiano, perché, in una sua riflessione sul tema, riconosce l'enorme semplicismo culturale che tale attitudine comporta e che, soprattutto, impedisce a chi ne sia afflitto di leggere, con la coscienza del tempo che le è proprio, la narrazione di eventi lontani, sicché questi ne risultano distorti ed irrimediabilmente impoveriti. Nel contempo, egli prende anche le distanze dal teologico letteralismo exoterico che sempre vuol far credere all'assoluta storicità dei fatti straordinari della narrazione sacra quasi che questi non possano essere latori di messaggi più profondi e, dal punto di vista della <<dottrina che s'asconde>>, assai più consistenti del mero episodio miracolistico.
Donde, in lui, sorga questo felice spessore ermeneutico, così caratteristico della prospettiva esoterica, non è dato di sapere; in ogni caso, il Donnini dà, secondo questo filtro, una sommaria interpretazione di alcuni miracoli, che mi sembra oltremodo soddisfacente. In particolare, ho apprezzato il commento a Gv. 5.9-11: il famoso episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci; dove, il pesce - icquV ; ricordiamo che fu preso a simbolo del Cristo3 - è presente con una coppia mentre cinque sono i pani. E, giustamente, il Donnini ricorda come due siano i Messia4 attesi nell'ambiente esseno-zelota - al quale egli fa risalire il primitivo messaggio cristiano - e cinque (il Pentateuco) i libri della Thorah.
Colpito dalle tesi di questo ricercatore indipendente, gli trasmisi al tempo per e.mail alcune osservazioni che ripropongo qui di seguito ai lettori di Episteme, dal momento che gli interrogativi e gli appunti allora formulati sono per me ancor validi, e costituiscono l'espressione del mio pensiero su un lavoro che reputo di una certa importanza e coerenza.
<<…da un collega, mi è stato segnalato il "sito" da Lei curato e così ho potuto conoscere la sua interpretazione del Nuovo Testamento: Le dico subito che m'è apparsa molto innovativa e feconda di risultati anche rispetto a quanto prodotto dalla letteratura scientifica d'autori non cristiani ovvero di autori non sospettabili del pregiudizio conservativo. La verifica logica, interna all'insieme dei testi, quale quella da Lei felicemente sperimentata, si è, nella maggioranza dei casi precedenti, limitata ad argomenti specifici evitando d'affrontare l'intero corpus, canonico e non. Mi sembra ch'Ella ritenga quest'atteggiamento dovuto ad una qualche forma - spesso inconscia - di rispetto mentr'io sarei più propenso a privilegiare l'inerzia, frequente in ambiente accademico e derivante dall'autorità di studi da sempre condotti secondo criteri ben accreditati e sperimentati.
Questo detto, ovvero avendoLe fatta presente la mia distanza riguardo a certi conformismi universitari, non posso evitare d'esprimerLe alcune perplessità. Lei dà per scontato che, il Santo Graal, in effetti, dissimuli un Sang Raal ossia ‹‹sangue reale›› (in occitanico?). Ebbene, senza entrare nel merito di ciò che questo dovrebbe significare ma limitandomi ad un'analisi linguistica, io trovo che le indicazioni, da essa ricavabili, conducano altrove: il ‹‹graal›› è una coppa ‹‹grasale›› m'anche un libro, gradale, graduale, il liturgico liber gradalis››; tant'è che i due significati, si ritrovano a coincidere in quelle versioni, nelle quali è fatto cenno ad un'iscrizione a ceiropoi htoV 5 leggibile in un'incisione tracciata sul calice stesso. Il passaggio ‹‹Sanctus Graal > san[ctus]g-raal›› pare, francamente, forzato ed inoltre la fonte - da lei indicata nel noto lavoro dei tre anglosassoni Baigent, Leigh, Lincoln6 - non è delle più serie, soprattutto perché, l'intera storia del Priorato di Sion, strettamente legata agli altri temi portanti dell'opera, è una mera fantasia elaborata dal Plantard7 sin dal 1956 con intuibili scopi auto-affabulatori.8 Visto infine come, sull'argomento, tutte le leggende comunemente note non prendano in considerazione quest'accezione dinastica,9 sarebbe interessante avere - per la genealogia merovingia e per la sua precitata, supposta liaison con le leggende del Graal - un riferimento "scritturale" più affidabile; sul genere, per intenderci, delle inequivocabili affermazioni del Vangelo di Filippo. Di questo possibile riferimento, io non sono a conoscenza ma reputo probabile una mia lacuna e sarei quindi ben lieto di avere da Lei qualche attendibile indicazione in proposito.
Sempre in tema di fantasie, Le segnalo come Mircea Eliade,10 in giovanissima età, avendo accettato di fare una conferenza su Rama, avesse fiduciosamente tratto tutta la sua documentazione da Les Grands Initiés dello Schuré per poi apprendere, con stupore e rabbia, che quanto aveva esposto con tanta passione e convinzione, altro non fosse che una specie di "racconto mistico" dell'inaffidabile autore. Questo per dirLe che, non solo i riferimenti all'Induismo sia miglior cosa reperirli altrove m'anche le notizie sulle antiche iniziazioni (alludo alle modalità di quella da Lei supposta per Lazzaro e quale effettivo retroscena del miracoloso episodio) se - come mi sembra - hanno la stessa origine, non trovano riscontri nella realtà in ogni tempo documentata e, per ragioni assai complesse, meno che mai in un così remoto passato. Tali riti si sono svolti, sempre e soltanto, in forme allusive e la morte alla vita profana, non portava certamente alle condizioni liminari dello stato catalettico di morte apparente.11
La Chiesa, nella sua rigidezza exoterica,12 sta puntando tutto sulla totale storicità delle Scritture; un riflesso di quest'atteggiamento lo si può riscontrare nell'ossessione anti-gnostica dei gruppi più fondamentalisti. Ossessione, che può sembrare immotivata13 se non si conoscono i risvolti dei quali, appunto, Ella s'occupa nei suoi studi. L'errore di questo arroccarsi è grande, perché è proprio nel punto di vista gnostico che sta la chiave per comprendere il senso di quella "costruzione" di mitologhemi che è il Cristianesimo quale oggi conosciamo14 ma non solo esso, essendo parimenti strutturate - anche se in modi e misure diverse - tutte le forme tradizionali. Non fu per imbastire menzogne che ebbe quindi ad operare quell'ignoto consesso, formato da esponenti qualificati del mondo giudaico-cristiano e di quello classico ma per creare, secondo i procedimenti della teurgia, una sintesi (non un complesso sincretico), un organismo, che fosse ‹‹un ponte fra l'uomo e il potere misterioso che pone in essere il mondo››.15 Le ‹‹bugie››16- e non solo quelle - sono venute dopo, specie quando si è persa, sia la cognizione dei fatti, sia la scienza, che permetteva ad una élite di apprezzare il superiore grado di realtà del mito a fronte dello storicismo: è da allora che la storia può creare sgomento.17
Credo che, appunto sul piano storico, Ella abbia ottenuto riscontri significativi ed invero suscettibili di importanti sviluppi; Le faccio i miei complimenti ed i migliori auguri.>>
Mi rendo conto che, una vera e propria recensione avrebbe comportato
un più ampio spazio riassuntivo dei contenuti di quanto invece non
sia loro dedicato in una serie di considerazioni rivolte, al momento della
loro formulazione, soprattutto allo stesso autore. M'auguro però
che tale manchevolezza vieppiù induca il lettore a rivolgersi, direttamente,
ai testi in questione.
Note
1 Il mio testo di riferimento è quello tratto da un vecchio indirizzo internet non più attivo; adesso, al nuovo recapito (http://vangelo.supereva.it/vangelo.html?p) sono state apportate notevoli modifiche ed arricchimenti. Presumo, comunque, che i testi possano essere ancora discussi nei termini nei quali li affronto ma, chi voglia, può verificare.
2 In rete si può leggere quest'avvertimento: questo libro è stato pubblicato in Italia, nel 1994, da Roberto Massari Editore, CP 144, 01023 Bolsena (VT) Tel. 0761/799831. Il testo è coperto da copyright e la riproduzione in tutto il mondo è soggetta ad autorizzazione da parte della casa editrice.
3 Inteso quale acrostico di IhsouV CristoV Qeou UioV Sothr. ?
4 Uno il Messia regale, davidico, l'Unto del Signore (Re d'Israele) e l'altro il Messia sacerdotale (Sommo Sacerdote). Questa duplicità gemellare presenta alcuni singolari rimandi: intanto è con l'inizio dell'era cristiana che il punto vernale entra nell'asterismo dei Pisces. Costellazione il cui segno astrologico è, appunto, doppio: i mentre il suo nome - al pl. - è in ebr. Dogim (????) [caratteri ebraici]. Altro duplice simbolo astrologico è quello dei Gemini (` ), immagine dell'omofona, spartana Dokana, che, come emblema dei divini gemelli Castore e Polluce, era uno delle insegne della nazione. Inoltre, rimanendo nell'area medio-orientale, il Dio dei Filistei era Dogon (????) [caratteri ebraici], forse unico ma ittiforme. Però, presso quel popolo, un richiamo alla gemellarità, l'abbiamo e con la stessa struttura della Dokana nelle due colonne sulle quali s'incentra la drammatica fine della storia di Sansone (Gdc. 16.22-30). Su tutte queste coincidenze sarebbe utile intraprendere qualche studio specifico. Cfr. anche il ns. "La Scandinavia e l'Africa" nel n. 2 di Episteme (p.33).
5 Le immagini e le scritte acheropite sono quelle - in specie nel Cristianesimo orientale - reputate essere non opera dell'uomo ma miracolosamente prodottesi per volontà celeste.
6 1a ed. it. Il Santo Graal, Mondadori, 1982.
7 Pierre Plantard de Saint-Clair (il predicato è una fantasia del Sig. Plantard) sarebbe il sedicente, ultimo Gran Maestro del fantomatico Priorato di Sion.
8 Cfr. Jean Robin, Rennes-le-Château, la colline envoûtée, éd Trédaniel, 1982.
9 È la leggenda della sopravvivenza di Gesù, del suo matrimonio con la Maddalena e della loro avventurosa migrazione in Provenza. Da quest'unione sarebbero poi discesi i re Merovingi e da qui scaturirebbe l'indiscutibile sacralità della Prima Razza (dal V sec. alla metà dell'VIII), la cui insostituibile legittimità avrebbe reso usurpatori i sopravvenuti Pipinidi, Carolingi e Capetingi.
10 Le Promesse dell'Equinozio, memorie 1°, 1907 - 1937, Jaca Book, 1995; p. 76.
11 Tali "favolose" visioni del tema - che credo il Donnini utilizzi, al fondo, senza malizia - sono purtroppo caratteristiche della non innocente deformazione d'ogni prospettiva iniziatica operata da personaggi quali il noto giornalista Maurizio Blondet, sempre alla ricerca di qualcosa che possa mostrare un supposto lato satanico di questa dimensione del sacro. Tuttora, infatti, l'iniziazione massonica comporta un rito, che sottintende morte (alla vita profana) e resurrezione (alla vita nova).
12 È la ‹‹pietra›› dei Fedeli d'Amore: cfr. Luigi Valli, Il Liguaggio Segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore, Il Basilisco, Genova, 1988.
13 Dov'è, infatti, adesso, il rischio di un'eresia gnostica di massa? Eppure questi signori ne parlano con singolare, insistita frequenza.
14 È l'opera di Paolo della quale, ampiamente, scrive il Nostro.
15 La citazione è relativa ad una suggestiva espressione dello stesso Donnini.
16 Ibidem.
17 Su quest'argomento cfr. il ns. "Efficere
Deos" nel terzo numero di Episteme.
(BdAB)