Il Big Bang ha fatto flop?
(Alberto Bolognesi)
Caro Professor Bartocci,
La cosmologia del Big Bang è giunta davvero al capolinea, ma tutti fanno finta di non accorgersene. Per difendere l'espansione dell'universo dalle confutazioni osservative e dalle discordanze di redshift sempre più plateali, i teorici hanno complicato a tal punto la geometria dello spazio che ora non è più l'universo, ma lo spazio metrico che accelera! Le distanze fra gli ammassi delle galassie crescono e addirittura accelerano secondo una "costante" … variabile!! Le hanno dato perfino un nome - quintessenza -, ma niente potrebbe essere più ridicolo di una costante-incostante, capace di agire simultaneamente e "onnipervasivamente" sulle nome geometriche e temporali dell'intero universo: per una forza che allontana le galassie dalla nostra visuale ve n'è dunque un'altra uguale e contraria che preme al di là di quelle galassie in direzione esattamente opposta sospingendole e accelerandole verso di noi … (sic!).
Per non trovarsi con galassie "ferme", i cosmologi le assimilano a "turaccioli galleggianti" che si separerebbero in un catino di vuoto quantistico … crescente. Ma non cresce solo "il catino": ogni tanto qualcuno va al rubinetto e modula istantaneamente il flusso della metrica e delle distanze! …
La recentissima "variante australiana" proposta in questi giorni dal tuttologo Paul Davies suggerisce invece una velocità della luce che rallenta a partire una velocità infinita al momento del Big Bang, e chi è in grado di immaginare una velocità di propagazione infinita alzi la mano. Naturalmente anche questa variante è sviluppata sull'inviolabile assioma - smentito dall'osservazione - che i quasar si trovino alla distanza dei loro spostamenti verso il rosso. E che ne può sapere Paul Davies delle osservazioni di Martin Lopez Corredoira?
Forse queste assurdità possono fornire nuovi stimoli ai raffinati imbroglioni del Circo mediatico, ma così la cosmologia del XX secolo (e l'intera fisica!) conclude la sua avventura nel disastro.
Le allego un articoletto che aveva inizialmente attirato
le Redazioni di qualche quotidiano, attenzione subito rientrata per l'immancabile
intervento dei soliti noti. Lo dedico volentieri a "Episteme", anche nel
caso che non venga pubblicato...
- - - - -
La notizia è così clamorosa da sembrare una bufala: i quasar non sono gli astri più lontani dell'universo ma piccoli oggetti connessi alle galassie, e il loro caratteristico spostamento verso il rosso che per quarant'anni gli astrofisici hanno attribuito all'enorme distanza e all'espansione stessa dell'universo, è evidentemente dovuto alla loro intrinseca composizione chimica e a una misteriosa emissione di bassa energia.
Non è un pesce d'aprile ma la plausibile conseguenza di osservazioni effettuate dall'astronomo spagnolo Martin Lopez Corredoira con il telescopio di due metri e sessanta del N.O.T. di La Palma, alle isole Canarie, osservazioni che una delle più prestigiose riviste professionali ("Astronomy and Astrophysics") si accinge a pubblicare nel dettaglio in questi giorni. L'immagine che riproduciamo mostra infatti i due oggetti identificati come quasar nel braccio luminoso che connette la galassia di Seyfert NGC 7603 (Arp 92) a una più piccola compagna: un sistema binario che già aveva alimentato un'aspra controversia negli anni Settanta, perché gli spostamenti verso il rosso delle due galassie risultarono subito molto diverse fra loro.
Occorre precisare che lo spostamento verso il rosso (cioè l'abbassamento di frequenza dei dettagli spettrali degli elementi che costituiscono la sorgente luminosa) viene attribuito alla velocità di allontanamento radiale impressa agli oggetti cosmici dall'espansione dello spazio, assunzione che è alla base della cosmologia contemporanea e che sorregge in toto la teoria del Big Bang. Ovviamente non mancano i contestatori, primo fra tutti l'astronomo americano Halton Arp che non ha mai creduto all'espansione dell'universo e che per questo è stato allontanato dal telescopio di Monte Palomar.
Nella sua travagliata carriera Arp ha collezionato moltissimi casi in cui gli spostamenti verso il rosso ("redshift") dei quasar e delle stesse galassie risultano inconciliabili con il modello cosmologico, casi che l'ortodossia scientifica respinge sistematicamente attribuendoli ad accavallamenti casuali ed effetti di prospettiva nella profondità del cielo. L'imbarazzo che tuttavia suscita questo sistema binario è evidente, perché chiunque può vedere il braccio luminoso che connette la NGC 7603 alla compagna, e che sembra eliminare qualsiasi possibilità di allineamento accidentale.
Le osservazioni di Arp sono una spina permanente nel fianco della teoria del Big Bang, e nonostante gli innumerevoli tentativi fatti per minimizzare o per celare questa controversia, costituiscono una formidabile obiezione all'esibita comprensione dell'universo. A riaprire drammaticamente la ferita è stato l'incolpevole astronomo iberico Martin Lopez Corredoira, che ha fissato nella fenditura dello spettografo del Nordic Optical Telescope due minuscole condensazioni all'interno del braccio che connette le galassie in questione e che ha potuto risolvere inequivocabilmente in quasar. "Se quegli oggetti si trovano tutti alla stessa distanza - ha dichiarato un astrofisico italiano che non ci tiene a comparire - addio legge di Hubble, e allora possiamo anche andarcene tutti a casa". Ancora più polemico è il commento dell'"esiliato" Halton Arp: "Adesso il punto di vista convenzionale deve dire che le due galsssie sono prospettiche, che il braccio che le unisce è prospettico, che i quasar nel braccio sono prospettici, tutti insieme accidentalmente sulla nostra linea di vista".
Il Big Bang ha fatto flop? Thomas Huxley chioserebbe sicuramente così: "La grande tragedia della scienza: un'ipotesi bellissima uccisa da un orribile fatto".
[Fonti: M. Lopez Corredoira, Nordic Optical Telescope
(Canarie); Max Planck Institut für Astrophysik (Monaco); "Astronomy
and Astrophysics"; "Astro-ph"; "Coelum Astronomia" n. 50].
Addendum:
Alla Redazione di Coelum e al Prof. Falomo
Non sono lieto di informarVi che le richieste
di ulteriori osservazioni della coppia NGC 7603 e dei quasar individuati
nel filamento di connessione, inoltrate dal Centro di Astrofisica delle
Canarie e da altre Istituzioni ai responsabili dell'Osservatorio orbitale
in raggi X "Chandra" e al VLT dell'ESO al Paranal, sono state RESPINTE.
Si annunciano "galassie nane di materia
oscura", ma nessuno vuol guardare nel telescopio di Galileo: Cesare Cremonini
docet ... e il Medioevo continua!
Spero che pubblicherete questa lettera.
Con i più cordiali saluti, Alberto Bolognesi
Misano, 7 agosto 2002
Rif. "NGC 7603 - The smoking gun" , Coelum N. 50
- - - - -
[Una presentazione dell'autore si trova nel numero 2 di Episteme]
"virgilio" <guervitt@virgilio.it>
- - - - -
http://theage.com.au/articles/2002/08/07/1028157961167.html
(Dal sito del giornale "The Age", Melbourne)
Einstein's relativity theory hits a speed bump - August 8 2002
Australian scientists have discovered that light isn't quite as fast as it used to be. But it doesn't mean E=mc2 will be consigned to the dustbin, writes David Wroe.
In October, 1971, American physicists took four super-accurate atomic clocks, kept two on the ground and put two on commercial jets flying at 1000 kmh in opposite directions around Earth.
When the planes landed, the scientists found what they were hoping for: The clocks on the high-speed journeys were ticking a few billionths of a second behind their stationary friends.
Motion, it turns out, slows time - one of the funny effects of the law of relativity. At low speeds, the effect is slight and makes no difference to our daily lives.
We had no idea to look for such effects until the 26-year-old Albert Einstein walked into the office of Annalen der Physik journal in Bern, Switzerland, in 1905, gave the editor his paper on the special theory of relativity and asked that it be printed "if you can find room for it".
That paper, and the general theory of relativity that followed it, revolutionised the way scientists understood the universe, and history has remembered it ever since as a shift from Newtonian physics - where space, time, motion and gravity are separate and proceed with rigid, clockwork elegance - to Einsteinian physics, where things bend, stretch and pull on each another in most unusual ways.
In between these paradigm shifts, there are leaps in understanding. Today's announcement by Australian physicists in the leading scientific journal Nature may turn out to be one of those moments.
Incorporating some of the most intriguing aspects of cosmology and theoretical physics - distant quasars, black holes, event horizons and, probably, quantum theory - they have concluded that the speed of light has slowed down over time.
The discovery means faster-than-light travel, which is prohibited by the law of relativity, may one day be possible. It also changes our understanding of the beginnings of the universe. But lead author and award-winning physicist and writer Professor Paul Davies emphasises that Einstein's famous equation, E=mc2, is not about to be consigned to the dustbin.
Energy, Einstein discovered, was equal to mass times the speed of light squared, with the speed of light as a constant in a vacuum such as space. News that the speed of light may not be constant after all does not mean the old theory falls apart altogether, Davies says. The theory of relativity remains good for most situations, just as Newton's laws remained more or less correct after Einstein, except at high speeds or under intense gravity.
"It's not going change the way we build cyclotrons or microchips or anything of that sort," Davies says. "It's just that the theory of relativity will be seen not to be the last word."
If the speed of light was close to infinity, immediately after the Big Bang, as Davies believes it may have been, our theories about the way energy cooled to form matter, giving rise to stars, planets and people, could be completely wrong.
Still, correcting Einstein is no small feat and is likely to attract controversy, perhaps even animosity from scientific colleagues.
"When I first heard about these observations . . . I was, frankly, not only sceptical about it, I was appalled," Davies says. "I thought it was horrible. The last thing we wanted in theoretical physics was to have something like this."
Einstein, who died in 1955, is still regarded as perhaps the greatest mind ever. The remarkable thing about his discoveries was that he literally sat in his flat in Bern during his spare time while working as a clerk at the patent office and thought it all up using sheer brain power. Only later were his theories proved, repeatedly, through experiment and observation.
Dr Charley Lineweaver, one of Davies' co-authors, along with graduate student Tamara Davis, explains that their paper works the other way around. They have taken observations and plugged the data into known mathematical formulas to determine that the speed of light has slowed.
"Theorists always play with all kinds of crazy things," Lineweaver says. "The important thing here is we have experimental evidence . . . that's what's new here."
The theory is based on observations made at the University of New South Wales by Dr John Webb in 1999 and further observations by one of his PhD students, Michael Murphy.
It is hair-curling science. They looked at light from the most distant objects in the universe, quasars up to a billion times the size of our sun, which are 10 billion or 12 billion light years away.
"The light that comes to you from a quasar has been travelling for most of the age of the universe - several billion years - and it carries with it information about what happened to it along the way," Murphy says.
On its long journey, the light from those quasars has passed through gas clouds full of metals. The photons in the light - little packets of energy that make up the light itself - interact with the electrons in the gas clouds, charged particles that orbit the nuclei of the metal atoms. This leaves a fingerprint on the light as it arrives on Earth, called the fine structure constant, Murphy explains.
When they measured the fine structure constant of this 12 billion-year-old light, Webb and Murphy found it was slightly smaller than it would be today. Mathematically, there were two possible reasons for this - either the electric charge of the electrons had increased, or the speed of light had fallen.
Using Stephen Hawking's formula for black hole thermodynamics, Davies, Davis and Lineweaver ruled out the electric charge possibility. By adapting Hawking's formula, they determined that an increase in electric charge would break the second law of thermodynamics, which says energy can only flow from hot spots to cold spots.
"That's illegal. It would be like a cup of coffee sitting on your desk getting hotter," Lineweaver says.
But while he is still cautious about the quasar observations, he says the implications are revolutionary if they hold true. "Supposing we do take it seriously, then we have some very profound things to worry about. One is, why is it doing this?"
The next question is what physical processes are at work to slow light speed? Lineweaver says that's "the subject for a thousand other papers."
One possibility, though, is that the structure of the vacuum in space has changed. This is where we get into the rather spooky world of quantum physics. When light travels through a medium other than a vacuum, such as glass or water, it slows down. A vacuum, far from being empty, is teeming with quantum "virtual" particles that flit in and out of existence.
Sometimes those particles become real, such as under a strong electric charge, Lineweaver says. If the vacuum of space is changing uniformly across the universe, just as the universe is expanding uniformly, it could affect the speed of light.
For now, Murphy and Webb's observations of quasars will continue to be scrutinised and be regarded with scepticism. "If they're right, this makes theoretical physicists very uncomfortable," Davies says. "These are cherished laws and they don't really want to have to ditch them, because all of the favoured frontier stuff these days, with people working on string theory, M-theory and all these other sexy topics, would have to down tools and start with a completely different conceptual scheme."
"On the other hand, science is made out of iconoclasm. If old theories never got overthrown, we'd all be out of work. So it's always nice to have something that challenges the basic paradigm and this does so with a vengeance."
David Wroe is "The Age" science reporter.