Flussi e riflussi
Indagine sull'origine di una teoria scientifica
(Lucio Russo)
(Feltrinelli, Milano, 2003)
E' con vivo piacere che invitiamo i lettori di Episteme alla lettura di questo "piccolo" libro (soltanto 152 pagine), ciò nonostante molto denso di contenuto, che riprende in un certo senso il discorso iniziato in La rivoluzione dimenticata. La presentazione sopra riportata, estratta dall'opera stessa, illustra sinteticamente ma chiaramente la tesi generale di Russo: la scienza ellenistica era pervenuta a costruire una serie di teorie scientifiche del tutto "moderne", che sono state successivamente "dimenticate", sia per il progressivo stabilirsi di una "concezione del mondo" <<avversa>>, sia per la loro oggettiva "complessità", che le ha rese di difficile comprensione e tradizione per una cultura decisamente decaduta nell'ambito scientifico, capace quindi di lasciarne unicamente tracce, indizi, per lo più in scritti non appositamente dedicati a siffatti argomenti. L'attenzione dell'autore si punta stavolta in modo specifico sul tema delle maree, ma non solo di esso ovviamente si tratta, a ragione del suo collegamento con la cosiddetta "rivoluzione astronomica", ovvero con il problema dell'eliocentrismo, e di un'adeguata corrispondente "teoria della gravitazione" (si rammenti che non a caso Galileo inserisce la discussione sulle maree nell'ultima parte del suo celebre Dialogo..., quale possibile "prova" del moto reale della Terra: <<il medesimo flusso e reflusso [del mare] comparisca a confermare la terrestre mobilità>>).
Le conclusioni "epistemologiche" a cui giunge Russo sono senz'altro non comuni, rispetto alla vulgata corrente. Riportiamo integralmente a mo' d'esempio un passo che ci sembra particolarmente significativo (dalle pp. 105-107).
<<Nella più autorevole enciclopedia sull'antichità classica [Otto Eduard Neugebauer, A History of Ancient Mathematical Astronomy, p. 697.] si considera poco credibile l'esistenza del moto di rivoluzione della Terra, poiché per verificare gli effetti dei moti della Terra sulla posizione apparente delle stelle fisse occorre una precisione nelle misure angolari che in epoca moderna fu raggiunta solo nel XIX secolo (la prima misura di parallasse stellare fu realizzata da Bessel nel 1837). L'argomento merita una confutazione. Possiamo certamente escludere che all'epoca di Seleuco fossero eseguite misure precise quanto quelle di Bessel. La convinzione che la sola vera prova dell'eliocentrismo sia quella basata sullo spostamento apparente delle stelle è però doppiamente singolare. Notiamo innanzitutto che si riesce così a escludere la possibilità che l'argomento di Seleuco fosse scientifico al prezzo di estendere l'esclusione non solo all'eliocentrisino di Copernico, Galileo e Keplero (il che è probabilmente condivisibile) e a quello di Newton e Halley (il che è già più difficile da concedere), ma anche alla meccanica celeste di Laplace. In breve, occorre respingere nel limbo della non scientificità buona parte della meccanica e dell'astronomia dell'età moderna. [Nota nel testo: La tendenza a restringere la "scientificità" alle verifiche basate su misure di precisione, escludendone gli argomenti teorici, è poco conosciuta tra gli scienziati, ma sembra diffusa tra i classicisti. Anche in [Perilli], per esempio, si afferma che i moti della Terra furono dimostrati scientificamente solo nel 1837.] Inoltre non si capisce perché la constatazione del moto apparente delle stelle fisse dovrebbe implicare logicamente il moto della Terra. Chi rifiuta la meccanica celeste, non considerandola sufficientemente provata, può anche attribuire realmente il moto osservato alle stelle. Naturalmente l'ipotesi eliocentrica spiega i moti apparenti delle stelle fisse (osservati da Bessel nel caso di una sola stella) in modo più semplice, ma esattamente lo stesso argomento di semplicità può essere usato a favore dell'ipotesi di Aristarco di Samo, che aveva dedotto le retrogradazioni dei vari pianeti dall'ipotesi di un solo moto della Terra. La prima "prova scientifica" dei moti della Terra, che si vorrebbe spostare dall'epoca di Newton al 1837, dovrebbe quindi, per la stessa ragione, essere retrodatata da Seleuco ad Aristarco. Affermare, come Seleuco, che veramente il Sole è fisso e la Terra è in moto equivale a sostenere che le retrogradazioni planetarie non solo scompaiono nell'ipotesi che il Sole sia fermo, ma realmente non esistono. Poiché il carattere apparente di stazioni e retrogradazioni è ripetuto da diverse fonti latine pretolemaiche e in particolare da Plinio, Lucrezio e Seneca, dobbiamo dedurne che il passaggio dall'eliocentrismo cinematico di Aristarco all'affermazione della sua realtà fisica, lungi dall'essere stata un'idea isolata, fosse stato largamente condiviso>>.
Poco dopo si aggiunge (p. 125):
<<Il quadro emerso dalla nostra indagine può apparire molto deprimente. Abbiamo visto scienziati che per secoli hanno continuato a travasare affermazioni da un libro all'altro, tentativi di interpretare antichi testi contrabbandati per intuizioni originali, storici della scienza che ne nascondono la storia e molte altre umane debolezze. Forse non si tratta di fenomeni che riguardano solo le teorie delle maree. La scienza è un'attività umana come le altre, dovuta a uomini costituzionalmente non diversi da quelli che si occupano di agricoltura, commercio o guerra. Abbiamo scoperto da tempo che la storia non è l'opera di eroi. Che la scienza non sia prodotta da geni?>>.
Il ragionamento dell'autore appare in effetti più che fondato, anche se non del tutto scontato ci sembra pervenire, pur accettate le stesse premesse, al medesimo approdo concettuale. Tornando infatti all'alternativa proposta come "paradossale", <<occorre respingere nel limbo della non scientificità buona parte della meccanica e dell'astronomia dell'età moderna>>, la domanda che diventa d'obbligo è: e perché no?, almeno se si intende il concetto di "scientificità" ristretto a una prevalenza di dati sperimentali nei confronti di quelli teorici. Perché non ammettere che si sono contrabbandate a lungo quali assolute certezze (per esempio del tipo che una mela quando si stacca dal ramo cade al suolo, e non si leva verso il cielo), teorie che invece avevano ancora bisogno di conferme osservative prima di essere date per sicure? (negli ovvi limiti poi in cui un "giudizio sintetico a posteriori" può offrire certezza).
In altre parole, è nostra opinione che al complesso di ragioni raccolte dall'autore potrebbe darsi anche un'interpretazione diversa, seppure ancora più "scandalosa" per l'orgoglioso pensiero scientifico moderno: trattandosi di controversie su questioni di fatto, solo argomenti di fatto possono convincere in maniera definitiva di una "congettura" rispetto a un'altra, e in campo astronomico per lungo tempo unicamente di fronte a congetture, ancorché "ragionevoli", ci si è trovati ad accapigliarsi. Più precisamente, essendo i dati a disposizione delle parti sempre gli stessi, e niente affatto decisivi (come fa al contrario ritenere la successiva storia apologetica della scienza, che conduce a inquadrare semplicisticamente lo sconfitto nella categoria dell'"irragionevole"), il dibattito verteva piuttosto sulla loro interpretazione, occultando sotto il manto della "scientificità" ciò che era invece sostanzialmente uno scontro tra diverse Weltanschauung. In conformità a quanto abbiamo spiegato (con Laila Rossi) in Episteme N. 4, "La scienza come strumento ideologico - Il caso Galilei e la falsificazione della cosmologia tolemaica", (e ribadito in:
http://www.dipmat.unipg.it/~bartocci/mat/profilo3.doc, soprattutto nel punto 3-2-11), per arrivare a talune conclusioni non basta che le teorie di Newton e di Laplace siano espresse in una forma rigorosamente matematica (veste che è propria per esempio anche della teoria della relatività, sulla quale abbiamo pure da queste pagine spesso sollevato qualche dubbio sotto il profilo della "verità", ovvero della sua corrispondenza al reale), né basta il loro accordo con le osservazioni dei moti celesti effettuate esclusivamente dalla Terra (proprietà che era condivisa anche da altri "sistemi", come quello di Tycho Brahe). Per poter asserire con assoluta cogenza erga omnes che le retrogradazioni planetarie sono un fenomeno solo "apparente" (dal punto di vista cioè di un abitante del nostro pianeta), ossia che dal punto di vista del Sole esse letteralmente non esistono, bisognerebbe andare a guardare da lì, o conoscere con una notevole precisione delle distanze relative, impresa che fino all'avvento di un certo progresso tecnologico non era possibile di realizzare.
Ci sembra interessante sottolineare inoltre un curioso fenomeno "epistemologico", che attira giustamente l'attenzione dell'autore, ossia la circostanza che la confutazione di una delle obiezioni principali contro la teoria eliocentrica, vale a dire la non rilevazione di una parallasse stellare annua (la "scoperta" di Bessel non rappresenta nulla di diverso da ciò), si tramuti ipso facto in un argomento a favore della teoria eliocentrica. Come osserva bene Russo, <<chi rifiuta la meccanica celeste, non considerandola sufficientemente provata, può anche attribuire realmente il moto osservato alle stelle>>.
Non possiamo per completezza (e per adesione personale alla "fisica cartesiana") passare sotto silenzio il fatto che una simile argomentazione potrebbe ripetersi nei confronti dell'altra famosa obiezione all'ipotesi di un moto reale della terra, ovvero: ma se la Terra si "muove", perché non si avvertono effetti di tale movimento? Ad essa si è risposto ab initio proponendo il "principio di relatività" quale una delle principali leggi della natura, espediente che riteniamo però insoddisfacente per almeno due motivi. Il primo rimanda direttamente alla posizione ingiustamente sottovalutata di Cartesio (N. 19, Parte III, dei suoi Principia Philosophiae): <<io nego il movimento della Terra con più cura di Copernico e più verità di Tycho>>. Il secondo, che la rotazione diurna avrebbe dovuto in ogni caso avvertirsi, ciò che si è ben constatato a posteriori (dal pendolo di Foucault ad altre esperienze, anche elettromagnetiche, come il test di Michelson-Gale), e se non appare così all'esperienza "comune" è solo per una coincidenza quantitativa, ossia perché la relativa accelerazione centrifuga è ben minore dell'accelerazione di gravità centripeta (ma se la Terra avesse densità inferiore all'attuale, pur continuando a ruotare alla stessa velocità, il movimento si sentirebbe eccome).
Riassumendo, ci sembra che dal Seicento (almeno) a oggi ci sia stata sempre eccessiva "fretta" nell'accettare determinate teorie (il caso della relatività einsteiniana versus concezioni di tipo meccanico-eteristico dello spazio fisico è paradigmatico), e ridicolizzare, cancellare, differenti alternative, fretta che si può immaginare non generata esclusivamente da umane intrinseche "debolezze", ma pure da finalità che potrebbero non impropriamente definirsi "ideologiche", il che giustifica più che ampiamente l'osservazione dell'autore (il quale però si colloca palesemente su un piano interpretativo diverso da quello qui per sommi capi delineato) che abbiamo voluto scegliere come "motto" per questo numero di Episteme.
[L'occasione si presta a una precisazione, di fronte a un fraintendimento che notiamo spesso dalla corrispondenza che riceviamo, quasi che una "difesa" delle tesi sostenute dagli sconfitti significasse solidarietà ideologica con essi, e dissenso sulle motivazioni dei loro avversari. Ribadiamo allora che la lotta contro le mitologie giudaico-cristiane, e la relativa incarnazione storica più rilevante nel potere spirituale e temporale della Chiesa romana, ci appare degna di apprezzamento, allo stesso modo che encomiabile giudichiamo l'attività delle persone che contribuirono all'avvento di una rivoluzione che potremmo dire forse oggi "tradita". Pensiamo però che sarebbe stata preferibile, e più coraggiosa, ancorché probabilmente impraticabile con successo sul piano concreto, una contrapposizione diretta, senza stare a scomodare il povero Tolomeo, o argomentazioni scientifiche di incerta solidità - per non parlare del fatto che una tale dissociazione sarebbe stata a distanza di secoli più efficace, dal momento che ai nostri giorni si assiste per esempio al ritorno sulla scena di affermazioni di "compatibilità", e di richiami alla necessità di una "conversione" addirittura quale unica condizione per la salvaguardia della "pace nel mondo", fenomeni inquietanti per ciascun "rivoluzionario" cultore della "ragione" (ahinoi, bisogna essere rivoluzionari per asserire la semplice supremazia dell'onestà e del "buon senso"?)...]
Tenuto conto dei particolari interessi di chi redige questa breve (e sicuramente incompleta) presentazione, si ritiene doveroso un cenno anche all'importanza delle maree in relazione alla scoperta dell'America, di cui Russo si occupa in alcune pagine del suo lavoro (pp. 70-72). Di maree si tratta infatti diffusamente in America: una rotta templare, citando tra l'altro un brano di Raimondo Lullo, considerato cruciale nella "genesi della grande scoperta": <<La principale causa del flusso e del riflusso del Mar Grande o del Mar d'Inghilterra è l'arco dell'acqua del mare che a ponente appoggia o confina in una terra opposta alle coste dell'Inghilterra, Francia, Spagna e di tutta la confinante Africa, nella quale gli occhi nostri vedono il flusso e riflusso delle acque perché l'arco che forma l'acqua come corpo sferico è naturale che abbia appoggi (confini) opposti su cui posare, poiché altrimenti non potrebbe sostenersi. Per conseguenza, così come in questa parte appoggia sul nostro continente, che vediamo e conosciamo, nella parte opposta di ponente appoggia sull'altro continente che non vediamo e non conosciamo fino ad oggi; però per mezzo della vera filosofia, che riconosce ed osserva mediante i sensi la sfericità dell'acqua ed il conseguente flusso e riflusso, il quale necessariamente esige due sponde opposte che contengano l'acqua tanto movimentata e siano i piedistalli del suo arco, si inferisce logicamente che nella parte occidentale esiste un continente nel quale l'acqua mossa va ad urtare così come rispettivamente urta nella nostra parte orientale>> (Quodlibeta, Questione 154, Tomo IV).
Nel menzionato saggio del 1995 (in cui sono inseriti alcuni calcoli espliciti per dimostrare che Colombo sarebbe potuto anche pervenire a una stima ragionevole della distanza del "continente sconosciuto" di Lullo, tramite appunto un confronto tra le maree atlantiche e quelle del mare Mediterraneo), si esprimeva sostanzialmente la convinzione, dovuta all'insufficienza delle informazioni in possesso dello scrivente, che si fosse in presenza di acquisizioni teoriche originali tardo-medievali, da ricondurre a un ben preciso ambiente scientifico, lo stesso che successivamente animò il Centro di Sagres di Enrico il Navigatore. A sorpresa Russo ci rende invece edotti che si trattava in realtà di una semplice ripresa di concetti già noti alla scienza ellenistica, il che rafforza e non diminuisce la prospettiva storica generale allora abbozzata, riproponendo tra l'altro (ma non è questo ovviamente l'unico spunto) l'importante questione relativa a quali siano state davvero le "culle di conservazione" di certe antiche conoscenze scientifiche, e del ruolo della comunità ebraica in tale mantenimento, e riutilizzazione. Possiamo esclamare, peccato che una persona di così vasta cultura classica e scientifica non si sia occupata di questo aspetto del problema, dedicando al "Medioevo" soltanto poche pagine di sfuggita.
A beneficio dei lettori, che si spera vorranno approfondire la problematica direttamente sul testo in oggetto, riportiamo ancora qualche passo estratto da esso (pp. 70-71). Prima di tutto Russo cita Strabone, il quale chiama in causa Ipparco e Seleuco, sostenitori della teoria che con il senno di poi si dimostrerà corretta, ma solo per confutarli:
<<Ipparco non è convincente quando afferma contro questa opinione [che l'oceano sia un unico mare continuo] che né l'oceano subisce del tutto le stesse trasformazioni né, ciò concesso, ne seguirebbe che l'Atlantico sia tutto continuo in cerchio, chiamando a testimone dell'andamento non uniforme [dell'oceano] Seleuco di Babilonia>>.
L'autore così prosegue:
<<[...] scientificamente Strabone ha con Ipparco (e probabilmente anche con Seleuco) il rapporto di un nano con un gigante. [...] In questo caso la testimonianza è tuttavia molto interessante, per varie ragioni. Innanzitutto ci comunica che l'attendibilità delle ricerche di Seleuco di Babilonia sulle maree non era posta in dubbio dal massimo astronomo dell'antichità, Ipparco, e un simile avallo costringe anche noi a considerarle molto seriamente. Inoltre il passo di Strabone dimostra che lo stesso Ipparco aveva toccato il tema nelle sue opere: un dettaglio che varrà la pena ricordare più avanti. Ovviamente se in epoca ellenistica fosse stata elaborata una teoria astronomica delle maree, Ipparco, che è al tempo stesso il massimo e ultimo astronomo e geografo del periodo, non sarebbe potuto rimanerne all'oscuro. [...] Ipparco, poiché, sulla base dei dati di Seleuco, sapeva che le maree dei due oceani sono notevolmente diverse (in particolare perché le disuguaglianze diurne, vistose nell'oceano Indiano, non sono visibili nell'Atlantico) ne aveva dedotto l'esistenza di quella che noi chiamiamo America>>.
Concludiamo riportando, come nostra consuetudine, l'indice dell'opera di Lucio Russo, insieme a qualche informazione biografica sull'autore.
Indice
Prologo
1. Un precedente: il caso della forma della Terra
Antiche idee sulla Terra e la gravità
Fossilizzazione delle conoscenze
Modelli che salvano i fenomeni (e loro frammenti)
2. Le maree
I fenomeni da salvare
Le maree nella storia della scienza
3. Alcune idee pre-newtoniane
Prima di Newton nulla?
Antichità e Medioevo
Qualche scienziato della prima età moderna
4. Due teorie contrapposte
Galileo e la teoria cinetica
Un arcivescovo dannato e la teoria luni-solare
5. Cercando l'origine della teoria luni-solare
Lezioni di medicina e astrologia a Padova
L'ambigua fortuna della teoria luni-solare
Un confronto tra i trattati veneti
de Dominis salva un fenomeno che ignora
Incontriamo Seleuco di Babilonia
Sulla perdita delle conoscenze
6. La teoria luni-solare nella scienza vera
Le maree tra Grecia classica ed Ellenismo
Eratostene dissente da Archimede
Seleuco, Ipparco e l'esistenza dell'America
Strabone riferisce su Posidonio
La testimonianza di Plinio
In Persia, alla corte di Cosroe I
7. Cercando l'origine della teoria cinetica
Galileo e de Dominis avevano un amico in comune
Un umanista eclettico e un botanico aristotelico
Ci s'imbatte dì nuovo in Seleuco
8. Sulle tracce di Seleuco di Babilonia
Evoluzione dello idee sulla gravità nella scienza greca
Eliocentrismo dinamico e gravitazione
La prova di Seleuco dell'eliocentrismo
L'analogia della fionda e le maree
9. Verso Newton e oltre
Rivisitando la teoria di Galileo
Un copernicano estremista
John Wallis e il moto attorno al baricentro
Gravità e forza centrifuga
Un puzzle che si ricompone
Dopo Newton
Epilogo
Quadro cronologico
Indice delle fonti
Abbreviazioni bibliografiche
Indice dei nomi
Lucio Russo (Venezia 1944) insegna Calcolo delle probabilità
all'Università Tor Vergata di Roma. Con Feltrinelli ha pubblicato:
La
rivoluzione dimenticata - Il pensiero scientifico greco e la scienza moderna
(1996, finalista premio Viareggio per la saggistica 1997);
Segmenti
e bastoncini (1998); Dove sta andando la scuola? (1998, opera
che ha dato inizio a un ampio dibattito sulla riforma scolastica).
(UB)