La scienza come strumento ideologico
Il caso Galilei e la falsificazione della cosmologia tolemaica
(Umberto Bartocci - Laila Rossi)
1 - Esiste un capitolo assolutamente centrale per la comprensione dell'essenza della "modernità", ed è quello relativo alla storia della scienza, e della tecnica, che della prima va considerata, al tempo stesso, figlia e madre1. All'interno di esso, troviamo un argomento che deve essere a sua volta riguardato come uno dei fili conduttori fondamentali dello sviluppo del pensiero scientifico degli ultimi secoli2, al quale si fa generico riferimento con l'espressione: "rivoluzione copernicana". Non c'è dubbio infatti che sia proprio a partire dall'affermazione dell'ormai familiare (fin dalla prima educazione scolare) sistema eliocentrico che "viene infranta l'antica alleanza" (per usare l'espressione con cui Jacques Monod chiude quel manifesto della Weltanschauung positivista del XX secolo che è Il Caso e la Necessità); da essa che datano l'irruzione del profano, del pratico, del quantitativo, nel mondo della conoscenza, riducendo sempre di più lo spazio del sacro, del trascendente, del qualitativo. La dimostrazione che la Terra, e quindi l'essere umano, non occupano affatto un posto privilegiato - in un universo che viene concepito anche come smisuratamente (e di conseguenza pure "inutilmente"?!) ampio, "vuoto" più che "pieno" - sferra ovviamente un duro colpo ai "tradizionali" credi filosofico-religiosi, aprendo la strada a quello "smarrimento" concettuale e morale che domina ancora oggi la storia della civiltà occidentale, sotto l'incubo del "silenzio" e dell'estraneità della Natura. Non a caso il creatore della psicanalisi, Sigmund Freud, sostiene trattarsi, nel presente contesto, di una grande mortificazione che la scienza ha recato all'ingenuo amore dell'umanità per se stessa3, e gli fa eco il nostro Luigi Pirandello con il "Maledetto sia Copernico!", gridato a gran voce nelle prime pagine de Il fu Mattia Pascal:
"Io dico che quando la Terra non girava, e l'uomo, vestito da greco o da romano, vi faceva così bella figura e così altamente sentiva di sé e tanto si compiaceva della propria dignità, credo bene che potesse riuscire accetta una narrazione minuta e piena d'oziosi particolari [...] Siamo o non siamo su un'invisibile trottolina, cui fa da ferza un fil di sole, su un granellino di sabbia impazzito che gira e gira e gira, senza saper perché, senza pervenir mai a destino, come se ci provasse gusto a girar così, per farci sentire ora un po' più di caldo, ora un po' più di freddo, e per farci morire - spesso con la coscienza d'aver commesso una sequela di piccole sciocchezze - dopo cinquanta o sessanta giri? Copernico, Copernico, don Eligio mio, ha rovinato l'umanità, irrimediabilmente. Ormai noi tutti ci siamo poco a poco adattati alla nuova concezione dell'infinita nostra piccolezza, a considerarci anzi men che niente nell'Universo, con tutte le nostre belle scoperte e invenzioni; e che valore dunque volete che abbiano le notizie, non dico delle nostre miserie particolari, ma anche delle generali calamità? Storie di vermucci ormai, le nostre".
A tale particolare vicenda, soprattutto alle origini di questa rivoluzione concettuale, il primo dei due autori4 ha dedicato un recente studio5, in cui la questione viene ricollegata all'epopea delle grandi navigazioni portoghesi del XV secolo, sullo sfondo ideologico della "crisi templare", e delle manifeste tendenze non soltanto anti-cattoliche, bensì più in generale anti-cristiane, o addirittura scettico/atee, di quel periodo. E' nella stessa linea di pensiero che va collocato il presente articolo, che si propone di analizzare un momento paradigmatico degli eventi inerenti detta particolare storia, e dimostrare - forse un po' inaspettatamente - quanto poco contenuto oggettivo-sperimentale avessero alcune polemiche, passate nell'immaginario collettivo dei secoli successivi come un esempio della perenne titanica lotta tra le forze delle tenebre e della luce. Resterà poi compito del lettore valutare quanto certe "incongruenze" siano da ricondursi al normale ambito delle umane strutturali imperfezioni, o non debbano piuttosto classificarsi quali indizi a favore di un contesto interpretativo più ampio, e complesso - assai diverso, ovviamente, sia da quello proprio dello scientismo, avente come motivo conduttore una forma ingenua del "falsificazionismo" popperiano, sia da quello, assolutamente agli antipodi, proposto da tesi storiografiche alquanto "fantasiose", nelle quali si suppongono coinvolte, nel corso degli avvenimenti in oggetto, forze di natura trascendente il "semplice" livello del razionalmente comprensibile e del percepibile (seppure non "immediatamente")6.
2 - Non è possibile naturalmente sintetizzare in poche parole la storia dell'affermazione della concezione eliocentrica, che va almeno dal 1543, data della pubblicazione del De Revolutionibus Orbium Caelestium di Niccolò Copernico, al 1687, anno in cui uscì la prima edizione dei Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, di Isaac Newton - passando attraverso l'opera di personaggi quali Tycho Brahe, Johannes Kepler, Galileo Galilei, René Descartes, etc.. Del resto, ciascuno conosce le linee generali di tale avventura del pensiero: l'immagine di una Terra immobile, collocata al centro dell'universo, intorno alla quale orbitano tutti i corpi celesti (famiglia di cui, a rigore, la Terra non veniva considerata far parte), viene definitivamente sostituita da quella attuale, a causa, si afferma, e si sarebbe quindi indotti a credere, di una serie di osservazioni manifeste e indiscutibili.
Così si esprime in effetti Galileo7 a proposito della questione particolare che qui prenderemo in esame, vale a dire la variabilità della distanza dei pianeti dalla Terra prevista nei due sistemi: il primo, che denomineremo con lui tolemaico (o geocentrico) - seppure il termine, come vedremo, sia alquanto improprio; il secondo, ovviamente, copernicano (o eliocentrico)8. A una domanda di Simplicio, "Ma da che argumentate voi che non la Terra, ma il Sole, sia nel centro delle conversioni de' pianeti?", Salviati risponde:
"Concludesi da evidentissime, e perciò necessariamente concludenti, osservazioni: delle quali le più palpabili, per escluder la Terra da cotal centro e collocarvi il Sole, sono il ritrovarsi tutti i pianeti ora più vicini ed ora più lontani dalla Terra, con differenze tanto grandi, che, verbigrazia, Venere lontanissima si trova sei volte più remota da noi che quando ell'è vicinissima, e Marte si inalza quasi otto volte più in uno che nell'altro stato".
Poco più avanti, Salviati conferma tale opinione, sostenendo dapprima che:
"questo avvicinamento ed allontanamento importa tanto, che Marte vicino si vede ben 60 volte maggiore che quando è lontanissimo",
mentre di seguito, per ciò che riguarda Venere, afferma che:
"ella si mostri in un tempo quasi 40 volte maggiore che in altro tempo, cioè grandissima quando, sendo retrograda, va alla congiunzion vespertina del Sole, e piccolissima quando con movimento diretto va alla congiunzion mattutina".
Sarebbero questi secondo Galileo, dunque, dei dati sperimentali inattaccabili, da lui acquisiti con l'uso del cannocchiale, quello strumento che Copernico non poté utilizzare per vedere così brillantemente convalidate le sue teorie: "Oh Niccolò Copernico, qual gusto sarebbe stato il tuo nel veder con sì chiare esperienze confermata questa parte del tuo sistema!"9.
La verifica della circostanza che tale opinione fa ancora oggi parte di quanto viene assicurato per certo dalla "comunità scientifica", è fornita per esempio da uno studio abbastanza recente dedicato a "Galileo e la falsificazione della cosmologia tolemaica"10:
"Un'ulteriore conferma del sistema copernicano viene dalle osservazioni del disco di Marte che risulta al cannocchiale variare effettivamente la propria superficie apparente di circa 60 volte, come previsto da Copernico, e non di poche volte come previsto da Tolomeo. Anche in questo caso siamo di fronte ad una precisa falsificazione del sistema tolemaico! [...] si può ben dire che le dimensioni osservate al telescopio di Venere e di Marte costituivano un altro colpo mortale al sistema tolemaico".
Del resto, non è difficile, anche per i meno esperti in tale genere di cose, farsi un'idea della questione almeno nelle sue grandi linee: in un sistema copernicano "approssimato"11, in cui i pianeti ruotano intorno al Sole in orbite circolari, e ammettiamo pure con moto uniforme, può accadere che, diciamo la Terra e Marte, si trovino allineati dalla stessa parte rispetto al Sole (in congiunzione12), oppure da parti opposte, con il Sole nel mezzo (in opposizione), dal che deriva che a volte Marte sarà "vicino" alla Terra, e a volte "lontano". Al contrario, in uno geocentrico, nel quale le orbite siano concepite ancora pressoché circolari, la distanza di un pianeta dalla Terra sarebbe da considerarsi sostanzialmente costante, d'onde la fondata possibilità di una confutazione sperimentale di una teoria in favore dell'altra.
Per renderci conto della situazione, facciamo due calcoli davvero elementari. Assunta quale unità di misura la distanza (media) della Terra dal Sole (quella che si definisce oggi un'unità astronomica, UA, vale a dire circa 149.600.000 Km), risulterà che la misura del raggio dell'orbita terrestre è uguale a 1; dell'orbita marziana a 1.52 ; dell'orbita venusiana a 0.72 . Ne consegue che, in prima approssimazione, la distanza minima del pianeta rosso dalla Terra è 0.52 UA, mentre la massima è 2.52 ; gli analoghi valori per la "vagabonda stella d'Oriente" saranno invece rispettivamente 0.28 e 1.72 .
Questi numeri, desunti dalle stime oggi accettate per le distanze medie dei pianeti in questione dal Sole - e, come vedremo, le stesse che erano conosciute, con notevole approssimazione, sin dal tempo di Copernico - ci informano che il rapporto tra distanza massima e minima dalla Terra nel caso di Venere è uguale a 6.14 , laddove nel caso di Marte si ottiene solo un 4.84 . In realtà, le cose sono un po' più complicate di così, perché le orbite dei pianeti non sono esattamente circolari, e il Sole non si trova al centro di esse, fatto questo che ha le sue conseguenze osservative, di cui sia Tolomeo che Copernico erano bene al corrente, e tenevano nel giusto conto, modificando con opportuni accorgimenti lo schema ideale semplificato sopra descritto. Se l'eccentricità di Venere (vale a dire il rapporto tra lo scostamento del Sole dal centro dell'orbita e la distanza media del pianeta dal Sole) è soltanto di 7 millesimi, e quella della Terra di 16 centesimi, per quanto riguarda Marte si trova invece un valore di quasi 1 decimo, circostanza la quale fa sì che la distanza minima tra questo pianeta e la Terra non sia di 0.52 UA, bensì di 0.4 UA, e quella massima di 2.64 UA, anziché 2.52 13. Il rapporto 2.64:0.4 produce adesso il numero 6.6 , al posto di 4.84 , e ad esso ci riferiremo nel seguito come al valore più adeguato.
Perché sono importanti per noi i numeri citati? Beh, perché permettono di comprendere come variano davvero le dimensioni dei due astri, osservati dalla Terra. Basta notare che il diametro apparente14 di Marte sarà circa 6 volte e mezzo più grande quando il pianeta è vicino a noi rispetto a quando ci è lontano, sicché la superficie ancora apparente del suo disco, che come sappiamo è proporzionale al quadrato del diametro, varierà di circa 44 volte (6.62´ 6.62 = 43.82); mentre, per quanto riguarda Venere, questo rapporto sarà di circa 38 volte (6.14´ 6.14 = 37.73). Ne consegue che il riferimento galileiano al numero 6, e quindi al numero 40, risulta corretto per Venere, laddove appare invece alquanto esagerato quello al numero 8, e quindi al numero 60, per Marte. Se Galileo con il suo cannocchiale avesse veramente osservato una variazione della superficie apparente di Marte pari a 60 volte, avrebbe falsificato, e non già confermato, il sistema copernicano, almeno in ordine alle stime dell'astronomo polacco per la variazione della distanza del pianeta in parola dal Sole, e quindi dalla Terra. Si tratta in questo frangente di un'enfasi di troppo, dovuta al fatto che si ha a che fare con stime quantitative, sulle quali non era facile al tempo essere precisi. In effetti, il disco di Marte, senza la strumentazione opportuna, appare sempre comunque molto "piccolo", vale a dire quasi puntiforme, sia quando ci è vicino che quando ci è lontano, e per averne un'idea basta eseguire il seguente calcolo. Il diametro reale di Marte è di 6800 Km, pari a 0.54 volte quello della Terra. Se lo immaginiamo posto a una distanza di 59 milioni di Km (e cioè intorno alla situazione più favorevole), lo vedremmo sotto un angolo di soli 24 secondi d'arco, un valore assolutamente inapprezzabile a occhio nudo (il cui limite strutturale è di almeno un primo - ricordiamo che un primo è un sessantesimo di grado, mentre un secondo è, a sua volta, un sessantesimo di un primo). Con un cannocchiale capace per esempio di venti ingrandimenti (sembra che gli ultimi cannocchiali di Galileo potessero arrivare fino a trenta), questi diventerebbero circa 8 primi, e per far comprendere cosa ciò significhi in realtà forniamo qualche paragone comprensibile a tutti (sempre approssimando, ovviamente, ma a un livello che non dovrebbe alterare l'essenza delle cose). Un grado è l'angolo che viene compreso da 1 cm posto a 50 cm di distanza (si dice, lo spessore di un dito alla distanza di un braccio teso), mentre un millimetro, a cui possiamo fare riferimento con la classica espressione "una capocchia di spillo", si vede alla stessa distanza sotto un angolo di circa 7 primi. Nel caso in esame, quindi, Galileo avrebbe potuto vedere il disco di Marte più o meno come la detta capocchia di spillo. Se lo aveva visto in questo modo nel caso migliore, come può averlo osservato in quello peggiore? Per esagerare il rapporto che voleva valutare, sottostimando di conseguenza il denominatore, diciamo pure 4 secondi d'arco15, e quindi 80 visti al telescopio, poco più di un primo. Ciò in effetti riporterebbe all'incirca al valore 8 indicato nel Dialogo, ma ci sarebbe da chiedersi come si fa ad apprezzare veramente 1/8 (un ottavo) di capocchia di spillo a 50 cm di distanza - o se per questo anche 1/5, o 1/6, o 1/7 (tralasciando poi altri problemi tecnici, quali la capacità di risoluzione dell'immagine dovuta al diametro dell'obiettivo, etc.). Ma, soprattutto, con quali strumenti di misura a disposizione, e utilizzati in che modo? Galileo aveva forse oculari graduati al millimetro o al decimillimetro16? Numeratore e denominatore della frazione sono tanto piccoli che sembra difficile abbia potuto ottenere una stima quantitativa apprezzabile del loro rapporto senza apparecchiatura adeguata.
Altra questione sono ovviamente le variazioni effettive di luminosità (ovvero delle magnitudini apparenti) di questi due pianeti, le quali non sono però direttamente proporzionali ai numeri sopra riportati, e i cui rapporti risultano per di più assai minori di quelli precedentemente discussi - per motivi piuttosto complessi da spiegare, e comunque certamente ignoti al tempo di Galileo17. E' quindi presumibile che lo scienziato pisano, dall'osservazione di tali variazioni di magnitudine, non potesse risalire alle variazioni delle corrispondenti superficie apparenti di dianzi esaminate. Del resto, di siffatti cambiamenti erano, ovviamente!, del tutto al corrente anche gli antichi astronomi greci, come presto accerteremo, sicché la loro evidenziazione non avrebbe dovuto costituire in ogni caso una grande novità (ancorché la visione con il cannocchiale avrebbe certamente potuto metterli meglio in rilievo).
Si può pensare che Galileo abbia fatto ricorso a diversi espedienti, per esempio che abbia estrapolato i valori desiderati utilizzando soltanto alcune osservazioni (si vede in quanto tempo si ha una diminuzione del 50%, e poi si presume che sia di 1/4 in un tempo doppio, etc.), o che abbia asserito di aver visto qualcosa che era in realtà un risultato combinato di aspettative teoriche e di osservazioni reali (avendo in effetti a disposizione, come sarà subito chiaro, una teoria che comunque gli indicava a priori gli ordini di grandezza che erano in gioco), ma quello che ci interessa non è tanto approfondire la possibile esiguità sperimentale delle sue argomentazioni. Ciò che vogliamo nella presente occasione portare all'attenzione dei lettori di Episteme è ben altro, e riguarda precisamente l'espressione "poche volte" contenuta nel commento sopra riportato, a proposito delle analoghe previsioni effettuate all'interno del sistema tolemaico. Quando un cultore della scienza "moderna" resta nel vago su qualcosa su cui ci si aspetterebbe possa essere più preciso - come peraltro nel commento in esame accade invero in diversi altri punti - c'è da stare specialmente attenti: questa è una di quelle volte in cui tale norma di comportamento verrà felicemente ricompensata.
3 - Formuliamo esplicitamente il problema che ci proponiamo di discutere: qual è il numero di volte con il quale, secondo Tolomeo, variano le distanze rispettive di Venere e di Marte dalla Terra? E' vero che le relative osservazioni di Galileo, qualunque fosse il loro grado di accuratezza e di attendibilità, falsificavano il sistema tolemaico in favore del sistema copernicano?
La risposta a tali domande richiede una conoscenza dell'opera dell'antico astronomo alessandrino superiore a quella che è oggi abituale, dal momento che è ormai invalsa l'abitudine di considerarla poco più che un pezzo di antiquariato, da conservare sì con qualche rispetto nel museo della scienza, ma in fondo di scarsa attualità, proprio perché demolita dai "colpi mortali" precedentemente illustrati18.
Occorre innanzitutto sgombrare il terreno da un equivoco, tuttora diffuso presso i meno informati, vale a dire che nel sistema di Tolomeo le distanze dei pianeti dalla Terra fossero pressoché costanti19. In effetti, una concezione astronomica di questo tipo, geocentrica, con i pianeti fissati su sfere aventi per comune centro la Terra, era stata elaborata nel IV secolo A.C. da Eudosso, e poi ritoccata dal suo discepolo Callippo (ad essa si fa riferimento come alla teoria delle sfere omocentriche). Si tratta di un sistema evidentemente errato, dal punto di vista che stiamo qui esaminando, capace comunque, pare, di rendere conto anch'esso con buona approssimazione20 dello "strano" moto dei pianeti (termine che in greco significa appunto errabondo), secondo il punto di vista di un osservatore terrestre: questi corpi infatti a volte procedono in un senso, altre in quello contrario, talora infine sembrano addirittura restare fermi nella loro posizione per qualche tempo. Tale sistema fu adottato da Aristotele come fondamento della propria cosmologia, che prevedeva una serie di elementi del tipo: sfere di cristallo, incorruttibilità dei cieli, etc.21, i quali, ancora ben "vivi" al tempo di Galileo, costituiscono l'autentico oggetto della critica dello scienziato, ed escono, questi sì, demoliti da irreversibili colpi mortali nel corso della disputa scientifica di cui ci stiamo occupando. Non esiste nessuna "impalcatura" materiale che sostiene l'universo, nessuna musica di sfere di cristallo che ruotano, collocate secondo proporzioni armoniche; non c'è nessuna differenza tra il Sole e le altre stelle, allo stesso modo che non ce n'è tra la Terra, o la Luna, e gli altri pianeti, per lo più gelidi o torridi sassi inospitali; e se uno di tali oggetti dovesse modificare la sua traiettoria usuale portandosi in rotta di collisione con la Terra, allora non sarebbe per obbedienza agli imperscrutabili voleri di un Dio, bensì per cieca sottomissione a inesorabili "leggi" fisico-matematiche. Ma, per ciò che riguarda invece il punto di vista strettamente astronomico, proprio perché incapace di rendere conto delle evidenti variazioni delle distanze dei pianeti dalla Terra, messe in evidenza dai richiamati palesi aumenti e diminuzioni di luminosità, il sistema di Eudosso-Callippo era stato in verità presto abbandonato22, e l'astronomia greca (che la polemica di Galileo rischia di far sottovalutare ingiustamente - va oggi di moda enfatizzare i contributi di altre civiltà anche in questo campo, ma chi mai ha concepito sistemi rendenti conto di movimenti e distanze quali quelli che stiamo qui descrivendo? Altrove, ci si è limitati a questioni di misurazione del tempo, di calendario...) aveva cominciato a cercare delle alternative, pur mantenendo generalmente ferma l'ipotesi della staticità della Terra23. Tra queste, la teoria che contemplava l'introduzione di deferenti ed epicicli (la tradizione ne attribuisce il merito ad Apollonio di Perga, il grande matematico attivo ad Alessandria nella seconda metà del III secolo A.C.), che si può sinteticamente illustrare nel seguente modo. Un corpo celeste non si muove su un'orbita circolare, o quasi, intorno alla Terra, bensì su una circonferenza (epiciclo) il cui centro si muove a sua volta su un'altra (deferente), avente (quasi) come centro la Terra (e quel "quasi" fa sì che i deferenti vengano chiamati a volte eccentrici). Fa eccezione il Sole, per il quale non sono previsti epicicli. Un tale sistema era in grado di rendere conto non solo dello strano comportamento altalenante dei pianeti, ma anche del loro avvicinamento o allontanamento dalla Terra, e fu sempre più utilizzato per dare una descrizione matematica precisa, almeno quanto era a quei tempi possibile, della posizione dei corpi che popolavano il cielo. Il metodo in parola venne prescelto a fondamento della Sintassi Matematica (detta pure Grande Sintassi, o Almagesto in epoca medievale, seguendo una consuetudine di origine araba) da parte appunto di Tolomeo, nel II secolo D.C.: un'opera che, come gli Elementi di Euclide per la geometria, divenne, assai comprensibilmente, sinonimo di astronomia per oltre un millennio.
Ciò premesso, ci si può chiedere quale fosse la stima dei raggi dei deferenti (rd) e degli epicicli (re) contenuta nel libro di Tolomeo per i due pianeti in questione, visto che risulta, e ancora una volta in prima approssimazione24:
distanza minima dalla Terra (dmn) = raggio del deferente (rd) meno raggio dell'epiciclo (re) = rd - re ; distanza massima (dmx) =rd più re = rd + re .
I raggi degli epicicli sono invero sempre supposti da Tolomeo minori di quelli dei relativi deferenti (la scelta non è però obbligata!, vedi la Nota N. 32), ma vengono anche immaginati in generale, secondo la divulgazione scientifica corrente - che segue una moda come vedremo presto del tutto arbitraria - quali assai "piccoli" rispetto ai primi, quasi si trattasse di percentualmente modesti "correttivi", dello stesso ordine di grandezza degli "aggiustamenti" che pure continuava a introdurre, per i medesimi scopi, Copernico. E' tale circostanza che porta a ritenere che nel sistema dell'astronomo alessandrino l'entità prevista delle variazioni che stiamo indagando sia comunque insufficiente a rendere conto di quelle realmente verificantisi. Invece, in verità, e si resterà forse sorpresi nell'apprenderlo, nell'Almagesto non c'è alcuna stima dei parametri in oggetto! Tolomeo non è onestamente in grado di fornirne dei valori, e non si lancia pertanto in speculazioni azzardate. Calcola però con estrema accuratezza ciò che era alla sua portata, vale a dire i rapporti rd:re tra raggio del deferente e raggio dell'epiciclo per tutti i pianeti del sistema solare (oltre che per la Luna, che veniva allora ad essi apparentata). In altre parole, il sistema tolemaico è, dal punto di vista in discorso, un sistema indeterminato, a meno di un fattore di proporzionalità addirittura possibilmente diverso astro per astro (visto che essi non vengono mai tra loro correlati). Pertanto, siamo di fronte a una descrizione del cosmo non suscettibile di banali falsificazioni, o di ricevere "colpi mortali", e che comprende addirittura, come caso particolare, il sistema copernicano: sicché, se la più antica venisse falsificata, lo sarebbe anche la più moderna, ma ovviamente non viceversa25!
Diamo i rapporti in parola, a titolo di informazione, per tutti i pianeti, allo scopo di far notare la loro estrema precisione, confrontandoli con i dati attualmente accettati per le distanze (medie) dei pianeti dal Sole26:
Mercurio 0.38 60 ; 22.5
Venere 0.72 60 ; 43.16
Marte 1.52 60 ; 39.5
Giove 5.18 60 ; 11.5
Saturno 9.52 60 ; 6.5 .
Nella prima colonna della precedente tabella sono riportate le distanze dei pianeti dal Sole attualmente accettate (espresse in UA), nella seconda e nella terza i rispettivi dati tolemaici per raggio del deferente e raggio dell'epiciclo. Il tutto va interpretato nel seguente modo: se il raggio del deferente viene posto convenzionalmente uguale a 60, allora quello dell'epiciclo varrà, ad esempio nel caso di Mercurio, 22.5 parti di esso, e così via. Bene, notiamo allora che la prima colonna si ottiene con ottima approssimazione dalle ultime due semplicemente eseguendo i rapporti dei due numeri che si trovano alla fine di ciascuna riga, in un ordine o nell'altro a seconda che si tratti di pianeti interni o esterni: 22.5:60 = 0.37 (da confrontare con 0.38); 43.16:60 = 0.72 (versus 0.72); 60:39.5 = 1.52 (versus 1.52); 60:11.5 = 5.2 (versus 5.18); 60:6.5 = 9.2 (versus 9.52).
Il perché di tale coincidenza è facilmente spiegato alla luce di quanto abbiamo prima accennato: il sistema copernicano ammette una "lettura" in chiave tolemaica, quando si pongano uguali a 1 i raggi degli epicicli dei pianeti esterni, e uguali a 1 i raggi dei deferenti dei pianeti interni. Viceversa, sotto la sola ipotesi che i pianeti mantengano (mediamente) costante la loro distanza dal Sole - il che non è incompatibile con nessuna delle assunzioni del sistema tolemaico, anzi il contrario27 - si può tradurre il sistema tolemaico in uno copernicano28, ciò che appunto è legittimo a questo punto supporre fece, poggiandosi in modo fondamentale sull'antico testo, l'astronomo polacco29.
Torniamo adesso alla nostra primitiva domanda: se Tolomeo nella sua grande opera non dà alcuna informazione sui valori assoluti delle distanze, è comunque possibile dire se prevedeva "poco", o "molto", per la variazione di quelle che ci interessano? Certo che è possibile, se si riguardano però soltanto quei rapporti tra distanza massima e minima precedentemente calcolati rispettivamente per Venere e per Marte. E ciò perché, se è vero che nel sistema tolemaico non si conoscono né raggio del deferente né raggio dell'epiciclo (per nessun pianeta: fanno eccezione, come avremo modo di vedere in seguito, la Luna e il Sole), pure dalle identità precedenti si ottiene evidentemente che:
dmx:dmn = (rd+re):(rd-re) = [(1+(re:rd)]:[(1-(re:rd)],
ovvero, che il rapporto cercato è perfettamente determinabile noto che sia il rapporto re:rd - e quest'ultimo, come abbiamo visto, è individuato da Tolomeo in modo incredibilmente (in relazione all'apprezzamento corrente che si ha della sua opera) corrispondente al reale.
C'è adesso bisogno di fare davvero i calcoli fino in fondo, dopo quelli che abbiamo già precedentemente effettuato, per persuaderci che il rapporto dmx:dmn nel caso del pianeta Venere è, secondo Tolomeo, precisamente uguale al precedente 6.14 , e che il numero in parola vale, nel caso di Marte, esattamente 4.84 30? Cioè, che tanto nel sistema tolemaico quanto in quello copernicano le previsioni per i valori in discorso risultano, in prima approssimazione, esattamente le stesse, e quindi sostanzialmente identiche le aspettative di variazione delle superficie apparenti di tali pianeti nei due sistemi a confronto?!
4 - La presente discussione non ci sembrerebbe completa se non informassimo il lettore di un'altra poco nota circostanza. Infatti, anche se, come abbiamo detto, non c'è alcuna possibilità di determinare, sia pure in misura approssimativa, i valori dei raggi dei deferenti e degli epicicli (per ogni singolo pianeta) all'interno dell'Almagesto, nondimeno una stima di tali valori era in realtà ben corrente nel Medioevo. E questo per via di una curiosa tradizione evidentemente affermatasi nella cultura greca a un certo punto della sua storia, e poi dalla prima filtrata nell'astronomia araba, da cui si riversò successivamente di nuovo in Occidente31 - sicché ad essa potrebbe avere verosimilmente fatto riferimento Galileo, il quale comunque, tutto infervorato nella sua opera di "propaganda" ideologica, non la esamina così accuratamente come avrebbe viceversa onestamente dovuto/potuto32. Di tale concezione ci informa Proclo di Costantinopoli (VI secolo D.C.), nelle sue Hypotyposes, e consiste sostanzialmente nel presupposto che nel cosmo non esistano spazi vuoti. La detta assunzione si concretizza, nel caso che ci sta a cuore, con l'ipotesi che la sfera che costituisce l'epiciclo di Mercurio sia tangente a quella della Luna (ovvero, la distanza minima di Mercurio dalla Terra viene ipotizzata uguale a quella massima della Luna dalla Terra), e così via di seguito: la sfera di Venere è immaginata tangente a quella di Mercurio33, etc.. Si tratta ovviamente di una speculazione del tutto arbitraria34, che non ha alcun fondamento osservativo, ed è solo da pochi decenni che Bernard Goldstein35 ha potuto rintracciare l'origine di quest'opinione, diffusa come dicevamo nel mondo arabo e in quello medievale cristiano. Saremmo in effetti di fronte a una teoria che proviene ancora da un'opera di Tolomeo, le cosiddette Ipotesi dei pianeti, nella cui seconda parte del Libro I, a noi non pervenuta, si sarebbe trovato esposto il modello in questione. Questo, sopravvissuto in codici ebrei e arabi, avrebbe dato origine a uno schema quantitativo abbastanza irreale, ma comunque capace di soddisfare la sete di certe conoscenze. Ciò premesso, l'unico riferimento che si possa fare in quanto a previsioni numeriche assolute è all'interno di tale sistema, o delle modificazioni che ne fecero astronomi arabi come il già citato (Nota N. 31) al-Farghani, o il suo contemporaneo al-Battani (latinizzato in Albatenio).
Vediamo dunque in dettaglio, ancorché del tutto elementare, cosa esso è capace di dirci in ordine alla nostra questione. Senza attardarci troppo in notazioni storico-filologiche36, informiamo subito che secondo Tolomeo la distanza massima della Luna dalla Terra vale 64 r.t. (valore arrotondato, come faremo d'ora in poi)37, dove la sigla r.t. significa "raggi terrestri", un'unità di misura molto utilizzata in siffatti problemi nel mondo antico, e per il resto anche da Copernico (per esempio Libro IV, Capp. XVII e XIX), sicché 64 = dmn di Mercurio dalla Terra = raggio del deferente meno il raggio dell'epiciclo di Mercurio. Poiché conosciamo il rapporto di queste due quantità, ecco che possiamo determinare in modo univoco tali parametri altrimenti sconosciuti, e un calcolo immediato fornisce (tutti i valori sono d'ora in poi da intendersi espressi in r.t.):
raggio del deferente di Mercurio = 102,
raggio dell'epiciclo di Mercurio = 38,
dmn di Mercurio = 64 = 102-38, dmx di Mercurio = 102+38 = 64+2´ 38 = 140 (in realtà, tenuto conto dell'eccentricità, 166 38).
Partendo da qui, e procedendo in maniera analoga per Venere, si trova:
raggio del deferente di Venere = 593,
raggio dell'epiciclo di Venere = 427,
dmn di Venere = 166, dmx di Venere = 1020 (tenuto conto dell'eccentricità, 1079);
e così via proseguendo:
raggio del deferente del Sole = 1160 (anziché i precedenti 1079, sempre a causa dell'eccentricità),
(raggio dell'epiciclo del Sole = 0)
dmn del Sole = 1160, dmx del Sole = 1160 (ancora per l'eccentricità, 1260 39);
raggio del deferente di Marte = 3683,
raggio dell'epiciclo di Marte = 2423,
dmn di Marte = 1260, dmx di Marte = 6106 (a ragione della sensibile eccentricità di questo pianeta, 8820).
Dalla precedente "arida" tabella di numeri, sulla quale abbiamo dovuto di necessità dilungarci, si trae (abbastanza naturalmente nel caso di Venere, poiché i rapporti rd:re non sono mutati, mentre nel caso di Marte risultano decisive le correzioni dovute all'eccentricità) che i due valori oggetto della nostra particolare attenzione sono rispettivamente quasi uguali a quelli dianzi stimati quali veri: 1079:166 = 6.5 (nel caso di Venere); 8820:1260 = 7 (nel caso di Marte). Ciò riconferma che all'interno del sistema tolemaico - seppure del Tolomeo delle Ipotesi sui pianeti, e non del Tolomeo dell'Almagesto - la variazione prevista per le distanze in parola, non solo non è "piccola" rispetto a quella teorizzata dal sistema copernicano, ma è addirittura ad essa quasi identica (questa volta eccentricità comprese anche nel sistema copernicano)!
Concludiamo il paragrafo fornendo, per completezza, stime degli analoghi valori assoluti secondo Copernico (per il quale resteranno fermi ovviamente i rapporti "veri" precedentemente riportati), dal momento che il lettore potrebbe pensare che, nel caso di distanze significativamente diverse come ordine assoluto di grandezza, le cose potrebbero poi nella pratica osservativa mutare di molto (nel medesimo modo che è stato detto per le misure angolari di Marte, sempre troppo piccole per poter essere facilmente apprezzate). In effetti, il valore determinato da Tolomeo per l'unità astronomica - vale a dire una distanza Terra-Sole uguale a 1210 r.t. (in media), corrispondenti quindi a 1210´ 6305 Km, ovvero a circa 7.630.000 Km - costituisce una grossolana sottovalutazione del dato reale, addirittura di circa 20 volte. Si potrebbe credere allora che da questa "pècca" il sistema copernicano, e lo stesso Galileo, fossero immuni, ma, senza voler ripetere tutta la procedura di prima, complicata anche adesso dalla presenza delle eccentricità, limitiamoci ad informare di quella che è la valutazione copernicana dell'unità astronomica (Libro IV, Cap. XIX): soli 1142 r.t. (minima 1105, massima 1179), un valore che è appena leggermente diverso dalla stima accettata da Tolomeo, e pertanto ancora errato di circa 20 volte.
Nella sottovalutazione in oggetto Copernico e Tolomeo sono dunque compagni d'errore nello stesso identico modo40, e se andiamo a calcolare le distanze assolute dei pianeti nel sistema copernicano, espresse come prima in r.t., e tenuto conto delle eccentricità, si trovano, nei due casi che ci interessano, circa i seguenti valori41:
dmn di Venere dalla Terra = 304 ; dmx = 1946 ;
dmn di Marte dalla Terra = 464 ; dmx = 3007 ;
dai quali si trae ovviamente, ancora una volta, 1946:304 = 6.40 (al quadrato, 41), 3007:464 = 6.48 (al quadrato, 42), che sono da confrontarsi, ricordiamolo, rispettivamente con i valori tolemaici 1079:166 = 6.5 ; 8820:1260 = 7 42.
Per quanto riguarda le parallassi, tali forti sottovalutazioni darebbero conseguenze non indifferenti in ordine alle misure angolari che ci stanno a cuore. Ad esempio nel caso di Marte, quando si trova vicino alla Terra, si dovrebbe osservare, secondo le tavole tolemaiche riportate nel paragrafo precedente - e fermo restando il vero dato del diametro, ovviamente al tempo però sconosciuto - un angolo di 2 primi e 55 secondi d'arco, e, quando il pianeta è lontano, di 25 secondi d'arco, valori entrambi molto distanti da quelli effettivi - si noti che risulta sempre, come deve, 175:25 = 7 . Con le stime copernicane, invece, per Marte si dovrebbe evidenziare nella prima circostanza un angolo addirittura di 7 primi e 55.6 secondi d'arco; nella seconda di 73 secondi, valori questi non soltanto incommensurabilmente lontani dai reali, ma perfino meno vicini alla verità dei corrispondenti tolemaici - ripetiamo che, in ogni caso, risulta 475.6:73 = 6.5 . Se ne trae che, forse paradossalmente, proprio il cosmo di Copernico è un po' più ristretto di questo particolare schema tolemaico. Si comprende bene che, comunque, in entrambi i "modelli" rimaniamo pressappoco sullo stesso piano: molto lontani in entrambi dai veri valori assoluti, e molto vicini a quelli relativi, e quindi di fronte a sistemi capaci di spiegare tutti e due in maniera adeguata alcuni43 fenomeni osservabili.
5 - In conclusione, è forse opportuno accennare esplicitamente a quale possa essere una morale del precedente discorso. Un "onesto", scientifico raffronto tra la teoria esposta nell'Almagesto e quella nel trattato di Copernico, mostra che non c'è grande differenza tra le due44, sicché bisogna ammettere che ci si trova in presenza di un conflitto che deve dirsi prevalentemente di natura ideologica, coinvolgente non solo la posizione epistemologica propria di Galileo (vedi Nota N. 6), ma anche la lotta contro il potere temporale della Chiesa di Roma. In effetti, a differenza del più "politicizzato" Galileo (che sa bene come le sue argomentazioni servano soprattutto la "causa protestante", ed è molto lontano dall'essere quel "buon cattolico" che taluni autori vogliono descrivere45), l'astronomo polacco/tedesco non spinge mai le sue argomentazioni fino al punto da rompere esplicitamente e definitivamente con la tradizione classica e medievale - tanto da essere considerato per questo da molti commentatori ancora un uomo del Medioevo in quanto a struttura mentale, e pertanto, secondo un punto di vista "moderno", inaccettabile. Fu per esempio già rimproverato da Giordano Bruno per "non aver sfruttato fino in fondo la carica rivoluzionaria" della concezione generale espressa dal cardinale di Santa Romana Chiesa Nicola Cusano46. Invero, il cosmo di Copernico può assomigliare ancora, nell'ottica di chi non è capace di accorgersi di certi "dettagli", di certi valori simbolici, a quello di Tolomeo, e della scienza antica, poiché, se si prescinde da ciò che può essere considerato soltanto un trascurabile cambiamento di centro, il tutto resta sempre, almeno formalmente, incastonato all'interno della "confortante" sfera delle "stelle fisse". Bisogna riconoscere, d'altro canto, che non appare agevole immaginare un sistema di tipo tolemaico che soddisfi tante diverse esigenze, quali, tanto per dire, essere coerente con i fenomeni osservabili e contemplare la possibilità di un'impalcatura solida e mobile che sostenga l'universo e garantisca la trasmissione del moto. In tal senso, il progresso della scienza ha certamente costretto a doverose rinunce, o, meglio, a soluzioni troppo semplici di questioni aventi una matrice anche di tipo metafisico/spirituale, un aspetto questo via via sempre più ignorato.
Due parole da ultimo sul nominato Nicholas Krebs, nativo della tedesca Cues, e perciò detto il Cusano (il "divino Cusano", ancora secondo Bruno). Eccoci di fronte a un personaggio molto interessante, il cui ruolo nelle origini della scienza moderna è ben noto, ma forse non adeguatamente apprezzato, precursore quale egli fu della necessità di matematizzazione della scienza ("Nihil certi habemus in nostra scientia nisi nostram mathematicam", opina il Cusano, e gli fa eco Copernico con il suo famoso: "Mathemata mathematicis scribuntur"47), e anticipatore, nella sua opera De docta ignorantia (1440, ma stampata per la prima volta soltanto nel 1488), di tutte le caratteristiche peculiari della cosmologia moderna.
E' ovvio che, procedendo per la via delineata, si comincerebbe a entrare
nel vivo di una questione che appare ancora oggi per tanti versi non troppo
ben chiarita, e che i presenti autori propendono piuttosto per un'azione
di Copernico politicamente meditata, commisurata ai tempi, anziché
per un suo reale attaccamento al "mondo antico". Ma è venuto ormai
il momento di congedarsi, esprimendo l'auspicio che la tesi di fondo che
questo articolo voleva sostenere sia stata esaurientemente illustrata,
anche se, il lettore lo comprenderà appieno, assai più avrebbe
potuto essere detto; non solo, ma quello che è stato detto avrebbe
potuto essere espresso con maggiore rigore, che ci sembra in nulla
avrebbe però modificato il senso generale del discorso a
cui il tipo di analisi adottato voleva contribuire. Non è certo
la differenza di pochi decimali un elemento capace di alterare il quadro
complessivo che si è venuto fin qui delineando...
Appendice
Sulla possibile determinazione dei periodi di rivoluzione dei pianeti del sistema solare a partire dall'opera di Tolomeo
Val forse la pena di integrare quanto dianzi esposto fornendo un altro importante elemento a sostegno della tesi che il sistema tolemaico non fosse così "errato" come pretendeva Galileo (almeno dal punto di vista della pura descrizione cinematica, l'unica peraltro che fosse al tempo oggetto di discussione), e che non era troppo difficile passare da questo a quello copernicano, e viceversa, oppure correggere adeguatamente il primo a seguito di nuove sopravvenute scoperte (vedi per esempio le Note NN. 28, 43). Si tratta della questione dei periodi di rivoluzione dei pianeti intorno al Sole, che risultano tutti perfettamente desumibili dai dati tolemaici.
Nel trattato di Copernico, più precisamente nella figura rappresentante il nuovo sistema che compare nel Libro I (alla pag. 213 dell'edizione citata), troviamo i seguenti valori, naturalmente approssimati:
Mercurio 80 giorni (0.22 anni)
Venere 9 mesi (0.75 anni)
Marte 2 anni
Giove 12 anni
Saturno 30 anni
I valori attualmente riconosciuti corretti (contenuti in ogni enciclopedia), ai quali faremo riferimento nel seguito, sono:
Mercurio 88 giorni (0.24 anni)
Venere 224 giorni (0.613 anni)
Marte 687 giorni (1.88 anni)
Giove 11.315 anni
Saturno 29.167 anni
In Tolomeo troviamo i seguenti valori:
Mercurio 145 46 46
Venere 5 8 8
Marte 37 42 79
Giove 65 6 71
Saturno 57 2 59
I numeri elencati nella precedente tabella vanno interpretati nel seguente modo. In 46 anni solari, valore riportato in III colonna, Mercurio compie per esempio 145 rivoluzioni sull'epiciclo (o "in anomalia"), laddove il centro dell'epiciclo ne compie 46 sul deferente (rivoluzioni "in longitudine"), e così via. Si noti che per i tre pianeti esterni il dato nella terza colonna si ottiene dalla somma dei primi due, mentre per i due pianeti interni esso coincide con quello della seconda colonna. Ciò dimostra viepiù che nell'Almagesto i moti di tutti i pianeti sono collegati chiaramente a quello del Sole.
Si eseguano adesso le seguenti operazioni, e si confrontino poi i risultati con i dati della tabella dei periodi di rivoluzione dei pianeti.
Mercurio
46:(145+46) [dato in III colonna diviso somma dei dati nelle prime due] = 0.24 (da confrontarsi con 0.24)
Venere
8:(8+5) = 8:13 = 0.615
(da confrontarsi con 0.613)
Marte
(37+42):42 [per i pianeti esterni, bisogna prendere la somma dei dati delle prime due colonne, che è poi il dato riportato nella III, e dividerla per il valore riportato nella II] = 79:42 = 1.88 (da confrontarsi con 1.88)
Giove
(65+6):6 = 71:6 = 11.83
(da confrontarsi con 11.315)
Saturno
(57+2):2 = 29.5
(da confrontarsi con 29.167).
Ancora una volta, ogni commento è superfluo...
Nota: Come ben risaputo, dal punto di vista geocentrico, è conveniente introdurre, per ogni pianeta, un periodo sinodico, diciamolo N, contrapposto all'ordinario periodo orbitale P, del quale ci siamo fino a qui occupati. La relazione tra i due periodi è data, per i pianeti esterni, dall'identità:
(1) 1/P = 1 - 1/N
mentre, per quelli interni, sussiste la:
(2) 1/P = 1 + 1/N .
L'accordo tra periodi sinodici e dati forniti da Tolomeo è ovviamente ancora ottimo. Se diciamo, per ogni pianeta, v1, v2, v3 i parametri che gli corrispondono rispettivamente nelle tre colonne della precedente tabella, risulta per esempio, per un pianeta esterno:
(3) N = v3/v1 , mentre, come abbiamo visto P = v3/v2 .
Per i pianeti interni, si ha invece:
(4) N = v2/v1 , P = v3/(v1 + v2) .
Nel primo caso, dalla (3) si deduce esattamente la (1), dal momento che risulta
v3 = v1 + v2 :
1/P + 1/N = v2/v3 + v1/v3 = (v1 + v2)/v3 = 1 ;
mentre nel secondo, dalla (4) si deduce la (2) in virtù della v3 = v2 :
1/P - 1/N = (v1 + v2)/v3 - v1/v2
= (v1 + v2)/v2 - v1/v2
= v2/v2 = 1 !
Note
1 Vedi per esempio M. Heidegger, "La questione della tecnica" (in Saggi e discorsi, a cura di G. Vattimo, Ed. Mursia, Milano, 1976), e il commento che se ne fa nel II capitolo di U. Bartocci, America: una rotta templare - Un'ipotesi sul ruolo delle società segrete nelle origini della scienza moderna, dalla scoperta dell'America alla Rivoluzione copernicana (Ed. Della Lisca, Milano, 1995).
2 Anche perché è in relazione ad essa che si sviluppano la "nuova" fisica e la "nuova" matematica. Per quanto riguarda la prima, il sistema del mondo che si afferma dal Rinascimento in poi, eliminando il "primo mobile" e l'"impalcatura" costituita dalle aristoteliche "sfere di cristallo", si trova di fronte alla ineludibili domande: qual è l'origine del movimento? perché i corpi celesti si tengono su senza "cadere"? (vedi anche la Nota N. 21). Per non dire di quella ancora più fondamentale: come mai l'asserito movimento della Terra non si avverte da parte degli uomini che ci stanno sopra? (le "risposte" sono costituite rispettivamente dal "principio d'inerzia", dalla teoria della gravitazione universale, e dal "principio di relatività", che guideranno tutti i successivi sviluppi della meccanica). Per ciò che concerne invece la matematica, è ben noto che la nascita del calcolo infinitesimale può ascriversi ai tentativi di trovare risposta alle suddette domande, mentre le radici della geometria analitica possono essere rintracciate negli studi di geografia terrestre naturalmente collaterali al progetto portoghese di esplorazione del globo (latitudine e longitudine).
3 Introduzione alla psicanalisi, Prima e seconda serie di lezioni, 1915-17; Ed. Boringhieri, Torino, 1978, p. 258.
4 Che è professore ordinario di Geometria presso la Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali dell'Università degli Studi di Perugia, e docente di Storia delle Matematiche. Il secondo autore ha elaborato con il primo la propria tesi di laurea, dal titolo "La matematica come astronomia: dal sistema tolemaico al sistema copernicano", presso il detto Ateneo, nel 1996. Il più vecchio desidera ringraziare vivamente: il Dott. Giuliano Bruni, per avergli permesso di vagare, nel corso di amichevoli stimolanti conversazioni, in spazi del pensiero a lui in precedenza sconosciuti; il Prof. Giancarlo Cavalleri, dell'Università Cattolica di Brescia, che gli ha spiegato come emendarsi di diversi errori concettuali che, in assoluta buona fede, continuava a diffondere attraverso il suo insegnamento.
5 Loc. cit. nella Nota N. 1. Un ampio sunto di questa ricerca, riveduta e aggiornata con alcune informazioni successivamente acquisite, costituisce il primo capitolo ("Alle origini della costruzione dell'immagine scientifica del mondo: un problema storiografico") del volume: La costruzione dell'immagine scientifica del mondo - Mutamenti nella concezione dell'uomo e del cosmo dalla scoperta dell'America alla Meccanica quantistica (a cura di M. Mamone Capria, Ed. Città del Sole, Napoli, 1998), mentre una sua versione sintetica ("Une utopie scientifique à la découverte d'un Nouveau Monde") è comparsa in Politica Hermetica (L'Age d'Homme, Paris, N. 12, 1998), numero speciale dedicato a: Les contrées secrètes.
6 Come dire che, per esempio, ci si vuol mantenere ugualmente distanti sia dalle interpretazioni apocalittico-messianiche di certo pensiero cattolico/cristiano integralista, sia da quelle che si rifanno a una pretesa ultima fase di "dissoluzione" della storia dell'umanità, conformememente agli insegnamenti "trasmessi" da una fantomatica "tradizione primordiale". Entrambe queste posizioni hanno a comune un rifiuto del "metodo scientifico" in quanto tale, del "razionalismo cartesiano" che ha felicemente portato, almeno in taluni ambienti, alla distruzione delle "assurde chimere con cui da duemila anni si riempivano le menti dei giovani" (per usare un'espressione di Voltaire riferita proprio alla filosofia di Cartesio: Lettere inglesi, scritte tra il 1727 e il 1733; Boringhieri, Torino, 1958). Trattandosi nel presente articolo in modo particolare di Galileo, val forse la pena di aggiungere che si può stabilire un naturale "parallelismo" tra il detto razionalismo e l'epistemologia galileiana, quale espressa nella famosa lettera a Cristina di Lorena (1615): "Ma che quell'istesso Dio che ci ha dotati di sensi, di discorso e d'intelletto, abbia voluto, posponendo l'uso di questi, darci con altro mezo le notizie che per quelli possiamo conseguire, si' che anco in quelle conclusioni naturali, che o dalle sensate esperienze o dalle necessarie dimostrazioni ci vengono esposte innanzi a gli occhi e all'intelletto, doviamo negare il senso e la ragione, non credo che sia necessario il crederlo".
7 Nel suo celebre Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano (1632), Dialogo III, 349-351.
8 Anche se, per la verità, il sistema tolemaico non è del tutto geocentrico, come presto vedremo, allo stesso modo che quello copernicano non è del tutto eliocentrico (e sarebbero allora preferibili, nei due casi rispettivamente, gli appellativi geostatico ed eliostatico).
9 Loc. cit. nella Nota N. 7, 367.
10 F. Selleri, in Scritti di Storia della Scienza, a cura di A. Ballio e L. Paoloni, Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Roma, 1990, pp. 37-52.
11 "Approssimati" sia il sistema copernicano che quello tolemaico, quando si prescinda da accorgimenti particolari come eccentrici, equanti, etc., con cui si teneva conto di quanto oggi viene espresso dalle leggi di Keplero, secondo le quali le traiettorie dei pianeti intorno al Sole non sono circonferenze ma ellissi, con il Sole situato in uno dei relativi fuochi, e i moti dei pianeti non hanno velocità (in modulo) costante, ma hanno costante la sola velocità areolare (come dire che, in tempi uguali, il segmento che va dal pianeta al Sole descrive aree uguali).
12 Come preferiremo allora dire, anche se bisognerebbe specificare che si tratta di una congiunzione eliocentrica, dal momento che è invalso invece l'uso di parlare in questo caso di opposizione, con riferimento al fatto che nella configurazione in parola il Sole e il pianeta risultano in opposizione rispetto alla Terra.
13 L'elevata eccentricità dell'orbita di Marte, e una sfasatura tra gli assi maggiori delle relative orbite, fa sì che in realtà, a volte, in media una ogni sette, la congiunzione dei due pianeti al perielio porti la distanza relativa a soli 56 milioni di Km, ovvero a 0.37 UA. Noi converremo sempre qui, però, per le stime che ci interessano, di calcolare la distanza minima (media) come differenza tra le distanze minime dei pianeti dal Sole (congiunzione perielica), e la distanza massima (media) come somma di una distanza massima più una distanza minima (assumendo che la configurazione in parola si verifichi appunto quando la Terra si trova al perielio e Marte dalla parte opposta all'afelio).
14 Ci si riferisce per queste grandezze a misure angolari, vale a dire a misure dell'angolo (parallasse) sotto il quale un osservatore terrestre "vede" il diametro del pianeta. Il rapporto tra il raggio del pianeta e la sua distanza dà evidentemente la tangente trigonometrica della metà dell'angolo in questione, che si può ottenere quindi come doppio della funzione arcotangente di quel rapporto. Ne consegue che, per valori abbastanza prossimi allo zero (ovvero, "grandi" distanze rispetto a "piccoli" diametri), i rapporti tra gli angoli coincidono con buona approssimazione con i rapporti tra le distanze, come avremo modo nel seguito di constatare in qualche caso particolare.
15 In un'attuale enciclopedia potremmo trovare per esempio 25 secondi d'arco contro 5 (Dizionario Enciclopedico Treccani), che danno un rapporto pari a 5, in altre 25 secondi contro 3,5 (E.S.T., Ed. Mondadori), che darebbero un netto 7, un valore invero abbastanza vicino all'8 di Galileo, anche se 7 al quadrato dà comunque al massimo una stima di 50 volte di variazione per la superficie apparente di Marte, e non 60.
16 Secondo Stillman Drake e Charles T. Kowal ("L'osservazione di Nettuno fatta da Galileo", Le Scienze, N. 150, febbraio 1981; vedi anche Galileo messaggero delle stelle, Electa/Gallimard, 1992, pp. 138 e segg.): "In che modo Galileo riuscì a compiere misurazioni di piccoli angoli le quali sono utili ancor oggi? Il suo metodo di usare il telescopio come strumento di misurazione è rimasto in gran parte sconosciuto ... di solito si suppone che misurazioni astronomiche esatte siano cominciate solo col micrometro a filo, che fu perfezionato dopo la morte di Galileo. Nessun micrometro del genere avrebbe potuto essere utilizzato col telescopio di Galileo ... Galileo fu nondimeno in grado di sviluppare una sorta di strumento micrometrico che funzionava abbastanza bene col suo telescopio ... 'uno strumento per prendere gli intervalli e distanze esquisiti, non che lo strumento sia fatto ancora con molta precisione'". Possiamo aggiungere a queste parole che viene ascritto al bolognese Cornelio Malvasia (1603-1664) - un nobile appassionato che si adoperò per far nominare il Cassini (vedi la Nota N. 40) professore di astronomia presso l'Ateneo petroniano nel 1650 - il merito di aver ideato il reticolo (1622), uno "strumento che, posto nell'oculare del telescopio, permette[va] di ottenere misure astronomiche più precise che in passato" ("In viaggio tra le stelle - Da Galileo a Galileo", La Stampa, Tuttoscienze, 1998). Restano quindi numerosi fondati dubbi sulla "precisione" delle osservazioni di Galileo, e la reale origine di certi "dati" da lui divulgati.
17 Per i quali vedi ad esempio F. Selleri, loc. cit. nella Nota N. 10. Si tratta in sostanza del fatto che l'occhio umano interpreta i flussi luminosi con una scala logaritmica, sicché una variazione di 6 volte nelle dimensioni geometriche produce in effetti solo un rapporto 2 quanto a corrispondente variazione di luminosità. E' curioso a questo proposito osservare che Andrea Osiander, nella sua premessa alla prima edizione dell'opera di Copernico, segnala che la scarsezza di tali variazioni rispetto alle previsioni della teoria appare come uno dei punti deboli dell'ipotesi eliocentrica (senza rendersi conto, apparentemente, del fatto che lo sarebbe anche per il sistema tolemaico, secondo quanto qui in seguito argomenteremo).
18 Un giudizio questo che una lunga serie di motivi fanno ritenere ai presenti autori condiviso anche da Galileo, tanto che si sarebbe quasi indotti a pensare che il pisano non conoscesse l'opera di Tolomeo se non superficialmente, oppure soltanto attraverso fonti di seconda mano (come il compendio piuttosto elementare di Giovanni di Sacrobosco, De Sphaera, del XIII secolo, a sua volta debitore di analoghe opere arabe), se non avesse scritto nel 1597, a fini didattici (quando era già da diverso tempo un "copernicano"), un Trattato della sfera, ovvero cosmografia, in cui esponeva il sistema geocentrico. A proposito di "colpi mortali", c'è da dire che Galileo non si limitava (almeno nel Dialogo...) all'argomento delle distanze: parla pure delle fasi di Venere (vedi le Note NN. 27, 43), delle macchie solari, e delle maree, elementi a favore del sistema copernicano tutti discutibili.
19 E, in effetti, nel luogo citato Salviati afferma: "Vedete intanto se Aristotele s'ingannò di qualche poco in creder che e' fussero sempre egualmente remoti da noi", come a dire che quella che viene falsificata è semmai la cosmologia aristotelica, e non già la tolemaica che dà il titolo al libro di Galileo (e al saggio del Prof. Selleri) - sulla questione vedi anche la Nota N. 22.
20 Vedi il commento che ne fa l'ottima Storia dell'astronomia da Talete a Keplero, di J.L. Dreyer (1906; prima edizione italiana: Ed. Feltrinelli, Milano, 1970).
21 Tutti elementi che avevano comunque una loro ben precisa motivazione logica, dovendosi pur tentare una spiegazione di cosa mantenesse i vari corpi su nel cielo senza che cadessero sulla Terra, e quale fosse la causa del loro movimento (vedi anche la Nota N. 2). Nella concezione aristotelica, il cosmo è una sorta di grande impalcatura solida, in cui il movimento si propaga dall'ultimo cielo (in esso sono incastonate le stelle, cosiddette fisse perché non mutano le loro relative distanze, e quindi configurazioni relative, ma ruotano come tutto il resto del cielo in quanto insieme collettivo - che è detto infatti uni-versum) via via a tutti gli altri. Si noti, comunque, che di sfere di cristallo non c'è proprio traccia, né nell'Almagesto, né tanto meno nel De Revolutionibus….
22 E probabilmente già dalla generazione successiva a quella di Aristotele. Per quanto riguarda il grande filosofo, e l'argomento qui oggetto di discussione, Simplicio (VI secolo D.C.), nel suo commento al De caelo, sostiene che lo stesso Aristotele "non era del tutto soddisfatto delle ipotesi con cui gli astronomi cercavano di render conto delle variazioni di luminosità", tanto da avere inserito tale questione in uno dei suoi Problemi fisici andati purtroppo perduti (cfr. J.L. Dreyer, loc. cit. nella Nota N. 20, p. 129).
23 E' un fatto abbastanza sorprendente che, nonostante ciò che viene oggi comunemente ritenuto, l'ipotesi eliocentrica sembra piuttosto estranea alla cultura greca. Sostanzialmente Aristarco di Samo (III secolo D.C.) è l'unico autore ricordato per averla proposta, ma vedi il commento estremamente riduttivo che di questa opinione fa il Dreyer (loc. cit. nella Nota N. 20, pp. 123-128 - l'autore sottolinea anche, p. 37, il fraintendimento della teoria pitagorica del "fuoco centrale", una teoria che era comunque geodinamica, seppure non eliostatica). E bisognerebbe aggiungere, per evitare equivoci, che si sta qui discutendo del cosiddetto moto progressivo della Terra, ovvero della sua rivoluzione intorno al Sole, e non già del suo eventuale moto di rotazione diurna (per cui si ricorda ad esempio, insieme a quello di altri "pitagorici", il nome di Eraclide Pontico, IV secolo A.C.). Il lettore che vorrà invece approfondire la questione sotto un diverso punto di vista potrà utilmente giovarsi di: L. Russo, La rivoluzione dimenticata - Il pensiero scientifico greco e la scienza moderna, Ed. Feltrinelli, Milano, 1996. A proposito infine di Aristarco come precursore di Copernico, viene appropriato segnalare (nella misura in cui questo lavoro si occupa anche della vulgata scientifica corrente), un'informazione fornita dall'Enciclopedia Hoepli, alla voce Copernico, che contiene ben tre errori in una sola riga: "L'idea eliocentrica [...] aveva ripreso vigore quando si conobbero gli scritti originali di Aristarco di Samo nella traduzione che ne aveva fatto (1488) Lorenzo Valla, e che era commentata animatamente a Bologna quando Copernico ne frequentava l'Università". Orbene, di Aristarco ci è rimasto un solo scritto, Sulle dimensioni e la distanza del Sole e della Luna, e in esso non si fa il minimo cenno all'ipotesi eliocentrica; per di più, non fu tradotto dal famoso Lorenzo Valla, ma dal molto meno noto Giorgio Valla, che non sappiamo neppure se fosse un parente del primo.
24 Dovuta al fatto che, in modo analogo a quanto precedentemente discusso nel caso di Marte, anche nel sistema di Tolomeo sono previste delle eccentricità, in qualche circostanza non del tutto trascurabili.
25 In effetti, e proprio nell'ottica particolare del presente lavoro, è la teoria copernicana a essere maggiormente suscettibile di una falsificazione sperimentale, se appunto le distanze dei pianeti dal Sole non fossero di fatto pressoché costanti. Poiché questo appare come un dato sperimentale che possiamo considerare realmente acquisito, dobbiamo concludere di essere di fronte a descrizioni della realtà che sono, dal punto di vista dell'oggetto, praticamente equivalenti (almeno finché non intervengono, con Newton, considerazioni di tipo dinamico, e non soltanto cinematico).
26 Si potrebbe fare altrettanto per le tavole dei periodi, ovvero, sarebbe possibile ottenere con notevole approssimazione le attuali tavole dei periodi di rivoluzione dei pianeti intorno al Sole a partire dai dati tolemaici relativi ai periodi del moto di un pianeta sul deferente (moto in longitudine) e sull'epiciclo (moto in anomalia), vedi Appendice.
27 Il moto dei pianeti ha una "strana" connessione con quello del Sole, peraltro inspiegata, e inspiegabile, all'interno dell'ottica tolemaica. Il segmento che congiunge un pianeta esterno con il centro dell'epiciclo è sempre parallelo a quello che congiunge il Sole e la Terra, mentre nel caso dei pianeti interni, ovvero Mercurio e Venere, viene postulato che Terra, Sole e centro del relativo epiciclo siano sempre tra loro allineati (il che spiega tra l'altro il fatto che essi si discostano sempre di "poco" dall'astro splendente). E' tanto difficile immaginare i due detti segmenti uguali, o il centro dell'epiciclo coincidente direttamente con il Sole (in modo da avere a che fare con soli due punti, che sono quindi sempre allineati, e non con tre)? Come dire che questi legami di origine ignota avrebbero potuto già al tempo di Tolomeo richiamare la possibilità di un sistema eliocentrico, la distanza Terra-Sole costituendo l'elemento comune capace, in conformità a quanto abbiamo visto, di correlare tra loro tutti gli altri parametri indeterminati della teoria tolemaica, e di esprimerli nei suoi termini. E del resto, sia pure soltanto per i due pianeti interni, la congettura che abbiamo prima avanzato era corrente in almeno una concezione del cosmo, di cui ci informa Marziano Capella (V secolo D.C.): "Venus vero ac Mercurius non ambiunt terram" (De Nuptiis Philologiae et Mercurii, L. VIII, 854). Con riferimento a ciò che è stato osservato nella Nota N. 23, c'è da informare che quest'opera conobbe la sua prima edizione a stampa a Vicenza nel 1499, e che potrebbe avere quindi ispirato Copernico assai più che non il libro di Aristarco.
28 Del resto, Copernico non nasconde i suoi debiti culturali con l'opera di Tolomeo, citandola molte volte, e riprendendone numerose argomentazioni, anzi in un'occasione addirittura "dimenticandosi" materialmente di sostituire Terra con Sole (Libro V, Cap. VI - l'errore viene automaticamente "corretto" in alcune traduzioni). Secondo il punto di vista illustrato da L. Russo nell'opera citata nella Nota N. 23, si potrebbe anzi avanzare la congettura che come Copernico avrebbe soltanto di fatto "trasformato" l'Almagesto in un sistema eliocentrico, l'astronomo alessandrino avrebbe a sua volta adattato un a noi ignoto trattato eliocentrico in uno geocentrico: si sarebbe così nel XVI secolo ritornati alle origini! Agli espliciti riconoscimenti copernicani fa invece da contraltare il già ricordato "silenzio" galileiano (vedi anche le Note NN. 18, 32). E' per esempio significativo osservare che Galileo cita soltanto tre volte nel suo Dialogo, e peraltro sempre di sfuggita, il termine epiciclo, senza mai operare rinvii precisi al trattato di Tolomeo, di cui discute solo in un paio di punti, e piuttosto superficialmente, le "stime" matematiche.
29 E bisognerebbe aggiungere, per amore di esattezza, che Copernico va considerato assai più tedesco che non polacco, al punto che Giordano Bruno, fervente fautore della teoria eliocentrica, il quale dedicò a Copernico parole appassionate ("Venerabile ingegno che il secolo oscuro non toccò, che il clamore degli sciocchi non fece tacere"), lo chiama "alemano", o altrove, "borusso" (vedi per esempio l'ottimo: "La rivoluzione copernicana e il mito solare", di E. Garin, in Rinascite e rivoluzioni - Movimenti culturali dal XIV al XVIII secolo, Ed. Laterza, Bari, 1975, in cui si tratteggia il più verosimile sfondo ideologico capace di correttamente inquadrare la "rivoluzione" oggetto del nostro interesse).
30 E si potrebbe tenere conto delle stime delle eccentricità fornite da Tolomeo per passare da questo valore, circa 5, ai più adeguati 6.5 o 7, come abbiamo dianzi visto, ma di siffatti approfondimenti ci occuperemo meglio nel prossimo paragrafo.
31 Per esempio tramite al-Farghani (IX secolo), latinizzato in Alfragano, e i suoi Elementi di Astronomia, che furono tradotti in latino nel XII secolo (prima versione a stampa: Ferrara, 1493).
32 Bisognerebbe a questo punto anche sottolineare che Galileo non discute mai, come possibile ulteriore alternativa, il sistema proposto da Tycho Brahe, di cui pure era perfettamente al corrente, una sorta di "compromesso" tra sistema tolemaico e sistema copernicano: la Terra è immobile al centro dell'universo, il Sole gira intorno ad essa, e tutto il resto gira intorno al Sole (si tratta semplicemente di un'altra versione della medesima teoria generale per deferenti ed epicicli, nella quale si lasci cadere l'ipotesi che i raggi dei deferenti siano sempre maggiori di quelli degli epicicli). Tale concezione avrebbe "salvato", almeno in certa misura, il quadro metafisico che la Chiesa romana stava cercando di difendere. Andrebbe ancora aggiunto, a prevenire equivoci, che sembra Tycho non avesse di siffatte preoccupazioni religiose (tra l'altro, era un protestante), ma intendesse solo individuare la teoria che descriveva più adeguatamente la "realtà". Il moto progressivo della Terra gli appariva infatti fisicamente impossibile a causa per esempio della mancata osservazione della cosiddetta ellisse parallattica stellare. Al moto di rivoluzione della Terra intorno al Sole avrebbe dovuto invero corrispondere, dal punto di vista di un osservatore terrestre, un analogo movimento annuale di ogni stella, che in effetti esiste, ma è così piccolo che non poteva essere assolutamente apprezzato ai tempi di Tycho (la parallasse stellare annua fu osservata per la prima volta da Friedrich Wilhelm Bessel soltanto nel 1838). Si ripensi del resto a quanto già detto prima per la parallasse di Marte, in connessione con quella che oggi sappiamo essere la relativamente incommensurabile distanza sia pure della stella a noi più vicina (Sole ovviamente escluso) rispetto al diametro dell'orbita terrestre. Di tale sproporzione quantitativa, che bene risponde all'obiezione sulla mancata rilevazione della parallasse in parola all'epoca di cui si parla, erano ovviamente del tutto consapevoli sia Copernico ("Dell'immensità del cielo in rapporto alla grandezza della Terra" è infatti il titolo del Cap. VI del Libro I del De Revolutionibs...), sia Galileo: "Si conclude con dimostrazion verace che la distanza di esse stelle fisse da noi viene ad esser tanta, che basta per far che in esse non apparisca notabile il movimento annuo della Terra, che ne i pianeti cagiona sì grandi ed osservabili variazioni" (Dialogo..., 386).
33 Si noti che stiamo qui procedendo secondo l'ordine esatto dei "cieli" previsto dal sistema tolemaico: Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno, il tutto incastonato all'interno dell'ultima sfera in cui sono infisse le stelle. Si tratta di una "gerarchia" assolutamente corretta, fatta eccezione per Mercurio e Venere, nel cui caso si registra un'inversione rispetto alla situazione reale (e che potrebbe essere individuata sia in base ai rapporti precedentemente calcolati, sia in base alla tavola dei periodi, secondo la quale Mercurio risulta avere il periodo più piccolo - si tratterebbe però naturalmente di un'ottica diversa da quella geocentrica). La ragione di questo scambio è abbastanza curiosa, dal momento che Tolomeo utilizza un bizzarro criterio di "complessità": più vicina alla Terra è la Luna, il cui moto è decisamente irregolare, e per lo stesso motivo dopo deve venire Mercurio, che presenta un comportamento assai più anomalo di quello di tutti gli altri pianeti (e Copernico del resto ribadisce questa constatazione, quando, nel suo Libro V. Cap. XXX, osserva che: "Con molti sotterfugi e molta fatica ci ha dunque martoriato questo astro, per poter scrutare i suoi movimenti").
34 Ma che ha per esempio il vantaggio di poter concepire l'intero sistema dei deferenti e degli epicicli nella stessa ottica della cosmologia aristotelica, e della relativa teoria della trasmissione del moto dall'alto verso il basso. Questo sistema evita anche un'obiezione di Galileo (loc. cit. nella Nota N. 7, 370), secondo la quale le sfere degli epicicli, intersecandosi le une con le altre, come invero accadrebbe in un sistema tolemaico che sia una versione geocentrica di quello copernicano, si dovrebbero rompere.
35 B.R. Goldstein, The Arabic Version of Ptolemy's "Planetary Hypotheses", American Philosophical Society Transactions, N. 57, 1967; cfr. A. Van Helden, Measuring the Universe - Cosmic Dimensions from Aristarchus to Halley, The University of Chicago Press, 1985. Si noti che Galileo non era con ogni verosimiglianza al corrente dell'origine tolemaica di queste speculazioni, che si accompagnavano comunque usualmente alle esposizioni divulgative dell'Almagesto.
36 Che richiederebbero la citazione almeno delle opere del già nominato Aristarco (Nota N. 23) e di Ipparco di Nicea (II secolo D.C.).
37 Diamo il valore reale per confronto, che è stimato oggi in 406.590 Km (laddove 64, in realtà 64 e 1 sesto, moltiplicato per 6305 fa 404.571 Km!), dicendo però anche che, proprio con riguardo alla Luna, Tolomeo commette gli errori più rilevanti, prevedendo variazioni della sua distanza dalla Terra del tutto inverosimili (cfr. J.L. Dreyer, loc. cit. nella Nota N. 20, pp. 176-178).
38 Vedi la tavola inserita in A. Van Helden, loc. cit. nella Nota N. 35, p. 27.
39 A proposito di tale valore, ci sarebbe da notare che la stima della distanza (media) Terra-Sole viene dedotta nell'Almagesto con un metodo che alcuni commentatori non hanno esitato a definire addirittura fraudolento, allo scopo di far tornare un rapporto pari a 19 volte tra questa distanza e la distanza (massima) Terra-Luna, una stima che, introdotta da Aristarco nell'opera citata nella Nota N. 23, godette di autorità indiscussa fino ai tempi di Copernico, il quale pure non se ne discosta, come presto noteremo (cfr. A. Van Helden, loc. cit. nella Nota N. 35, p. 19). Vale a dire, certe tentazioni di "addomesticare" dati e argomenti (fondendo a volte valori di origine sperimentale con "aspettative" teoriche) appaiono una costante fisiologica della pratica scientifica. A. Kohn (in False Prophets - Fraud and Error in Science and Medicine, Basil Blackwell, Oxford, 1986, p. 3), elenca, riprendendole dal matematico inglese ottocentesco Charles Babbage, tre categorie tipiche di "manipolazioni": forging ("when one records observations that have never been made"), trimming ("in modern usage also 'massaging data' or 'fudging'"), cooking (manipulating data so as to make them look better, in order to "fit the researcher's hypothesis best").
40 Il primo a fornire una stima ragionevole dell'UA fu Gian Domenico Cassini, che riuscì a determinare nel 1672 un valore finalmente appropriato per la parallasse solare, attraverso osservazioni coordinate effettuate a Parigi e alla Cajenna. Di Cassini, Dreyer dice che (loc. cit. nella Nota 20, p. 388): "Essendo nato in Italia, era timoroso di pronunciarsi pubblicamente a favore del moto della Terra, anche dopo essersi trasferito a Parigi", a riprova che le preoccupazioni ideologiche, e politiche, sovrastano spesso quelle scientifiche (e bisognerebbe chiedersi se la scienza di oggi sia proprio del tutto immune da siffatti condizionamenti, sebbene di altro segno...).
41 Cfr. ancora A. Van Helden, loc. cit. nella Nota N. 35, p. 46.
42 Notiamo anche che questo valore è più vicino all'8, e quindi al 60, di Galileo, che non l'analogo valore copernicano!
43 Ma, in verità, non tutti. Per esempio, il sistema esposto da Tolomeo nelle Ipotesi dei pianeti contempla di fatto per Venere un epiciclo che resta interamente al di sotto del Sole, mentre osservazioni dirette (le famose fasi di Venere), effettuate da Galileo con il cannocchiale, e riportate nel suo Dialogo, mostrano chiaramente che non è questo il caso (vedi anche la Nota N. 27). Si tratta comunque di un'obiezione non decisiva, perché il sistema tolemaico (e intendiamo quello dell'Almagesto, in cui peraltro non ci sembra venga formulata l'ipotesi in parola, a ulteriore conferma di quanto osservato nella Nota N. 18) potrebbe essere in ogni caso facilmente "corretto" in relazione a tale particolare dettaglio.
44 Si prescinde dall'ovvio aggiornamento "specialistico" dei dati contenuti nell'Almagesto, che viene in realtà effettuato sin dai primi secoli successivi a Tolomeo, grazie per esempio agli studi astronomici arabi. Queste "correzioni" riguardano soprattutto le posizioni delle stelle, sensibilmente mutate nel corso degli anni per effetto della precessione degli equinozi (il terzo movimento della Terra, dopo rotazione diurna e rivoluzione annuale). Da un punto di vista pratico, è verosimilmente la necessità di produrre delle tavole stellari adeguate alle nuove esigenze della navigazione in mare aperto il primo autentico motivo di una ripresa dell'interesse nei confronti dell'astronomia nel XV secolo, il che rimanda a quanto già detto alla fine della prima sezione del presente lavoro. Si osservi però che anche questo terzo moto potrebbe essere teoreticamente inquadrato in una concezione geostatica, come ben riconosce lo stesso Copernico: "Ora, dopo che è passato molto tempo, ci si è accorti che una tale inclinazione della terra nei confronti delle figure del firmamento, muta; ed è proprio per questo che a molti parve che il firmamento stesso fosse mosso da alcuni movimenti, non essendo ancora stata compresa a sufficienza la loro legge. In realtà è meno sorprendente che tutte queste cose possano avvenire per il movimento della terra" (Commentariolus; ed. it.: Opere di Nicola Copernico, UTET, Torino, 1979, p. 113 - si tratta di "abbozzo sommario" delle tesi contenute nell'opera maggiore, composto da Copernico in un periodo a noi sconosciuto, e mai dato alle stampe nel corso della sua vita; il problema della sua datazione non è mai stato definitivamente risolto, ma l'ipotesi più plausibile è che esso sia stato elaborato tra il 1509 e il 1512; vedi F. Barone, ibidem, p. 100); "essendo tale differenza molto modesta, non appare se non con il passare di molto tempo: da Tolomeo a noi i punti solstiziali ed equinoziali hanno avuto una precessione di circa ventun gradi. Per la qual cosa alcuni hanno creduto che anche la sfera delle stelle fisse si muovesse e posero quindi sopra a questa una nona sfera; ma anche questa non bastando, ora i moderni ne hanno aggiunto una decima"; "Già aveva cominciato a venire alla luce anche un'undicesima sfera, e facilmente confuteremo tale numero di cerchi come superfluo nel caso del moto terrestre [...] Sarebbe infatti più appropriato dire (con un confronto del minore al maggiore) che l'equatore è obliquo rispetto all'eclittica, anziché che l'eclittica è obliqua rispetto all'equatore" (De Revolutionibus..., L. I. Cap. XI; L. III, Cap.I; loc. cit., pp. 218-219; pp. 368-369 - enfasi degli autori). Con queste parole Copernico conferma l'opinione già espressa all'inizio del Commentariolus, "Io vedo che i nostri avi hanno ammesso un gran numero di sfere celesti [...] andavo spesso meditando se per caso non si potesse trovare un più razionale sistema di circoli con i quali fosse possibile spiegare ogni diversità apparente" (loc. cit., pp. 107-109), secondo la quale il suo sistema è appunto semplicemente "più razionale" di quello geostatico, ma non più vero, almeno in assenza di ulteriori elementi (vedi la Nota N. 32).
45 Tra questi, particolarmente notevole è Domenico Galati (Galileo - Primario matematico e filosofo, Ed. Pagoda, Roma, 1991), ma siffatte interpretazioni filo-cattoliche del personaggio sembrano poter essere confutate dalla fortunata circostanza che sono stati trovati recentemente presso l'Archivio di Stato di Venezia documenti concernenti "le denunce e il tentato processo per eresia nei confronti di Cesare Cremonini e Galileo Galilei presso il tribunale del Sant'Ufficio di Padova nell'aprile 1604" (Antonino Poppi, Cremonini e Galilei inquisiti a Padova nel 1604 - Nuovi documenti d'archivio, Antenore Ed., Padova, 1992). In essi si attesta uno "scontro" tra Galileo e la Chiesa già nel 1599, ben prima dunque della "questione copernicana", ovvero precedente ai fondati "sospetti" che si appuntarono sullo scienziato nel 1611 (a seguito della pubblicazione del Sidereus Nuncius, nel quale si annunciavano i risultati delle prime osservazioni astronomiche strumentali). In quell'occasione, viene tra l'altro rimproverato dai denuncianti a Galileo di non praticare né "la messa né i sacramenti" (loc. cit., p. 20), e questa accusa - a cui è assai facile credere - la dice lunga sulla pretesa di essere stato quegli un devoto "figlio della Chiesa". Secondo l'interrogatus messer Silvestro Pagnoni, che Galileo "aveva assunto nella sua casa" in qualità di amanuense "per ricopiare le sue opere e dispense da vendere agli studenti" (loc. cit., p. 55): "Io so anco questo, che io sono stato 18 mesi in casa sua et non l'ho mai visto andare alla messa altro che una volta, con occasione che lui andò per accidente, per parlare a monsignore Querengo, che io fui con lui; et non so che lui si sia confessato et communicato mentre son stato in casa sua" (loc. cit., p. 58). Di fronte a tale esplicita dichiarazione appare un po' pretestuoso - allo scopo di difendere comunque l'immagine del Galileo cattolico - richiamarsi alla distinzione tra semplici credenti e devoti praticanti, come cerca di fare anche l'autore (un sacerdote) del "fortunato rinvenimento" (loc. cit., p. 28) in parola: "E' uno scarto comune da sempre tra i cristiani fra ortodossia nel pensare e ortoprassi nell'agire" (loc. cit., p. 60). In detto frangente Galileo se la cavò grazie all'intervento diretto del governo della Serenissima, che non si scomodava certo a rischiare crisi politiche con Roma per chicchessia. E' forse curioso aggiungere che in uno dei verbali concernenti un'analoga delibera del Senato veneziano - relativa a un altro inquisito nello stesso frangente - sia riportato che la mozione di difesa fu infine approvata, dopo una prima votazione negativa, "cacciati li papalisti" (loc. cit., p. 84). L'altro compagno di guai di Galileo era Cesare Cremonini, suo amico e collega presso lo Studio di Padova, accusato di "non tener l'immortalità dell'anima nello spiegare Aristotele" (loc. cit., p. 13). A differenza del pisano, però, Cremonini rimase sempre, a quel che pare, fedele all'aristotelismo. Naturalmente, ancora numerosi sono gli indizi che confermano il quadro interpretativo che proponiamo, e fanno dubitare al contrario della validità di quello fatto proprio dal Galati, citato in inizio di Nota (secondo la presentazione di Pietro Prini all'opera in parola: "La ricostruzione del Galati si muove costantemente su due piani, quello teologico e quello scientifico, per enucleare dal testo galileiano […] l'aurora del pensiero moderno non al di fuori, ma nel seno stesso di un cristianesimo che - com'era stato testimoniato anche nell'avventura tragica del grande amico di Galileo, Paolo Sarpi - è 'il cristianesimo essenziale ed ecumenico verso il quale marcia la storia'"). Concepire Galileo nei panni di un integerrimo cattolico (e quindi cristiano!), preoccupato di evitare alla Chiesa degli errori fatali, teso a "salvare simultaneamente la ragione e la fede" (loc. cit., p. 437), appare infatti difficile anche per il motivo che segue. Se si prendono i grossi 19 volumi dell'Edizione Nazionale delle Opere di Galileo curata da Antonio Favaro (il ventesimo è il volume degli Indici), quante volte vi si trova un riferimento a Gesù Cristo, al Messia, al Redentore, etc.? Nel Dialogo… una soltanto, dove il cenno al Cristo è peraltro messo in bocca a Simplicio, e per il resto potremmo dire mai, se si escludono le locuzioni prima di Cristo o dopo di Cristo, oppure citazioni ("obbligate") di vari autori (Tasso e Virgilio), con un'unica eccezione: la Consideratione astronomica circa la stella nova dell'anno 1604, in cui abbastanza singolarmente (e in modo secondo noi "sospetto") Galileo indulge a far credere che il fenomeno celeste possa essere "prenunti[o] di qualche gran mutatione, si nelle cose della fede, come de Regni, & Imperi […] di qualche felice stato nella fede Christiana e chatolica" etc.. Per contro, si trovano naturali riferimenti al Cristo in lettere rivolte a Galileo, ma non provenienti da Galileo, a riprova che erano d'uso comune. Si potrebbe inoltre proficuamente discutere, e a lungo!, sul "buffo" fatto che, nelle due antitesi tra la Chiesa di Roma e il copernicanesimo (la prima non fu leggera con il secondo, dichiarandolo esplicitamente nel 1616 "stolt[o] e assurd[o] in filosofia e formalmente eretic[o]"), e ancora la stessa Chiesa e quella protestante, sia avvenuto - come spesso accade: "i nemici dei miei nemici sono miei amici" - che i protestanti si siano schierati dalla parte dei "copernicani" (in genere, è ben noto che questo non fu il caso degli stessi Lutero e Melantone, secondo i quali, rispettivamente: "Il pazzo vuole rovesciare l'intera arte dell'astronomia..."; "un governo saggio non dovrebbe permettere la diffusione di tali idee" - cfr. F. Barone, loc. cit. nella Nota N. 44, p. 159), senza tenere appunto conto della circostanza che la distruzione della "concezione del mondo" di una Chiesa avrebbe fatalmente trascinato nella disfatta anche l'altra. Il caso più recente ed eclatante di "strane" convergenze, ovvero motivate da una comune inimicizia, è costituito, stando almeno a ciò che viene lasciato "apparire" sul palcoscenico della storia, dall'alleanza tra USA e URSS contro il III Reich hitleriano, mentre, per restare in tema di controversie scientifiche, è molto interessante, soprattutto nello spirito del presente saggio, la seguente considerazione di Aldo Mola: "La vulgata dell'evoluzionismo divenne presto uno dei punti d'incontro di certi massoni che, anche senz'avere una precisa cognizione dei contenuti scientifici del darwinismo e delle sue implicanze socio-politiche, dalle strenua lotta sostenuta dalla Chiesa di Roma contro la sua diffusione e per la sua stessa provenienza dalla terra di Desaguliers ed Anderson deducevano ch'esso fosse comunque un buon compagno di strada, se non verso la Vera luce almeno per dissipare le tenebre più fitte; e che dalla sua diffusione sarebbe scaturita la definitiva liberazione dai lacci dell'ignoranza e dall'occhiuta 'clerocrazia cattolica' ... Non diversa da quella di ogni altra dottrina o scoperta o invenzione scientifica era la sorte del darwinismo: ognuno vi cercava le conferme più gradite e vi riponeva le verità più confacenti alle proprie aspettazioni, anche se, come dirompente novità, la sua valenza propendeva a innescare processi di colore rivoluzionario o comunque disgregatori del sapere e dei poteri costituiti" (Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni, Bompiani, Milano, 1992, pp. 104-105 - enfasi degli autori).
46 Cfr. ancora E. Garin, loc. cit. nella Nota N. 29.
47 De Possest (1460). La seconda espressione citata si trova invece nella Prefazione al De Revolutionibus…, in cui Copernico si rivolge direttamente al Papa Paolo III, illustrando le ragioni alla base della sua opera.
Ringraziamenti - Gli autori desiderano esprimere la loro più
viva gratitudine a Maurizio Caselli, Paolo Maffei, Giuseppe Nicolosi, Paolo
Zappa, per preziose osservazioni che hanno consentito una revisione adeguata
del presente lavoro (la prima stesura risale al dicembre 1998).
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[Una presentazione del primo autore si trova nel N. 1 di Episteme, oltre che nella precedente Nota N. 4, nella quale sono fornite anche notizie sul secondo autore.]
E-mail: bartocci@dipmat.unipg.it , laila_rossi@yahoo.it
Il sistema copernicano come illustrato nel De Revolutionibus...
La copertina della I edizione del Dialogo...
Gli epicicli tolemaici, T Terra, P pianeta
Se l'epiciclo di Venere restasse tutto compreso
tra la Terra e il Sole, Venere non potrebbe vedersi
in effetti mai piena (da F. Selleri, loc. cit.).