Figura 1

Il lunotto: le piccole teste rappresentano, da sinistra
a destra, Enrico VI, Costanza d'Altavilla e "Magister Rufinus",
mentre San Rufino è raffigurato per intero all'estrema destra.

La facciata profetica del Duomo di San Rufino in Assisi

(Arcangelo Papi)


 


1. Assisi1 è universalmente nota come città natale di San Francesco, che vi nacque non si sa bene se nel 1181 o nel 1182 2 da un padre mercante di stoffe di nome Pietro di Bernardone e da certa monna Pica, di probabili origini francesi.3

La 'leggenda francescana' è ancora oggi assai incerta e controversa,4 malgrado gli accurati studi storiografici che a partire dall'ultimo quarto del XIX secolo, dapprima da parte del Thode e poi del Sabatier, hanno cercato di riprodurre la figura storica di San Francesco, dopo secoli di supino oblio e d'abbandono ad una convenzionalità stereotipa ed acritica. Quest'ultimo studioso, il Sabatier, al quale si intitola il 'centenario di studi francescani' che si sta celebrando in Assisi, apparteneva alla scuola storica francese del Renan, autore tra l'altro di una celebre Vita di Cristo. Il formidabile avvio di questi studi è proseguito, con enorme ricchezza di scavo e su diversi versanti, fino ai giorni nostri.5

Infatti, la figura di San Francesco è di quelle che segnano svolte fondamentali nell'ambito storico e religioso-sociale, tanto da essere definito l'<<alter Christus>>, secondo un parallelismo sul quale hanno giocato la tradizione e le prime biografie del Santo. E si comprende, chiaramente, come non solo gli elementi biografici del Santo siano stati, subito dopo la sua morte, ampiamente adattati alle più diverse interpretazioni, per essere finalmente 'canonizzati' con la 'Legenda Major' di San Bonaventura (composta tra il 1260-1262 ed ispiratrice del ciclo iconografico giottesco della Basilica Superiore). Ma addirittura, ancora vivente San Francesco, lo stesso francescanesimo, sviluppatosi con uno straordinario impulso iniziale, si svolse - per così dire - sempre di più 'sub signo contradictionis', nella grande disputa insorta tra spirituali (la 'spiritual corte' di Dante Alighieri) e le altre componenti. Lo scontro verteva soprattutto sulla rigidità della prima regola 'minorita' e sulla fedeltà assoluta alle 'nozze mistiche' di Francesco con Madonna Povertà (il 'Sacrum commercium' cavalleresco del Santo in contrapposto al 'De contemptu mundi' dello ieratico Papa Innocenzo III, che ne approverà la prima 'regola' di testimonianza e di predicazione).

La 'querelle', già assai aspra negli ultimi anni di vita di Francesco, fu appena sopita con l'approvazione da parte di Onorio III della 'regula bullata' del 1223. Tuttavia Francesco, dopo la crisi dell'Ordine, che si manifestò nettamente già a partire dal 1220, non solo non si smosse di un 'et' dall'osservanza alla 'lettera' del Vangelo, ma provvide addirittura a nominare in suo luogo, come 'generale dell'Ordine', Pietro Cattani ('juris peritus et canonicus ecclesiae S. Rufini', uno dei primissimi 'compagni', insieme a Bernardo da Quintavalle, quest'ultimo, non si sa bene, se a sua volta mercante come Francesco stesso, o altro).

Dopo la morte del Cattani (1221), Francesco decise in prima persona di affidare il generalato a fra' Elia, le cui successive vicende (fu rimosso infatti dal generalato nel 1227, appena l'anno dopo la morte del Santo, di nuovo nominato nel 1233, nuovamente rimosso nel 1239, dopo la scomunica di Federico II, per essere infine a sua volta scomunicato e imprigionato dal vecchissimo Papa Gregorio IX, terminando i suoi giorni a Cortona nel 1253; erano noti infatti i suoi solidi legami con l'Imperatore, guarda caso battezzato ad Assisi, proprio nel Duomo di San Rufino),6 mostrano con chiarezza uno scenario di grande tensione tra 'riforma' e 'conservazione', all'interno di certi gruppi e nel quadro di una politica pontificia nei confronti dell'Impero, complicata altresì dalle complesse vicende delle Crociate che vi si sovrapposero.

Il 1260 è l'anno del movimento dei 'flagellanti' e delle grandi passioni 'penitenziali'. E' anche l'anno della 'renovatio mundi', secondo una datazione già individuata da Gioacchino da Fiore. Ma lo stesso Salimbene de Adam7 considera quest'anno come l'inizio di una grande delusione, quello dell'abbandono dello spirito rinnovatore gioachimita, quando vide che i grandi eventi, a lungo attesi, non ci furono affatto.

Possiamo concordare con il Salvatorelli, nella considerazione generale che 'il francescanesimo originario è lo sforzo più poderoso che sia stato fatto per una rinnovazione religiosa 'ab intus', nel quadro dell'ortodossia del popolo credente, a cominciare da quello italiano e umbro'.

Il francescanesimo, che era sorto quasi sul filo dell'eresia, però rimediata dalla fedele 'oboedientia' e dalla assoluta 'devotio' di Francesco nei confronti di qualunque sacerdote, anche degli indegni, secondo la migliore dottrina teologica risalente a Sant'Agostino, rischiò seriamente l'inquisizione, che si era già scatenata, subito dopo la morte del Santo, soprattutto nei confronti dei catari. Inquisitore per la Francia è il cupo Robert le Bougre, che porta anche lui il nome di eretico (bougre = bulgaro = eretico). In Germania infuria Corrado di Marburgo,8 come nel 'Nome della Rosa' di Umberto Eco. Il quadro è di quelli foschi ed enigmatici.

La 'Legenda major' di San Bonaventura (al quale Dante dedica il XII canto del Paradiso, subito dopo quello di San Francesco) si incaricò pertanto di una sorta di riconciliazione tra le varie fazioni, sia accogliendo il 'profetismo gioachimita', sia addolcendo i contrasti, soprattutto con riguardo alla povertà assoluta dei 'minores', la vera 'sposa mistica' di Francesco, che venne coniugata alla vita conventuale e agli studi filosofici.

2. Assisi è anche la probabile patria del poeta latino Properzio, sicuramente di origini etrusche.9 La vicenda francescana e quella properziana (due autentici 'mysteria' nel loro rispettivo genere,10 il primo assai più intricato del secondo), sembrano ad un certo punto toccarsi l'un l'altra, per due particolari ragioni.

Il motto di Francesco era <<Pace e bene>>.11 Nell'affresco del Sacro Speco di Subiaco - che sicuramente lo rappresenta quando il Santo non era stato ancora canonizzato da Gregorio IX (1228), e molto probabilmente quando era ancora in vita (1223), e non aveva ancora ricevuto quale 'segno del Dio vivente' le stimmate alla Verna - il ritratto di 'frate Francesco' si presenta assai conforme alla successiva descrizione fisica e psicologica che fa di lui il biografo Tommaso da Celano nella 'Vita prima' (risalente al 1228), a prescindere soltanto dal particolare degli occhi (azzurri nel dipinto)12. In questo murale benedettino, 'frate Francesco' con la barba e col cappuccio,13 sorregge la scritta 'pax in huic domo'.14 In un'elegia di Properzio, si afferma, allo stesso modo, che 'amore è un dio di pace'.15 I resti romani della casa di Properzio si trovano sotto la chiesa di Santa Maria Maggiore, al tempo di San Francesco e già prima, sede del vescovo di Assisi. E' in questa piazza, in questo medesimo luogo, che Francesco fa la sua scelta 'coram populo', abbracciando formalmente la sua vocazione, rifiutando suo padre come nel bellissimo affresco giottesco.

Secondo alcune fonti, appena rivestito il misero abito dell'ortolano gettatogli addosso dal vescovo Guido per ricoprirne le nudità, subito dopo il suo gesto clamoroso Francesco si avvia a piedi verso Gubbio, 'araldo del gran Re'. Quando (era il mese di febbraio) alcuni furfanti, sentendolo cantare a squarciagola in provenzale, lo assalgono, e povero in canna com'è, lo gettano per sberleffo in una fossa di neve. Un affine passo si legge, in buona sostanza, nella Consolazione della filosofia di Severino Boezio, il capolavoro scritto nel carcere teodoriciano, allorché si argomenta in modo filosoficamente serrato, in un misto di platonismo e di cristianesimo, sull'imperturbabilità dello spirito oltre la fragilità della carne e sulla perfezione dell'anima rispetto ai mali della vita.

Il 'mistero poetico' properziano sembra del resto incentrarsi sull'evocazione sistematica della luna, 'Cinzia mutevole in amore'. Properzio è in realtà un 'flamine solare'. E' possibile, se non probabile, che il 'Callimaco romano' (così si definiva Properzio stesso) abbia nascosto nelle sue elegie (o piuttosto, quanto a noi resta della sua più vasta opera), una teoria delle eclissi, ovviamente tutta intrisa di poesia, ed essa stessa altamente allusiva rispetto alle vicende amorose, nei rapporti dialettici e trascorrenti tra elemento maschile ed elemento femminile, impersonati in questo caso dalla coppia di amanti. L'astronomia etrusca è ancora tutta da scoprire, col suo cielo diviso in cinque parti, e le particolari tecniche di osservazione. Allo stesso modo, le sette tavole di Gubbio, monumento linguistico umbro risalente al II-I secolo a.C., accennano ad alcune cerimonie d'avvistamento degli uccelli da certi siti particolari, il cui recondito significato lascia intrinsecamente sospettare che si tratti in effetti di un cerimoniale molto più antico, quasi sicuramente di originaria matrice astronomica.

Fatto è che i simboli del sole, della luna e delle stelle appaiono nel lunotto stesso dell'antico portale della chiesa romanica del Duomo di San Rufino di Assisi (Figure 1 e 2), databile come vedremo verso il 1189, e ricompaiono (insieme al fuoco, all'acqua e al vento) nello splendido monumento poetico del Cantico delle Creature, composto da San Francesco nell'ultimo e difficilissimo periodo della sua vita, e il cui attacco ricalca l'incipit delle Confessioni di Sant'Agostino, che appunto ripercorre gli stessi salmi ai quali si inspira anche l'<<Altissimu, onnipotente, bon Signore,/Tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione>> della lauda francescana. Un passo dell'Apocalisse, così suona: <<Benedizione, onore, gloria a Colui che siede sul trono e all'Agnello, nei secoli dei secoli>>.
 
 




Figura 2

Il portale con l'archivolto e il lunotto. Si distinguono le tre fasce,
con quella mediana ad altorilievo.


 














Il campanile del Duomo di San Rufino in Assisi, posto in prossimità dell'abside di una precedente chiesa forse dell'XI secolo ed oggi accanto alla maestosa facciata romanica, è direttamente poggiato su di una magnifica costruzione romana, specificamente qualificata - da una iscrizione latina che ricorda tra l'altro la singolare magistratura umbra dei 'marones' - come 'cisterna' per la raccolta delle acque, mentre ha tutte le accurate e precise fattezze architettoniche di un tempio oracolare, probabilmente dedicato alla 'Buona Madre' e quindi anche ad un'acqua salutare ('sancta et regia'), del resto richiamata dalla presenza a valle delle antiche terme umbre di Santoraggio, le cui proprietà terapeutiche erano note ancora nel Medioevo, e persino nelle epoche successive con riguardo alla 'gorga' o 'conca del parlascio', cioè l'anfiteatro romano soprastante il Duomo stesso, altresì utilizzato nel Medioevo anche per la tintura delle stoffe.16

Non stupisca il lettore alla nostra introduzione, liscia e semplicistica come appare, eppure densa e compendiata. Si tratta soltanto dell'avvio. L'ipotesi, oltremodo suggestiva, richiamata dal titolo, che si andrà via via colorando in queste pagine, lungi dall'essere il prosieguo di una sorta di fantasioso ricamo, potrebbe al contrario rivelarsi sorprendente e straordinaria. Occorre soltanto un po' di pazienza. E poiché stiamo toccando aspetti assai delicati, che impegnano da vicino la Storia con la 'esse' maiuscola, non fosse altro con riguardo a San Francesco, è necessario chiarire subito il 'metodo' utilizzato nella nostra ricerca.

Si tratta, chiaramente, del 'metodo indiziario'. Non riporteremo questa volta in nota gli opportuni complementi di informazione, per citare direttamente tutto di seguito.

Secondo Franco Cardini (cfr. 'Casteldelmonte', il bel libro sulla reggia mistica ed archeoastronomica di Federico II, ed altresì 'Carlo Magno', pag. 20), nulla vieta allo 'storico' di utilizzare i 'se' e i 'ma'. Secondo il Prof. Umberto Bartocci (si veda il bel libro su Cristoforo Colombo 'America: una rotta templare', pag. 17), <<il compito dello storico autentico, più che di restare impigliato tra le piccolezze confuse della 'lettera che uccide', resta sempre quello di cercare di rintracciare l'esile filo della verità vagliando tutto l'insieme dei segni che gli provengono da tempi lontani, avendo come unici strumenti a sua disposizione la propria libera ed autonoma ragione ed il criterio di verosimiglianza, i soli che gli permetteranno di individuare i nessi significativi, sottolineare le coincidenze eccezionali, stabilire una trama convergente di dati sulla quale fondare delle ipotesi, e successivamente confrontarle tra loro, cercando di determinarne la maggiore o la minore 'probabilità'>>.

Lo scrivente, occorre specificarlo chiaramente, non è neppure uno storico dilettante. E' soltanto un curioso, cui non sfuggono, ad es., le 'Lezioni di metodo storico' di Federico Chabod, né la frequentazione, sempre per esempio, degli acutissimi testi di un Santo Mazzarino. Tuttavia i 'mysteria' vanno ben oltre i documenti storici. La storia ne è piena, ed i documenti molto spesso difettano. Per nostra fortuna, questa volta, il 'documento' c'è tutto, ed è la stessa facciata del Duomo di San Rufino, soprattutto il suo magnifico portale (Figura 2), stranamente sfuggito all'attenzione degli storici dell'arte e dei critici, rimasto per così dire in un'ombra alquanto sospetta per secoli e secoli, malgrado la patina di bianco dei recentissimi restauri.

Questo portale, col suo archivolto che incornicia altresì il lunotto, è dunque il 'documento' tangibilissimo che vogliamo interpretare, ma la questione si fa assai complessa, nei suoi riposti ed articolati retroscena. Come dicevamo, occorre un po' di pazienza.

L'ipotesi generale affacciata, è quella che le bellissime sculture ad altorilievo ed anche a basso rilievo del portale e dell'archivolto, in particolare del lunotto e delle due fasce, interna ed esterna, che lo contornano, fatte di diverso materiale lapideo e di diverso colore (rispettivamente il rosso di Verona, il pomato rossastro di Assisi e un marmo bianco antico, riciclato, in blocchi di colore tra loro leggermente diverso, che contornano all'esterno gli altorilievi mediani), corrispondano in effetti ad una allegoria gioachimita, e più precisamente al 'Decem Salpterium Chordarum.'17

Si tratterebbe, cioè, delle tre diverse epoche religiose, che secondo il profeta calabrese caratterizzerebbero la storia dell'umanità: quella biblica del Padre, quella evangelica di Cristo e quella finale dello Spirito Santo. Quest'ultima epoca era considerata allora imminente, prevista come si è detto verso il 1260.

Gioacchino da Fiore (rappresentato in uno specifico e minuscolo particolare che si situa a sinistra della base di appoggio dello stipite dell'archivolto, all'interno della nicchia del suo primo eremo di Pietralata, con a lato i suoi due allievi Luca da Cosenza e Raniero 'de pontio', uno dei quali è seduto intento a suonare una cetra - Figura 3), sosteneva, infatti, che la 'terza età' sarebbe stata caratterizzata da una 'ecclesia spiritualis', che sarebbero apparsi 'viri spirituales predicatores veritatis' ed anche un 'ordo monachorum' in sostituzione del vecchio 'ordo clericorum', e che sarebbe sorto pure un 'papa angelicus'.
 
 




Figura 3

A sinistra, Gioacchino da Fiore nel suo eremo di Pietralata,
a destra Luca da Cosenza e Raniero da Ponza,
intenti a suonare due strumenti diversi.


 










Nell'Expositio in Apocalypsim egli afferma che <<il monaco genuino non chiama sua che la cetra>>18. Le dottrine dell'abate calabrese esercitarono un profondo fascino sugli uomini del secolo XIII, consacrando la fama di un Gioacchino 'spiritu prophetico dotatus', così come, per bocca di San Bonaventura, nella luce abbagliante del sole paradisiaco, lo ritrae appunto Dante (Pd., XII, 139-141): << ... e lucemi accanto il calavrese abate Giovacchino di spirito profetico dotato>>.

A questa sorprendente conclusione era già pervenuto, nel 1968, lo studioso ed artista assisiate Prof. Franco Prosperi, figlio del noto scultore Francesco Prosperi,19 con una pubblicazione assai originale, che nel vuoto secolare che ha accompagnato la colpevole mancanza di attenzione verso questa meravigliosa facciata romanica, faceva seguito soltanto ad un precedente ed isolato lavoro del canonico del Duomo Giuseppe Elisei, risalente al 1893.20

Soltanto nel 1999, in conseguenza dei complessi lavori di restauro causa il terremoto distruttivo del 1997, è stato pubblicato un organico e pregevolissimo volume sulla chiesa di San Rufino, a cura del Prof. Don Aldo Brunacci (canonico della chiesa stessa) e dell'Accademia Properziana del Subasio.21 La chiesa di San Rufino è citata in tutte le principali storie dell'arte come esempio di romanico umbro, ma non esiste alcuno studio specifico su questa bellissima facciata, oltre quelli già menzionati.

Tanto per non lasciare troppo in attesa il lettore, accenneremo subito ad un piccolo particolare di questa vasta facciata, che articolandosi in tre parti distinte (l'inferiore, la mediana e la terminale cuspidata, recante il 'leone' simbolo del Comune di Assisi), sembra appunto riflettere tre distinti momenti quanto ai lunghi lavori del suo completamento.22

Sull'archivolto in rilievo del portale (cioè nella fascia mediana in travertino giallastro) si notano, in alto, quattro coppie di ballerini allacciati in delicati passi di danza, e quasi in sommità, due 'acrobati' (così l'autore dell'articolo sulla 'facciata' presente nel citato volume del 1999), che in assenza di gravità ricordano molto da vicino un passo profetico di Isaia (LX, 8): <<Qui sunt isti, qui ut nubes volant, et quasi columbae ad fenestras meas?>>.
 
 




Figura 4

Un particolare dei "ballerini".
 

Figura 5

Il particolare degli "acrobati".
In alto si scorge la parte inferiore della fascia mediana ad altorilievo,
in travertino giallastro. Sotto alle figure, la fascia interna
dell'archivolto, in pomato rossastro di Assisi.


 














Mentre le quattro coppie di danzatori possono facilmente essere ricondotte alle 'otto specie' di pace, collegate due a due nella classificazione fatta da Rufino nel 'De Bono Pacis' (ad esempio la pace di Dio con gli uomini e quella degli uomini con Dio), il particolare degli 'acrobati' risulta più incerto, evidenziando il relativo ingrandimento elettronico ulteriori dettagli che dovrebbero essere meglio vagliati.

Giacomo da Vitry, importantissimo testimone diretto del periodo francescano (poi fatto cardinale da Onorio III, e che racconta tra l'altro di aver assistito allo scempio operato notte tempo da alcuni ladri sul corpo del pontefice Innocenzo III morto a Perugia il 16 luglio del 1216, ed esposto nel Duomo di S. Lorenzo), alludeva proprio a questo passo profetico di Isaia per ricordare i 'Frati Minori'. Ed è questo l'inizio della nostra storia.

3. Fondatore della cattedra di Studi francescani presso l'Università di Perugia (oltreché promotore della Società internazionale di studi francescani avente sede in Assisi) fu il grande avvocato e storico assisiate Arnaldo Fortini.23 Seguirono poi Ilarino da Milano e Stanislao da Campagnola. Quest'ultimo studioso si è occupato da vicino dell'ipotesi gioachimita affacciata dal Prof. Prosperi, dandone ampio resoconto (pagg. 58-67) nella monografia 'L'Angelo del Sesto Sigillo e l'<<Alter Christus>> - Genesi e sviluppo di due celebrazioni francescane nei secoli XIII-XIV' (Ed. Laurentianum, Ed. Antonianum, Roma, 1971).

L'interpretazione 'gioachimita' dei motivi della facciata romanica del Duomo di San Rufino suggerita da Franco Prosperi finì per entusiasmare non poco Stanislao da Campagnola, che tuttavia svolse alcune importanti eccezioni critiche, indubbiamente meritevoli di essere ripercorse a profitto del lettore, ben inteso dopo aver provveduto alla descrizione della facciata stessa, utilizzando in parte alcune annotazioni riprese dalle parole stesse del Fortini (cfr. Vita Nova, vol.V, pag. 37 ss.).

Anzitutto essa è divisa in tre piani. Il primo dove si aprono le porte, il secondo quello ornato dai tre rosoni, il terzo (più in alto) formato dal timpano triangolare con un grande arco cieco ogivale. La porta centrale è sormontata da un architrave sul quale è una lunetta, <<che per le sculture primitive che l'adornano è stata ritenuta opera già appartenuta alla vecchia basilica ugoniana>>. In essa si vede Dio padre coronato24, con un triplice nimbo intorno al capo, seduto in trono fra la luna e il sole e le stelle, che stringe al petto il libro della creazione, mentre addita alla sua destra la vergine incoronata che allatta un bambino. A lato, sotto l'immagine di San Rufino, identificabile dalle sue vesti vescovili, compare una <<testa che si vuole sia quella di San Cesidio martire, figlio di San Rufino. Ai lati del trono della vergine sono due altre teste mozze, che vengono ritenute per quelle di San Marcello ed Esuperanzio, i diaconi martirizzati in Assisi nel secolo IV>>. Senonché la seconda testa (n.d.r.) è chiaramente femminile (così appare, in tutta evidenza, dall'ingrandimento al computer delle riproduzioni in fotografia elettronica eseguite dall'amico Marco Francalancia, nipote del grande pittore del novecento italiano Riccardo Francalancia). Ambedue le testine presentano sulla chioma un serto imperiale, che non può essere in alcun modo confuso con l'aureola dei martiri cristiani.
 
 




Figura 6

Il particolare delle "testine".


 














Si tratterebbe, in effetti, dei volti augusti di Enrico VI e della moglie Costanza d'Altavilla, erede della monarchia normanna di Sicilia, sposata nel gennaio del 1186 a Milano (il Manselli attesta la presenza in Assisi dell'Imperatore Federico I Barbarossa alla fine del 1185, che qui sostò in attesa della promessa sposa del figlio per scortarla a Milano).25 I due ritratti molto probabilmente risalgono a quando ad Enrico era stata affidata da Federico I la reggenza imperiale (1189), dal momento che il Barbarossa si era diretto alla crociata (dove morì affogato nel 1190, in circostanze poco chiare). In luogo della riproduzione della testina di San Cesidio va invece visto il volto di 'magister Rufinus',26 che è stato a nostro avviso l'ispiratore dell'allegoria dell'intero portale, compreso il lunotto in 'rosso di Verona', che non è affatto 'rozzo' come si sostiene, e che peraltro è caratterizzato dall'insistente uso del trapano anche nella bellissima veste regale della 'Madonna lactans' (che sembra richiamarsi quasi ad immagini ereticali), ed è quasi sicuramente di mano di Pietro Vassalletto (l'attribuzione è nostra), il quale non solo usava frequentemente questa tecnica di traforo, ma continua a farne impiego in molti altri particolari figurativi dello stesso portale.27

Così prosegue il Fortini: <<Intorno alla lunetta gira l'archivolto, ove si intrecciano elegantemente due racemi, nei cui spazi si succedono, due a due, minuscole figurine vestite di una corta tunica succinta alla vita, volatili, quadrupedi, fiori: al principio della decorazione, a sinistra, un uomo è seduto in trono (forse l'imperatore), mentre una figurina si inginocchia ai piedi dell'altra, in segno di omaggio>>.

Qui la descrizione del Fortini si fa piuttosto approssimativa, perde di dettaglio e di chiarezza, ingloba ed omogeneizza in una sommaria e rapidissima sintesi riduttiva, un vasto sfondo rappresentativo assai ricco ed articolato. In realtà l'Autore si riferisce promiscuamente alla fascia esterna in marmo bianco dell'archivolto (recante una infinità di particolari significativi), e alla fascia interna in pomato rosso di Assisi, che rappresenta una ricchissima 'vinea domini', mentre nella fascia mediana ad altorilievo del portale - che è quella di maggiore interesse scultoreo - figurano accanto ad una selva di addetti ai lavori colti nei dettagli più fini delle altre due fasce, ben dodici riproduzioni scultoree contornanti il semianello. In tutto la facciata presenta circa trecento particolari, sculture e bassorilievi tutti di pregevolissima fattura.

Trascurando questi pur interessantissimi e magnifici particolari, che costituiranno oggetto di trattazione in una pubblicazione che si ha in animo di predisporre con ampio e dettagliato corredo fotografico, vale subito la pena di osservare che l'uomo racchiuso nel piccolo riparo è proprio Gioacchino da Fiore, con accanto i suoi due fedeli discepoli, che suonano l'uno la cetra e l'altro, quello inginocchiato o meglio ricurvo, uno strumento musicale a manovella, probabilmente una ghironda, come mostrano i forti ingrandimenti elettronici, qui non esibiti.

L''imperatore' (rectius il biblico Re David) è invece effigiato nel secondo altorilievo della fascia mediana in travertino giallo a partire da sinistra, dalla quale si dipartono a giro dodici rappresentazioni diverse, tutte del massimo interesse, tra le quali le predette quattro coppie di danzatori. Il complesso rammenta il Salmo 150, che invita a lodare Dio 'nel clamore del corno', 'con l'arpa e con la cetra', e persino 'col tamburo e con la danza'. E' poi noto che San Francesco, colto dall'entusiamo e dalla dolcezza mistica, si accompagnava talvolta cantando e ballando con un bastoncello usato a mo' d'archetto.
 
 




Figura 7

L'Imperatore Enrico VI, rappresentato come Re David.


 














4. Passiamo adesso, in sintesi, alla descrizione che fa il Prosperi nella sua pubblicazione del 1968. Egli mette subito in evidenza il primo altorilievo dall'archivolto del portale (fascia mediana in travertino giallastro e fortemente rilevata rispetto alle altre due), chiarendo appunto che si tratta del biblico Re David (assiso in trono), intento a suonare un 'salterio a dieci corde', come nel Salmo 144, 9, un ulteriore passo biblico cui l'immagine può essere chiarissimamente riferita: <<Mio dio, ti canterò un cantico nuovo, / suonerò per te sull'arpa a dieci corde / a te che dai vittoria al tuo consacrato, / che liberi Davide tuo servo>>. L'abilissimo artista esecutore dell'opera riesce addirittura a catturare, con nettissima evidenza, l'agile e trascorrente movimento delle mani, suggerendo ampiamente l'intonazione musicale dell'intera cornice. Questo altorilievo è della massima importanza sia in relazione a quanto appena detto, sia per quanto concerne gli innegabili caratteri stilistici afferenti all'individuazione degli esecutori dell'opera.

La fascia degli altorilievi prosegue con tutta una serie di figurazioni, tra le quali anche un angelo che accompagna verso la luce e protegge la fronte del nuovo Adamo, con la sua veste riccamente trapunta. Seguono (a destra del giro) due donne che tengono in braccio i due loro figli, uno di questi già cresciutello e ignudo, ed un angelo 'turibolante'. Potrebbe trattarsi di Gesù e di San Giovanni, ma anche dei due nuovi ordini monastici profetizzati da Gioacchino.

L'interesse di Prosperi si appunta, in particolare, sull'occhio del piccolo rosone di sinistra, che rappresenta l'angelo apocalittico recante il segno del dio vivente (cioè la croce), e sorprendentemente fa rilevare che le scritte didascaliche che accompagnano i simboli dei quattro evangelisti ai lati del rosone principale, risultano specularmente invertite, come appunto fuoriuscissero da un medesimo raggio centrale di luce, promanante dal centro del rosone stesso (però attualmente privo dell'occhio centrale).

In realtà, vi sono molti altri interessanti particolari della facciata, compresi i tre 'telamoni', appoggiati su bestie apocalittiche, che con estrema leggerezza sorreggono il grande rosone centrale. Li dobbiamo trascurare per mere ragioni di spazio nell'economia modesta del presente articolo. Ma poiché la pubblicazione di Prosperi riporta, sulla intera copertina, in inchiostro rosso, la scritta di una antica lapide che si conserva nel museo del Duomo, resa assai oscura nel suo significato letterale dalla presenza di un doppio 'nominativo' latino che vi figura, la vogliamo riprodurre proprio nell'eventualità che qualche acuto lettore sappia venirne a capo (facendo però presente che un secolo fa, due studiosi locali, il Prof. Venarucci prima e quindi l'Arch. Brizi, tentarono invano di restituirle un senso nel presupposto che le lettere <<B. R.>> che vi figurano, si riferissero al 'beato Rufino', primo vescovo e protettore della città di Assisi, cui appunto la cattedrale è dedicata). La scritta recita così (la riportiamo per intero, senza le abbreviazioni che la caratterizzano): <<Contra Morsum Venenosum B. R. Caro Reducat Monachus>>. Gli scenari ipotizzati dagli esegeti sono, rispettivamente, quelli del culto di san Rufino anche contro i morsi di vipera, e in particolare (il Brizi), che questa lapide si trovasse nella chiesetta di Fossa Caroncia (un reale toponimo assisano), di cui non vi è però traccia. In particolare, 'fossa caroncia' starebbe a significare (n.d.r.) il luogo di sepoltura comune dei morti appestati, lungi dal centro abitato. Altro scenario ipotizzabile è quello di una scritta di avvertimento per i monaci benedettini con i rimedi da praticarsi contro il morso velenoso. Altro scenario ancora potrebbe essere quello della testa di serpente che inequivocabilmente è presente sull'apice dell'archivolto del portale che abbiamo appena descritto.
 
 




Figura 8

Il particolare del "serpente" (all'apice dell'archivolto).


 














Avvertendo che la 'erre' di questa scritta è percorsa dal basso verso l'alto da una 'esse' che l'attraversa tutta (con il possibile significato di un abbreviativo del tipo 'res' o 'rex'), sarebbe assai interessante conoscere l'opinione di qualche introdotto lettore, non senza renderlo edotto che la scritta posta sulla facciata della bellissima chiesa di S. Silvestro a Bevagna28 (la 'nebbiosa Bevagna' di Properzio), risalente al 1195 ('Enrico imperatore regnante'), si riferisce ad un 'Binellus magister' quale esecutore dell'opera.

5. Sull'abside dell'attuale Duomo figura la seguente scritta in ottonari rimati: <<Anno Domini milleno / centenoque quadrageno / ac in quarto solis cardo / suum explet illo anno / domus haec est inchoata / ex sumptibus aptata / a Rainerio priore / Rufini Sancti honore / eugubinus et Ioannes / huius domus qui magister / prius ipse designavit / dum vixitque edificavit>>. Il significato palese di questa lapide è che la chiesa di San Rufino fu rifatta sulle rovine di una vecchia basilica, a partire dall'anno 1140 (il priore Rainerio finanziò i lavori, eseguiti da Giovanni da Gubbio, che vi lavorò 'finché visse'). Ora, anche i lavori di riadattamento della sopra citata chiesa vescovile di Santa Maria Maggiore furono eseguiti da Giovanni da Gubbio (un architetto medievale ricordato dal Vasari), recando la scritta del 1167. E' quindi da ritenere che la lapide commemorativa di San Rufino sia stata apposta molti anni dopo l'inizio dei lavori, e qui si ipotizza che autore della stessa sia stato proprio Magister Rufinus, che fu canonico di San Rufino e Vescovo di Assisi nei primi anni all'intorno la nascita di San Francesco. Questo Rufino - o Ruffino - è il grande canonista bolognese, allievo di Graziano, ricordato in tutte le storie del diritto italiano, autore di un famoso Decretum verso la fine degli anni '60 del XII secolo ed altresì autore (insieme ad un folto elenco di 'discorsi' che si conservano nella Biblioteca Ambrosiana) del 'De Bono Pacis', composto all'incirca all'epoca della Pace di Costanza (1183) tra Federico I ed i Comuni.29

Rufino era di origini francesi (proveniente dall'Università di Parigi era passato poi a Bologna), ed appare senza dubbio influenzato dalla Scuola di Chartres. E' un benedettino riformato (Graziano era un 'camaldolese'), che potrebbe aver chiuso i suoi giorni, verso gli ottant'anni di età, proprio nel Monastero benedettino del Monte Subasio, dipendente da quello di Farfa. Possiede una cultura sterminata, che giunge ben aldilà di un limite standard. La sua è una impostazione 'sacramentale' del 'diritto canonico' (di chiara matrice grazianea), che è lungi dall'affermazione assoluta del potere temporale del Papato, per far invece leva (come appunto nel 'De Bono Pacis') su principi di pace politica universale che si accostano, in terra, alla santissima 'Pace di Gerusalemme', contrapposta a quella sacrilega d'Egitto e a quella mercenaria di Babilonia (è questa in sintesi l'articolazione dell'elegantissimo trattatello, a prescindere dalla distinzione della 'pace' in otto generi diversi che vi figura). Fu Papa Gregorio IX, anche lui illustre canonista, a trasformare l'assetto canonistico del 'diritto' dalla sua precedente natura 'sacramentale' in vero e proprio ordinamento giuridico. E fu proprio questo Papa a 'consacrare' (nel 1228, come ricorda una lapide) l'altare della chiesa - che pure era pienamente funzionante già molti anni prima, se Francesco e Chiara furono qui battezzati come Federico II, e se le prime prediche di Francesco e la conversione di Chiara avvennero in questo contesto religioso e d'affluenza di popolo. Segno evidente che la Chiesa di San Rufino deve nascondere qualche 'mistero'.

Ben si intendono, leggendo il 'De Bono Pacis', certe affinità di pensiero tra Rufino e Gioacchino da Fiore, che probabilmente giunsero a conoscersi, anche perché quasi coetanei, ed ambedue strettamente legati da vincoli personali d'amicizia e di frequentazione con Papa Alessandro III (1159-1181), il grande canonista Rolando Bandinelli.

Il Decreto di Rufino (1157-1159) fu composto ancora 'in giovane età'.30 La presenza di Rufino come vescovo di Assisi, negli anni della nascita di san Francesco, si può ben spiegare sia con il lavoro diplomatico da lui svolto per arrivare alla Pace di Costanza, sia con il fatto che lo stesso Rufino aveva tenuto il discorso inaugurale del Concilio Ecumenico III indetto da Papa Alessandro (e si trattava di un altissimo onore, degno del 'vir clarissimus', titolo che accompagna il suo nome accanto a quello di 'magister').

Ora è noto che i 'quattro dottori' (Bulgaro, 'os aureum'; Martino, 'copia legum'; Ugo, 'mens legum'; Jacopo 'id quod ego', secondo quanto tramanda un cronista medievale che mette in bocca il distico allo stesso Irnerio) favorirono non poco le ragioni imperiali di Federico I, che si appoggiavano al diritto romano. Certamente non fu di ostacolo Rufino, il cui pensiero volava molto in alto, verso un'era di riconciliazione e di rigenerazione. Questi importantissimi aspetti sembrano spiegare molte cose, anche la presenza del francese Rufino in Assisi, città amministrata autonomamente, in via comitale, da Corrado di Urslingen, ultrafidato 'missus dominicus', separatamente dal Ducato di Spoleto. Corrado aveva sposato una nobildonna di Nocera Umbra e risiedeva stabilmente nel castello di Assisi. Per il suo carattere tipicamente tedesco ed eccessivamente scrupoloso, facile all'ira e al risentimento, gli assisani lo avevano ribattezzato col curioso epiteto di 'mosca in cervello'.

Al fedelissimo Corrado (prima della distruzione per una sollevazione popolare del castello della Rocca di Assisi nel 1198) era stato affidato il piccolo Federico II, che di lì a breve resterà orfano prima di padre (Enrico VI) e poi di madre (Costanza d'Altavilla).

Federico II nacque a Jesi (nome alquanto simile nel suono ad Assisi), il 26 dicembre del 1194. Secondo Dante Alighieri, Costanza 'dal velo del cuore mai si disciolse', nel senso che - secondo quella versione che la vuole tratta via a forza, 'jussu' del Papa, da un convento, per divenire 'sposa imperiale', secondo chiare mire politiche in ordine al Regno di Sicilia lungamente accarezzate da Federico I - essa non sarebbe appunto neppure la vera madre di Federico II. Ed infatti tra Enrico - giovane assai aitante - e Costanza, unica figlia di Ruggero II, correvano diversi anni di età.

In conseguenza della singolare coincidenza della data di nascita del rampollo imperiale (e si dice pure che Federico sia addirittura nato la notte di Natale, sia che si fosse trattato di una messa in scena oppure di un dato reale: le versioni sono diverse), sorse appunto la 'leggenda' dei 'Frederici presagia', cui volentieri si abbandonava il poeta devoto alla casa sveva, Pietro da Eboli: <<O votive puer>>, <<renovandi temporis aetas>>, <<pax oritur tecum>>!

Federico II, stando alla Cronaca d'Alberto abate stadese, sarebbe stato battezzato nel Duomo di San Rufino, proprio come Francesco e Chiara. Correva l'anno 1197, ed il fanciullo imperiale aveva quasi tre anni. Enrico VI era morto precocemente nel settembre di quell'anno, dopo breve malattia. Da lì a diciotto mesi lo seguirà nella tomba Costanza. Intricatissime vicende politiche si dipanano da questi frangenti, così come si erano intrecciate molte situazioni precedenti. Secondo il Salvatorelli (cfr. 'Vita di San Francesco', pag. 25, Einaudi, ediz. 1982), nell'autunno del 1196 Enrico VI si trovava nella valle spoletana e <<a Foligno trovava il suo bambino Federico, ancora in fasce, allevato dalla moglie di Corrado, e se lo portava con sé verso Roma, a farlo battezzare nei pressi della città, con un gran corteo di vescovi e di cardinali>>.

Sappiamo per certo che Costanza era una grande devota di Gioacchino da Fiore. Ce lo fa sapere Luca da Cosenza, testimone oculare. Un 'venerdì santo', mentre Gioacchino si trovava nel chiostro del Santo Spirito a Palermo, l'<<Imperatrice>> (così testualmente il cronista, presente ai fatti) lo convoca a palazzo, dicendogli che gli vuole parlare (siamo probabilmente nel 1197/1198 - n.d.r.).31 L'Augusta lo attendeva assisa sul trono della chiesa annessa alla reggia, e lo invita a sedere in una sedia posta lì accanto. Poiché era in animo di confessarsi, Gioacchino le impone invece di discendere dal trono, e poiché adesso è lui a tenere il posto di Gesù Cristo, le comanda di sedere in terra, <<aliter enim non debeo te audire>>. Allora Costanza si siede umilmente per terra, e si confessa dei suoi peccati. Il racconto ci appare come quello di un riaccostamento finale della Regina a Gioacchino, e soprattutto all''autorità apostolica' (il che rafforza l'ipotesi monacale). Del resto gli Svevi avevano ampiamente favorito la fondazione gioachimita, concedendole favori e privilegi, come ci fa sapere Stanislao da Campagnola, il quale aggiunge che è possibile arrivare a sospettare <<che essi abbiano inteso di fissarne le dottrine, facendole scolpire in pietra, sulla facciata di S. Rufino>>, anche se <<non abbiamo indizi per affermarlo>>.

Secondo l'illustre studioso del francescanesimo <<l'interpretazione dei motivi scolpiti sulla facciata della cattedrale di Assisi permangono avvolti da un mistero, anche se non possiamo escludere che possano veramente avere un rapporto con le dottrine di Gioacchino>>. Il grande e vero limite sarebbe infatti dato dall'assenza di un qualsiasi collegamento che provi la presenza di Gioacchino da Fiore in Assisi, nonché lo stesso silenzio delle fonti compreso Francesco stesso.

6. Questo rapporto con Assisi passerebbe invece, secondo noi, attraverso 'magister Rufinus', del quale non si hanno più notizie dopo il 1192, e che per questa ragione viene creduto morto intorno a questa data. Rufino si era al contrario ritirato, già in età avanzata, nell'importante Monastero del Monte Subasio (che tra l'altro era proprietario della chiesa di S. Nicolò, protettore dei mercanti, situata accanto alla casa di San Francesco32 e a ridosso della Piazza del tempio di Minerva o 'forum mercatorum', legata alla più profonda memoria francescana proprio dall'episodio della consultazione casuale del Vangelo secondo la 'sortes apostolorum', nonché della Porziuncola, antichissima chiesetta, che sorgeva su di un affioramento di terra del Lacus Umber, bonificato dei benedettini nell'ottavo secolo, per la cui donazione, Francesco, che voleva restare assolutamente povero, volle riconoscere un 'amiscere' di pesciolini lacustri, contraccambiati poi dai benedettini con olio d'oliva del monte).

Ce lo fa credere l'insieme dei 'fatti' all'interno di un contesto fortemente 'indiziario' (grave, preciso e concordante), ed anche quella lastra di sarcofago in pietra graffita, conservata nel Monastero del Subasio (che fu distrutto alla fine del trecento in una guerra di fazioni dopo che si era andato spopolando dei monaci), la quale rappresenta un vescovo benedettino. Così la descrive, non volendo, il Fortini (cfr. Vita Nova, 1, I, pag. 26), pur dotato di formidabile intuizione: <<In terra giace una lastra tombale spezzata. Vi è ritratto un abate del monastero, in abiti pontificali. Sotto la mitra appare un volto ieratico che ha l'aspetto della sfinge impietrata. Una mano, chiusa nel guanto, regge un pastorale. La figura non emerge nel rilievo, né è disegnata, incisa nella pietra ... >>.

Già un altro vescovo di Assisi (anch'esso attestato dal Di Costanzo come nel caso di Ugone e di Rufino), di nome Dragone, risulta nel libro dei morti dell'abbazia di Fonte Avellana ('aveva trovato asilo presso di noi', annota il compilatore).33 Niente di strano, perciò, che il canonista Rufino, collega ed amico di Rolando Bandinelli (Alessandro III) e di Stefano d'Orleans, poi vescovo di Tournai, avesse deciso di ritirarsi ad Assisi, dopo essere stato anche vescovo di Sorrento, pensando così di morire nel Monastero del Subasio, non lungi dalla facciata 'profetica' di San Rufino, da lui studiatamente ed arditamente concepita, col sostegno economico dei reggitori imperiali ed il 'placet' dell'Ordine benedettino, quale sacro annuncio gioachimita del prossimo rinnovamento del secolo.

La nostra ipotesi è abbastanza coerente ed è soprattutto fortemente 'aiutata' dalla composizione del 'De Bono Pacis', i cui contenuti sembrano aver raggiunto anche Dante Alighieri (ad es. 'per unam cordis compuntiunculam, per unam oculorum lacrimulam' del 'De Bono...', cui farebbe riscontro - come mette intelligentemente in evidenza il Prof. G. Catanzaro - il 'Tu te ne porti di costui l'etterno / per una lagrimetta che 'l mi toglie' - cfr. Purgatorio, V, 106-107).

Memorabile fu il discorso tenuto da San Francesco il 15 agosto 1222 a Bologna, in presenza di tutto il senato accademico dell'Università. L'oggetto di questo discorso di 'riconciliazione' fu il 'bene della pace' degli 'uomini con gli uomini', e degli 'uomini con Dio'. Ce lo fa sapere un testimone d'eccezione, Tommaso da Spalato.34 I discorsi del Santo non erano prediche, ma 'conciones', allocuzioni o conferenze, che trattavano argomenti pratici, specialmente rivolti alla riforma dei costumi.35

Le Goff riporta, poi, un'interessantissima versione della 'Predica degli uccelli', edulcorata dalla grande mano di Giotto. Rifacendosi a Matteo Paris, che segue il benedettino Ruggero di Wendover, il quale colloca il celebre episodio al momento del ritorno da Roma nella Valle spoletana dopo la difficilissima udienza papale del 1209, Francesco, <<esulcerato per l'accoglienza fattagli dai romani, i loro vizi e le loro turpitudini, avrebbe chiamato a raccolta gli uccelli, i più aggressivi tra essi, quelli dai becchi voraci, uccelli da preda e corvi, e a loro avrebbe insegnato la buona novella, anziché ai miserabili romani>>. La fonte di questo aneddoto si trova precisamente nel libro dell'Apocalisse (19, 17-18): <<E vidi un angelo, levato nel sole, gridare con voce forte e dire a tutti gli uccelli che volavano nel cielo: venite e radunatevi al gran banchetto di Dio; mangiate la carne dei tribuni, la carne dei superbi, la carne dei cavalli e dei cavalieri, la carne dei liberi e degli schiavi, dei piccoli e dei grandi>>. Lasciamo al lettore ogni commento!

Chi poté favorire l'incontro col Papa, se non l'ordine benedettino? San Pier Damiani (prolificissimo scrittore) indirizza il 'sermo' XXXIV, conservato a Montecassino, ai miracoli di San Rufino, riportandone una profluvie incredibile. Era sorta, infatti, asperrima questione tra i fedeli ed il vescovo di Assisi Ugone (presente alla dieta di Worms del 1048), circa la destinazione di un sepolcro romano (risalente al II secolo d.C. e rappresentante il mito di Endimione e Diana), che il popolo voleva fosse trasferito nella 'parva basilica' del santo protettore assisiate, e il vescovo voleva invece ricondurre a S. Maria Maggiore (questo sepolcro era stato ritrovato in quell'epoca non lungi dall'antico luogo del martirio del Santo, si dice fatto morire affogato nel fiume Chiascio con una macina di mulino al collo). Alla fine prevalse la volontà popolare (dice testualmente Pier Damiani: <<vox populi, vox dei>>).36 Di conseguenza il vescovo Ugone non solo si decise a costruire una chiesa più grande (la 'magna basilica' citata nel 'sermo', della quale restano alcuni avanzi e soprattutto il basamento originario del campanile), ma trasferì a San Rufino la cattedra vescovile (la questione è assai interessante e complessa, e non tutte le tessere del relativo 'mosaico' storico sembrano ben collocarsi al loro posto, come ritiene anche il Fortini richiamando lo Gnoli,37 soprattutto in relazione ai tempi tecnici necessari per una così importante edificazione, che sarebbe stata sostituita, appena un secolo dopo ed anche meno, da un'altra chiesa ancor più grande, l'attuale Duomo in oggetto).

Pier Damiani era un benedettino seguace della regola di san Romualdo, nato come lui a Ravenna. Divenne cardinale di Ostia, lo stesso incarico ecclesiastico che, guarda caso, ricopre Ugolino dei Conti Segni nel 1209, poi divenuto Gregorio IX, morto quasi centenario, dopo essere stato uno dei grandi benefattori dell'Ordine francescano. Fu infatti Ugolino a favorire San Francesco verso il Papa, insieme al cardinale di S. Paolo. Coincidenze, queste, che non possono non mettere in sospetto per la loro significativa concordanza e congruenza.

Francesco si salvò da ogni accusa di eresia iniziando da solo il proprio difficilissimo percorso, sia perché egli era ' Francesco', sia perché seppe evitare gli errori o gli eccessi, ad es., di un Arnaldo da Brescia.38 Del resto i 'patarini' lombardi erano dei lavoratori della lana, un mestiere assai affine a quello di Pietro Valdo e del padre stesso di Francesco (lo stesso 'Pietro' Valdo - si noti l'analogia del nome col padre di Francesco - fu ben accolto nel Concilio Vaticano III, quello al quale partecipò Rufino, per essere in seguito scomunicato).

Uno dei grandi 'misteri' francescani è proprio quello del 1209, cioè l'approvazione papale della regola 'orale', ovvero la possibilità di una vita evangelica e della predicazione al popolo da parte dei 'poveri di Assisi', che tanto assomiglierebbero ai 'poveri di Lione', se non fosse che i primi erano una sorta di 'militia Christi', perfettamente 'pacifica' e perfettamente 'cavalleresca', a differenza dei secondi che cadevano in frequenti eccessi di intolleranza.

Francesco percorre con grande sofferenza il suo primo momento di crisi, che lo porterà alla 'metanoia', cioè alla grande scelta di cambiamento. Secondo S. Antonino di Firenze, <<nunc latebat in eremis, nunc ecclesiarum reparationibus insistebat devotus>>. Secondo altre concordanti fonti, amava recarsi all'interno di una grotta (un amico lo accompagnava), e ne usciva dopo lungo tempo come trasfigurato e spesse volte piangente. Francesco, nel 'Testamento', non ci fa sapere nulla della sua conversione interiore, se non il bacio al lebbroso, che lo trasformò, e la solitudine degli incerti inizi ('nessuno mi diceva cosa dovessi fare' - 'stetti un po' e poi 'exivi de seculo'). Eppure è possibile, se non anche probabile, che in origine ci sia stata una sorta di istradamento del giovane Francesco appunto da parte del vecchissimo Rufino, ritiratosi nel monastero del Subasio, che lo avrebbe consigliato e sostenuto precocemente, almeno nei momenti iniziali della crisi, e prima della morte intervenuta presto che avrebbe lasciato solo il Santo. Tutto lo lascia sospettare all'interno del 'quadro indiziario' che abbiamo cercato di delineare almeno per grossa maglia.

Indubbiamente validissime risultano, comunque, le ragioni di coloro che con grande sensibilità, sostengono essere il Duomo di San Rufino <<il primo santuario francescano>>. Noi vi scorgiamo molto di più: la 'longa manus' dei benedettini39 (sempre presente), ed una ispirazione 'rufiniana' al supremo 'bene sacramentale' della Pace. Nessuna meraviglia, dunque, che il portale 'profetico' di San Rufino (se non tutta intera la facciata) possa contenere, come si è cercato di mostrare, una precisa allegoria, riconducibile alle idee di Gioacchino da Fiore, con l'anticipazione dei due nuovi ordini religiosi che sarebbero seguiti: quello francescano e quello domenicano.

7. Chiudiamo questo articolo (scritto quasi di getto nei giorni della ricorrenza della festa di San Rufino e di Santa Chiara, 11 e 12 agosto, al picco massimo di visibilità dello sciame meteoritico delle 'Perseidi', le famose 'lacrime' di san Lorenzo) riportando il passo iniziale del 'De Bono Pacis' (nell'eccellente traduzione fattane dal Prof. Giuseppe Catanzaro, Presidente dell'Accademia Properziana del Subasio), ed invitando i lettori a scorrere con avidità quest'operetta, tanto essa appare splendida anche nel suo genere letterario, presentandosi - tanto più oggi - di grandissima attualità. <<Se si vuole una cognizione completa sul bene della, pace, procedendo con ordine, bisogna prima dare una spiegazione sul nome dell'oggetto in discussione e poi sull'oggetto che il bene indica. Questo bene è stato indicato con la parola Pax, perché il vocabolo esprime lo straordinario mistero della Trinità di Dio. Questo nome infatti si declina, ma non si volge al plurale, simboleggiando quell'unità che è carattere peculiare e distintivo di Dio: in questa unità, infatti, vi è la distinzione in tre persone e nello stesso tempo si mantiene e venera la semplicità di un'unica e medesima natura. Come dunque questo nome è formato di tre lettere, la P, la A e la X, che costituiscono un'espressione che non ammette il plurale (non diciamo le paci), così anche la divinità consta di tre persone: il Padre, il Figlio e lo Spirito santo. Queste non sono tre essenze, o Dei, ma l'unica essenza, un unico Dio. La P, poiché è la prima lettera della parola, indica il Padre; la A, che è quella di mezzo, indica il Figlio; la X, che è posta alla fine, rappresenta espressamente lo Spirito santo. Inoltre la P indica la Persona del Padre per una duplice ragione. La prima riguarda il nome: evidentemente la parola padre ha questa lettera iniziale. La seconda è questa: essendovi due lettere, che, per essere pronunziate, richiedono la divisione delle labbra, subito dopo una loro compressione, cioè la P e la B, per formare la P le labbra si stringono con maggiore compressione che per pronunziare la B e poi si aprono con un suono più chiaro per l'emissione della voce. Come dunque per pronunziare la lettera P le labbra si spalancano di più, affinché la voce formata sia profferita, così tutte le cose, che erano nascoste nel segreto dei disegni divini, quasi suono della voce concepita nel cuore, hanno incominciato a formarsi e ad aprirsi per opera della creazione... Parimenti si ritenga che A indica il Figlio per una duplice ragione. In primo luogo, perché è vocale, cioè ha un suono di per sé, e il figlio che si è incarnato, di per sé è visto e conosciuto. In secondo luogo, perché è la prima di tutte le lettere; e il figlio è il Primogenito rispetto ad ogni creatura. E come Egli è prima, così è dopo di ogni creatura: L'Alfa e l'Omega, il primo e l'ultimo, onde è chiamato il Primogenito e l'Unigenito: Primogenito, in quanto nessuno è esistito prima di lui; Unigenito, perché nessuno sarà dopo di lui. Affinché l'insieme di questo nome risulti completo, alle due precedenti lettere si lega la terza, cioè la X. Questa prefigura la persona dello Spirito santo in duplice modo, cioè per la natura del suono e per l'ordine in cui è disposta. Per la natura del suono: perché è consonante doppia, e perciò, a buon diritto, indica lo Spirito santo per la doppia consonanza d'amore, che in esso si comprende: infatti da una parte congiunge il Padre con il Figlio, dall'altra la creatura con il Creatore… Per l'ordine della disposizione: perché questa lettera è la terzultima dell'alfabeto, viene cioè prima della penultima. Infatti nell'abbecceddario due lettere la Y e la Z vengono dopo questa. Di queste tre lettere la prima è la X, e perciò essa è concepita come immagine del mistero>>40.
 
 




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Il 'mistero' di cui ci siamo occupati è dinanzi agli occhi di tutti. Si tratta anche del 'mistero francescano' che non finirà di stupire i secoli. Con gli 'occhi', c'è, per 'vedere', l'ausilio della 'mente' e del 'cuore'. E' quanto abbiamo cercato di fare, spiando in pochi acri di terra assisana la presenza del 'mistero' dello Spirito Santo e il 'segreto' della Pace.
 
 




Note


 














1 Assisi è descritta da Properzio (4, I, 125) come <<scandentiique axis consurgit vertice muros, mura ab ingenio notior ille tuo>>. Secondo Dante Alighieri (Paradiso, XI, 52-55) <<Però chi d'esso loco fa parole, / non dica Ascesi, ché direbbe corto, / ma Orïente, se proprio dir vole>>. Secondo l'illustre glottologo Giovanni Semerano, autore di studi rivoluzionari, 'asu' - in accadico e assiro-babilonese - è appunto il Sole. Gli Asisinates sono ricordati nell'ambito delle popolazioni umbre da Plinio. Di Assisi fanno menzione Tolomeo nella Geografia e Procopio nella Guerra Gotica. Sorprendente è il silenzio di Strabone, geografo augusteo, che si guarda bene dal nominarla. Sorge perciò il legittimo sospetto che l'etrusco Properzio (con l'eclissarsi dell'astro politico di Mecenate, etrusco di Arezzo della regia famiglia dei Cilnii, proprietari terrieri sulla linea dei 'laghi' che giungevano fino alle Fonti del Clitunno passando dal Trasimeno, fino al Lacus Umber sotto Assisi, bonificato dai benedettini nell'ottavo secolo) abbia ricevuto ad un certo momento una sorta di interdetto, affine a quello che ebbe a subire molti anni dopo il sodale Ovidio di lui un po' più giovane, il cui 'giallo' non è stato mai risolto. La precoce 'scomparsa' di Properzio (che sarebbe 'morto' ad appena 31 anni), e la chiara falcidia della sua opera (le Elegie in 4 libri, che in verità si presentano assai disomogenee), potrebbero invece trovare proprio questa 'spiegazione'. Su 'Assisi', si veda A. Grohmann, Le città nella storia d'Italia, Laterza, Bari, 1989, nonché A. Cristofani, Delle storie di Assisi, A. Forni Editore, ristampa 1980 dell'edizione del 1902. Il Duomo romanico di San Rufino rimonta al XII secolo. Fu ultimato durante la vita di San Francesco. In precedenza doveva esserci una basilica forse dell'XI secolo, o forse ancora precedente, di cui restano la cripta e soprattutto la robusta torre campanaria. La zona del Duomo insiste nella parte alta della città, quella più antica, contornata da robuste mura umbro-romane, che molto probabilmente racchiudevano il primitivo insediamento, ed è caratterizzata dalla presenza di notevoli reperti archeologici (teatro, circo, anfiteatro ed antico foro umbro, accanto al tempio della Buona Madre). La zona del foro antico è quella oggi occupata dalla chiesa. Stando all'illustre storico del francescanesimo Arnaldo Fortini, Assisi sarebbe caratterizzata dalla presenza di tre distinte cittadelle: quella 'imperiale' (col castello svevo e gli edifici collinari), la zona di san Rufino (o 'cittadella benedettina' a ridosso del monte Subasio), e la parte bassa (Santa Maria Maggiore o 'cittadella vescovile'), dove appunto si collocavano la casa di Properzio e le antiche terme. Questa 'teoria' corrisponde, nominalmente, alle varie ipotesi che si possono avanzare per la formazione storica del libero comune di Assisi, che appare certamente attestato nell'anno 1198, quando il castello svevo fu distrutto dal popolo dopo la morte di Enrico VI e quella di Costanza d'Altavilla.

2 L'incertezza dell'anno di nascita deriva da un conto a ritroso rispetto alla data certa della morte (3 ottobre 1226) e al computo degli anni della vita. Secondo le varie leggende francescane, la nascita del Santo sarebbe stata caratterizzata da eventi miracolosi: anzitutto si sarebbe presentato a monna Pica un uomo, annunciando che in quel giorno sarebbero nati a Assisi il migliore e il peggiore degli uomini; quindi, al momento del battesimo al fonte di San Rufino, un angelo avrebbe lasciato impresse le sue orme sulla pietra, assistendo all'evento (Francesco si chiamava Giovanni); poi, uno strano pellegrino avrebbe cominciato ad annunciare per le vie di Assisi il messaggio di 'Pace e Bene'; infine, un uomo semplice avrebbe steso un velo al passaggio del giovane Francesco per la Piazza (o foro del mercato), rendendo omaggio alla sua futura grandezza (si tratta, in questo caso, del primo affresco del ciclo iconografico giottesco, composto da 28 grandi riquadri). Tale sostrato di leggende potrebbe in effetti celare una 'verità' storica della quale ci si è spogliati e di cui ci occupiamo in questo articolo, con particolare riguardo a Gioacchino da Fiore e alla figura di Magister Rufinus. I due erano nati pressoché in quegli anni (intorno al 1130) e mentre è certo che Gioacchino sia morto nel 1201-1202, di Rufino non si hanno più notizie dopo il 1192. Il De Bono Pacis di Rufino e il Decem salpterium chordarum di Gioacchino risalgono invece agli anni della pace di Costanza.

3 Su I genitori di san Francesco si veda in particolare l'esauriente lavoro di F. Rossetti, Edizioni Il leccio, Siena, 1984. Secondo la versione del vescovo di Assisi (1698-1715) Ottavio Spader, in base al racconto fattogli a Lucca, mentre predicava nel 1689 in quella città, dal canonico Francesco Moricone, Pietro di Bernardone discenderebbe dalla famiglia di mercanti dei fratelli Moricone, originaria di Lucca. Quando il corpo del Santo fu scoperto nel 1818 nel sepolcro murato sotto l'altare maggiore della Basilica inferiore di Assisi, risultò, dalla ricognizione del cadavere, la presenza di un rosario con 33 grani (tanti i versi del Cantico), un anello con un sigillo riportante l'effigie di Minerva (il comune di Assisi aveva allora sede nel famoso tempio di Minerva posto nel 'forum mercatorum'), e 26 piccole monete lucchesi. A nostro avviso (seguendo una traccia aperta da Gemma Fortini, la figlia del già citato Arnaldo, che peraltro incontreremo di nuovo), Petrus Bernardonis era un mercante convertito, di origine ebraica, la cui famiglia già esercitava il mestiere in epoca carolingia (cfr. G. Fortini, Francesco d'Assisi ebreo?, Carucci Editore, 1978). Il patronimico 'Bernardonis' evocherebbe, piuttosto, la dipendenza dall'importante abbazia riformata del Monte Subasio, egemone nell'alto medioevo dell'economia curtense locale, in nome e per conto della quale l'attività di scambio era esercitata, profittando della via francigena che correva sotto Assisi, e con basi d'appoggio nei lunghi viaggi tramite le stesse abbazie benedettine presenti lungo il tragitto. La madre di Francesco avrebbe avuto origini nobiliari piccarde o provenzali, ma nessun documento lo prova. Pica è anche il nome di un uccello. Alcuni sostengono che il suo nome fosse Giovanna, così come Francesco si chiamava Giovanni prima che il padre gli mutasse nome. L'epiteto di 'madonna' ne attesta senza dubbio una qualità sociale di rango superiore a quella del marito. Tradizione vuole che fosse effettivamente francese, e meglio ancora provenzale, oppure della Burgundia. Francesco prorompeva assai spesso in canti provenzali, probabile lingua materna, saltellando e ritmando la musica, accompagnandosi con un bastoncello che imitava un archetto. Il carattere di Francesco appare fine e poetico come quello della madre e al tempo stesso assai deciso come quello del padre. Le fonti ci fanno presente il suo spirito curiale e cavalleresco, assai accentuato. Magister Rufinus era pure di origini francesi, contrariamente all'opinione del Singer. L'eresia catara si radicò pervicacemente in questa parte riparata della Francia, riperpetuandosi in seguito con gli ugonotti.

4 Si veda al riguardo la pregevolissima pubblicazione 'Fonti francescane' a cura di Stanislao da Campagnola, (editio minoris, pag. 1-1560), Editrici Francescane, Assisi, 1986.

5 Gli studi francescani si avviarono con il Thode, che pubblicò a Berlino nel 1885 il suo Francesco di Assisi (riproposto da Donzelli Editore, Roma, 1993, con prefazione di L. Bellosi, autore de La pecora di Giotto, Einaudi, Torino, 1983), e proseguirono con il Sabatier (1894), di religione protestante. Una Vita di san Francesco si deve anche al famoso poeta danese J. Joergensen, nel 1907. Seguirono, a questi primi studi, una profluvie di vite del Santo, alcune composte da grandi scrittori come G.K. Chesterton, H. Hesse, J. Green e N. Kazantzakis. In questa sede citeremo soltanto alcune accurate biografie storiche, come la monumentale Nova vita di san Francesco di Arnaldo Fortini, ed. Assisi, 5 voll., non più ristampata; L. Salvatorelli, Vita di san Francesco d'Assisi, Einaudi 1973 (I ediz. Laterza, Bari, 1926); R. Manselli, San Francesco, Bulzoni Editore, Roma, 1980; F. Cardini, Francesco d'Assisi, Mondadori, Milano, 1991; J. Le Goff, San Francesco d'Assisi, Laterza, Bari, 2000. Per gli amanti delle curiosità facciamo presente che il grande storico Luigi Salvatorelli era nipote del Prof. Leto Alessandri, cui l'opera francescana è dedicata, già preside del Liceo di Assisi e notevole studioso di storia locale. Le fonti francescane sono di vario genere. Su questo argomento cadono, in particolare, gli autorevolissimi studi di Stanislao da Campagnola, fra i quali Biografie e cronache del duecento francescano, Perugia, 1970; L'angelo del sesto sigillo e l'<<Alter Christus>>, Roma, 1971; Francesco d'Assisi nei suoi scritti e nelle biografie dei secoli XIII-XIV, Edizioni Porziuncola, Assisi, 1981. Su Assisi al tempo di San Francesco si vedano gli Atti del V convegno internazionale di Studi Francescani, Assisi, 1978, nonché di A. Fortini, Francesco d'Assisi e l'Italia del suo tempo, Biblioteca di Storia Patria, Roma, 1968, e soprattutto Assisi nel medioevo, Carucci editore, Roma, 1940.

6 Nel 1238 fra' Elia, diretto a Cremona dove trovavasi il campo imperiale come Legato Pontificio, passando da Parma accolse nell'ordine fra' Salimbene de Adam, il quale nella sua Cronaca ci ha descritto, a tratti vivaci, i particolari di quell'incontro (giovedì 4 febbraio). Il mancato successo della missione affidatagli dal Papa Gregorio IX segnò la sua disgrazia. Si suole ricondurre a fra' Elia il progetto della Basilica di S. Francesco (ma il Santo aveva lasciato scritto nel suo Testamento che nessuna chiesa si sarebbe dovuta edificare a suo nome), e la successiva cura dei lavori. Sono incerte le sue origini. La sua effigie, accanto a quella di Federico II, comparirebbe in un angolo esterno del Sacro Convento della Basilica, che affaccia sulla pianura. Un primo studio al proposito si deve negli anni ottanta al Dott. Prospero Calzolari, amico personale del Prof. Bartocci (P. Calzolari, Massoneria Francescanesimo Alchimia, Sear Edizioni, Scandiano, 1988). Questo spunto è stato organicamente ripreso dallo storico dell'arte Prof. Elvio Lunghi in un importante saggio: Presenza di Federico II nella chiesa di S. Francesco ad Assisi, in Atti dell'Accademia Properziana del Subasio, serie IV, n. 23, anno 1995, Assisi al tempo di Federico II. Su La corte papale a Perugia nel ducento, si veda inoltre l'interessantissimo lavoro, assai ricco di spunti, del Prof. Francesco Frascarelli, in Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli Studi di Perugia, volume XV, nuova serie volume I, 1977/1978, pag.155-213.

7 Cfr. Salimbene de Adam, Cronica, 441. Presentata al Capitolo generale di Pisa del 1263, la Leggenda Maggiore di San Bonaventura incontrò il plauso incondizionato del gruppo dirigente. Il Capitolo generale di Parigi del 1266 ordinò la distruzione di tutte le precedenti biografie. Così ad es. la Vita prima di Tommaso da Celano (commissionata nel 1228 da Papa Gregorio IX) fu recuperata soltanto nel 1768. Il Capitolo di Parigi affermò che San Francesco era 'ad litteram' l'angelo apocalittico del sesto sigillo. Dante Alighieri si ispira, nel canto XI del Paradiso, al poemetto allegorico del Sacrum commercium beati Francisci cum domina Paupertate, forse erroneamente attribuito a Giovanni da Parma. Nella temperie storica di questa delicatissima fase di passaggio del movimento francescano, che vede prevalere San Bonaventura, viene travolto lo stesso ministro generale dell'Ordine, Giovanni da Parma, compromesso dall'azione di Gerardo da Borgo San Donnino, che era accanito fautore delle attese di 'renovatio' di Gioacchino da Fiore, profeticamente fissate per l'anno 1260 in cui appunto si manifestarono i movimenti epocali dei 'flagellanti'.

8 Cfr. F. Heer, Il Medioevo, Mondadori, 1991, pag. 216, capitolo: <<Sinistra>> e <<destra>> nei movimenti religiosi particolari.

9 Ce lo attesta lo stesso Properzio, nel breve, bellissimo e misteriosamente allusivo 'epigramma' funebre impropriamente inserito come elegia XXI del libro I.

10 Appartiene al novero dei tanti misteri francescani anche la famosa benedizione, scritta a fra' Leone di pugno di Francesco e portata sul petto del frate fino alla morte. A parte l'invito a che il Signore 'mostri il suo volto' - e ben inteso si tratta di un passo biblico (Numeri, 6, 24-26) - la benedizione francescana è caratterizzata da un Tau fuoriuscente dalla bocca di un volto incorniciato dalla barba, che si può presumere quello di Cristo, ma questo viso sembra emergere da un lenzuolo. Si tratta forse della Sindone, che fino alla conquista crociata del 1204, si conservava a Costantinopoli, e che andò in mano ai cavalieri templari, per poi essere conservata dai catari od ugonotti in Burgundia, durante la persecuzione di Filippo il Bello, e riapparire finalmente in mano ai Savoia? Ci limitiamo all'enunciazione dell'ipotesi. Tuttavia è certo che il Tau (in ebraico 'segno') era il simbolo col quale si sottoscrivevano i cavalieri templari, poi accusati di venerare una strana immagine scurita, chiamata 'Bafometto'. Il mistero properziano concerne i vari aspetti della vita e dell'opera poetica. Il Prof. Pio Fedeli, massimo studioso di Properzio, da me richiesto se Cinzia è in effetti l'immagine della luna come riporta Macrobio, mi riferì di recente che in America era stato pubblicato un libro proprio su questo tema. E' probabile che le elegie nascondano allusioni di carattere astronomico. Si veda in particolare 4, I, l'elegia in cui Properzio è Oros, nella traduzione fattane dalla compianta Gemma Fortini in Le Elegie di Properzio, Assisi, 1997. Vale in ogni caso far presente al lettore interessato che non solo la famosa archeologa M. Guarducci, scopritrice tra l'altro della tomba di San Pietro in Vaticano, pubblicò un lavoro (in Memorie dell'Accademia Nazionale dei Lincei, s. VIII, XXIII, 1979, pp. 269-297) sulla Domus Musae. Epigrafi greche e latine in un'antica casa di Assisi (posta nei sotterranei della Chiesa di Santa Maria Maggiore), ma che nei primi anni cinquanta l'esoterico farmacista assisano Dott. Fioravante Caldari (cfr. Atti dell'Accademia Properziana del Subasio, serie V, n. 2, dicembre 1955, pagg. 17-22) scavò a proprie spese il medesimo sito archeologico, scoprendo tra l'altro, oltre agli affreschi e alle epigrafi illustrate dalla Guarducci, una lapide in cui certo Properzio è nominato come 'sacerdote flamine'. Caldari figura in una fotografia accanto ai professori G. Saeflund e K. Kerenyi, che allora ispezionarono la supposta casa di Properzio. Ma lasciamo la parola a Gemma Fortini (op. cit., Prefazione) per una contrastante opinione: <<…Gens Propertia, una famiglia imparentata con i Passenna e i Paulli, da cui il famoso console Emilio Paolo e gli Scipioni: una famiglia di magistrati che per trecento anni diede saggi amministratori alla città. Si vuole che la loro casa si trovasse nell'attuale chiesa di S. Maria Maggiore per i numerosi cimeli romani ritrovati e quel piccolo tempio orfico dai variopinti disegni parietali [con fiori rossi a forma di cuore - n.d.r.]; ma il nome della Gens Propertia [un antico re di Veio è attestato col nome di Properzio - n.d.r.] non è qui venuto alla luce, come invece è accaduto nel sepolcro lungo la via che conduce a S .Damiano fuori le mura [primo luogo francescano - n.d.r.; Gemma Fortini sta qui difendendo un antico lavoro del padre Arnaldo, risalente al 1931, che fu letto in Campidoglio per le celebrazioni properziane], dove una lunga lapide calcarea porta chiaramente inciso il nome della gens Propertia [non si tratta tuttavia della importantissima epigrafe venuta alla luce nel 1742 fra Assisi e Bastia in cui è menzionato il 'marone' Vols... Propartii - n.d.r]>>.

11 Sembra che Dante Alighieri, il ghibellin fuggiasco, durante le sue peregrinazioni avesse bussato una volta all'eremo di Fonte Avellana, invocando appunto la 'pace'. L'episodio del 'lupo di Gubbio', riportato dai Fioretti, nasconde un atto di pacificazione. La famosa Concordia del 1210, preceduta da un atto consimile del 1203, sembra riflettere la presenza in Assisi del messaggio benedettino di pace originato da magister Rufino. L'insieme delle tante connessioni che potrebbero essere scorte (e che inevitabilmente dobbiamo trascurare) è tale da restituire un interessantissimo tracciato, sul quale invitiamo i lettori a riflettere per proprio conto.

12 Questo ritratto prova lo stretto collegamento tra i benedettini e San Francesco (che viene rappresentato non ancora stigmatizzato - sulla questione dell'<<invenzione>> delle stimmate, si veda l'ampio ed approfondito saggio della Prof. Chiara Frugoni, docente di Storia medievale all'Università di Roma II, Francesco e l'invenzione delle stimmate - Una storia per parole e immagini fino a Bonaventura e Giotto, Einaudi, 1993). Come evidenzia il Fortini (cfr. F. d'Assisi e l'Italia del suo tempo, op. cit. pag. 353) questo ritratto risulta fedele alla descrizione poi data dal Celano nella Vita prima, 465: <<Era uomo facondissimo, di aspetto gioviale, di sguardo buono, mai indolente, mai altezzoso. Di statura piuttosto piccola, testa regolare e rotonda, volto un po' ovale proteso, fronte piana e piccola, occhi neri, di misura normale e tutto semplicità, capelli pure oscuri, sopracciglia diritte, naso giusto, sottile diritto, orecchie dritte ma piccole, tempie piane, lingua mite, bruciante penetrante, voce robusta, dolce, chiara e sonora, denti uniti, uguali e bianchi, labbra piccole e sottili, barba nera e rada, collo sottile, spalle diritte, braccia corte, mani scarne, dita lunghe, unghie sporgenti, gambe snelle, piedi piccoli, pelle delicata, magro, veste ruvida, sonno brevissimo, mano generosissima>>. E' il ritratto di un trovatore, di un poeta e allo stesso tempo di un uomo di azione. L'ottimo seme di Francesco deve aver fruttato sul buon terreno già preparato da Rufino. E' questo l'assunto fondamentale del presente scritto, pur negli inevitabili limiti che ci siamo imposti.

13 Ci sarà poi, iconograficamente parlando, un 'Francesco con la barba' ed un 'Francesco senza barba' (quello degli Angiò). Si veda al riguardo l'importante saggio di L. Bellosi, La pecora di Giotto, op. cit. Enormi problemi ha suscitato la datazione e l'attribuzione dei cicli pittorici della Basilica assisiate, che vede il succedersi di varie scuole, e molto probabilmente registra le diverse vicende politiche che si sono succedute durante il lungo periodo del suo completamento.

14 La scritta di pace è evangelica e compare in Matteo 10, 13, oltreché nel De Bono Pacis, Libro I, Cap. IV, De pace Dei ad Homines. Il messaggio francescano è essenzialmente quello della Pace. La parola minores socialmente voleva indicare che i francescani si mettevano dalla parte del popolo, dei deboli, dei minori, in opposizione ai maggiori, agli aristocratici, ai potenti. Vedremo a suo tempo la bellissima interpretazione della parola 'pace' che dà il grande canonista Rufino nella sua opera. In modo allusivo, si noti la semplice consonanza che intercorre tra 'PAX' e 'AXis'. Axim è infatti il nome di Assisi, che figura nell'Italia illustrata (1527) di Flavio Biondo, e talvolta nei codici properziani si legge 'Axis' in luogo di 'Asis'. La parola 'asse' richiama - in virtù del particolare orientamento da est a ovest, con fronte a sud, della città di Assisi - l'asse di traguardo degli antichi osservatori astronomici per la determinazione del calendario luni-solare. Sembra perciò dirla lunga sulle origini 'sacre' della patria di Francesco, che forse sorse intorno ad un antico osservatorio sito sulla sommità del colle, dove oggi si colloca il castello. Infatti si scorgono ancora i resti imponenti di un antichissimo muro 'pelasgico', e del resto sono stati trovati sulla montagna soprastante del Subasio straordinari 'bronzetti votivi' di fattura antichissima. L'impressione generale è che il toponimo di Assisi evochi un culto solare. Tanto bene lo intuisce Dante Alighieri, e lo stesso 'Angelo del Sesto Sigillo' della 'lectio' bonaventuriana è proprio l'angelo apocalittico che appare dall'oriente recando sulle mani il segno del Dio vivo (quest'angelo, col segno del Dio vivente, è effigiato nel tondo centrale del rosone piccolo di sinistra della facciata del Duomo: 'Vidi alterum Angelum ascendentem ab ortu solis, habentem signum Dei vivi - Apocalisse, 7,2). A nostro giudizio si tratta di connessioni assai significative, che non debbono essere sottovalutate.

15 Si tratta dell'incipit dell'elegia III, 5, che riportiamo nella traduzione di Gemma Fortini: 'Amore è un dio di pace, noi amanti veneriamo la pace'. Dunque a piena ragione Assisi può essere definita 'la città della pace' (<<Benedicat tibi dominus Sancta civitas deo fidelis, quia per te animae multae salvabuntur, in te servi altissimi habitabunt, de te multi eligentur ad regnum aeternum>>, se non fosse che - come racconta il Fortini in Assisi nel medioevo - ci fu una volta che i frati conventuali invitarono al sacro Convento i cappuccini di Santa Maria degli Angeli e ne nacque una zuffa con molti feriti e contusi).

16 A quest'ultimo riguardo ricordiamo brevemente che nel pregevole lavoro dell'archeologa A. Tufani, L'anfiteatro di Assisi, Accademia Properziana del Subasio, Assisi, 1999, vengono citate le singolari proprietà terapeutiche di quest'acqua sorgiva del perlasio (secondo il Fortini, il nome richiama il primo luogo di raduno popolare dell'insorgente comune medievale col significato di parlascio o parlamento). Si tratta di una fons o gurgha perlasii, che secondo le memorie della antica famiglia Paolucci (pag. 35) conduceva a numerose guarigioni miracolose grazie all'aspersione corporea e all'assunzione di 'acqua santa'. La Tufani rammenta altresì che l'invaso dell'anfiteatro (gurgha) era utilizzato nel medioevo per la tintura delle stoffe.

17 Gioacchino da Fiore nacque più probabilmente verso il 1130 (non verso il 1145 come altri sostengono), e morì nell'anno 1201 o 1202, quando Francesco aveva circa venti anni. Le sue principali opere sono la Concordia Novi et veteris Testamenti, l'Expositio in Apocalypsim, il Psalterium decem chordarum, il commento Super quatuor Evangelia e forse anche il Liber figurarum. Secondo l'opinione di molti studiosi l'influsso gioachimita su Francesco fu inevitabile. Si ritiene prevalentemente che umilissime fossero le origini di Gioacchino. Non trova eccessivo credito l'ipotesi che lo vuole figlio di un notaio della corte normanna. Egli si mostra precursore dei movimenti spirituali che si realizzeranno in seguito. Secondo il 'francescano di Erfurt' (Cronica minor risalente al 1261/1268) sembra che nella sua cella Gioacchino avesse fatto dipingere, prima ancora che sorgessero, i due nuovi ordini da lui profetati, poi identificati nel movimento francescano e in quello domenicano. Tali immagini si scorgono anche sulla facciata di San Rufino, ai lati del piccolo rosone di sinistra. Gioacchino era in origine cistercense, ma poi si ritirò fondando un ordine proprio (i Cistercensi erano sorti in derivazione dei Cluniacensi). Nel 1184 lo troviamo a Veroli presso il pontefice Lucio III, cioè quel Rolando Bandinelli, che insieme a Magister Rufinus, era stato tra i principali allievi di Graziano. I teologi di Parigi e i membri di altri ordini perseguitarono Gioacchino come eretico. Tuttavia egli ebbe entrature notevoli anche con Urbano III, che lo incontrò a Verona nel 1186 e lo esortò a scrivere l'Expositio in Apocalypsim, la sua seconda grande opera. Il Psalterium era stato già in buona parte abbozzato nel 1183, l'anno della pace di Costanza e quello della probabile composizione da parte di magister Rufinus del De Bono Pacis. Nel 1196 una bolla di Celestino III recante la data del 25 aprile regolarizza l'ordine florense. Le principali notizie su Gioacchino ci provengono da Gregorio da Lauro che scriveva nel 1660. Altre fonti gioachimite sono Ruggero di Hovden, Benedetto di Peterborough e Raul di Coggeahall (quest'ultimo in relazione alla profezia di Riccardo Cuor di Leone). L'ordine florense è esistito fino al 1570. Come abate e come erudito - non come politico - Gioacchino intrattenne rapporti personali con la casa reale di Enrico VI: cfr. H. Grundmann, Studi su Gioacchino da Fiore, Marietti, 1989 (I ed. Leipzig-Berlin 1927), pag. 16. Entrato nel monastero cistercense di Corazzo, ne fu abate dal 1178 al 1188 almeno. Nel 1255 la Commissione di Anagni, nominata da Papa Alessandro IV, ne valutò la dottrina a seguito delle denunzie dei maestri di Parigi nei confronti del gioachimita francescano Gerardo da Borgo Donnino. Secondo Stanislao da Campagnola la 'novitas' francescana, a differenza di quella di Gioacchino da Fiore, fu piuttosto rivolta alla trasformazione attiva del presente, che all'attesa contemplante del futuro. Su Gioacchino da Fiore e il Salterio a dieci corde cfr. E. Zolla, I mistici dell'occidente, III, Rizzoli, Milano, 1977, Mistici medievali, pag. 111 ss.

18 Tale affermazione è presente anche nel Salterio a dieci corde, con evidente riguardo al Salmo 144, 9, Lode di Davide, di cui si riparlerà nel seguito.

19 Il grande catalogo (pagg. 171) delle intense opere scultoree (1906-1973) di Francesco Prosperi (con apparati critici e filologici a cura del figlio Franco) è stato pubblicato dall'Accademia Properziana del Subasio (ed. Porziuncola) nel 1997. Un lavoro di Prosperi (S. Francesco ascendente al cielo in un carro di fuoco come il profeta Elia) è presente nella antica cripta della Chiesa di San Rufino. L'Accademia Properziana, di illustri origini, venne fondata in Assisi nel 1516. Negli ultimi 20-30 anni si sono moltiplicate le accuratissime pubblicazioni di pregio di questa Accademia, di non trascurabile risalto nazionale.

20 F. Prosperi, La facciata della cattedrale di Assisi (La mistica gioachimita prefrancescana nella simbologia delle sculture), Stampa grafica Perugia, 1968. Sembra che negli anni ottanta il compianto Dott. Francesco Brunelli di Perugia abbia prodotto un lavoro originale su questa medesima facciata, tuttavia non abbiamo potuto al momento reperirlo. Per la bibliografia completa inerente a questo importante monumento si rimanda ai più recenti lavori citati in queste note.

21 La cattedrale di San Rufino in Assisi, Arti grafiche A. Pizzi s.p.a, Milano, Accademia Properziana del Subasio e Capitolo della Cattedrale di San Rufino, con ampia prefazione ed eccellente studio introduttivo del Prof. Don Aldo Brunacci, illustre Canonico della Cattedrale e direttore della Casa editrice Fonteviva.

22 Nel famoso atto giuridico della Concordia del 1210 tra 'majores' e 'minores', riportato in tutte le storie del diritto italiano e col quale fu operato un massiccio affrancamento di mano d'opera servile, è chiaramente fissato l'impegno del completamento dei lavori della facciata del Duomo. Ciò non esclude affatto che la parte più bassa ed antica della facciata, quella cioè comprensiva del bellissimo portale, fosse già stata completata in anni precedenti, come da noi indicato.

23 Fortini, nato e vissuto in Assisi, esercitava la professione di avvocato. Oltreché aver preso parte al collegio difensivo del processo di Verona (difensore del ministro dell'agricoltura Cianetti), fu per moltissimi anni podestà di Assisi. Amico personale del Re Vittorio Emanuele III e di Gabriele D'Annunzio, che scrisse il Notturno a seguito degli stimoli spirituali che gli provennero da questa amicizia e dalla frequentazione dei luoghi francescani.

24 L'autore dell'articolo sulla facciata di San Rufino presente nella pubblicazione del 1999 parla invece di un 'Cristo'. I recenti lavori di restauro presentano dei punti particolari di sorprendente disposizione simmetrica, che andrebbero assolutamente chiariti. Si tratta di macchie di colore di un rosso più vivo che non la pietra del lunotto, e che sembrano segnare delle stimmate alle mani, una ferita appena sopra il cuore, un punto centrale sulla fronte, ed infine due tumefazioni agli zigomi di questo Dio incoronato, uno e trino, tutto contenuto assiso in trono entro il cerchio empedocleo del 'rotondo sfero' della creazione caratterizzata dalla presenza della luna, del sole e delle altre stelle.

25 Cfr. R. Manselli, Francesco di Assisi, op.cit., pag. 29.

26 Così si esprimeva Arnaldo Fortini: <<Ecco una bella figura di vescovo che andrebbe studiata>>. Ed in effetti a Magister Rufinus, grande canonista ed oratore, il Singer, che nel 1902 ne pubblicò in Germania la Summa Decretorum, dedica una prefazione di circa 130 pagine, fornendo vari particolari. Su Rufino si veda anche la prefazione al De Bono Pacis a cura del Prof. Don Aldo Brunacci, ed il profilo altresì tracciato dal Prof. G. Catanzaro, Magister Rufinus vescovo di Assisi nel sec. XII, in Atti dell'Accademia Properziana del Subasio, Serie VI, n.14, 1987, pag. 243 ss. Si ha però ragione di ritenere che Rufino fosse di origini francesi, e che prima di approdare all'Università di Bologna fosse presente all'Università di Parigi. La data di nascita di Rufino potrebbe essere fissata intorno al 1130, come per Gioacchino da Fiore. Alcune idee presenti nel De Bono Pacis sembrano riflettere temi gioachimiti esposti nel Salterio a dieci corde. Riteniamo di poter affermare che Magister Rufinus subì evidenti influssi della Scuola di Chartres, sui cui caratteri di 'naturalismo platonico' cfr. M. Lemoine, Intorno a Chartres, Jaca Book, Milano,1998.

27 Sui Vassalletto, una dinastia di architetti e lapicidi romani, si veda in particolare l'Enciclopedia dell'arte medievale Treccani, Vol. II, Roma, 1991, pagg. 625-653 (voce Roma). Nel medesimo contesto enciclopedico (voce Assisi) si citano, a proposito della facciata del Duomo di San Rufino, i lavori del vecchio canonico G. Elisei, risalenti al 1893, e quello del 1968 di F. Prosperi, gli unici in effetti dedicati a questo capolavoro del tutto trascurato. Dallo studio comparato tra gli altorilievi del candelabro in pietra della Basilica di San Paolo fuori le mura in Roma (di mano di Niccolò d'Angelo e Pietro Vassalletto) e le sculture di Assisi, emerge indubbiamente la medesima 'mano'. Ciò consente una ragionevole datazione del portale, precedente alla morte di Gioacchino da Fiore (ivi rappresentato in vita), e non come erroneamente si sostiene posteriore al 1210. Del resto la presenza in loco dei lapicidi romani e dei loro cantieri è ben attestata da altre opere, come ad es. la pubblicazione del Touring Club Italiano (1965), L'arte nel medioevo (Duecento e trecento), pag. 29. Niccolò e Vassalletto sono attestati al culmine della loro fama proprio nell'ultimo quarto del XIII secolo.

28 La bellissima piazza di Bevagna è adornata anche dalla frontestante chiesa di San Michele Arcangelo, sulla cui facciata compare tra l'altro l'effigie del giovane imperatore Enrico VI.

29 Si veda al riguardo A. Brunacci, Prefazione al De Bono Pacis, da lui personalmente riscoperto e valorizzato, ed ottimamente tradotto ed annotato dal Prof. G. Catanzaro, Presidente dell'Accademia Properziana del Subasio. La Summa Decretorum di Rufino è stata pubblicata in Germania nel 1902 dal Singer, e ristampata nuovamente nel 1963, sempre a Paderborn. E' interessante notare che si ha notizia di ben tre codici contenenti il De Bono Pacis (il Cassinese 238, il Tegernseensis 779 e il Bambergensis, perduto), di cui i due ultimi sono tedeschi. Questo la dice lunga sull'equilibrata visione di Rufino in ordine ai rapporti tra papato ed impero.

30 Cfr. Enciclopedia Treccani, voce ' Rufino'. Emerge che Rufino, come da noi sospettato, fosse di lingua e cultura francese, il che costituisce altro interessantissimo 'indizio'.

31 Cfr. Stanislao da Campagnola, L'Angelo del Sesto Sigillo, op.cit., pag. 63.

32 Tra i tanti misteri francescani vi è anche quello della casa paterna, che viene situata dove sorge la Chiesa Nuova, costruita nel seicento con i fondi del Re di Spagna. Sembra invece, come prova documentalmente il Fortini, che la casa di Francesco si trovasse a sinistra della piazza, a ridosso della chiesa di S. Nicolò, così come appare dal primo affresco di Giotto. Si veda al riguardo anche P. Chioccioni, La casa paterna di San Francesco, Roma, 1966. Ciò proverebbe ulteriormente lo stretto collegamento tra il mercante 'Petrus Bernardonis' e il monastero benedettino del Subasio.

33 A. Fortini, Vita Nova, op. cit., vol. 1, I, pag. 78.

34 Cfr. J. Le Goff, San Francesco d'Assisi, op. cit., pag. 67.

35 Cfr. J. Joergensen, San Francesco d'Assisi, op. cit., pag. 271.

36 Si veda al riguardo il dotto ed interessantissimo lavoro del Prof. Don Aldo Brunacci, S. Rufino martire primo vescovo di Assisi, Libreria Fonteviva, Assisi, 2000, e si gusti poi il sermone di Pier Damiani (altresì autore di un bell'inno a san Rufino: <<....magnum Rufini meritum turba canat fidelium...>>) nell'eccellente traduzione dello stesso Don Aldo Brunacci.

37 A. Fortini, Assisi nel medioevo, op. cit., pag. 49; U. Gnoli, L'antica Basilica Ugoniana e il Duomo di Giovanni da Gubbio in Assisi, in rivista Augusta Perusia, A. I, fasc. 11 e 12. La versione fornita da Pier Damiani, di tendenze fortemente popolari, è perlomeno dubbia.

38 Su Arnaldo da Brescia si veda l'importante lavoro di A. Frugoni risalente al 1954, nell'edizione Einaudi del 1989.

39 Come San Benedetto e Santa Scolastica rappresentano la 'coppia sacra' dell'Ordine benedettino al momento dell'oscurità e del 'farsi crudo' della storia, così Chiara e Francesco ne rappresentano la recuperata immagine diadica all'aprirsi del medioevo comunale, tempo di nuova libertà. G. Duby pubblicò su la Repubblica (domenica 27 novembre 1994) un articolo su Le donne di Francesco santo e cavaliere, recensendo un libro di Dalarun (dal titolo Francesco: un passaggio - Donna e donne negli scritti e nelle leggende di Francesco d'Assisi, allora appena pubblicato in Italia), relativo al fascino esercitato sulle dame, tra le quali spicca la devotissima Jacopa dei Settesoli, che da Roma accorse al suo capezzale al momento della morte, recando con sé alcuni dolcetti.

40 Questo lavoro di sintesi, presentato in forma rapida e succinta ai lettori di Episteme, è caratterizzato da molte superficialità e manchevolezze, parte dovute alla difficoltà della materia, parte ad ovvie carenze di spazio. Teniamo a sottolineare che la nostra 'traccia' potrebbe comunque avere un fortissimo impatto sulla figura storica di San Francesco, se in effetti, come si ipotizza in queste pagine, Magister Rufinus fu per così dire l'istradatore del giovane Francesco. Ci sorprende la considerazione (in base a quanto risulta, per bocca di Gioacchino, dal 'Salterio a dieci corde'), che la 'castitas' è il 'segno del fuoco dello Spirito Santo'. Così anche le altre due virtù francescane (umiltà e povertà), sembrano riguardare, a loro volta, l'età del 'padre' e quella del 'figlio'. Quanto all'assunto altrettanto fondamentale che Assisi abbia costituito nell'alto medioevo un centro ad economia curtense direttamente connessa all'abbazia benedettina del Monte Subasio, rimandiamo in generale ad opere di storia medievale, e, in particolare, a P. Cammarosano, Storia dell'Italia Medievale (Dal VI al XI secolo), Laterza, Bari, 2001.
 


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[Una presentazione dell'autore si trova nel numero 5 di Episteme]

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