Un ulteriore esempio di fisica demenziale...





In relazione a quanto espresso nella nota 27 di
http://www.cartesio-episteme.net/ep8/ep8-zeno.htm
o nel commento a una recensione di Alberto Bolognesi
http://itis.volta.alessandria.it/episteme/ep7/ep7-comm-dav.htm
uno scandalizzato lettore di Episteme mi ha fatto pervenire la pagina di Quark N. 37 (immagino un numero recente, non ho neppure voglia di andare a verificare) che metto a disposizione in rete perché chiunque possa rendersi conto di persona.

Ho risposto che continuo ad essere sconvolto per la presenza di simili speculazioni (assolutamente indebite, sia sul piano strettamente sperimentale sia su quello puramente osservativo), di uno stampo che non può non definirsi "irrazionalistico". E poi la "comunità dei fisici" si lamenta se qualcuno "non autorizzato" ufficialmente, per esempio Vanna Marchi o il mago Otelma, li imita, e si mette anch'egli a discettare del pari di fantasie senza fondamento, blaterando di non meglio precisate energie, bilocazioni, fenomeni paranormali, etc.. In effetti tutte le stupidaggini teoriche oggetto dell'articolo incriminato ammettono chiaramente la possibilità di parlare con i defunti, infrangere la causalità, etc., basta fare un bel viaggetto nel passato, alla "Terminator".

Ripetiamo che se questa è l'immagine che la fisica offre di sé presso il grande pubblico, allora stiamo freschi a voler proporre in alternativa interpretazioni "sensate" alla Cartesio...

Perugia, Umberto Bartocci, 17 novembre 2004

Appendice 1

Poiché sappiamo per esperienza personale che diverse persone restano colpite da affermazioni roboanti del tipo: <<Dentro l'imbuto c'è l'eternità>>, osserviamo esplicitamente che eventuali rallentamenti degli orologi (= strumenti meccanici di misura del tempo, dei quali bisogna conoscere per bene i principi di funzionamento), anche se reali, non significano assolutamente nulla. [Meriterebbe un commento a parte la riproposta della "voce": <<Il fenomeno è stato misurato sperimentalmente con orologi atomici su aerei intorno al mondo...>>, per cui rimandiamo a http://www.cartesio-episteme.net/H&KPaper.htm. Se Kelly avesse ragione, come sembra, allora si tratterebbe di una beffa che si aggiunge ad altre beffe.] Fino al caso limite di un orologio che si ferma (i.e., cessa di funzionare per le mutate condizioni ambientali): non diremmo che abbiamo trovato l'eternità, che è stato "il tempo" a cessare di scorrere, diremmo soltanto che si sono fermati certi orologi. Sarebbe interessante semmai provare che da qualche parte nell'universo sussistono condizioni tali che tutti gli orologi immaginabili si fermerebbero, compresi quelli biologici interni, le vibrazioni delle particelle che costituiscono la materia, ma allora bisognerebbe concludere piuttosto che lì abbiamo incontrato l'eternità sotto il banale e noto aspetto della morte. Nessuna persona sana di mente affermerebbe che il tempo cessa di scorrere unicamente perché esiste la morte.

Aggiungiamo che in effetti i relativisti sono assai accorti. Prevedono (senza farlo capire chiaramente, in modo che i frettolosi divulgatori possano svolgere meglio il loro lavoro), un solo tipo di orologio, e precisamente il light-clock di cui alla fine del paragrafo 3 di http://itis.volta.alessandria.it/episteme/ep6/ep6-bart.htm. Un orologio peraltro "ideale", ma in certa misura anche "reale", nel senso che potrebbe essere realizzato praticamente (non ci risulta però che ne sia mai stato ancora costruito uno). Unicamente a siffatti orologi si possono applicare le considerazioni della teoria della relatività (ristretta), che non ci sembra in grado di offrire previsioni affidabili sul comportamento di altri orologi (il gioco di parole è che per definizione orologi che non rispettano le prescrizioni della teoria non potrebbero considerarsi tali), senza adesso voler affrontare la questione degli aspetti puramente convenzionali del "gioco" (la sincronizzazione con raggi luminosi, nella presuzione che non esista alcun modo di dar senso fisico al concetto di osservatore "mobile" rispetto a quello di osservatore "in quiete"). Quindi, pur ammettendo l'ipotesi che le concezioni relativistiche siano sperimentalmente adeguate* (affermazione che non ci sentiamo di accettare a priori sulla fiducia, avendo anzi delle ottime ragioni per supporre che così non sia, vedi per esempio, oltre all'articolo citato in precedenza: http://www.cartesio-episteme.net/falsper.html), e che i light-clock funzionino come previsto, che la luce cioè abbia un comportamento "strano" per esempio vicino ai fantomatici "buchi neri" (di cui tanto si parla, ma che non sono stati mai osservati in modo diretto, almeno per quel che sappiamo), nessun dato ad oggi noto autorizzerebbe a sostenere che ogni processo evolventesi nel tempo, primo fra tutti la vita, subisca lo stesso tipo di rallentamento (o viceversa accelerazione) di un light-clock. Si potrebbe poi aggiungere che vicino a un buco nero, presumibilmente, un essere umano non si troverebbe troppo bene, ma pensiamo pure a scafandri a prova di ipergravità, etc., continuando pertanto a scivolare in fantasticherie adatte a un film di Walt Disney (uno dei quali, per inciso apprezzabile, era intitolato proprio "Il buco nero"), e in effetti non stiamo facendo altro da un pezzo - forse l'uomo ha bisogno di "fantasmi" concettuali oltre che estetici, appagando così il suo delirio conoscitivo. Ripetiamo che non c'è uno straccio di indizio sperimentale che esistano luoghi nell'universo dove i light-clock si fermerebbero, e meno ancora che tutti gli "orologi" (compreso il pensiero, il libero fluire della coscienza di un "osservatore") si bloccherebbero allo stesso modo. Siamo di fronte a speculazioni selvagge, a peggio che fantascienza (e parla un amante e collezionista del genere), non a "scienza", e terminiamo confessando di nutrire qualche perplessità sugli autentici scopi "sociali" dell'incessante propaganda a favore di stupidaggini ammantate di autorevolezza scientifica. Abbiamo constatato di persona, e numerose volte, che in talune menti si producono effetti nefasti, una situazione di cui interi ambienti di intellettuali sono responsabili...

* Sostenere che la relatività è sostanzialmente "giusta" significa che in natura vige davvero il cosiddetto Principio di Relatività, che può essere formulato in modo semplice nella forma: un moto uniforme non ha effetti fisici. Meglio lasciare da parte tutte le storie sulla costanza della velocità della luce, etc., che inducono in numerosi fraintendimenti, avendo una natura mista sperimentale-convenzionale (sperimentale, ci pare di poter asserire, soltanto nell'esclusione dell'ipotesi balistica, che ogni tanto ritorna sulla scena come un cattivo rimorso, un cadavere troppo frettolosamente seppellito).

Appendice 2

Ci sembra di far cosa utile riportando alcune intelligenti osservazioni pervenuteci da Mario Agrifoglio (vedi:
http://itis.volta.alessandria.it/episteme/ep4/ep4-agrif.htm)

<<Descrivo qui di seguito degli esperimenti da me eseguiti, circa le vere cause che incidono sul moto degli orologi. Esperimenti che ognuno di voi può fare stando comodamente seduto nelle rispettive abitazioni. Prendete 4 orologi, due con meccanica a spirale, e due con meccanica al quarzo. Uno a spirale e uno al quarzo deponeteli nella "Cella Freezer" del vostro frigorifero (normalmente a circa -16-18°C) e, "nell'arco di 24 ore", potrete osservare che l'orologio a spirale avanzerà di circa DUE MINUTI (e non milionesimi di secondo, come negli esperimenti di Hafele-Keating degli orologi in giro per il mondo!), rispetto a quello al quarzo (compagno di cella), mentre rispetto a quelli mantenuti a temperatura ambiente a +18-20°C, l'orologio a spirale è "avanzato" pure di quasi due minuti, mentre quello al quarzo sarà "diminuito" di circa 12-15 secondi. Inoltre, come la mettiamo che l'orologio a spirale avanza, mentre quello al quarzo rallenta, sia rispetto al suo compagno di cella, sia rispetto agli orologi similari mantenuti a temperatura ambiente? E se il fenomeno si invertirà, e questi due orologi saranno posti a temperatura superiore alla media ambientale, allora sarà l'orologio a spirale a diminuire di moto, e quello al quarzo ad aumentare!>>

Appendice 3

Dopo aver pubblicato una prima versione di questo sbrigativo articoletto, ci è stato segnalato un altro esempio di argomentazioni "scientifiche" che non possono che fare del male ad intelletti che non sanno reagire di fronte all'autorità delle fonti. Lo mettiamo ancora integralmente a disposizione, con qualche commento "cattivo" (avente però una finalità benevola, di correggere, e non di offendere, o "punire"), dal momento che vi si scorgono bene gli effetti di certa divulgazione su non esperti, come riteniamo sia l'autrice del resoconto in esame.

Einstein e il paradosso del teletrasporto

Le particelle possono comunicare a distanza. A dispetto del grande fisico austriaco*. Una scoperta singolare illustrata a Genova al Festival della scienza.

IL 2005 È L'ANNO mondiale della fisica. In tutto il mondo si celebra il centenario delle scoperte di Albert Einstein, teorie che hanno influenzato radicalmente la scienza e allo stesso tempo l'intera la cultura del Novecento**. Ma tra le intuizioni del genio più famoso del mondo c'è ne una che raramente viene ricordata. Einstein fu il primo, almeno tra gli scienziati, a parlare di teletrasporto, l'istantaneo trasferimento di informazioni da un posto a un altro. A dire il vero ne parlò, ma non perché ci credesse. Anzi. La scienza non è roba da Star Trek e lui, fisico geniale e creativo, non era certo il tipo da trastullarsi in storie fantastiche.

Dei retroscena di una storia poco nota al pubblico e agli esperti, ha parlato al Festival della Scienza di Genova Francesco De Martini, professore di Ottica Quantistica dell'Università "La Sapienza" di Roma dove, a dispetto delle affermazioni dello scienziato, il primo esperimento di teletrasporto è stato realizzato***. "La natura è ricca di paradossi", ha esordito il fisico romano. "Spesso ci mostra i suoi aspetti sinistri, fenomeni assolutamente in contraddizione con la nostra intuizione ma, che ci piaccia o no, esistono****". A stare alle sue dichiarazioni non c'è da meravigliarsi se cento anni fa le menti di quelli che sarebbero diventati i più grandi pensatori del secolo non erano sempre disposte ad accettare i risultati dei loro stessi conti(*). Einstein era uno di questi.

Gli articoli che pubblicò nel 1905 introdussero nuovi concetti fisici, completamente rivoluzionari(**). Secondo questi studi l'energia della radiazione risultava costituita da multipli di unità fondamentali che chiamò "quanti di luce". La meccanica quantistica, la teoria che interpreta il mondo microscopico dei nuclei atomici e della loro interazione con la radiazione, stava nascendo e Einstein ne era tra i padri fondatori. Eppure di questa teoria lui non fu mai convinto. Almeno non di come ne parlavano a Copenaghen, nella scuola di fisica teorica di Niels Bohr. "Secondo i fisici danesi - racconta De Martini - le particelle, viste su scale atomiche, possono comportarsi a volte come palline infinitesime, a volte come onde. Non si trattava di congetture frutto di fantasie assurde, la natura proprio così si mostra negli esperimenti(***). Gli elettroni, infatti, se lanciati uno alla volta contro un foglio con due fori, incredibile a dirsi, passano contemporaneamente da un lato e dall'altro. Per di più interferiscono con se stessi, proprio come fa un onda". I fisici hanno chiamato questa proprietà "non località quantistica", come a dire che le particella quantistiche sono "spalmate" nello spazio e non localizzate in un solo punto(****).

Spesso accade, però, che non tutti accettano il regolamento di una scuola. Tra i dissidenti c'era Einstein, accanto a lui altri eminenti scienziati: Planck, De Broglie, Schrödinger. "Una particella o è un'onda o una particella, non può essere tutte due le cose contemporaneamente" ribattevano i dissidenti[*]. Iniziarono lunghe discussioni, spesso veri e propri litigi. Poi messa da parte l'ira, si tornò alla matematica[**]. Nel 1935 venne pubblicato un articolo dal titolo "Può la descrizione quanto-meccanica della realtà fisica essere completa?". Nel lavoro si dimostra che se si accetta la meccanica quantistica come vera si arriva a una conseguenza assurda: il teletrasporto. Nei libri di fisica il ragionamento è entrato con il nome di "paradosso EPR". Le tre lettere sono le iniziali di Einstein e dei suoi allievi, Podolsky e Rosen. Facile il ragionamento: supponiamo di avere due particelle e di spedirle lontane, anche decine di migliaia di chilometri. Se le due particelle sono delocalizzate, anche se lontane continueranno a 'sentirsi', ma questo è impossibile, quindi nella teoria c'è qualcosa che non và[***].

"La cosa strabiliante scoperta in laboratorio - conclude De Martini - è che effettivamente le particelle comunicano a distanza. Se facciamo delle misure su una, per esempio a New York, questa misura influenzerà l'esperimento eseguito contemporaneamente sulla sua compagna, spedita a Mosca. Una cosa assolutamente incredibile, ma che funziona ed è vera"[****]. Insomma, per una voltaX, Einstein aveva sbagliato.
 
 

Commenti:

* Einstein non era austriaco, essendo nato a Ulm, città pienamente tedesca (nel Baden-Württemberg, si veda http://www.greatestcities.com/, oppure
http://www.rootsweb.com/%7Ewggerman/state.htm)

** Ahimé, ben vero, ma non c'è da rallegrarsene. In questa riga e nella successiva ci sono alcuni errori che lasciamo né per cattiveria né per smania di "filologia", bensì a testimonianza delle sciagure che improvvidi riformisti a tutti i costi, animati ovviamente da ferventi sentimenti democratici, hanno fatto piombare sul mondo della scuola (vedi anche la nota [***]).

*** Beato chi ci "crede" (è il termine giusto)! Come osserva bene Herbert Dingle, i fisici tendono spesso a far passare per "fatti" quelle che possono descriversi più correttamente quali <<implicazioni remote di teorie possibilmente erronee>> (Science at the Crossroads, Martin Brian & O’Keeffe, Londra, 1972). Ma forse dopo un po' alcuni almeno credono realmente a ciò che dicono (a quanto si ripete in giro nella "comunità", termine astratto che viene sovente usato come pretesto per allontanare responsabilità personali), in perfetta buona fede.

**** Luogo oggi purtroppo comune, di chiara origine darwinista, di cui talune "intelligenze" sembrano bearsi.

(*) Sorvoliamo per carità di patria sul teletrasporto che sarebbe conseguenza di certi "conti". I conti infatti i fisici di solito non sanno farli bene, ed Einstein stesso non costituisce eccezione (circostanza che peraltro riconosceva lui medesimo; su tutti gli "aiuti" che ha ricevuto da parte di gente che i conti li sapeva invece fare ci si potrebbe scrivere un libro: citiamo soltanto l'ottimo Pyenson, di cui si parla in http://www.cartesio-episteme.net/st/goedel6.htm - cfr. anche la nota 37 del menzionato articolo).

(**) Ma speriamo sbagliati, nel senso di non corrispondenti alla "realtà" naturale. Il fatto è che i fisici sanno assai poco (una circostanza che è in larga misura inevitabile, visto che tutti i dati finora noti sull'universo li abbiamo raccolti rimanendo confinati sul nostro pianeta, o al massimo in certe regioni del sistema solare), ma lasciano credere (e alcuni forse credono) che questo poco sia molto, così i finanziamenti viaggiano spediti (e poi come rifiutarli a gente che si è dimostrata in grado di costruire delle ottime armi, capaci di concedere il dominio del pianeta a una sola potenza, che ha messo in pratica più degli altri l'inquietante motto baconiano: Scientia est Potentia?).

(***) Non si può naturalmente che rimandare alla precedente nota ***.

(****) Tutta la difficoltà dei fisici nell'interpretare i risultati di certi esperimenti, quando il loro esito sia onestamente descritto (il che non è sempre il caso, si veda per esempio, oltre al già menzionato articolo di Kelly sugli esperimenti di Hafele-Keating, il punto 12 in
http://www.cartesio-episteme.net/listafis.htm),
può essere ascritta semplicemente alla scomparsa del concetto di "etere", che si deve appunto al genio di Einstein. Una formulazione assai sintetica di tale opinione si trova nella nota 12 di http://www.cartesio-episteme.net/trr.html

[*] Vedi la nota precedente: la particella potrebbe essere una cosa distinta dall'onda che lascia nel "mezzo" (l'etere) per effetto del suo moto in esso, come un corpo mobile nell'acqua (l'analogia fluidodinamica, bandita dalla fisica contemporanea, si rivela viceversa efficace in molteplici contesti).

[**] E' naturalmente assai dubbio che la matematica (giudizi sintetici a priori) possa essere utile in una controversia fisica, che ha a che fare con giudizi sintetici a posteriori, ma ci piace l'implicito riferimento al pacifico calculemus leibnitziano (che "traduciamo" come: "ragioniamo un attimo con calma, pacificamente"!).

[***] "Và" naturalmente non vuole l'accento (vedi la nota **).

[****] Rimandiamo ancora una volta alla nota ***. Ma le immaginate le due particelle che comunicano? E poi chissà perché quella che sta a New York comunica proprio con quella che sta a Mosca, e non con quelle che stanno a Roma! [Qui si suppone in realtà di prendere una stessa particella, "spezzarla", e "trasferirne i pezzi" in due luoghi diversi; figuriamoci allora i contenitori e gli aerei che trasportano con molta cura l'altra particella su cui si vogliono eseguire le misure da Mosca a New York, o viceversa. In termini tecnici, il riferimento è invece alle correlazioni tra particelle di un sistema composto, che sarebbero state messe in evidenza da alcuni esperimenti del fisico francese Alain Aspect, effettuati tra il 1975 e il 1981, ma la cui interpretazione ufficiale sappiamo essere ancora alquanto controversa, anche se ne esiste ovviamente una "prevalente".] Per non dire dell'uso del termine "contemporaneamente", che proprio il lodato Einstein ha insegnato a trattare con cautela (due laboratori in due punti distinti del pianeta sono animati da velocità diverse, neppure uniformi, e a rigore bisognerebbe calcolare anche questi effetti nel valutare il significato di certe misure: le frequentissime approssimazioni ad hoc sono ben criticate da P.K. Feyerabend nel suo famoso Contro il metodo).

X Fosse una volta sola! L'autrice dell'articolo non sa che il "sommo genio", ultimo degli allievi di fisica del suo corso, potrebbe considerarsi un "miracolato", e che il suo successo iniziale si deve forse ascrivere più che ai suoi talenti intellettuali, alla circostanza di appartenere a un gruppo sociale storicamente assai attivo e solidale, e all'accidente casuale di non aver voluto firmare un particolare manifesto (Es ist nicht wahr!) in un infelice periodo della storia europea, ma è solo vittima (l'autrice, non Einstein, sebbene sia lecito pensare che pure al secondo sia capitato qualcosa di simile), non responsabile, della creazione di un "mito" - a proposito di Efficere Deos vedi per esempio
http://www.cartesio-episteme.net/EFFIC.htm