La leggenda dei Merovingi nella Corona del Mosaico di Otranto?

(Sabato Scala)


 




Introduzione

Nel precedente articolo abbiamo illustrato le linee guida generali che individuano le probabili chiavi interpretative per la decifrazione della complessa simbologia del mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto, nelle tematiche tipiche del pensiero gnostico e nei testi scoperti nel 1945 a Nag Hammadi con particolare riferimento al Vangelo di Filippo.

Adoperando il medesimo metro e metodo interpretativo ci proponiamo, ora, di approfondire e decodificare la parte più criptica di quest'opera: la Corona, l'insieme di 16 simboli, cioè, che campeggia nella parte superiore dell'opera al centro del presbiterio (vedi l'immagine allegata alla fine dello scritto precedente).

La Torre

Torniamo, ancora una volta, alla Torre di Babele, simbolo che nell'opera musiva ha dimensioni seconde solo all'Albero. Abbiamo già detto che le cospicue dimensioni della rappresentazione individuano in essa una possibile chiave per la decifrazione del significato nascosto del mosaico. Limitandoci all'interpretazione della parte centrale del mosaico come raffigurazione simbolica della cabala ebraica, non abbiamo in effetti dato finora soluzione al problema della funzione di questo simbolo. L'insistenza sulle tematiche bibliche veterotestamentarie e sulla cabala, che costituisce un mezzo necessario per l'interpretazione dei significati nascosti delle narrazioni bibliche, ci porta a pensare che la lingua ebraica possa aggiungersi agli strumenti adottati per decifrare i significati nascosti dell'opera. Infatti, gli algoritmi di decodifica esposti in opere antichissime come il Sefer Yietzirà si applicano unicamente alla Bibbia scritta in ebraico.

Prima di adoperare questo strumento, vogliamo far notare un altro particolare elemento di regolarità che è insito nel mosaico: quello della rappresentazione delle coppie. Tutte le coppie, siano esse umane, animali o materiali, nel mosaico sono rappresentate con la parte femminile a sinistra: la regina di Saba si trova a sinistra di Salomone, Eva a sinistra di Adamo, sia nella Corona che nella rappresentazione del Paradiso terrestre, la Sirena è a sinistra del Pardus Alatus, e così via. Nel caso della Torre, essa è, ancora una volta, collocata alla sinistra dell'albero che troneggia al centro dell'opera. Adoperando, a questo punto, la lingua ebraica, si ottiene che essa è nel contempo: la compagna, may-ray'-ah, e la torre, mig-dawl, quindi Maria di Magdala, che rappresenta il cuore e nel contempo la sintesi del pensiero gnostico. Maria di Magdala è infatti colei che è destinata ai segreti più reconditi (Vangelo di Maria), la cui intelligenza e capacità di comprensione superano quelle dei dodici (Pistis Sophia), e che era talmente amata da Gesù da ricevere chiaramente un diverso trattamento, che suscitava non di rado le invidie dei discepoli ("la baciava sulla bocca", Vangelo di Filippo).

Abbiamo così a disposizione alcune chiavi di lettura necessarie per passare all'interpretazione della parte superiore del mosaico: la lingua ebraica, la gnosi, la Maddalena ed il principio delle coppie.
 
 

La Pantera e la tesi di Celso

Abbiamo dianzi cercato di fornire una prima chiave di lettura della prima riga della Corona, la quale ci ha portato a individuare nella Sirena il simbolo principe della gnosi: l'Abraxas, invenzione simbolica di Basilide che raffigura la potenza dell'unione delle tre figure Padre, Figlio e Spirito Santo, ma nel contempo contiene espliciti riferimenti alla forza sessuale. Tale interpretazione dell'intera prima riga della Corona vede in essa la raffigurazione del Padre, e argomenteremo che la paternità è anche una possibile chiave di lettura per il livello successivo. Infatti, il nome Pardus o Pantera, associato all'Abraxas (la Sirena), simbolo principe dell'eresia di Basilide e personale invenzione dello stesso, non può non ricondurci a un'altra e ben più audace tesi: quella di Celso, secondo il quale Gesù era figlio carnale di Maria e di un soldato romano di nome Pandera. Ad alimentare questa incredibile leggenda vi sono due fatti, uno antico e l'altro recentissimo. Le Toledoth ebraiche, antichissimi scritti che polemizzavano contro i cristiani, e in particolare i giudeo-cristiani, richiamano esplicitamente questa voce, da cui attinse, probabilmente, Celso, ma a tale antico documento se ne è aggiunto recentemente un altro: un papiro ritrovato nei pressi di Qumran, sottoposto già ad alcune analisi preliminari, ma mai pubblicato, il cosiddetto Rotolo dell'Angelo [1][2]. Il papiro narra la storia di Joshua Ben Pediah (Gesù figlio di Pediah) il quale, recatosi nel deserto, viene portato in cielo dall'angelo Pnimea. Il nome di quest'angelo ritorna in un altro antichissimo testo cui spesso si ispirano le scritture essene [3] e quelle gnostiche: il Libro dei Segreti di Enoch. Anche questo elemento va tenuto in conto, per quanto diremo tra breve relativamente alla figura di Re Salomone.

Tornando a noi, il Jerusalem Report, che ha pubblicato nel 1999 una sintesi del contenuto di tale papiro, non si esime dall'evidenziare l'incredibile assonanza tra il nome di Joshua Ben Pediah e Gesù figlio di Pandera, nella tesi di Celso. Ma se il Pardus è associato ad una qualità del Padre (vedi precedente articolo) e rappresenta anche il padre di Gesù (Pandera), allora ci dovrebbe essere, in qualche modo, indicato anche il Figlio, ovviamente in forma criptica, visto che mai nel mosaico Gesù viene esplicitamente raffigurato. In effetti, però, il Pardus tiene tra le mani un ariete, e sembra schiacciarlo (secondo l'interpretazione di Gianfreda richiamata nel primo scritto), ma non si comprende come questi possa essere considerato il Figlio. Qui è necessario adoperare una chiave interpretativa tipica della Corona: quella astrale, richiamata, peraltro, esplicitamente dalla scritta AUSTRI, presente nella prima riga in alto tra il simbolo di Salomone e quello della regina di Saba. La Sirena è, nel contempo, la compagna del Pardus ma anche un pesce: essa non può che rappresentare l'omonima costellazione dei Pesci, che insieme all'Ariete, quello tenuto appunto in mano dal Pardus-Pandera-Padre, segna l'inizio della nuova era marcata dalla nascita di Gesù, l'era dei Pesci, e la chiusura di quella precedente, l'era dell'Ariete.
 
 

La Sirena Melusina

Nel precedente lavoro abbiamo interpretato il simbolo della Sirena, riconducendolo alla gnosi, attraverso l'Abraxas. Non siamo, però, riusciti a decifrare il motivo che spinse Pantaleone a raffigurare quel simbolo con fattezze femminili invece che maschili. Proviamo, ora, a risolvere quest'enigma. Il simbolo è, come visto, collocato alla sinistra del Pardus, e tale collocazione è indispensabile per la corretta interpretazione dello stesso. La Sirena, quindi, non può che essere, ancora una volta, la compagna (may-ray'-ah), dalla meravigliosa (meged) coda (al-yaw'), ovvero Maria di Magdala, nuovamente. Secondo tale ricostruzione, Pantaleone avrebbe voluto, inoltre, denunciare l'ambiguità prodottasi nel corso dei secoli tra le due persone di Maria Maddalena e della madre di Gesù, allo scopo di offuscare l'importanza della prima imbarazzante figura, cardine della teologia gnostica. La Sirena appare come la compagna della Pantera, ma è pure compagna di colui che è rappresentato, come abbiamo visto, soltanto unendo i due simboli attraverso l'interpretazione astrale:Gesù.

Ma la Sirena svolge anche un altro incredibile ruolo, indispensabile per la decifrazione delle parti successive del mosaico. Per comprendere di che si tratta, va ricordato che l'immagine in oggetto, e in particolare la presenza di una Sirena a due code, era presente spesso nelle raffigurazioni medievali associate alla leggenda di Melusina. Di essa esistono diverse varianti, ma in sintesi narra quanto segue. Un giovane re conobbe una bella fanciulla di oscura origine. La giovane accondiscese a sposarlo, a patto di disporre ogni settimana di un giorno durante il quale si sarebbe allontanata da lui, e avrebbe dovuto rimanere sola. Dal matrimonio, all'apparenza felice, nacquero però figli umani solo per metà, così il re decise di seguire la sposa di nascosto, in uno dei giorni in cui ella si sarebbe allontanata. Con sua meraviglia si accorse che la bella fanciulla si trasformava in una mostruosa sirena con due code, e la testa simile ad un drago. Venuta a conoscenza della cosa, Melusina lasciò l'uomo, ritornando in mare ove, si dice, aveva accumulato una grande ricchezza. Ritroviamo elaborato un analogo tema in un'altra antica leggenda medievale, che ci riporta a quello riteniamo possa essere il vero significato nascosto della raffigurazione in discussione. Secondo tale racconto, da datarsi 500 anni circa prima della costruzione del mosaico, il capostipite della stirpe dei Merovingi sarebbe stato un certo Mervee. Sua madre incinta fu stuprata da un mostro marino denominato Quinotauro. Questa storia apparentemente innocua, nasconde, ancora una volta, nel gioco di parole del nome "Mervee", un'altra leggenda legata sempre alla Maddalena, quella che vuole che ella abbia avuto un figlio da Gesù, e che sia fuggita in Francia dopo la di lui morte sulla croce. Mervee avrebbe quindi, concordemente, il significato di "figlio di Maria di Magdala", e di padre della stirpe dei primi re di Francia: i Merovingi. La nostra Melusina, nel mosaico di Otranto, sarebbe, quindi, oltre che Maria, compagna di Pandera e madre di Gesù, anche Maria di Magdala compagna di Gesù e madre di Mervee, il leggendario fondatore della stirpe dei Merovingi. Il tramite per questa correlazione è, appunto, la leggenda di Melusina, che fa del mostro a due code al contempo il Quinotauro e la madre la quale, pur umana, genera un ibrido dall'apparenza umana, ma dalle qualità soprannaturali.

Non può a questo punto sfuggire la connessione con un'altra leggenda, alimentata di recente da scrittori all'apparenza estremamente fantasiosi [4], che si ricollega alla fuga in Francia della Maddalena, ed alla identificazione del termine Graal o Sangraal con Sangue Reale. Non va nemmeno dimenticata un'altra caratteristica tipica, questa sì storicamente accertata, relativa all'abitudine dei re Merovingi di non tagliarsi i capelli. Capelli in ebraico è nezer, e quindi Nazir, con possibile implicito rimando al Nazareno, loro ipotetico avo. Anche questa constatazione, che all'apparenza è una pura illazione, torna pesantemente sempre nella raffigurazione della Sirena, i cui capelli sono talmente lunghi da oltrepassare la lunghezza stessa della figura, tanto da fuoriuscire dal cerchio che la racchiude nel mosaico.
 
 

Re Salomone

Passiamo a un'altra emblematica figura della prima riga: quella di re Salomone. Nella prima parte abbiamo accennato alla sua funzione nella formazione delle lettere alfa e omega; ora, invece, ci soffermeremo sulla sua fondamentale e recondita funzione nel mosaico, quella di simboleggiare il più antico dei personaggi biblici, la cui storia precede la nascita stessa della Bibbia: Melchisedec. Per arrivare a questa correlazione è necessario risalire all'etimologia di Melchisedec e a una strana contraddizione esistente tra la versione riportata nel Libro dei Segreti di Enoch e quella biblica. Melchisedec è l'unione di due parole ebraiche: meh'-lek (Re) tsaw-dak (Giustizia), e quindi Re di Giustizia. Il libro dei Segreti di Enoch termina con una intrigante storia. La moglie di Nir, fratello di Noè, nonostante la sua sterilità e l'avanzata età, concepì un figlio senza l'intervento del marito. Nir non volle riconoscere il figlio e la moglie morì durante il parto. Miracolosamente essa, pur morta, generò un bimbo che aveva, sin dalla nascita, l'età apparente di 4 anni e che rimase sulla terra solo 40 giorni (gli stessi che Gesù trascorse nel deserto). Un angelo disse a Nir che il bimbo nato, cui fu dato nome di Melchisedec, sarebbe stato il più grande dei sacerdoti: il sacerdote eterno, da cui sarebbe nato un nuovo ed eterno sacerdozio e una nuova stirpe, dopo l'avvento del diluvio. Melchisedec, al pari solo di altri due personaggi come Joshua Ben Pediah nel Rotolo dell'Angelo e come Mosè sempre nella letteratura enochica, fu portato in cielo ancora fanciullo.

Questa storia nella Bibbia manca, e Melchisedec viene sostituito da un oscuro re dell'oscura cittadina di Salem, spesso identificata con Gerusalemme. Perché questo marginale re biblico debba rappresentare il più grande dei sacerdoti, capostipite di una nuova stirpe di sacerdoti, che vedrà in Gesù il suo primo e unico discendente [5], resta un mistero inestricabile restando all'interno della Bibbia, ma diviene chiaro rifacendosi al Libro dei Segreti di Enoch e ricollegando il fanciullo alla prima venuta del Messia, prima ancora che nascesse la Bibbia. Lo stesso concetto è mirabilmente presentato anche in uno dei più interessanti papiri qumraniani: 11QMelch [3].

A questo punto veniamo a Salomone e alla sua raffigurazione nel mosaico. Salomone è, tradizionalmente, l'emblema stesso dell'associazione del potere e della regalità alla giustizia e alla saggezza, quindi per sua natura è re meh'-lek ma anche giusto tsaw-dak (Giustizia). Il suo nome, Salomone, discende dalla radice salem (Pace), la stessa di Gerusalemme (città della pace), di conseguenza egli è anche il re di Salem che è nel suo ruolo e nel suo nome. Salomone è quindi il simbolo criptico di Melchisedec, e la sua presenza nel mosaico denuncia la sostituzione di Melchisedec, nato miracolosamente da vergine e progenitore dello stesso Gesù, con l'oscuro re di Salem biblico, probabilmente mai esistito.
 
 

La regina di Saba

La regina di Saba, come abbiamo anticipato nella parte precedente, è chiaramente e ancora una volta collegabile alla Maddalena. Per la corretta interpretazione della sua funzione possiamo ricorrere al seguente oscuro passo del Vangelo di Matteo (12:42):

La regina del mezzogiorno comparirà nel giudizio con questa generazione e la condannerà; perché ella venne dalle estremità della terra per udire la sapienza di Salomone; ed ecco, qui c'è più che Salomone!

Il brano collega, manifestamente, la regina del mezzogiorno alla regina di Saba e, nel contempo, a Salomone, anch'esso raffigurato nell'opera. La regina di Saba è l'emblema della Regina Nera, la cui bellezza e intelligenza stregarono Salomone. Tradizionalmente il nome Regina Nera è associato a un altro misterioso culto, quello della Madonna Nera, diffusissimo in Europa e promosso, guarda caso, dall'ultimo re della stirpe dei Merovingi: Dagoberto, personaggio sul quale torneremo presto per l'interpretazione della seconda riga. Un passo delle profezie di Michea (4:6) sembra poter fornire il legame che nella gnosi e nella leggenda dei Merovingi collega la funzione della Torre a quella della Regina, e della donna che avrebbe assicurato continuità alla futura stirpe regale:

Quel giorno, dice il SIGNORE, io raccoglierò le pecore zoppe, radunerò quelle che erano state scacciate e quelle che io avevo trattato duramente. Di quelle zoppe io farò un resto che sussisterà; di quelle scacciate lontano, una nazione potente. Il SIGNORE regnerà su di loro, sul monte Sion, da allora e per sempre. A te, torre del gregge, colle della figlia di Sion, a te verrà, a te verrà l'antico dominio, il regno che spetta alla figlia di Gerusalemme.

La regina di Saba è il simbolo veterotestamentario che meglio si adatta alla figura della Maddalena nell'eresia gnostica, poiché unisce insieme la figura regale, l'intelligenza, la capacità di conoscenza e la fedeltà al suo re, di conseguenza non poteva esservi scelta migliore per una raffigurazione simbolica che, pur senza richiamare elementi neotestamentari, li riportasse nella potenza e complessità della loro interpretazione gnostica.
 
 

La seconda riga del Mosaico e la fine della stirpe dei Merovingi

Il Sagittario, che è il secondo simbolo della seconda riga del mosaico, la scritta AUSTRI, e soprattutto le stelle di cui sono costellati tutti e quattro i simboli della seconda riga, ci suggeriscono che la lettura astrologico-astronomica è quella che va ora adottata per questa riga. Le stelle, in effetti, erano uno strumento che assolveva a una duplice funzione pratica: quella cronologica e di localizzazione. Abbiamo già visto come, per la prima riga, la coppia della costellazione dei Pesci e del piccolo ariete tra le zampe della Pantera assolva a una possibile funzione cronologica. Riteniamo che anche per la seconda riga possa adottarsi il medesimo criterio di lettura. Essa è giustificata dal modo adottato da Pantaleone nella parte centrale del mosaico per raffigurare la condanna alla schiavitù del tempo dopo la cacciata dal Paradiso Terrestre. Tutti i simboli dei mesi sono stati associati al corrispondente segno zodiacale.

Cominciamo col notare che il segno immediatamente successivo al Sagittario, nella sequenza astrologica, è il Capricorno, spesso identificato con il nome di Antilope del mare. Non a caso nel mosaico notiamo raffigurata un'antilope. La sequenza Capricorno-Sagittario, in linea con questa chiave interpretativa, non può che segnare il giorno in cui avviene il cambio di segno nell'anno, e quindi il 22 dicembre. Pantaleone avrebbe quindi voluto indicare una data, ma relativa a quale evento? La soluzione è nel cervo raffigurato immediatamente dopo. L'animale appare ferito alla testa da una freccia o una lancia. Il simbolo del cervo è associato, in diverse raffigurazioni, a un Santo vissuto intorno alla seconda metà dell'anno 600: Sant'Hubert. La leggenda narra che, abile cavaliere e cacciatore, durante una battuta di caccia, vide un cervo che recava una croce tra le corna. La sua storia è intimamente legata a quella dei Merovingi ed a quella di Dagoberto in particolare: egli, infatti, ne sposò la figlia Floribanne. A questo punto non può che ritornarci alla mente l'anno di morte di Dagoberto: il 22 (secondo altri il 23) dicembre del 679. Dagoberto, dopo aver perso il trono, si recò in Inghilterra, e vi rimase fino al 676, quando fortemente voluto dai suoi sudditi sebbene inviso al papato, fece ritorno dall'esilio, divenendo re d'Austrasia. Tre anni dopo, durante una battuta di caccia nella foresta delle Ardenne, fu colpito da una lancia al capo e morì. Si ritenne che la sua morte, fortemente sospetta, sia stata voluta o comunque favorita proprio in ambienti ecclesiastici. Con lui muore l'ultimo dei Merovingi. L'assonanza del nome di Sant'Hubert, raffigurato da un cervo, con Dagoberto, il fatto che questi sia stato ucciso esattamente come il cervo, il richiamo al giorno della sua morte, sono già ottimi indizi lungo questa strada, ma crediamo non siano i soli.

Adoperiamo di nuovo la Sirena. Essa è collocata subito sopra il cervo. Il termine pesce in ebraico è dawg; di conseguenza la coppia dawg e Hubert rimanderebbe a Dagoberto. Ma, forse, c'è di più. Una leggenda vuole che Dagoberto avesse un figlio di nome Sigiberto, che sopravvisse all'agguato facendo perdere per sempre le sue tracce. Il cervo, nel mosaico, si volta all'indietro, e l'azione di "guardare indietro" è in ebraico indicata con il termine seeg, da cui il nome che si ottiene ancora una volta associandolo con Hubert: seeg Hubert, Sigiberto.

Ciò che manca, a questo punto, è l'anno. Per questo veniamo all'ultimo cerchio della seconda riga che raffigura l'unicorno ed il frate. Il cerchio contiene tutti intorno 26 cerchi, e lascia un vuoto per il ventisettesimo, che è invece traslato all'interno del cerchio e circondato da una strana stella a quattro punte, distribuite secondo i punti cardinali, e una quinta posta tra la punta superiore e quella di destra. Percorrendo 26 volte il cerchio maggiore che racchiude l'unicorno, tante volte quanti sono i cerchietti, si ottiene 26x26 = 676 , e quindi l'anno del ritorno al potere di Dagoberto. La stella con le tre punte asimmetriche in evidenza potrebbe rappresentare i tre anni della durata del suo regno fino alla sua morte. Passiamo ora all'unicorno. Il termine corno in ebraico è keh'-ren, che è anche l'etimologia del termine corona. Come detto nel precedente lavoro, l'unicorno è il "nato da vergine", e rappresenta il Gesù del Vangelo di Verità, ma con la presenza del solo corno e con il legame a Dagoberto già esaminato, aggiunge a questa funzione un'altra: esso rappresenta la regalità dell'ultimo dei Merovingi di fronte al quale si inchina il frate Pantaleone raffigurato in ginocchio di fronte alla fantastica bestia.

Per concludere questa intrigante ricostruzione della seconda riga del mosaico non possiamo non far notare che, probabilmente, Pantaleone ci ha voluto indicare anche il nome del mandante di quell'omicidio. Per leggerlo, ancora una volta, bisogna procedere traducendo in ebraico i simboli dall'alto verso il basso nella seconda colonna. Partiamo da Salomone che rappresenta Melchisedec, antesignano di Gesù che, a sua volta, se è corretta l'interpretazione, è padre della stirpe dei Merovingi. Tutta la prima riga rappresenta, come visto, il Padre, la paternità che Salomone-Melchisedec sintetizza in sé. Egli è quindi "padre" che in ebraico è ab. Subito sotto c'è il Sagittario, l'essere metà uomo e metà cavallo: metà in ebraico è gav. Infine ancora più in basso c'è il drago Leviathan: drago in ebraico è tan. Abbiamo allora Ab-gav-tan = Agatone, e tale è infatti il nome di colui che occupò il trono pontificio proprio nell'anno in cui morì Dagoberto. Dagoberto divenne santo, nonostante fosse avversato dal papato di allora, e a lui si deve l'introduzione del culto della Madonna Nera che, anche nel mosaico, ha riferimenti fin troppo espliciti con la Maddalena-Regina di Saba.

Il mosaico sembrerebbe, a questo punto, alludere a un legame tra la gnosi e la stirpe Merovingia, proprio l'elemento che potrebbe aver determinato la rottura con il papato. E' possibile che Dagoberto avesse introdotto il culto della Madonna nera giocando sull'ambiguità Maddalena-Maria madre di Gesù, e sulla stessa ambiguità gioca Pantaleone con la sua rappresentazione della Sirena.
 
 

La terza riga e la diffusione del pensiero gnostico nel mondo

Per l'interpretazione della terza riga è necessario soffermarsi su due simboli, che paiono voler indicare esplicitamente due delle principali direttrici della diffusione del pensiero gnostico. Il dromedario (primo cerchio della terza riga), infatti, è spesso indicato come simbolo delle terre d'Egitto; in quanto prende, notoriamente, il posto del cammello arabo per gli spostamenti nel deserto africano. L'Egitto fu una delle terre ove la gnosi prese più piede, dato il fervente movimento culturale che fioriva intorno alle biblioteche di Alessandria, e che caratterizzò la nascita delle principali eresie gnostiche. Non a caso proprio in quelle terre, ed esattamente a Nag Hammadi, fu ritrovata nel 1947 la giara contenente i famosi testi gnostici cui abbiamo fatto riferimento nel precedente scritto. L'altro animale che è chiaramente legato a una precisa collocazione geografica è l'elefante indiano (terzo cerchio della seconda riga). Le terre d'India furono meta del viaggio di Tommaso, autore dell'omonimo Vangelo gnostico, e sono narrate in un altro testo di chiara ispirazione gnostica: gli Atti di Tommaso. Questa fu un'altra grande direttrice del pensiero gnostico, se vogliamo quella più naturale, per le affinità tra lo gnosticismo e le filosofie orientali (induismo e buddismo in particolare), ma anche la meno fortunata visto lo scarso seguito che ebbe rispetto alla corrente gnostica che nacque nelle terre dell'ex Impero Romano. Il più resistente dei filoni gnostici, che è stato anche il più difficile da sradicare, fu sicuramente quello medio-orientale, che faceva capo ai territori che vanno dall'attuale Grecia fino alla Turchia. Il simbolo tipico di queste terre può essere sicuramente la lince, diffusa, al tempo, nelle foreste europee e nei territori mediorientali. La lince (quarto simbolo della terza riga della Corona, raffigurato mentre schiaccia una volpe) possiede, poi, anche una particolare funzione simbolica nei bestiari medioevali [6], quella di rappresentare l'invidia. Probabilmente Pantaleone si riferisce all'invidia per le conoscenze e per l'evoluzione teologica di quella complessa filosofia che riusciva a produrre opere per altri oscure come lo stesso mosaico. Purtroppo quell'invidia scatenò una reazione violenta e durissima contro l'eresia gnostica, che però non fu mai del tutto domata, poiché trasformò la sua intelligenza in furbizia volpina. Ecco allora un possibile significato per la volpe-furbizia schiacciata sì dall'invidia-lonza, ma chiaramente non vinta. Non a caso la raffigurazione si trova subito sotto quella del monaco, che pare voler indicare la furbizia di correnti gnostiche come la sua, che trovarono riparo all'interno di monasteri quali l'abbazia di Casole, ove poterono attingere ai libri proibiti che via via venivano sottratti alla cultura mondiale dalle persecuzioni delle eresie.

Resta da chiarire la funzione dell'intrigante mostro, Leviathan, che campeggia quale secondo simbolo della terza riga. Non è difficile intuire una connessione tra il mostro e la Sirena-Drago alla base della leggenda dei Merovingi: quel mostro, potrebbe essere, quindi, un ulteriore rimando a quella leggenda. Il drago assume, nel mosaico, una particolare forma a cerchio che richiama un'antica leggenda che ha per protagonista un altro dei protagonisti del mosaico: Alessandro Magno. La leggenda vuole che l'arroganza e il desiderio di conquista del sapere, oltre che dei territori, portarono Alessandro a costruire un carro cui legò due grifoni, per farsi portare in cielo e svelare il mistero che in esso si celava [6]. Tale leggenda appare esplicitamente richiamata nella raffigurazione di Alessandro nella parte inferiore del mosaico. Egli, infatti, è rappresentato a cavallo di due grifoni. Un richiamo a tali animali lo si trova, forse, anche nella scritta GRIS riportata da Pantaleone sopra l'antilope. Alessandro, portato in cielo dai grifoni, vide sotto di sé il mare a forma di serpente arrotolato che tra le sue spire aveva un disco: la Terra. Leviathan arrotolato, quindi, è il simbolo del mare. La via del mare fu quella intrapresa dalla Maddalena per giungere in Francia, tanto che quel simbolo, il drago-serpente, il mostro marino, la Maddalena e Mervee divengono tutt'uno, finendo per rappresentare allo stesso tempo la Francia e la legittima discendenza al trono: quella dei Merovingi.
 
 

L'ultima riga e la sintesi del pensiero gnostico

Nell'ultima riga Pantaleone tenta una sintesi estrema del pensiero gnostico, cercando di identificarne i simboli che maggiormente rappresentano l'obiettivo e l'ambizione di quella filosofia. La scelta non poteva che ricadere, ancora una volta, su Adamo ed Eva, e la divisione da loro generata dell'uomo in se stesso. Il loro peccato di arroganza li aveva spinti a cibarsi del frutto dell'albero sbagliato, quello del Bene e del Male, e non di quello della Conoscenza. Con quella scissione in sé l'uomo divenne incapace di riconoscere la sua componente femminile, e la donna incapace di riconoscere la sua componente maschile. Una donna, Eva, aveva generato quell'errore, spinta dalla curiosità di pervenire alla conoscenza gratuitamente e senza sforzo nella ricerca e nella comprensione. Una donna, la Maddalena, riesce a comprendere il senso recondito delle parole del Gesù-Logos, strumento principe della gnosi, e mette a disposizione dell'uomo la chiave reale del suo insegnamento, che consente il superamento delle divisioni interne attraverso la ricerca faticosa e impegnativa della verità. Nella quarta riga Adamo ed Eva sono rappresentati ai due lati della punta dell'albero, ma due rami di quell'albero che rappresentano la via dell'unione e il tronco della cabala (vedi parte precedente), li tengono ancora uniti. Con quella violazione Eva assunse su di sé la componente della potenza sessuale e riproduttiva, quella che dà la vita all'uomo, ma anche al pensiero in forma di intuizione. Questa componente è raffigurata alla sinistra di Eva con un toro. La stessa componente è, se si vuole, la sintesi del ramo opposto alla posizione di Eva nella cabala raffigurata nel mosaico: il ramo destro con le foglie della Sapienza-Intuizione, dell'Amore, e della Forza. Adamo, invece, mantenne la componente dell'Intelligenza, della Costanza e della Fedeltà, raffigurate nel mosaico con il cane alla sua destra. Egli racchiude in sé le componenti rappresentate nel ramo opposto della cabala del mosaico con le foglie dell'Intelligenza, della Potenza, e dello Splendore.
 
 

Conclusioni

Vediamo, a questo punto, un quadro d'insieme di un possibile senso della Corona del Mosaico di Otranto. La prima riga traccerebbe il filo sottile che da Melchisedec (Salomone) porta all'Essenismo qumraniano attraverso la letteratura enochica che tanto ha influenzato gli scritti ritrovati nel 1945 a Qumran. Da quel punto prosegue fino alla nascita di Gesù, seguendo la tesi di Celso e l'eresia gnostica di Basilide, che lo volevano figlio del soldato romano Pandera. Prosegue, quindi, fino all'identificazione della funzione della Maddalena, cuore stesso dell'eresia gnostica, e alla leggenda che ne vuole la fuga in Francia e la fondazione della stirpe Merovingia (la Sirena), fino all'adozione del culto della Regina Nera o Madonna Nera promossa dall'ultimo dei Merovingi, Dagoberto. La seconda riga, invece, indicherebbe la fine di quella stirpe, indicando il giorno di morte di Dagoberto (con la coppia Antilope-Capricorno e Sagittario), le circostanze e modalità della morte (la battuta di caccia e la ferita alla testa a mezzo di una lancia), l'anno della morte (i 26 cerchi del simbolo dell'unicorno e la stella indicano il 679), il nome di Dagoberto (dawg = pesce + Sant'Hubert che è il cervo), e forse gli stessi nomi sia del leggendario figlio sopravvissuto (seeg = che si gira indietro + Sant'Hubert = Sigiberto), sia di colui che ordinò quell'omicidio (papa Agatone, sequenza ab-gav-tan). La terza riga segnerebbe i percorsi principali lungo i quali si diffuse il pensiero gnostico: Egitto, Francia, India e Medio Oriente. La quarta e ultima riga sintetizzerebbe l'obiettivo primo della gnosi: il superamento della divisione in sé che, se superata, consente agli Eoni la ricongiunzione con il Padre. La via per il superamento di quella scissione consiste nella meditazione sulla separazione delle diverse componenti della propria personalità alla ricerca di quelle perdutesi nell'altro sesso (sintetizzate nella foglie della cabala), fino all'inizio di quel percorso di evoluzione meditativa che porta i prescelti Eoni al ricongiungimento con il Padre. In questo percorso, la donna Eva guidò l'uomo verso l'albero errato, quello del Bene e del Male. La donna Maria Maddalena riporta l'uomo all'albero giusto, il Gesù-Logos che fa da tronco e unione dei rami opposti dell'albero del Bene e del Male, generando la nuova stirpe. A questo significato metafisico che la gnosi associa alla Maddalena, si aggiunge il significato storico che sempre la gnosi, le attribuisce.

Pantaleone avrebbe mescolato allora i principi base della gnosi alle leggende sull'origine della stirpe dei Merovingi maturate nel periodo medievale in filoni di chiara origine gnostica, e tutte contenute in questa mirabile enciclopedia che è il mosaico di Otranto.

Si potrebbe compiere, a questo punto, un ultimo passo per decifrare anche l'ultima leggenda cui facevamo riferimento in precedenza, intimamente legata al mosaico dalla tradizione: quella del Graal. Per farlo, ricorriamo ancora una volta ai bestiari tipici medievali, scendendo lungo l'albero, giù giù fino a giungere ai due elefanti che fungono da base all'albero senza radici che forma, con i suoi primi rami arcuati a forma di coppa, il Graal [6]. L'elefante, oltre che essere simbolo della sovranità e del potere reale, assume una funzione particolare specie se, come in questo caso, è appoggiato a un albero privo di radici o tagliato ma ancora in piedi. Secondo le leggende medievali, l'elefante riposava appoggiato a un albero. I cacciatori desiderosi di catturare l'animale, usavano l'espediente di tagliare l'albero cui questi era appoggiato, fino quasi ad abbatterlo. L'animale, appoggiatosi al tronco tagliato per riposare, finiva per cadere miseramente e, incapace di rialzarsi, diveniva facile preda dei cacciatori.

Ma c'è ancora un'altra leggenda medievale che permea i bestiari di quell'epoca e che a nostro avviso potrebbe essere invocata a chiudere il cerchio sull'interpretazione del mosaico e la sua connessione con la leggenda della Maddalena e della stirpe Merovingia. Ne riportiamo di seguito uno stralcio [6]:

"Chi ha insegnato all'elefante ad amare ininterrottamente la castità? Quando però, costretto dal comando della natura, si è unito sessualmente, volgendo indietro il capo come se non volesse e se ne fosse nauseato, non appena la femmina si ingravida esso non torna più ad accoppiarsi. Quanto a lei, come quella che, tremebonda, paventa le insidie mortali del drago, non partorisce in un luogo diverso dall'acqua purché questa arrivi fino alle mammelle. Poiché se essa partorisce fuori dell'acqua, il drago assale all'improvviso il suo piccolo nell'intento di divorarlo" (Patrologia latina 145, 783 d.c.).

A questo punto abbiamo tutti gli elementi necessari oltre che la conferma finale alla nostra interpretazione. I due elefanti presenti nella parte inferiore del mosaico e raffigurati con due cerchi diversi, l'uno pieno e l'altro vuoto, sono chiaramente un maschio ed una femmina ripresi nell'atto dell'accoppiamento. La loro unione forma la coppa del Graal che è il grembo in cui nascerà la stirpe regale legata allo stesso Gesù, albero e tronco della cabala. Non si può non notare che la leggenda dell'accoppiamento casto degli elefanti è legata a quella del drago. L'elefante femmina si nasconde nell'acqua per sfuggire al drago così come la Maddalena prese la via del mare e giunse in Francia.

Infine, non si può non rilevare un altro incredibile parallelo con l'Apocalisse, e con la donna che fugge nel deserto per sfuggire al drago [7] e salvare il nascituro. L'Apocalisse di Giovanni è, peraltro, un'opera che non nasconde riferimenti fin troppo evidenti con la gnosi.

La nostra storia, a questo punto, ha evidenti stretti legami con le leggende adoperate nella composizione del mosaico, che esso mescola in maniera così particolare. Non può nemmeno sfuggire la singolarità rappresentata dal culto della Madonna Nera - introdotto da Dagoberto, l'ultimo dei Merovingi - ovvero forse la Maddalena, la leggenda della dinastia e alcune raffigurazioni comuni che inquadrano la Vergine nell'atto di calpestare un serpente o di sconfiggere un drago.

Indipendentemente dall'attendibilità di queste leggende, la nostra interpretazione ha, a nostro avviso, il pregio di aver definito un tempo massimo per la loro formazione, il 1100 appunto. Inoltre, risulterebbe chiaro che il mosaico raffigura insieme, in uno schema unico compatto e cronologicamente coerente, leggende che appaiono altrimenti slegate e indipendenti. Altro suo possibile pregio è il legame che si evincerebbe tra la corrente gnostica, cui evidentemente apparteneva il monaco Pantaleone, e la stirpe Merovingia. Non è affatto da escludere che l'eresia catara abbia trovato in questa corrente di pensiero - che aveva pure evidenti risvolti politici - il suo naturale substrato. Non ci meraviglieremmo a questo punto, alla luce di quanto analizzato, che l'ordine dei cavalieri Templari, che si vuole fondato nel 1118, possa essere stato uno dei tanti camuffamenti della corrente gnostica di cui Pantaleone era solo uno dei tanti esponenti, e che probabilmente era estremamente diffusa e nascosta nei meandri e nelle pieghe degli ordini ecclesiastici. Visti gli anni (circa 500) trascorsi dalla morte di Dagoberto, la passione che Pantaleone mostra per la leggenda Merovingia, il fatto che proprio in coincidenza con la composizione del mosaico nasca il più discusso e potente degli ordini monastico-cavallereschi (appunto i Templari), il fatto che proprio da Otranto partissero le navi che portavano i cavalieri crociati alla conquista della Terra Santa, non può non far sorger l'idea che tutti questi fatti siano tra loro strettamente connessi. Una tanto complessa formazione del pensiero, e una così coerente costanza di elementi che si rilevano presenti non solo nell'architettura del mosaico, ma anche in costruzioni ben più lontane, come le cattedrali di Santiago de Compostela, di Metz e di Chartres, non sono verosimilmente dovute a una coincidenza, bensì alla presenza di un coordinamento spinto e nascosto di queste entità diverse. Ciò richiama alcune teorie sull'antica formazione della massoneria, che si vuole nata proprio, guarda caso, dalla congrega dei "maestri muratori", architetti e artisti che presero parte alla costruzione delle chiese di tutta Europa, riempiendole di simboli dal significato criptico, salvo per coloro che, come noi oggi, posseggono le scritture che questi uomini indubbiamente possedevano già, e avevano rintracciato e raccolto.
 
 

Riferimenti bibliografici e note


 


[1] S. Pfann, "The visions of Yeshua Ben Pediah scroll", Jerusalem Report, 27 settembre 1999.

[2] "Annotazioni sul cosiddetto Rotolo dell'Angelo, ovvero Il Libro delle Visioni di Yeshua ben Padiah", in Bibbia e Oriente, vol. XLII (2000), n. 203, 41-48.

[3] Papiro 11QMelch, in I Manoscritti del Mar Morto, Luigi Moraldi, ed. TEA.

[4] Michael Baigent, Richard Leigh, Henry Lincoln, Il Santo Graal - una catena di misteri lunga duemila anni, ed. Mondadori; Christopher Knight e Robert Lomas, La Chiave di Hiram, ed. Mondadori.

[5] Nuovo Testamento, "Lettera agli Ebrei".

[6] Francesco Maspero, Aldo Granata, Il bestiario medioevale, ed. PIEMME.

[7] Apocalisse di Giovanni, 12,13-18.