La "fuga" di Amleto, ovvero alla ricerca
dell'Introduzione originaria di Hamlet's Mill
(Il non detto in rapporto alla tematica centrale)
(Massimo Cardellini)
Carlo. Ma l'arcivescovo Usher non ha già fissato la data di tutti gli avvenimenti del mondo?
N. Disgraziatamente non tenne conto della precessione degli equinozi. Ho dovuto quindi correggere alcuni suoi errori.
C. E, con buon rispetto del nostro pastore, che diavolo è questa precessione degli equinozi? […]
N. È una cosa semplicissima ed anche un bambino può capirla. I due giorni dell'anno in cui giorno e notte sono d'uguale durata sono gli equinozi. In ogni anno siderale che si sussegue questi giorni hanno luogo con anticipo. Comprenderete subito che ciò involve un moto retrogrado dei punti equinoziali lungo l'eclittica. Questo è ciò che chiamiamo la precessione degli equinozi.
Fox. Grazie. Signor Newton, ma ne so tanto quanto prima.
(George Bernard Shaw, Ai tempi d'oro del buon re Carlo)
Questa scoperta rappresenta ovviamente l'acme della ricerca intrapresa in Hamlet's Mill, dal momento che la nozione della natura astronomica di gran parte della mitologia mondiale funge sempre da supporto a questa tematica centrale.
Definito sommariamente in cosa consista la tematica centrale, su cui, se pur brevemente, nel corso del presente saggio si dovrà necessariamente ritornare, è ora doveroso specificare cosa si debba intendere per non detto in rapporto ad essa, di modo che risulti chiaro il perché esista, e non sarebbe potuta esistere in Hamlet's Mill, una strategia espositiva estremamente elaborata e raffinata, da vero artista qual era appunto de Santillana.
Anzi spero di mostrare che questa strategia espositiva piuttosto ricercata sia il portato stesso della indagine svolta dallo studioso italo americano, e cioè un omaggio da parte di una grande mente dei nostri tempi alle grandi menti del profondo ieri che forgiarono le più robuste strutture mentali dell'umanità, le categorie eterne dello spirito, il linguaggio del simbolo attraverso cui essi indagarono il cosmo e se stessi. Ricapitolando, la tematica centrale sviluppata da de Santillana lungo tutto il corso di Hamlet's Mill potrebbe essere concepita come lo sviluppo del tema originale di una immensa partitura sinfonica mentre il non detto come delle ingegnose variazioni che l'andrebbero a sostenere ed arricchire.
Trovo assolutamente importante insistere su questa analogia di natura musicale in quanto essa non è mia ma suggerita molto sottilmente dallo stesso de Santillana per ben quattro volte nel corso della sua opera in punti oltretutto altamente significativi.
L'ubicazione di questi quattro passi in cui la tecnica musicale della fuga viene adoperata da de Santillana come immagine analogica per la struttura del suo Hamlet's Mill è molto importante in relazione a quanto stiamo qui discutendo, in quanto essi si rinvengono una prima volta nella Prefazione, una seconda volta a brevissima distanza, nell'Introduzione, una terza volta nel fondamentale capitolo, intitolato Intermezzo. Una guida per i perplessi, ed una quarta ed ultima volta nello scritto conclusivo, intitolato Conclusione. Queste quattro parti sono le uniche, insieme al penultimo capitolo intitolato Epilogo. Il tesoro perduto, e che de Santillana ha voluto portasse addirittura la sua sola firma, a non essere stati numerati dall'autore.
Nulla di strano in fin dei conti per quel che riguarda sia la Prefazione e la Introduzione che per la Conclusione il cui compito, come è ovvio, doveva limitarsi rispettivamente ad illustrare da una parte lo scopo del lavoro che l'autore presentava all'attenzione del lettore, e dall'altra a trarre un bilancio globale di quanto conseguito nel corso del medesimo. Il capitolo intitolato Intermezzo compare però nell'indice tra il quarto (Storia, mito e realtà) ed il quinto capitolo (Rivelazioni in India) senza numerazione ed in modo decentrato rispetto agli altri capitoli creando così visivamente un vuoto nell'incolonnamento riportato nell'indice che ha come risultato quello di porlo in forte evidenza (vedi Appendice B). Si viene a creare così una simmetria nel corpo dell'opera in cui la Prefazione e l'Introduzione precedono il trattato vero e proprio, costituito di ben 23 capitoli numerati, e l'ampio Epilogo. Il tesoro perduto e la Conclusione, che la seguono. Unica eccezione, come già detto, l'Intermezzo, collocato in modo evidentemente, se non ostentatamente, eccentrico rispetto al complesso dell'esposizione, succedendo ai primi quattro e precedendo i rimanenti diciannove e, reso ancora più visibile, dalla mancanza di numerazione.
Il motivo fondamentale per cui de Santillana ha usato per ben quattro volte la tecnica musicale della fuga come figura atta ad illustrare la struttura profonda di Hamlet's Mill risulta in modo evidente nel terzo passo, contenuto quindi nel capitolo non numerato, in cui de Santillana scrive:
"Fin dal principio avevamo pensato di intitolare il nostro saggio Arte della fuga, il che esclude, e non vi si insisterà mai abbastanza, qualsiasi "immagine del mondo". Ogni sforzo di ricorrere a schemi è destinato a far cadere in contraddizione. È una questione di tempi e di ritmi." [pag. 87].
Ecco quindi individuato il motivo del ricorrere per ben quattro volte di questa immagine dell'arte della fuga bachiana come idonea a descrivere la difficoltà di rendere conto dell'assenza di un piano espositivo formale rigoroso: il titolo originario di questo vasto Saggio sul mito e sulla struttura del tempo avrebbe dovuto essere quindi, per ammissione dello stesso autore, quello di Arte della fuga.
Ecco spiegato anche il motivo per cui questi quattro importanti passi si ritrovano proprio nei tre capitoli non espositivi della tematica centrale bensì, come già detto nella Prefazione, nella Introduzione; nell'Intermezzo, la cui funzione è proprio quella di effettuare un primo e ultimo bilancio di quanto esposto in modo apparentemente caotico nei primi quattro capitoli dell'opera, e di ciò che si continuerà a esporre nello stesso modo ancora per i rimanenti diciannove; e la Conclusione.
Ritengo che questi quattro paratesti, che posseggono una loro specifica individualità e funzione all'interno di Hamlet's Mill, dovevano essere stati in origine, quando de Santillana aveva l'intenzione di intitolare il suo lavoro Arte della fuga, un unico capitolo, probabilmente quello introduttivo, in quanto i quattro passi insistono proprio, come avremo modo di vedere più dettagliatamente, proprio sulla difficoltà di dare ad una tematica qual è quella affrontata un'adeguata forma espositiva.
L'abbandono del primo titolo per quello infine prescelto, e sicuramente altri motivi (ancora, non ultimo, l'eccessiva lunghezza di questo capitolo introduttivo in rapporto alla lunghezza media dei 23 capitoli argomentativi, e il suo tono forse troppo professorale o addirittura eccessivamente, anzi accademicamente sicuro di sé), deve aver convinto il grande studioso a ridislocare questo lungo scritto, che presumiamo introduttivo, in diverse parti del libro, e che crediamo di aver potuto individuare grazie all'uso in ognuno di essi dell'uso della figura analogica della fuga musicale per illustrare adeguatamente la particolare struttura dell'intera composizione.
Nella Prefazione, paventando che il testo potesse presentare delle serie difficoltà ai lettori, si teneva a precisare che queste non erano imputabili agli autori:
"Sono le difficoltà inerenti a una scienza che fu fondamentalmente tenuta segreta, e in modi tali che noi non riusciamo bene a immaginare. Ma la difficoltà maggiore deriva dal fatto che non abbiamo potuto far uso della nostra tradizionale logica catenaria, così semplice ed onesta, in cui prima si pongono i principi e poi segue la deduzione. Non così facevano i pensatori arcaici; essi pensavano invece in un modo paragonabile forse alla fuga musicale, dove tutte le note non possono esser costrette entro un'unica scala melodica, dove si viene tuffati in medias res e si deve seguire l'ordine temporale creato dai loro pensieri. È nella natura della musica, dopotutto, che le note non possono essere suonate tutte assieme. L'ordine e la sequenza, il significato stesso della composizione, si riveleranno – con la pazienza - a tempo debito. Il lettore, suggerirei, dovrà porsi nell'antico "Ordine del Tempo"". [pag. 20/21]
Ecco definita con le stesse parole dell'autore in cosa consista la struttura profonda non soltanto della fuga come genere musicale quanto soprattutto del proprio ponderoso lavoro. Questo passaggio se ha l'indubbio merito di rendere immediatamente comprensibile la struttura del libri attraverso il suo accostamento con la tecnica della fuga musicale, presenta però il demerito di introdurre accanto a questa chiarificazione concettuale già alcune tematiche collaterali, che ho definito come non detto, e precisamente:
1] l'esistenza di una scienza tenuta segreta attraverso modalità che l'autore ammette di non riuscire ad immaginare;
2] l'esistenza di una logica che de Santillana chiama non catenaria;
3] l'esistenza di una classe di individui che de Santillana definisce come pensatori arcaici a cui detta logica catenaria va attribuita.
Risultano così individuate l'una accanto all'altra, tanto per evidenziare la chiarezza con la quale de Santillana aveva affrontato non soltanto la particolarità della struttura globale della sua grande affresco, tre grandi tematiche di supporto a cui l'autore accenna ma che non tratta neanche marginalmente in nessun punto del suo lavoro. La statura intellettuale di de Santillana gli avrebbe permesso senz'altro di comporre un opera dalla mole ancora più formidabile, ma egli avrebbe dovuto trattare contestualmente alla tematica centrale, anche:
1] degli aspetti contenutistici di una conoscenza segreta, di cui egli ha rintracciato su scala mondiale le grandi coordinate;
2] degli aspetti storici ed antropologico culturali della mentalità delle civiltà che elaborarono questa scienza segreta;
3] degli aspetti da sociologia della conoscenza e sociologici veri e propri degli individui preposti alla elaborazione e trasmissione di questa conoscenza segreta.
In relazione all'ampia citazione riportata sopra, va evidenziato che è soltanto dopo aver posto queste tre formidabili tematiche, che de Santillana descrive e non senza acutezza, la natura complessa della tecnica della fuga musicale, e che la attribuisce anche alla sua opera. Soltanto così intesa essa assumerebbe una sicura intelligibilità, in quanto a causa della tematica centrale affrontata (la quale è pur sempre un tentativo di ricostruzione di una produzione intellettuale elaborata da particolari individui che in ere remote la crearono attraverso tecniche di indagine non basate sulla logica a cui noi contemporanei diamo valore assoluto), sarebbe altrimenti condannata a non approdare ad alcun risultato certo. Ciò invece potrà accadere se il lettore sarà paziente e soltanto "a tempo debito", soprattutto se egli capirà che dovrà porsi nell'antico "Ordine del tempo".
Passando ora al terzo passo, presente come già detto nell'Introduzione e contenente anch'esso l'analogia con l'Arte della fuga di Bach, dovrò necessariamente rimarcare che esso costituisce il suo inizio vero e proprio:
"Questo lavoro intende essere semplicemente un saggio: una prima perlustrazione di un regno quasi mai esplorato e registrato sulle carte. Da qualunque parte vi si penetri, si rimane prigionieri della stessa sconcertante complessità circolare, come all'interno di un labirinto: esso non possiede, infatti, un ordine deduttivo in senso astratto, ma assomiglia piuttosto a un organismo tenacemente racchiuso in sé o, meglio ancora, una monumentale "Arte della fuga"". [pag. 25]
Ricaviamo così l'assoluta certezza che in origine de Santillana aveva scritto veramente una lunga Introduzione alla sua opera, il cui titolo L'arte della fuga, lo aveva costretto ad illustrare approfonditamente i motivi che lo avevano indotto a scegliere quel titolo, adatto più ad un trattato di musicologia che ad uno studio comparato del mito. L'abbandono di quel primo titolo per il secondo, ancor più enigmatico del primo ma che per lo meno, al contrario di esso, ha almeno il merito di scaturire dalla materia stessa della ricerca, provocò così un ridimensionamento dell'analogia musicale che però deve essere dispiaciuto a de Santillana, tanto da non indurlo a rigettare del tutto quanto egli aveva elaborato per illustrare quella singolare quanto significativa analogia, e da ridistribuirla poi negli scritti che all'interno dello studio gli permettevano di recuperarla.
Non mi sento di escludere a priori che lo stesso vasto penultimo capitolo Epilogo. Il tesoro perduto, facesse parte, se non del tutto (perché in uno studio di quelle dimensioni un capitolo conclusivo doveva pur essere previsto) almeno in buona parte dell'Introduzione originaria. Allo stesso modo non mi sento altresì di escludere che lo stesso Intermezzo facesse anch'esso parte di questa Introduzione originaria. Se entrambi questi capitoli non contengono più l'analogia musicale centrata sull'arte della fuga, essi comunque contengono delle indicazioni sulla logica della mentalità e del linguaggio primordiali che altro non sono che i moventi che spinsero in un primo momento de Santillana ad orientarsi a scegliere per il proprio lavoro il titolo poi abbandonato.
La densità delle immagini usate dall'autore come supporto all'analogia illustrata dovrebbero risultare evidenti. L'opera viene definita innanzitutto, e non per falsa modestia, un semplice saggio e ancor più precisamente:
A] "una prima perlustrazione di un regno quasi mai esplorato e registrato nelle carte";
B] lavoro che ha come propria peculiarità una "sconcertante complessità circolare" di cui "si rimane prigionieri come all'interno di un labirinto";
C] lavoro che infine non possiede, (cosa che al lettore non può che risultare strano per uno storico della scienza) "un ordine deduttivo in senso astratto".
È dopo aver enumerato queste caratteristiche che de Santillana usa infatti a scopo illustrativo sintetico la detta analogia, e cioè dopo aver rimarcato nei punti precedenti:
A1] l'assoluta originalità dell'oggetto dell'indagine (regno), che corrisponderebbe a quanto in questo scritto è definita "tematica centrale"; indagine per di più su cui non esisteva alcuna registrazione nel complesso degli studi sul mito (carte), prima della ricerca in oggetto;
B1] una singolare difficoltà che la natura dell'indagine stessa porrebbe a chi la intraprende, inducendo questi a girare in circolo, cioè a vagare in modo inconcludente come in un labirinto in cui si rimarrebbe addirittura prigionieri;
C1] che lo studio che l'autore sta proponendo al lettore è addirittura privo di una vera e propria struttura argomentativa progressiva, di modo che l'autore possa dirsi ad un certo punto soddisfatto della propria ricerca essendo giunto alfine alla mèta prefissatasi.
In effetti de Santillana, avvertendo già il lettore nella pagina precedente del fatto che sta per intraprendere una lettura irta di difficoltà che non deve imputare all'autore, ma che sono appunto "inerenti a una scienza che fu fondamentalmente tenuta segreta, e in modi tali che noi non riusciamo bene a immaginare", aveva già anticipato quanto è stato posto in evidenza nel punto C, e chiarito in C1, e cioè il fatto che per Hamlet's Mill egli non aveva potuto far uso "della nostra tradizionale logica catenaria, così semplice e onesta, in cui prima si pongono i principi e poi segue la deduzione", caratteristica che egli riconosce essere la difficoltà principale di quelle che il lettore comunque incontrerà.
La quarta ed ultima citazione in cui de Santillana usa la metafora dell'arte della fuga è contenuta nell'Epilogo, e quindi nella parte terminale della sua opera. Com'è sin troppo evidente, se le prime tre citazioni contenenti la nota metafora a carattere musicale sono poste a distanze brevi - anzi brevissima se consideriamo quella tra la Prefazione (pag. 20/21) e l'Introduzione (pag. 25), e relativamente breve se consideriamo quella tra questi due primi paratesti ed il terzo, Intermezzo (pag. 87) - nel loro complesso questi tre pezzi sono posti ad una distanza piuttosto considerevole rispetto al quarto, appunto l'Epilogo (pagina 407). Ciò rende non facile una loro individuazione ad una prima lettura, ma come accade per tutti i grandi studi è la rivisitazione che paga, soprattutto perché in genere sono gli autori di essi ad aver voluto disseminarli di indizi che, una volta scoperti, permettono a chi li ha trovati di gustarne in intensità e profondità. Allo stesso modo quando si è in grado di comprendere finalmente la complessità strutturale dell'Arte della fuga di Bach, o della sua Offerta musicale, o di qualunque altra opera non importa se letteraria, poetica, pittorica, musicale, plastica, scientifica, perfino nella stessa natura a vari livelli, fenomeno che Douglas Hofstadter - nel suo altrettanto ponderoso ma eccitante Gödel, Escher, Bach, un'Eterna Ghirlanda Brillante3 - ha saputo perfettamente illustrare sia come categoria mentale, sia come caratteristica implicita nella struttura profonda o del reale o della logica, e di cui la mentalità arcaica a suo modo era perfettamente consapevole.
Chiudiamo, in bellezza con la detta quarta citazione concernente l'ultimo indizio disseminato da de Santillana, che riteniamo inutile commentare per lasciar meglio agire nel lettore le sue quasi infinite suggestioni:
"La natura di questo sconosciuto mondo della forma astratta può
anche venir suggerita attraverso simboli musicali. L'Arte della fuga
di Bach rimase incompiuta, e le simmetrie presenti in quanto ne rimane
possono solo accennare a ciò che avrebbe potuto essere l'opera completa,
e comunque esse non sono nemmeno così come Bach le lasciò:
le lastre incise andarono perdute e in parte distrutte, poi furono rintracciate,
ricomposte e collocate in un ordine approssimativo. Ciò nonostante,
se si considera la composizione così com'è ora, non si può
fare a meno di credere che vi fu un tempo in cui il progetto visse nella
sua interezza nella mente di Bach". [pag. 407]
Note
1 - Hamlet's Mill. An essay on myth and the frame of time, 1969. Tr. It: Il mulino di Amleto. Saggio sul mito e sulla struttura del tempo. Adelphi, Milano, 1ª edizione 1983, 8ª edizione 2000. Le citazioni nel presente saggio corrispondono alla 4ª edizione del 1997.
2 - L'altro autore è la tedesca storica della scienza, Hertha von Dechend.
3 Douglas R. Hofstadter, Gödel, Escher, Bach, An Eternal Golden
Braid, 1979, Basic Book; Tr. It. Gödel, Escher, Bach, un'Eterna
Ghirlanda Brillante, Adelphi, Milano, 1984. L'edizione italiana porta
come sottotitolo, non in copertina ma nel frontespizio: Una fuga metaforica
su menti e macchine nello spirito di Lewis Carroll.
Appendice A
Alcune citazioni adeguate, e non dalla sola opera in esame, aiuteranno a comprendere meglio il senso di ciò che precede.
"Per molti anni ho cercato il punto in cui mito e scienza si congiungono. Da molto tempo mi era chiaro che le origini della scienza avevano le loro radici profonde in un mito particolare, quello dell'invarianza" [pag. 15]
"Tanto per cominciare, non esiste un sistema in termini analitici moderni; non c'è una chiave né vi sono principi. La struttura proviene da un tempo in cui non esistevano sistemi come li intendiamo noi, e sarebbe scorretto cercarne uno. Ben difficilmente sarebbe potuto esistere presso popoli che affidavano tutte le loro idee alla memoria. Possiamo considerarla una pura struttura di numeri" [pag. 87]
"Il lettore moderno rispetta come "scientifiche" soltanto le formule di approssimazione lunghe una pagina e cose simili. Non gli vien fatto di pensare che in passato una conoscenza altrettanto importante potesse venir espressa nella lingua di tutti i giorni. È una possibilità che nemmeno sospetta, anche se le realizzazioni delle civiltà antiche - basti pensare alle piramidi o alla metallurgia - dovrebbero esser motivo probante per concludere che dietro le quinte lavorava gente seria e intelligente, che non poteva servirsi di una terminologia tecnica" [pag. 88]
"[un retaggio che dobbiamo a un] quasi incredibile antenato del Vicino Oriente, che per primo osò intendere il mondo come creato secondo numero, peso e misura" [pag. 164]
"Il merito principale (del linguaggio mitico) è che può essere usato come veicolo per trasmettere conoscenze concrete indipendentemente dal grado di consapevolezza delle persone che concretamente narrano le storie, le favole o altro" [pag. 364]
"Era una lingua che non si curava delle credenze e dei culti locali e si concentrava invece sui numeri, moti, misure, architetture generali e schemi, sulla struttura dei numeri, sulla geometria… È di antichità che incute timore" [pag. 405]
"Nulla rimane dell'antica conoscenza se non le reliquie, i frammenti e le allusioni sopravvissuti al violento attrito dei tempi. Parte del tesoro perduto può essere ricuperata attraverso l'archeologia; parte - per esempio, l'astronomia maya - può venire ricostruita col ricorso alla pura ingegnosità matematica; ma la totalità del sistema si trova forse al di là di ogni possibile congettura, poiché le menti creative e ordinatrici che lo idearono sono svanite per sempre" [pag. 409]
"Un tempo gli studiosi davano per scontata l'identità del nostro passato con i "selvaggi" contemporanei… Il "primitivo" degli studiosi ottocenteschi era semplicemente "prelogico"... La scala del Progresso partiva di lì… Ma in quei decenni dell'Ottocento si fecero anche delle grandi scoperte. Sir James Frazer nel suo Ramo d'oro rivelò l'antichissima diffusione mondiale di credenze, operazioni magiche, e riti di fertilità che con ogni probabilità precedevano la civiltà a noi nota e dimostrò che essi sono la profonda infrastruttura universale delle nostre culture storiche, ancor vivi ed operanti ai giorni nostri. I filologi classici rabbrividirono al vedere quella Grecia unica al mondo che essi avevano vagheggiato, perdere i propri contorni contro uno sfondo barbarico; gli antropologi, al contrario, esultarono" [Le origini del pensiero scientifico. Da Anassimandro a Proclo 600 a.C.-500 d.C. (Sansoni, Firenze, 1966), pag. 14]
"Quelle che ci appaiono condizioni "primitive" sono, con pochissime eccezioni solo ciò che è rimasto di antiche civiltà altamente sviluppate; quello che sembrava essere uno stadio di superstizione universale e costante da cui si sarebbe sviluppato il pensiero, non è altro che il comune denominatore nel quale versano le civiltà in decadenza" [ibidem, pag. 15]
Scheda bio-bibliografica di Giorgio de Santillana
1901-1974. Nato a Roma, abbandona l'Italia nel 1938 a causa delle leggi
razziali. Si trasferisce negli Stati Uniti dove insegnò a lungo
al MIT (Massachusetts Institute of Technology). [1946] Compendio di
storia del pensiero scientifico; [1960] Processo a Galileo;
[1961] Le origini del pensiero scientifico; [1968] Fato antico
e Fato moderno; [1969] Il mulino di Amleto.
Appendice B
Indice de Il mulino di Amleto
Prefazione
Introduzione
1. Il racconto del cronista
2. La figura in Finlandia
3. Il parallelo iranico
4. Storia, mito e realtà
Intermezzo. Una guida per i perplessi.
5. Rivelazioni in India
6. La macina di Amlóði
7. Il coperchio variopinto
8. Sciamani e fabbri
9. Il Titano Amlóði e la sua trottola
10. Il crepuscolo degli dèi
11. Sansone sotto molti cieli
12. L'ultimo racconto di Socrate
13. Del tempo e dei fiumi
14. Il gorgo
15. Le acque sorgenti dal profondo
16. la pietra e l'albero
17. La struttura del cosmo
18. La Galassia
19. La caduta di Fetonte
20. Le profondità del mare
21. Il grande Pan è morto
22. L'avventura e la ricerca
23. Gilgameš e Prometeo
Epilogo. Il tesoro perduto
Conclusione
Appendici
Bibliografia
Indice analitico
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Massimo Cardellini è nato a Binche, in Belgio, nel 1958. Dal 1969 vive a Foligno. E' sposato ed ha due figli. Si è laureato in Filosofia a Perugia. I suoi interessi sono prevalentemente rivolti alla storia in generale ed a quella alternativa in particolare, ma si interessa anche ai tipi di formalizzazione del pensiero. Queste tematiche lo inducono ad interessarsi tendenzialmente della letteratura e della storia di ogni tempo e di ogni cultura.
a.abdiel@libero.it