Sul termine greco an q r w p o V … e dintorni.

(Rosario Vieni)

 

Assai di frequente gli etimi della lingua greca hanno risentito, e risentono, di quella cattiva lettura del "miceneo" (Lineare B) che gli epigoni di M. Ventris continuano a fornirci e ad ammannire ai poveri studenti delle università italiane; con l'aggravante che i nostri illustri cattedratici sovente, più che avere lo sguardo attento al dubbio ed alla scienza (e senza dubbio non esiste curiosità né amore per il sapere, ovvero per l'aver fame), ce l'hanno per il loro piccolo o grande potere e, direbbe Pirandello, per il proprio pupo.

Questo, almeno, per le scienze cosiddette umane dove assai spesso 2 + 2 non dà 4.

Ragion per cui, per tornare all'assunto, visto che morto prematuramente Ventris gli altri non erano capaci di cavare un ragno dal buco si decise che non solo andavano bene quei 2 o 3 tasselli del puzzle che l'architetto inglese era riuscito a ben incastrare ma che tutto il resto andava altrettanto bene. Sicché, in barba alla lingua e ad ogni regola di fonetica, ne è venuta fuori una lettura del miceneo da far rizzare i capelli al povero Platone o a Senofonte.

Ma, d'altra parte, né Platone né Senofonte potevano più protestare, ragion per cui su quel groviglio di linguaggio dinosaurico (come l'ha definito un mio caro amico greco, il prof. Tsopanakis dell'Università di Salonicco) hanno chiosato e poi ancora chiosato piegando (e piagando) la lingua e contorcendola al fine di cercare di farla assomigliare ad un simulacro di greco… che mai nessun greco, o pre-greco, si sarebbe mai immaginato di pronunciare.

Prova ne è la lettura, nella tav. PY Fr 1184, di un termine greco perfetto (un aoristo) che - caso unico - troviamo nel miceneo di Ventris, laddove invece tutto il resto appare come il tentativo malaccorto raffazzonato e non riuscito di dare una sembianza di greco a ciò che come greco mai potrà essere sentito.

Da qui, il tentativo di spiegare gli etimi del greco alla luce di una lettura del miceneo sostanzialmente e formalmente errata.

Se leggiamo quanto dice Georgiev a proposito di a-to-ro-qo / anthropos ebbene c'è da rimanere alquanto perplessi.

Dice testualmente a pag. 53: "La labiovelare attestata in a-to-ro-qo = att. anthropos uomo, marito conferma l'etimologia fornita già da tempo, ma che ha sempre destato dubbi:

anthr-okw-o-s come volto-(con)-barba, cioè l'uomo che ha la faccia con la barba (dal volto ricoperto di barba).

Tale spiegazione, mi sia concesso, è sostanzialmente errata perché "formalmente" errata. Il significato del termine anthropos è ben diverso. Si tratta di un termine agglutinato (secondo il più genuino uso greco), formato da anti + ro (radice di reo) + op (una delle 3 radici di orao) + il distintivo della declinazione maschile in - o(s) . La dentale di ant(i), venendo a contatto con lo spirito forte del ro, prende su di sé l'aspirazione e si trasforma in th . Ciò testimonia il passaggio storico-fonetico avvenuto, e ci dà delle indicazioni del tutto certe per l'etimo della parola.

Per la qual cosa la parola indica semplicemente quell'animale (l'uomo) che "cammina guardando contro/frontalmente/di fronte a sé" (ovviamente rispetto agli altri animali che non guardano sul davanti, visto che hanno gli occhi posti sui lati).

A proposito di tale termine, Chantraine (XI, op.cit.) dice che: "Les adjectifs en -opos (skuthropos etc., voir § 203), comme en latin les adjectifs en -ox (atrox, etc.), contiennent la racine d'un verbe signifiant voir". E' vero epperò che, più avanti (§ 203), dirà "…Dans un grand nombre d'entre eux, il est évident que cette finale représente la racine -oqw voir".

Tentativo, pare, di conciliare con la lettura-Ventris gli etimi della lingua greca, che risultano anche in questo caso almeno discutibili. Gli è che bisogna fare i conti, piuttosto che con radici ricostruite in maniera artificiosa, con quello che la lingua stessa ci offre.

Non è solamente un problema di etimo. L'esatta origine della parola ci offre anche la storia della lingua, del suo sistema formale e quindi logico.

Tutto il resto, voglio dire le tante forzature e i tentativi di adattare le leggi della fonetica e della lingua greca al miceneo di Ventris, è roba che non appartiene alla scienza; se mai è roba da saltimbanchi. Nella maniera più assoluta.

Ma se per un attimo distogliamo lo sguardo dal "microscopio" che la filologia utilizza per volare appena un po' più in alto, ci accorgiamo che la nuova lettura delle tavolette micenaiche che noi ormai proponiamo dal 1988 ci prefigura un quadro storico assai ben diverso da quello che la scienza ufficiale continua a voler imporre… a tutti i costi e contro ogni logica coerente.

Secondo la scienza ufficiale i Dori sarebbero giunti in Grecia intono al 1100 a.C., mentre il dialetto parlato dai "Micenei" sarebbe appartenuto ad un gruppo acheo-eolico.

Secondo invece quanto emerge dalla nostra lettura delle tavolette in Lineare B le cose stanno ben diversamente:

> la lingua parlata dai conquistatori micenei apparteneva in maniera inequivocabile al gruppo dorico, e ne consegue quindi che essi sono discesi in Grecia ben 4/5 secoli prima di quanto s'è sostenuto fino ad ora. Inoltre (e non a caso abbiamo usato il termine "discesi"; del resto in continuità con la medesima tradizione antica) essi sono giunti dal Nord, tant'è che nella loro parlata sono presenti elementi del dialetto beotico.[1]

L'illustre filologo Harald Haarmann, che da anni studia la lingua e la cultura Vinča, ha saputo apprezzare tale nuova visione della storia e del miceneo tanto da citare l'eretico autore nel suo ultimo saggio[2], "naturalmente" non ancora tradotto in Italia dove predomina una casta di mandarini caparbiamente cieca sorda e muta; incapace di dubitare, incapace di scendere ad un confronto veramente scientifico, incapace persino di obiettare o di giustificare le proprie scelte. Aristotelici per vocazione, e per comodità, sarebbero capaci di mandarti al rogo se solo ne avessero il potere. Si accontentato quindi di annichilirti… o tentano di farlo.

Tale nuova visione peraltro è accettata pure nella Patria di Platone e di Senofonte, come risulta dagli Atti di un Congresso Internazionale dedicato sì ai dialetti neoellenici ma durante il quale abbiamo letto le parole d'oggi alla luce della nostra traslitterazione della Lineare B[3].

Nella pratica, l'ipotesi dorica se non altro conferma ciò che da tempo ci veniva dai dati archeologici in nostro possesso.

Inoltre fa luce (in quanto non si tratterebbe di documenti d'archivio palaziali) sulla loro genesi e sulla fine della civiltà minoica.

L'illustre prof. Godart, che si picca d'essere l'Unico (l'unico micenologo degno di tale nome, s'intende) nel suo ultimo libro sul disco di Festo[4] espone una teoria che riprende pari pari dal mio saggio apparso 4 anni prima. E, ovviamente, senza neppure citarmi, né a margine né in bibliografia. E chi osa salire su così tanto Olimpo?!

In pratica sarebbe avvenuto questo: il maremoto, l'onda d'urto, l'oscuramento del cielo, la ricaduta di polveri e pomici in seguito all'esplosione di Thera-Santorini avrebbero distrutto non solo la fiducia dei Minoici nel loro potere, ma innanzitutto le loro strutture costiere, portuali, le flotte, l'economia.

Ne approfittarono i Micenei, che altro non aspettavano per mettere fine alla talassocrazia minoica. Dal Peloponneso inviarono le loro nere navi (di nere navi parlerà poi pure il cantore dell'Iliade) su cui issarono vele nere (rammentate il mito di Teseo?). Dopo e durante le razzie stilarono un inventario di quanto poterono depredare, e cioè di tutto, ivi compresi pure gli arredi delle tombe; e lo fecero su argilla non cotta epperò, e ciò per ovvie ragioni pratiche.

Le tavolette testimoniano tutto ciò. Così come ci testimoniano la presenza, molti secoli prima di Omero, della prima "poesia" in lingua greca… perché finalmente con la nostra lettura del miceneo si può parlare veramente di lingua greca a proposito delle tavolette d'argilla micenaiche.

Sed de hoc alias.

Note

1 Rosario Vieni, La lingua dei Micenei, Catanzaro, 1990.

2 Harald Haarmann, Early Civilization and Literacy in Europe - An Inquiry into Cultural Continuity in the Mediterranean World, Mouton de Gruyter, Berlin-New York, 1996.

3 RosarioVieni, "Tracce del Miceneo e oltre in linguaggi odierni dell'area magno-greca", in Atti del III Congresso Internazionale di Dialetti neoellenici (Khalimnos-Rodi, 1998), Università di Atene, 2000.

4 Louis Godart, Il Disco di Festo, Einaudi, Torino, 1994.

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[Una presentazione dell'autore si trova nel numero 5 di Episteme]

r.vieni@tin.it