Quattro ipotesi sulla natura del tempo
Paolo Bocchio
Pretendere di dire qualcosa di nuovo sul concetto di tempo o tentare addirittura di "spiegarlo" è cosa che dimostra ingenuità ed irriverenza nei confronti dei grandi pensatori del passato. Ma quando si è di fronte a montagne che nessuno è mai riuscito a scalare, credo che ciascuno abbia il diritto e soprattutto il dovere di fornire il suo contributo per raggiungere la vetta, nonostante Shakespeare abbia scritto che "… disquisire… perché il giorno sia giorno, la notte notte e il tempo tempo, sarebbe spreco di notte, giorno e tempo" ["Amleto" II.II].
Il tempo è associato al mutamento, al divenire, al movimento, ma anche al concetto di "Individualità": per poter dire che A "diventa" B bisogna innanzitutto chiarire cosa significa che lo "stesso individuo", lo "stesso oggetto", lo "stesso ente" che prima era A adesso è diventato B. Facciamo alcuni esempi:
- sia A un sasso e B lo stesso sasso in cui un atomo si è spostato;
- sia A un embrione e B l'animale che ne è risultato 30 anni dopo;
- sia A una persona e B la stessa persona che ha alzato un dito.
In questi esempi ho dato per scontato che cambiamenti piccoli o grandi che siano (lo spostamento di un atomo o di un dito e una crescita trentennale) non modificano quella che è l'individualità di un ente. In realtà nulla ci vieta di pensare che un sasso in cui un elettrone è ruotato non sia più lo stesso sasso di prima: ovvero, se ciò che dà individualità all'ente è quella ben determinata disposizione spaziale delle sue particelle costituenti, come pure la sua relazione con l'ambiente circostante, non possiamo più dire che A diventa B, ma che A e B sono due enti quasi uguali che esistono in due distinti universi in cui il tempo non esiste! Quindi per poter dire che il tempo esiste e che A diventa B dobbiamo definire l'individualità dell'ente in maniera compatibile col fatto che quell'ente possa cambiare restando essenzialmente lo stesso ente! Immaginiamo un universo in cui esistono solo un elettrone ed un positrone che si stanno avvicinando. Immaginiamo adesso un embrione che si sviluppa fino a produrre un uomo che vive fino a 90 anni e poi muore. Cos'è che ci fa dire che l'elettrone ed il positrone che si muovono sono sempre gli stessi e che l'individuo concepito e vissuto fino a 90 anni è sempre lo stesso individuo? Cos'è che rimane costante per tutto il tempo? La risposta non può che essere questa: nel caso delle particelle considerate elementari, l'individualità è associata alle loro caratteristiche fisiche; nel caso di un atomo o di un organismo, l'individualità è associata al progetto unitario che assembla le parti (quello ad esempio che dà stabilità ad un atomo o che fa vivere una cellula). In linguaggio informatico si potrebbe dire che il divenire del singolo ente equivale alla successione degli output di un determinato programma.
UNA PRIMA IPOTESI: IL TEMPO NON ESISTE.
Sia A il signor Caio in un preciso istante del 1/1/2001, B lo stesso Caio in un preciso istante del 1/2/2001 e C sempre Caio in un preciso istante del 1/3/2001. Supponiamo di incontrarci con B: B crederà di essere stato A e che sarà C, irreversibilmente ed assolutamente! In realtà, in qualunque istante della nostra vita, non abbiamo mai una prova assolutamente certa del nostro passato (i ricordi non sono che sensazioni che cogliamo nel presente, le fotografie non sono che pezzi di carta stampata che percepiamo con il tatto e con la vista nel nostro presente…). Quindi A, B e C potrebbero benissimo essere tre realtà che esistono, immutabili, eterne ed atemporali in un universo statico e privo di divenire: B ha la sensazione di essere stato A, così come C ha la sensazione di essere stato A e B. Anzi, continuiamo ad ingannarci se pensiamo che esistano tante realtà quante sono gli istanti del tempo che passa: è sufficiente ammettere l'esistenza di un unico istante, di un'unica realtà, eterna, statica ed atemporale: l'ultima, quella corrispondente all'istante del nostro presente, qualunque esso sia!!! Eppure sembra così ovvia ed assoluta la sensazione di moto che nasce dal semplice dito mosso davanti ai miei occhi…
Ma potrebbe essere tranquillamente un'illusione: istante per istante io ho una sensazione relativa alla posizione attuale del mio dito ed il ricordo delle posizioni immediatamente precedenti che sono comunque sempre ricordi posti nel presente! È come se nel mio cervello venissero attivate "contemporaneamente" più zone: una mi dà la sensazione della posizione attuale, le altre mi danno la sensazione delle posizioni precedenti! Ma quello che esiste è un unico istante: questo! Un mondo siffatto sarebbe addirittura compatibile con il libero arbitrio e la possibilità di guadagnarsi il Paradiso! Per scegliere il Bene, infatti, è sufficiente un'intenzione, e questa potrebbe essere tranquillamente istantanea ed atemporale!
UNA SECONDA IPOTESI: IL TEMPO COME SOVRAPPOSIZIONE (QUANTISTICA) DI ISTANTI.
Ammettiamo adesso che il tempo esista. Consideriamo la vita di un individuo come un film: ad ogni istante corrisponde un fotogramma. Nel fotogramma A lui non sa quando gli morirà il cane, nel fotogramma B lui sa quando il cane è morto: diciamo che B viene dopo A. Per spiegare il Tempo dobbiamo capire la causa del "Trascinamento" della pellicola, causa che, evidentemente, dovrà trovarsi al di fuori del Tempo stesso! Innanzitutto non ci sarebbe nulla di scandaloso e paradossale a pensare che la pellicola giri alla rovescia, pe cui lo stato B precede lo stato A. Ecco qui emergere la differenza tra due concetti di tempo molto diversi tra di loro: il Tempo Oggettivo, che trascina la pellicola ed il Tempo Soggettivo presente solo nella nostra mente. Comunque giri la pellicola, per noi B viene sempre dopo A, in quanto quando siamo in B sappiamo cose che prima non sapevamo: quando siamo in A noi ci chiediamo comunque quando ci morirà il cane, anche se l'evento è "già successo": "Già successo", sì, ma per chi? Per chi vede la pellicola girare!
Ma codesta entità deve poter vedere scorrere il tempo trovandosi a sua volta in un Tempo che ingloba e comprende il primo! E così via all'infinito…
Pertanto essendo del tutto convenzionale il verso di scorrimento del Tempo Oggettivo, è molto probabile che esso non fluisca né verso il (nostro) passato né verso il (nostro) futuro, ma ciò significa che il Tempo Oggettivo non esiste! Anche perché per esistere dovrebbe implicare un movimento continuo ed assoluto che - come tutto ciò che è assoluto - trascende il nostro universo! Non a caso tutte le interazioni fisiche sono invarianti rispetto alle inversioni temporali (tralasciamo per ora il caso dei kaoni neutri).
Tolto il concetto di Tempo Oggettivo, voglio comunque ammettere l'esistenza del movimento.
È possibile spiegare un cambiamento prescindendo dal "Prima" e dal "Dopo"?
È possibile spiegare come A diventa B senza scindere lo stato A dallo stato B?
E d'altraparte imponendo l'esistenza di un solo stato per volta?
Non è forse questo il Principio Quantistico di Sovrapposizione degli Stati?
|S> = |A> + |B>
|S> rappresenta l'intero film mentre |A> e |B> due suoi fotogrammi.
Rispetto alla prima ipotesi (quella della inesistenza del tempo) qui siamo riusciti a recuperare tutti gli istanti (non esiste solo l'"ultimo") ma la natura del "movimento" resta altrettanto misteriosa quanto quella del Principio di Sovrapposizione degli Stati!
UNA TERZA IPOTESI: IL TEMPO COME DINAMICITÁ INTRINSECA.
Torniamo al concetto di movimento comunemente inteso: eliminato ormai il concetto di tempo oggettivo (che sembra essere una percezione esclusiva della mente che, dalla regolarità di certi movimenti (rotazione della Terra, aumento della sabbia dentro la clessidra, isocronia del pendolo, oscillazione dell'atomo di quarzo,…) perviene al concetto di "Tempo" e lo proietta sull'intero universo) , cosa significa che B viene dopo A? Il Tempo, come lo Spazio, sarebbe un dato strutturale del nostro universo: per spiegarli bisognerebbe uscire dall'universo stesso! Ogni sistema, ogni struttura, ogni classe di complessità, ogni "Simbolo" ha il suo "Tempo", la sua "Dinamicità intrinseca", il movimento adatto alla "Sua" stabilità. E tutto ciò viene "Selezionato Naturalmente", né più né meno come la forma di un becco o il valore di una carica elettrica. Se si fosse sviluppata la vita sulla Luna gli organismi lunari avrebbero sviluppato ritmi (motori, cerebrali, psicologici) molto più lenti dei nostri; su Giove, invece, sarebbero stati molto più rapidi. Ciò che rende un Simbolo costante nel tempo è la relazione fra le sue parti, è il "software" che ne gestisce tutte le possibili reazioni (per un neutrino è l'interazione elettrodebole, per un organismo vivente il suo DNA).
J.T. Fraser ha classificato vari tipi di temporalità: la nootemporalità (tipica della mente umana), la biotemporalità (comune a tutti gli organismi viventi), la eotemporalità (tipica dei sistemi fisici reversibili), la prototemporalità (tipica della fisica subnucleare), la atemporalità (tipica dei fotoni) e la sociotemporalità (tipica delle società): nel caso dell'uomo, ad esempio, la sincronizzazione degli orologi biologici è necessaria per mantenere la vita, quella fra le funzioni cerebrali per mantenere l'integrità della mente e quella fra le funzioni sociali per mantenere la società. Il tempo sociale è quello che permette la progettazione di azioni che vanno oltre la durata della vita individuale e l'uso di idee tratte da un passato collettivo. Il tempo sociale fa sì che la società possa disporre di gradi di libertà che non sono accessibili ai suoi singoli membri. [J.T.Fraser: "Il Tempo: una presenza sconosciuta"].
Assumere la dinamicità della materia come la condizione naturale del nostro universo, è un'idea che si accorda perfettamente con i risultati della fisica moderna: ogni particella elementare, infatti, va concepita come un pacchetto di energia, come un processo al quale prende parte l'energia equivalente alla massa della particella stessa: "L'esistere e il dissolversi delle particelle sono semplicemente forme di moto del campo" [Thirring].
In questo modo rispondiamo anche al paradosso di Zenone: "Come è possibile che una freccia si muova visto che essa in ogni istante è ferma?". Cioè, come è possibile costruire il moto partendo dall'immobilità? In realtà la domanda da porsi è un'altra: "Visto che tutto è moto, da dove nasce la nostra idea dell'immobilità?" Essa nasce evidentemente dalla limitatezza della nostra sensibilità che ci impedisce di cogliere il moto incessante che sta alla base del mondo fisico.
La contraddizione che sorge dal pensare il divenire come un qualcosa di unitario e mutevole al tempo stesso, viene superata se si pongono questi due attributi del tempo su due piani diversi: nella nostra tridimensionalità esiste solo una successione statica ed atemporale di singoli "istanti" (intendendo per "istante" una determinata configurazione materiale e la sua relazione con l'ambiente circostante), ma ciò che tiene insieme questi "istanti" è un principio unificatore che appare solo nella quadridimensionalità dello spazio-tempo, dove il moto è sostituito dalla geometria pura o dalla durata pura.
"Ma come si sussegue un istante ad un altro?"
Nella quadridimensionalità tali istanti non si "susseguono" essendo sovrapposti e coincidenti in un unico "quadristante", ma neppure nella nostra tridimensionalità tali istanti si "susseguono", essi infatti rimangono isolati nella loro atemporalità. Se potessi vedere la caduta di un sasso nella sua quadridimensionalità, vedrei - immobili, eterne e sovrapposte in un unico "4-evento" - tutte le posizioni successive assunte dal sasso durante la sua caduta. Facendo degenerare alle sole 3 spaziali le dimensioni di questo "4-evento" non faccio altro che "sezionare" questo "4-evento", e le sezioni 3-dimensionali così ottenute sono, a loro volta, immobili ed atemporali, e sono molteplici, se viste nella loro 3-dimensionalità, ma unitarie se viste dalla 4-dimensionalità.
Chiarisco il concetto con un esempio. Immaginiamo un universo unidimensionale ed un punto che si muove su di esso a velocità costante per un intervallo di tempo D t. Rappresentiamo questo movimento su un piano cartesiano dove l'asse Y è il tipico asse dei tempi. Bene, per l'essere bidimensionale che osserva la scena, il tempo non esiste, l'asse Y è per lui un'ulteriore dimensione spaziale e nel suo mondo atemporale il moto del punto si traduce in un segmento AB. Quindi, quello che per l'osservatore unidimensionale è un punto che si muove, per l'osservatore bidimensionale è un segmento.
Il Tempo, il Movimento, non sono altro che l'interpretazione che l'osservatore unidimensionale dà, dal suo mondo, dell'unitarietà che caratterizza quel mondo bidimensionale che lo comprende!
Insomma, la natura dell'osservatore è bidimensionale, ma siccome - per non so quale motivo - egli si percepisce in maniera unidimensionale, per far coincidere l'unitarietà bidimensionale degli eventi che osserva con le loro "sezioni" unidimensionali, egli introduce il concetto di "Tempo"!
Passando a noi, la nostra natura è quadridimensionale, ma siccome noi ci percepiamo in maniera tridimensionale, per far coincidere la nostra unitarietà quadridimensionale con le nostre "sezioni" tridimensionali, siamo costretti ad introdurre il concetto di "Tempo" e di "Movimento".
Il mondo 4-dimensionale è descritto correttamente dall'"Essere" di Parmenide, così come quello 3-dimensionale dal "Divenire" di Eraclito. In questo modo, l'unitarietà del 4-mondo che ci comprende giustifica la continuità dei nostri movimenti 3-dimensionali; ma da dove nasce la "freccia temporale"? Perché questi movimenti avvengono in un senso e non nell'altro? Se io rapporto la mia attuale sezione 3-dimensionale al mio Io 4-dimensionale, sono costretto ad ammettere un'asimmetria nella struttura di questo Io 4-dimensionale: in quest'ultimo, infatti, è "già" presente l'intera mia vita, dal giorno della nascita a quello della morte, ma allora perché la sezione 3-dimensionale che caratterizza il mio presente è in qualche modo collegata con una parte del mio 4-Io (il mio passato) e non con l'altra (il mio futuro)? È come se questo mio Io 4-dimensionale avesse una specie di struttura conica, con la base rivolta verso il "futuro": in questo modo una qualunque sua sezione può tenere traccia di tutte quelle comprese fra essa ed il vertice, ma non delle altre. Il perché poi sia così, bisognerà chiederlo a quella Super-Selezione-Naturale che ha ritenuto questa forma adatta all'ambiente in cui questo 4-Io si viene a trovare!
Quello che ho fatto è stato "spiegare" il tempo trasformandolo in uno spazio: aggiungendo una dimensione allo spazio ordinario si è potuta eliminare la categoria temporale. Ma chi ci dice che la natura dello spazio sia più ovvia di quella del tempo? Avrei potuto fare l'opposto, considerando il tempo come concetto-base e cercando di "spiegare" lo spazio chiedendomi come si "sussegue" un punto al successivo! Sarei arrivato a considerare un "4-evento" unitario avente 4 dimensioni temporali! Se ho scelto la prima opzione è semplicemente perché un numero di dimensioni spaziali maggiore di uno riusciamo a figurarcelo, ma dal punto di vista temporale non arriviamo neppure alla bidimensionalità (non so immaginare un tempo "perpendicolare" al nostro!). Le 4 dimensioni che unificano i nostri eventi possono essere intese o come spaziali, o come temporali, ma la loro natura - per noi incomprensibile - le trascende e le comprende entrambe.
UNA QUARTA IPOTESI: IL TEMPO COME SOGGETTIVITÀ ASSOLUTA.
L'intrinsecità del tempo non implica quella della "freccia temporale"!
La freccia del tempo sembra nascere quando le strutture materiali, diventando via via più complesse, determinano l'insorgenza di stati aventi diversa probabilità di esistere e già Boltzmann, nel 1872, affermava che i movimenti vanno nella direzione di maggior probabilità statistica (Teorema "H"). Subito dopo però, lo stesso Boltzmann ritrattò questa spiegazione della freccia temporale: infatti, come notò Zermelo, discepolo di Planck, non esiste alcuna connessione logica tra il concetto di freccia temporale e quello di probabilità: si tratta di una semplice tautologia associare la direzione del tempo all'evento "più probabile": in un universo in cui il tempo scorresse al contrario, l'evento "più probabile" sarebbe il bicchiere intero e non quello rotto.
Quello che io sostengo è quindi che la freccia temporale (ovvero il tempo soggettivo) è un qualcosa di connesso alla "Logica" e quindi alla Selezione Naturale. Immaginiamo un universo in cui l'evoluzione abbia selezionato individui il cui scopo sia quello di morire. In questo universo consideriamo tre istanti differenti:
- in A c'è una persona affamata;
- in B c'è quella persona che mangia;
- in C c'è la stessa persona sazia.
Per la logica di queste persone il mangiare fa dimagrire ed il tempo fluisce quindi nel verso:
Cà Bà A! Con questo paradosso (mal riuscito!) voglio solo rendere l'idea di cosa intendo quando dico che il tempo soggettivo dipende dalla logica, dalla psicologia, che a loro volta dipendono dai nostri desideri, che a loro volta seguono le leggi della selezione naturale e dell'evoluzione, che a loro volta dipendono dalle leggi di natura, che a loro volta dipendono ancora da una specie di Selezione Naturale Extra-Cosmica che seleziona l'universo più adatto per ogni punto di un inimmaginabile Iper-Spazio-Tempo.
L'universo sopra descritto non è il nostro visto alla moviola, è l'opposto! Io quando sono in A aspetto C; l'anti-me quando è in C aspetta A! Il tempo soggettivo esprime il nostro mutamento in relazione ai nostri desideri. Durante la giornata, durante la vita, ciascuno di noi ha desideri diversi, più o meno intensi, più o meno "urgenti" ed a ciascuno di essi è associato un particolare tempo soggettivo: nel momento in cui il nostro desiderio è quello di svolgere il nostro compito sociale, tutti noi ci sincronizziamo con l'indicazione dataci dall'orologio e quel tempo soggettivo lo chiamiamo "tempo oggettivo".
Mentre sogniamo o mentre siamo sotto l'effetto di alcol, sedativi o droghe, la percezione che abbiamo dello spazio e del tempo è indubbiamente molto diversa da quella "normale". Se mantenessimo anche da svegli quel tipo di percezione, avremmo vita molto breve! Questo però non significa che una percezione sia più "giusta" dell'altra: traducendo l'affermazione kantiana in termini darwiniani, possiamo dire che percepiamo il mondo secondo le modalità spazio-temporali corrispondenti al nostro stato di veglia perché questa forma di percezione - programmata a livello genetico - si è dimostrata più utile nella lotta per la sopravvivenza. Non ha senso chiedersi - kantianamente parlando - se esiste effettivamente qualcosa che corrisponde a queste nostre idee dello spazio e del tempo: sono solo predisposizioni innate che contribuiscono a perpetuare la specie.
E. Bellone, nel suo libro "Spazio e tempo nella nuova scienza", si chiede quali organi di senso raccolgano i segnali temporali. Visto che il tempo è moto, moto inteso anche come cambiamento, i sensori che recepiscono il tempo saranno gli stessi che recepiscono il cambiamento; cambiamento rispetto allo spazio (un sasso che cade), alla forma (un palloncino che viene gonfiato), al colore (una foglia che ingiallisce), etc.
Per recepire un cambiamento occorre quindi una memoria capace di:
È proprio quest'ultima capacità (l'intensità della percezione) che ci induce il concetto di cambiamento, di movimento e quindi di tempo. Facciamo un esempio: all'istante t (qualunque cosa sia questo istante) mi si sovrappone nella mente la sensazione forte che ho di un certo oggetto in quell'istante e quella debole di quello stesso oggetto: bene, quest'ultima sensazione verrà interpretata dalla mia mente come "istante precedente". Se invece ci fermiamo ai primi tre punti, ovvero se la memoria ci fa sovrapporre nella mente due stati diversi di due oggetti qualsiasi (anche coincidenti) ma senza riguardo all'intensità della percezione, nasce in noi il concetto di spazio: ecco perché il concetto di spazio è più arcaico di quello di tempo (negli animali e nei sogni, dove si attiva la parte più antica del cervello, la categoria temporale è molto più imprecisa), proprio perché non necessita di un apparato aggiuntivo capace di discriminare variazioni dell'intensità percettiva. L'idea che esista uno spazio ed un tempo si riduce così a semplici sensazioni primarie (visive, tattili, uditive, olfattive, gustative, termiche, motorie, dolorifiche, etc…) che vengono raccolte, sovrapposte ed elaborate da un unico centro supersensoriale, centro che in definitiva È lo spazio-tempo.
Spazio e tempo (e la nostra stessa autocoscienza), insomma, vanno intesi solo come sensazioni elaborate e non come realtà esterne (o interne) che noi percepiamo attraverso segnali caratteristici (come le immagini o i profumi) che tali realtà emanerebbero. Insomma, queste stesse percezioni che abbiamo (una luce, un suono…) non è detto che siano segnali provenienti da "oggetti posti nello spazio", ma potrebbero essere solo sensazioni indotte in "noi" da chissà che cosa e che ci portano a costruire l'idea di uno "spazio" che contiene degli oggetti capaci di inviarci tali segnali. Il buon funzionamento di questi modelli, poi, è garantito, come sempre, dalla Selezione Naturale.
Proviamo a fare un "esperimento mentale". Prendiamo due gemelli omozigoti: Pietro e Paolo; al momento della nascita Pietro viene ibernato mentre Paolo cresce normalmente, ma con un particolare: per tutta la vita, dall'istante della nascita in poi, Paolo sarà dotato di un apparecchio collegato a tutte le terminazioni nervose che giungono al suo cervello e capace di registrare tutti i segnali elettrici convogliati dal nervo ottico, quello acustico, quelli motori, etc. Alla morte di Paolo (o magari anche prima), Pietro viene disibernato, il suo cervello viene tolto dal cranio, mantenuto in vita da una circolazione sanguigna opportuna ed alle sue terminazioni nervose verrà collegato l'apparecchio precedentemente collegato a Paolo, il quale apparecchio riverserà sul cervello di Pietro tutti i segnali elettrici registrati (ovviamente nello stesso identico ordine). Bene, benché il cervello di Pietro si trovi chiuso in una scatola dentro una stanza buia, questi comincerà a vedere, sentire, crederà di muoversi, di camminare, sentirà la pressione del terreno contro i piedi che non ha, avrà l'impressione di parlare, di ascoltare, di percepire gusti e profumi e elaborerà una concezione dello spazio e del tempo: insomma, ripeterà, a qualunque livello, la stessa identica vita di Paolo!
Con questo esempio ho voluto solo dimostrare che, lungi dalla speranza di poter pervenire al "noumeno" e con la speranza di non essere solo dei cervelli cavie di qualcuno, la discussione sulle categorie fondamentali dell'essere (spazio, tempo, logica, consapevolezza…) ci deve porre in una posizione di estrema modestia ed incertezza ove non dare per scontati neppure i concetti apparentemente più ovvii ed assoluti. (Quando crediamo di spostare la mano nello spazio che ci circonda, forse non esiste né lo spazio, né la mano e forse anche noi non siamo che "il sogno di qualcun altro" (Borges "Finzioni - Rovine circolari")).
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Paolo Bocchio è nato a Treviglio (BG), il 6/1/1961 (data ricca di simmetrie, presagio del suo amore per l'ordine e la chiarezza!). Dopo aver conseguito la maturità scientifica ad Alessandria, ha lavorato per quattro anni nel sugherificio paterno, ma, decisamente non tagliato per il commercio, ho optato per la prosecuzione degli studi e si è laureato in Fisica - indirizzo Nucleare- all'Università Statale di Genova nel 1988. Ha insegnato Elettronica, Matematica e Fisica nelle Scuole Superiori e attualmente è docente di Telecomunicazioni all'I.T.I.S. "G. Ciampini" di Novi Ligure (AL). E' stato membro dell'Associazione Astrofili Alessandrini e collabora col Centro Studi Il Villaggio dell'Uomo e con l'A.I.F. (Associazione per l'Insegnamento della Fisica), dei quali è socio. Dedica il suo tempo libero all'approfondimento in campo epistemologico.
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