[Quelle che seguono sono diverse testimonianze sulla "nuova" didattica, e sulle modalita' con le quali la solita elite di illuminati sta cercando di imporla, secondo le stesse sue parole: "per amore o per forza"…]
PARTE I
A) L’inizio della polemica
Cari Colleghi,
ho cercato di diffondere nei giorni scorsi il "documento" in calce, ma ho ricevuto la risposta del Prof. Rinaldi che vi allego, insieme al mio commento. Come li’ dico, cerco allora di arrangiarmi in altro modo, sperando che funzioni, e soprattutto pregando chi puo’, e vuole, di voler diffondere questi pensieri anche presso colleghi di altre aree disciplinari (cerchero’ di raggiungere questo scopo anche in prima persona, ma non so con quante speranze di successo...)
Cordialita’, il vostro Umberto Bartocci
A-1 - Richiesta:
(Con preghiera di diffusione presso altri colleghi - In particolare,
prego il nostro Vice-Preside Prof. Rinaldi di voler almeno girare queste
considerazioni agli altri colleghi della Facolta' di Scienze MFN)
A-2 - Risposta:
Caro Bartocci,
Mi dispiace non poter accontentare la tua richiesta di diffusione
del tuo messaggio del 6/6/99. Non e' mia abitudine utilizzare questo mezzo per diffondere presso tutti i componenti la Facolta' pareri personali piu' o meno condivisibili. Ho anzi sempre solo cercato di utilizzare questo potentissimo mezzo di informazione appunto per informare i colleghi delle novita' legislative e pre-legislative collegate all'argomento della Autonomia Didattica secondo il mandato ricevuto dalla Facolta'.
Dunque se nelle mie varie circolari non hai riscontrato contenuti
"interessanti" non ho che da rallegrarmene in quanto non ho di proposito mai voluto trasformare questo mezzo in un forum di discussione e tantomeno allargarlo a temi non pertinenti il nostro impegno professionale.
Cordiali saluti,
Romano Rinaldi
Vicepreside Facolta' di Scienze
A-3 - Replica:
Caro Rinaldi,
prendo atto della tua risposta, e mi scuso per essere stato, non volendo, cosi’ "sfrontato" da chiedere qualcosa che non immaginavo fuori della norma, ritenendo che tra i compiti di coloro che rivestono posizioni istituzionali in una societa’ democratica (soprattutto "chiusa" come la nostra di docenti universitari) ci fosse anche quello di favorire la circolazione delle opinioni, e il dialogo. Cerchero’ quindi di arrangiarmi altrimenti, comunque nella persuasione che il tuo richiamo alla "non pertinenza" di certe questioni al "nostro impegno professionale" rischi di essere piuttosto "miope", prestandosi ad avvalorare la tesi di chi ritiene che, cosi’ come l’educazione scolastica inferiore puo’ essere intesa piuttosto come un "vaccino" contro la cultura, anziche’ un’opera di diffusione di essa, quella superiore avrebbe lo scopo di promuovere presso gli "intellettuali" la concezione che sia sempre indispensabile nella ricerca l’uso di lenti specialistiche, e che sia anti-scientifico ogni tentativo di comprensione superiore, e di sintesi...
Cordiali saluti,
Umberto Bartocci
A-4 - "Documento":
Cari Colleghi,
ricevo come tutti voi il documento del Delegato del Rettore avente per oggetto: "La didattica prossima ventura", che non ha suscitato in me reazioni propriamente positive. Mi chiedo: possibile che io sia l’unico a trovarlo nel complesso sgradevole, e anche arrogante, per contenuto, toni e allusioni?
- Atenei valutati e incentivati o disincentivati, cambiamenti di modello deontologico di riferimento (cambiamenti voluti da spinte democratiche dal basso o da élites delle quali appare sempre più nefasto il progetto complessivo?)
- punto di partenza il "mercato del lavoro" ... senza inutili appesantimenti di discipline e di programmi (ma chi valuterà questa inutilità? la semplice tradizione della cultura, la funzione "educativa" nel senso più alto della parola, sono considerate inutili? E da chi?)
- allievi non più ricettori di soluzioni specialistiche quanto piuttosto solutori di problemi (mi viene da ridere pensando a quanti sosterranno di essere in grado di raggiungere questo obiettivo nei loro corsi, proponendo "nuovi progetti didattici ... di qualità", che saranno "incentivati"; penso piuttosto che si stia cercando di produrre semplicemente una massa di tecnici, assolutamente non autonomi sul piano della cultura e della critica intellettuale, ma utilmente impiegabili da un mercato che richiederà sempre più, per i suoi fini esclusivamente mirati all’accumulo di profitti, "rapidi mutamenti" - in altre parole, un tentativo di "distruzione" dell'universita', che segue quello gia' operato nella scuola, e altrove)
- etc. etc., con un continuo riferimento (minaccia) a finanziamenti che verranno erogati ai "buoni", e negati ai "cattivi" (almeno, finche’ si limiteranno a togliere di mezzo solo i finanziamenti, e non gia’ direttamente i "cattivi"...), e a meravigliosi modelli stranieri da imitare (con una presunzione peggiore di quella dei pur famigerati primi missionari nel Nuovo Mondo...)
Diffido istintivamente di chi ritiene di essere chiamato a gestire "momenti ... epocali", e ritengo che, se in una società sana debbano essere sempre compresenti strutture di conservazione e di cambiamento, l’università debba essere una delle prime.
Ma che vale discutere e approfondire, un atteggiamento come il mio è stato già giudicato al termine del documento, che pure richiede "osservazioni critiche", con tanti saluti alla "democrazia", e all’"autonomia" (del resto, ho sentito recentemente in televisione affermare, da parte di un "consulente" della NATO, che libere elezioni nella ex-Jugoslavia vanno bene, purche’ pero’ non vincano gli ex-comunisti, nostalgici eredi di un progetto che cozza contro le aspirazioni del Nuovo Ordine Mondiale, bisogna trasformarsi in Democratici di Sinistra, piu’ allineati, e gestibili): "Opporre resistenze o scetticismi significherebbe combattere battaglie di retroguardia".
Ecco, le parole magiche sono state pronunciate, vuolsi così colà dove si puote, e guai ai renitenti!, bombe sulla Jugoslavia docent (il documento si conclude curiosamente con un richiamo "alla fine dei conti", ma forse sarebbe stato più appropriato dire: "alla resa dei conti").
Peccato che il futuro internazionale non sia del tutto così chiaro e roseo come appare ai "cavalcatori della tigre", e ai sostenitori della politica del meno peggio, né sarei personalmente contento che il benessere della struttura socio-politica della quale mi trovo a far parte continuasse a sostenersi su spargimenti di sangue. Cito da alcuni dei tanti documenti pervenutimi via Internet (chi vuole averli integralmente mi scriva pure [Qualcosa e' disponibile in questo sito, al punto N. D/1 di questa stessa sezione]): "The portents for the future, at least in the short term, are bleak indeed. The United Nations has been made totally redundant, ineffective, and impotent. The Western world, led by the USA, will lay down the moral values that the rest of the world must adhere to; it does not matter that they themselves do not adhere to the same values when it does not suit them" ... "Russia, China and India, representing half the human race, got it right about the Kosovo crisis. NATO, the only alliance left after the Cold War, committed aggression on Serbia. This is all about saving NATO's face at a very heavy price for the Serbs. If NATO is above international law, then so is every other state and organization. It has set a terrible precedent. A Times of India editorial of April 29th, 1999, concluded rightly that ‘just as the US cannot afford to lose, the rest of the world cannot afford to let it win. If NATO's aggression against Yugoslavia is allowed to prevail, the alliance will eventually turn its destructive attention to other 'out of area' operations.’"
Concludo queste riflessioni, che mi scuserete se sono state scritte d’impeto e a caldo, riferendo che mi è stato detto da parte di amici di evitare l’esaltazione della "mistica del perdente", e che è ormai chiaro da che parte stanno "i vincitori", ma replico loro dicendo che considererei assai peggiore essere considerato uno di quegli intellettuali il cui ruolo è stato tanto ben ironizzato da Sem Benelli (La cena delle beffe, Atto II):
"Il Dottore: Non è chiaro abbastanza.
Giannetto: Ma il Magnifico pensa che sì.
Il Dottore: Ma allora anch’io lo penso!"
Con tanti saluti a coloro che continueranno a pensarla come il "Magnifico" di turno, spero almeno che questo mio sfogo susciti tra gli altri qualche reazione positiva, grazie comunque a tutti per l’attenzione,
Perugia, 6.6.99 il vostro Umberto Bartocci
B-1 - Un primo commento...
Subject: Re: Considerazioni sulla "nuova didattica"
Caro Umberto,
non vi e' persona che non abbia qualche preoccupazione o perplessita'sulla riforma in atto; e anch'io non ho potuto trattenermi dal sorridere per il tono complessivo della missiva di Ancellotti ("Chi sa vivere la storia, gia' si sta preparando..."). Ciononostante mi preoccupa di piu' il tuo atteggiamento che non quello di Ancellotti e non solo per i legami che hai voluto trovare fra la riforma universitaria e la guerra del Kossovo, che evitero' di commentare. Ti spiego i motivi. Tre sono gli input della riforma:
1- Portare il tempo reale degli studi a coincidere col tempo legale.
2- Uniformare il sistema italiano a quello di altri paesi, in modo chegli studenti possano trasferirsi fra universita' europee.
3- Attuare anche in materia didattica l'autonomia prevista dalla Costituzione.
La discussione sulla riforma deve partire da qui. Realizzare questi punti oppure no. Perche' una cosa, per me, e' chiara: se si vuole attuare anche uno solo dei punti in questione le modifiche da apportare sono notevoli. Questa e' la prima questione da affrontare e il Senato accademico dovrebbe dare un indirizzo chiaro in proposito. Qui hanno ragione Ancillotti e Rinaldi, in questa Universita' e' mancato il dibattito, anche le tue critiche arrivano con grande ritardo. La scelta di rimanere tradizionalisti se applicata a tutto l'ateneo, potrebbe anche rivelarsi vincente. Si potrebbe costruire un'immagine di Universita' gelosa delle sue tradizioni, che rifiuta il processo di licealizzazione, che paga un prezzo in termini economici, ma che ha la speranza di "produrre" un laureato di qualita' superiore e la convinzione che gli studenti, da anni piu' conservatori degli stessi docenti, sappiano apprezzare questa impostazione. Se, invece, si decide di cambiare, le scelte non possono essere che radicali, altrimenti si rischia di perdere i valori del vecchio sistema senza raggiungere gli obbiettivi. (Piccole modifiche possono portare a modeste variazioni nel tempo reale degli studi.) In questo caso un sistema di valutazioni, con incentivi e disincentivi, da attuarsi anche all'interno dello stesso ateneo, e' indispensabile per guidare la trasformazione di un sistema universitario per sua natura conservatore. Vorrei segnalarti che i punti 2 e 3 sono abbastanza contraddittori. Si vuole l'autonomia, per mettere gli atenei in concorrenza fra loro, e poi li si obbliga a uniformarsi a criteri comuni a livello europeo; il che fa pensare a un futuro centralismo europeo nelle questioni universitarie. Anche gli ultimi documenti ministeriali tendono a circoscrivere l'autonomia. Per esempio la "Martinotti" prevedeva la possibilita' di rimanere nel vecchio sistema; invece ora sembra obbligatorio uniformarsi allo schema di tre livelli di studio universitari della durata di 3,2,3 anni rispettivamente; un altro esempio piu' banale: ho letto della obbligatorieta' di laureare in centodecimi, stabilendo cosi' che neppure la scelta dell'unita' di misura e' concessa all'autonomia universitaria (attualmente credo che i politecnici laureino in centesimi). La mia opinione e' che, se cambiamento ci deve essere, questo non possa che avere caratteristiche rivoluzionarie. Una tabula rasa del modo precedente di fare didattica nella speranza di saper costruire qualcosa di buono. Certo il modo con cui l'Universita' di Perugia ha affrontato l'autonomia amministrativa e quella statutaria non lascia ben sperare.
Un caro saluto…
B-2 Risposta
Caro P.,
mentre stavo scrivendo lo "sfogo" in oggetto (so bene che e’ stato scritto "in grande ritardo": ho cercato egoisticamente di non occuparmi della questione, finche’ non ce l’ho fatta piu’) era qui nel mio studio un collega che mi diceva: "ma chi te lo fa fare?", un sacco di tempo impiegato per qualcosa che avra’ comunque scarso seguito pratico, e che ti costringera’ a tornare ancora sull’argomento...
La previsione era ovviamente fondata, le risposte ricevute mi forzano a scrivere una "seconda puntata", ancorche’ sintetica, dal titolo "Annuit coeptis - Cui prodest?", ti piace?, ma sin d’ora desidero scrivere due righe di risposta al tuo sempre gradito e lucido commento.
Non entro sulla questione "legami" riforma-guerra etc. che tu critichi, si tratta di avere scenari interpretativi ampi o no. Nel caso particolare, riuscire ad inquadrare un evento certamente "minore", ma non troppo, nella sua possibile veste di battaglia, o se preferisci scaramuccia, all’interno di un ben piu’ ampio conflitto - tanto per continuare a fare opera di provocazione, ti fornisco un altro inaccettabile e paranoico "legame", citando il seguente passo dalla Relazione sull’Amministrazione della Giustizia, L’Aquila, dell’11.1.99 [vedi il punto D/2 in questa stessa sezione]: "Negli ultimi tempi, poi, il flusso migratorio ha assunto dimensioni cosi’ rilevanti, e l’opera di contrasto e’ apparsa cosi’ insufficiente e velleitaria, favorita da una legislazione forse volutamente inefficiente, che si e’ indotti a ritenere fondata la tesi di chi sostiene che si tratti di una vera e propria invasione dell’Europa, voluta e finanziata da centrali operative internazionali, allo scopo di determinare col tempo la ibridazione dei popoli e delle religioni, onde possano realizzarsi piu’ facilmente e piu’ compiutamente progetti di dominio universale". In 20 anni di studio della storia i miei scenari si sono molto ampliati, ma comprendo che sia difficile apprezzarli per chi non e’ addentro a certe chiavi di lettura della storia moderna, e lascio quindi stare.
Quello che mi preme piuttosto chiederti, da buon matematico, e’: quali sono i legami tra quanto enunciato, e da me criticato, nel documento Ancillotti, e i punti 1, 2, 3 da te citati? Tu stesso ti rendi conto che i punti 2 e 3 sono una contraddizione in termini, che si potrebbe comunque risolvere facilmente compilando delle opportune "tabelle di trasformazione" - almeno per quanto riguarda il punto 2 - e pace (il punto 3 e’ invece ovvio!). Il punto 1 non dipende certamente dalla "struttura" dell’universita’, e men che meno dal tipo di didattica utilizzata, piu’ o meno "moderna" (lezioni cattedratiche, corsi modulari, etc.!), quanto piuttosto dall’essere quella italiana un’istituzione di cultura superiore il cui accesso e’ facile, e in cui facile e’ la permanenza: ma che male c’e’, se qualcuno si iscrive e studia mentre svolge altre attivita’, per migliorare a volte la propria posizione anche solo culturale? (riporto sempre a questo proposito come caso paradigmatico la titolare del negozio di ferramenta proprio qui all’Elce: e’ stata iscritta per tanti anni a Lettere, fino a conseguire la laurea, per il puro piacere della cultura, e il suo "ritardo" non puo’ essere certo ascritto a demerito dei colleghi di quella Facolta’). Non si vuole piu’ consentire al "popolo che paga" un "lusso" di questo tipo? E che ci vuole, ricordo che i miei amici nell’ex-Unione Sovietica venivano espulsi dall’Universita’ dopo due esami che andavano male... Ma ripeto, che c’entra il conseguimento, teoricamente banale, degli obiettivi che tu indichi, con la sottomissione alle richieste del mercato del lavoro (leggi, far svolgere all’Universita’ quella parte formativa che altrimenti dovrebbe essere finanziata in proprio dalle imprese, con tanti saluti in prospettiva alle piu’ alte finalita’ culturali e educative del sistema), con i riferimenti ad "appesantimenti di discipline e di programmi", "a ricettori di nozioni specialistiche", etc., per non dire poi dei toni nella sostanza certamente anti-democratici? (si danno per scontate, e gia’ prese, anche a livello di analisi storica, tutta una serie di decisioni che dovrebbero comunque ancora passare per il vaglio del corpo docente, o sbaglio?!).
Per concludere, non mi sembra affatto che i punti che si vogliono (debbono) conseguire impongano "soluzioni rivoluzionarie", e soprattutto mi sembra che queste dovrebbero essere elaborate dalle strutture di base, e non dall’alto, come senz’altro accadra’ quando i vari Consigli saranno chiamati ad approvare in tutta fretta dei complessi documenti elaborati dalle "elites" (formalmente si votera’, ma mi vengono in mente i "consigli che non si possono rifiutare").
Una riforma piu’ intelligente, e meno "ideologica" in senso materialista-modernista, dell’universita’ si dovrebbe studiare tenendo conto di alcune indispensabili distinzioni concettuali, niente affatto traumatiche: tra istituzioni "di massa" e altre "di punta", tra docenti impegnati soprattutto nella didattica ed altri nella ricerca (mettendo fine all’obbligo di produrre pseudo-ricerca da parte di chi si limitera’ poi ad insegnare per tutta la vita Istituzioni di Matematica a Farmacia - absit iniuria verbis), corsi di laurea "professionali" e non, etc.. Ti rimando in proposito al bell’articolo di Sandro Graffi, apparso sul N. 1 di "Punti Critici", Maggio 1999, "Sullo stato attuale dell’universita’ italiana" (chi vuole, puo’ chiedermene una fotocopia).
Altre cose avrei da dirti, come sottolineare la mancanza di un "progetto generale" (indicazione delle finalita’, dei "principi", della struttura universitaria) dietro alle "nuove proposte", che almeno era indicato per sommi capi nelle vecchie e deprecate leggi (come quella Casati del 1859), ma ne parlero’, forse, nella detta seconda puntata...
Ciao, grato dell’attenzione ti invio il solito carissimo saluto
il tuo Umberto Bartocci
C) - II puntata
ANNUIT COEPTIS... - CUI PRODEST?!
(ovvero, II puntata delle osservazioni sulla "nuova didattica")
(CON LA SOLITA PREGHIERA DI ULTERIORE DIFFUSIONE)
"Io so, perche' sono un intellettuale, uno scrittore,
che cerca di seguire tutto cio' che succede,
di conoscere tutto cio' che se ne scrive,
di immaginare tutto cio' che non si sa o che si tace;
che coordina fatti anche lontani, che mette insieme
i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica
la' dove sembrano regnare l'arbitrarieta', la follia e il mistero"
(P.P. Pasolini, 1974)
Cari Colleghi,
dopo la mia non piu' rimandabile "esternazione" dei giorni scorsi sulla "nuova didattica", immaginavo che avrei ricevuto diverse critiche, e soprattutto un rabbuffo da parte di qualcuno dei rappresentanti del "potere", che pure avevo chiamato in causa personalmente. Invece, sotto questo profilo, "nulla, silenzio", a meno di non voler inserire tra le critiche il commento, come al solito intelligente e costruttivo, di P. - che alcuni di voi hanno ricevuto, assieme alla mia relativa replica. Invece, ho ricevuto a sorpresa qualche messaggio di solidarieta', che mi ha confermato nell'impressione che quella che si sta svolgendo e' un manovra d'elite, sostenuta da un assoluto controllo dei mezzi di comunicazione, che sommergono i riceventi di informazioni tutte nello stesso senso (in quest'ottica interpreto il detto silenzio da parte dei "manovratori", che appaiono impegnati in un'opera che e' piu' di propaganda che non di dialogo), lasciando nel singolo eventualmente perplesso l'impressione di essere irrimediabilmente isolato, e "fuori moda".
Comunque sia, Zappa ha attratto la mia attenzione sul documento "Il progetto Universita' 2000", visionabile nel sito Internet dell’Ateneo, sotto la voce Giunta - Proposte, e giro quindi anche a chi di voi non lo conosca il suggerimento di prenderne visione. Si tratta di un'opera massiccia, che c'e' da dubitare sia stata redatta soltanto dai due delegati del Rettore firmatari (girano forse per le varie universita' degli "archetipi", e di quale provenienza?!), di fronte alla quale, da buon cane sciolto e solitario, non posso evidentemente contrapporre un'analisi altrettanto attenta, dettagliata e soprattutto alternativamente costruttiva. Non mi sfuggono invece, sin da una prima rapida lettura, e non vi sfuggiranno, i soliti preoccupanti toni da persuasione neppure tanto occulta che vengono utilizzati, sotto la forma del martellamento mediante slogans:
- "sostituzione della cultura della norma con la cultura della responsabilita'" (non mi ero mai accorto finora di aver svolto il mio lavoro, o fatto parte di una struttura, senza "responsabilita'");
- vi raccomando poi: "va subito detto che la direzione intrapresa sara' difficilmente invertita, non essendo legata alla politica di un governo, ma all'incalzare dell'evoluzione del mondo. Non ci sara' piu' nulla di stabile: il divenire sara' la norma" (sottolineato; deliri di onnipotenza...);
oltre a vari neologismi, di discutibile valore etico, storico, filosofico, ma evidentemente non politico.
Come esemplare per l'interpretazione della chiave psicologica con cui e' stato inteso l'intero documento, sceglierei l'invito, che viene formulato nella prima pagina, di accettare la "proposta" in esso contenuta (ma fino a che punto e' tale, visto che e' poi infarcita di "si deve"?!):
"PER AMORE ... O PER FORZA".
Quando vi avevo inviato le mie precedenti riflessioni non mi ero ancora imbattuto in questa perla, e avevo fatto cosi' istintivamente richiamo al tipo di proposte del "Padrino", senza sapere quanto ahime' fossi nel vero. Quando si e' posti di fronte a una tale alternativa nel campo etico la scelta non potra' mai piu' comunque essere solo per amore!, e poi speravo che l'uso stesso del termine "forza" fosse ormai sgradevole, e per sempre bandito dalla scena della moderna civile convivenza democratica (ma in effetti eventi di questo assai piu' gravi me ne avevano gia' fatto dubitare, anche se P. mi contesta certe "connessioni"...).
Ecco, al di la' dei contenuti, che possono essere in qualche parte evidentemente condivisibili (ogni "male" mescola nelle sue argomentazioni un po’ di verita’, perche’ l’intelletto si lascia condurre alla falsita’ dall’apparenza della verita’, cosi’ come la volonta’ si lascia trascinare al male dall’apparenza del bene - S. Giovanni Crisostomo, "De Revelatione" - non riesco a trattenermi dal sottolineare che l’ultima riflessione ben si adatta anche all’analoga recente propaganda a favore dell’intervento nel Kossovo), quello che vi invito a rifiutare e' il "tono" che si sta usando in questo frangente; un tono che non esito a definire offensivo nei confronti della categoria tutta dei docenti universitari, i quali saranno benissimo in grado di orientare la loro scelta tra diverse proposte culturali (uso il plurale per inguaribile ottimismo), senza che si evochino continuamente dinanzi a loro l'ombra del "bastone" (o della "carota"), in questo caso sotto la forma di:
- "perdita di finanziamenti" (evidenziata in grassetto - questo continuo ricorso a concreti "incentivi" monetari in questioni che hanno a che fare con la sopravvivenza della cultura nel nostro paese mi nausea, quasi fossimo bambini, o prostitute);
- disattivazione di corsi (e' in questo documento che si trova indicato il "numero assoluto" che avevo sentito evocare come limite inferiore per l'attivazione di corsi, e cioe' 10, senza tenere conto che, in un corso di laurea con 40 studenti, del tipo per esempio di Chimica, Fisica, Matematica, immagino anche Filosofia, o no?!, etc. un insegnamento non obbligatorio che viene scelto da 10 studenti ha un gradimento del 25%; tanto varrebbe allora chiudere direttamente, per motivi di "economia", certi corsi di laurea);
e cosi’ via, vedrete da voi.
Poiche' debbo fare anche ricerca (la mia passione anti-relativista, o quella di "ristabilire una logica" in quegli eventi storici nell'interpretazione dei quali la storiografia ufficiale sembra rassegnarsi a veder predominare "arbitrarieta', follia e mistero"), e didattica (sotto forma di sostegno agli studenti che debbono affrontare i prossimi esami, o portare avanti le loro tesi di laurea), non posso adesso scrivere di piu', ma spero di essere riuscito anche solo cosi' a mettere qualche pulce nell'orecchio nelle "persone di buona volonta'", con l'obiettivo minimo che venga rifiutato da parte degli attuali organi democratici di governo dell'Universita' ogni tipo di URGENZA nell'assumere decisioni, tanto piu' che queste vengono definite, dagli stessi frettolosi e privi di dubbi proponenti, "epocali"...
Sempre cordialita' vivissime dal vostro (povero, reprobo, cartesianamente dubbioso, e reazionario)
Umberto Bartocci
D - LA TERZA E ULTIMA (FINORA) PUNTATA
D-1 Preambolo
Cari Colleghi,
sapevo ahime' che una volta entrato in ballo sulla questione della "nuova didattica" avrei dovuto ballare, e mi piego dunque all'esigenza inviandovi questa terza, e ultima puntata (almeno spero; del resto, credo di aver davvero detto ormai tutto cio' che potevo sull'argomento, e che sia giusto che la "penna" passi d'ora in poi ad altri).
Prima, pero’, volevo informarvi di aver ricevuto due, e due soltanto, inviti di colleghi a cancellare il loro nome dalla lista che ho usato per le precedenti comunicazioni.
Piu' garbato il primo:
"Caro Bartocci,
L'aver "messo le mani" su una lista di utenti di questo mezzo di
comunicazione non autorizza chiunque a riempire i PC altrui delle proprie cosiderazioni piu' o meno condivise o condivisibili su fatti e misfatti del mondo. Esiste un'etica anche per l'utilizzo di questa rete di comunicazioni ed in ogni caso chiunque ha il diritto di essere rimosso da una lista gestita da qualcun altro in modo improprio o per fini che non gli interessano.
Mi spiace purtroppo doverti far notare che le tue due ultime "esternazioni", pur se ampiamente legittime e degne di approfondimento, magari in altra sede (comprese le sedute di Facolta'), rientrano perfettamente nella categoria di comunicazioni di cui sopra e di cui ho tutto il diritto di voler fare personalmente a meno.
Ti prego quindi di rimuovere il mio nominativo dalla suddetta lista
e di fare altrettanto per chiunque te ne faccia richiesta anche senza
doverla motivare come invece ho preferito fare io in questa occasione.
Molto cordialmente
Romano Rinaldi
Vicepreside Facolta' di Scienze".
(Replica:
Messaggio ricevuto, provvedo subito... Comunque, non credo che ci sia bisogno di una nuova "etica" delle comunicazioni via Internet, in fondo il sistema non e' poi molto diverso dalla posta ordinaria, ci possono sempre scrivere persone importune che si e' poi costretti a cestinare, qui semmai diversa e' solo la "facilita'" dell'operazione, niente buste, francobolli, etc.
Umberto Bartocci)
Meno il secondo:
" La prego di rimuovere il mio nome dalla sua lista,
al contrario di Lei non ho tempo da perdere e utilizzo
la posta elettronica per lavorare."
Ovviamente operero' tale cancellazione per chiunque altro me ne faccia richiesta - anche se personalmente non drammatizzerei troppo la cosa, sia perche' siamo come dicevo alla fine della storia, sia perche' mi sembra assai facile cestinare immediatamente con il proprio PC ogni messaggio molesto, o a cui non si e' interessati...
D-2 - Introduzione
Cio' premesso, vi invio un'ulteriore serie di riflessioni alle quali mi ha stimolato un gradito intervento del Collega Mazzucato, che riporto integralmente, dietro sua autorizzazione, anche perche' portatore di una testimonianza interessante. Prima di lasciarvi alla lettura, ci sono due altri punti, prossimi i) e ii), sui quali mi piacerebbe richiamare la vostra attenzione.
i) - Leggendo il documento "Universita’ 2000", ero rimasto perplesso a un certo punto dall’enfasi relativa all’opportunita’ dell’utilizzo dello strumento "professori a contratto" (accompagnato dalla proposta di diminuzione del numero dei professori di I fascia), chiedendomi quali straordinarie competenze fossero realmente presenti fuori dell’Universita’, visto che questa ha pur offerto posizioni (ancora per poco?!) ambite, senza impedire affatto l'esercizio di libere professioni, e che in fondo e’ sempre tra gli universitari che ho trovato gli interlocutori piu’ validi in certe questioni culturali. Orbene, dopo aver partecipato il giorno 22.6 all'incontro su "Innovazioni didattiche...", promosso dal Delegato rettorale per la didattica (15 relatori, e minimo altrettanti previsti alla tavola rotonda che avrebbe dovuto chiudere l’evento, alle ore 12: quando sono arrivato alle 11.45, causa esami, i lavori si stavano svolgendo con un'ora di ritardo, alla presenza di 24 persone, arrivate man mano a 33, il che la dice lunga sul grado di partecipazione, e di "spinta dal basso", di questa "riforma epocale"!), ho capito finalmente qualcosa. Nella nuova universita', che si vuole "aperta" alle esigenze del "territorio", e del "mercato del lavoro", e in cui i futuri diplomati dovrebbero essere in grado di inserirsi perfettamente nelle strutture lavorative il giorno dopo il conseguimento del titolo (e si parla sempre di livelli medio-bassi, guide turistiche, interpreti, "infermieri", tecnici dell'ingegneria o dell'informatica, etc.), le migliori "competenze didattiche" saranno ovviamente presenti fuori dell'Universita', nelle aziende sanitarie, nelle piccole e medie imprese, nelle strutture burocratiche locali, etc., dove appunto si sa meglio, e chi lo nega, che tipo di lavoro si sara' esattamente chiamati a fare. Cosi’, la scissione tra didattica e ricerca, tra attivita' di conservazione e progresso della cultura e "universita’ del lavoro" sara' definitivamente consumata (ci si chiede solo perche' questa "cosa" la si voglia continuare a chiamare ancora universita'...).
Sbaglio, o forse e’ un segno in questo senso che il S.A. abbia appena espresso parere negativo all'istituzione del corso di laurea in Storia presso la Facoltà di Scienze della Formazione, e approvato invece a larga maggioranza l'istituzione dei D.U. in Viticultura e enologia e in Coordinamento delle attività di protezione civile?!
Nota - Sapendo quanto siano facili i fraintendimenti, spesso causati dalla necessita' di sintesi, sottolineo che in quel che precede non c'e' alcun disprezzo per il "lavoro", anche se sono evidentemente ben lungi dall'esaltazione di questo "feticcio" (vedi per es. Cesare Ferri, "Il feticcio lavoro e le sue vittime", Padova 1991, o "Il diritto all'ozio", di Paul Lafargue, 1880; Ed.Feltrinelli 1971). Il lavoro e' necessario, e in una societa' a misura d'uomo ci si ripartisce questa necessita' nel modo piu' equo possibile, ma senza dimenticare che l'essere umano e' qualcosa di diverso da una macchina da produzione, di nessuno o scarso valore quando non sia sfruttabile in qualche modo. L'esempio che ho in mente e' quello di S. Paolo, che si e' sempre guadagnato il pane con il suo lavoro manuale, ma non ha certo trascurato l'avventura del pensiero in campo teologico e filosofico: "Non abbiamo mangiato gratuitamente il pane d'alcuno, ma con fatica e con pena abbiamo lavorato giorno e notte per non essere d'aggravio ad alcuno di voi. Non gia' che non abbiamo il diritto di farlo, ma abbiamo voluto darvi noi stessi ad esempio, perche' ci imitaste" (II Tess. 3:8-9) - trovo queste parole ancora interessanti, e attuali, alieno come sono da "sbornie moderniste". O anche quello della struttura militare, oggi tanto denigrata, ma nella quale i lavori meno ambiti venivano svolti a turno da tutti, a parita' di grado, e dove nessun impiego era davvero totalizzante, "a pieno tempo". In una societa' "civile" cultura e istruzione dovrebbero essere considerate un BENE PRIMARIO per tutti, da proteggere gelosamente, e non dovrebbe essere uno scandalo vedere un giovane studioso di filosofia consegnare per un numero contenuto di ore della sua giornata la posta (i turni che facevo da ufficiale del Servizio Meteorologico dell'Aeronautica erano di 6 ore). Oggi che le cose "vanno meglio", so di nostri laureati che lavorano in aziende informatiche a Milano dalle 8 della mattina alle 7 della sera, e in qualche caso anche oltre, ma, si sa, le esigenze del mercato globale (leggi: del profitto), della concorrenza... Senza dire che si trovano in uno stato di costante "mobilita'" - il DIVENIRE a cui faceva cenno il documento gia’ citato?! - spostati ogni tanto da un'azienda all'altra - le aziende cambiano poi loro stesse nome in continuazione, perche’ non si acquisiscano "titoli di anzianita’" in nessuna - da recentemente fiorite "strutture di mediazione", impensabili fino a qualche anno fa, che "assumono" in proprio l'aspirante-lavoratore, e poi lo destinano di qua e di la', dove c'e' richiesta. A cosa fanno pensare queste strutture non lo dico, lo immaginate benissimo, e preferisco ricordare che sempre S. Paolo scrive: "Che nessuno soverchi il fratello ne' lo sfrutti negli affari, perche' il Signore e' un vendicatore in tutte queste cose" (I Tess. 4:6) [si vedano anche i punti B/1 e B/2 in questa stessa sezione]. Questi sono i primi "segni" del mercato globale, di una societa’ dove il divario tra "ricchi" e "poveri" temo sara' sempre piu' marcato, e privilegio ereditario, tutto alla "luce" pero' dello sbandierato "mito" della possibilita' per i "migliori" di trasmigrazione tra le classi (a favore del quale si richiamano sempre gli esempi di sportivi, cantanti, attori - mi diceva un collega di studi americani che il "passaggio di classe" negli Stati Uniti e' un evento di frequenza prossima allo zero, ma che pure molti li' lo credono davvero possibile, e a portata di mano, forza dei meccanismi di propaganda, e di auto-illusione).
ii) - Ancora qualche parola a proposito della richiamata scissione tra didattica e ricerca (che naturalmente sara' negata, almeno per adesso, a PAROLE, sarebbe ancora troppo impopolare, ma vi invito ad esaminare i FATTI, le TENDENZE). Si sta assistendo sempre piu’ a un "disprezzo" del principio ispiratore della "vecchia" universita', secondo il quale: "L’istruzione superiore ha per fine di promuovere il progresso della scienza e di fornire la cultura scientifica necessaria per l’esercizio degli uffici e delle professioni" (Regio Decreto 31.8.1933, N. 1592, Art. 1 - che riprende comunque analogo principio espresso nella vecchia Legge Casati del 1859). Esso interpretava la didattica universitaria come "figlia naturale" della ricerca, ne’ altra cosa, ne’ tanto meno in antitesi, da essa. Cosi’, sarebbe stato possibile "trasferire nell’insegnamento le conoscenze acquisite tramite il lavoro di ricerca. Dovrebbe essere chiaro a tutti che a questo processo, e solo a questo, si deve la trasmissione del sapere acquisito da una generazione a quelle successive" (S. Graffi, "Sullo stato attuale dell’Universita’ italiana, Punti Critici, N. 1, 1999). Non so resistere alla tentazione di aggiungere a queste parole quelle di Federigo Enriques (Le matematiche nella storia e nella cultura, Ed. Zanichelli, Bologna, 1938, p. 153):
"Per i valori dello spirito come per quelli materiali dell'economia, sussiste una legge di degradazione: non si può goderne pacificamente il possesso ereditario, se non si rinnovino ricreandoli nel proprio sforzo di intenderli e di superarli".
Ancora dall’articolo di Graffi, cito in esteso alcune altre riflessioni, per colmare un "vuoto di qualita’" che ho avvertito intorno a certi argomenti nelle diverse riunioni a cui ho partecipato, dove ho sentito parlare solo di soldi e di numeri (come se il "peso" di insegnare per esempio il corso di Fisica Nucleare, o di Topologia Differenziale, fosse davvero solo proporzionale al numero degli esami svolti!).
"Mi dilungo un po' sul come mai il lavoro di ricerca dei docenti aumenti, e di molto, la qualita' dei corsi universitari di base perche' questo punto puo' non apparire immediatamente evidente ai non addetti ai lavori. L'attivita' creativa propria del lavoro di ricerca conduce in maniera naturale il docente a un ripensamento critico continuo della propria disciplina. Egli sara' in grado di coglierne sempre meglio i fondamenti veri, e di separare gli aspetti tecnici davvero profondi, sui quali dovra' insistere nel proprio insegnamento perche' sa che difficilmente potrebbero essere appresi se non sotto una guida sicura, da quelli piu' superficiali per cui puo' fare maggiore affidamento sulle capacita' autonome dello studente. E' questa padronanza sempre crescente della propria disciplina, tramite continuo ripensamento dei suoi aspetti fondamentali, che permette al docente di insegnarla nello stesso spirito agli studenti, infondendo loro una sicurezza della conoscenza acquisita che non li abbandonera' mai piu'. Lo studente non dovra' in seguito perdere tempo con concetti veramente non essenziali o, peggio, capiti a meta'; soprattutto, sicuro della sua padronanza delle nozioni fondamentali di una disciplina ne affrontera' senza paura, anche da solo, gli sviluppi successivi. Bisogna poi tenere conto del fatto che anche le strutture materiali didattiche (biblioteche, laboratori, assistenza ai laboratori, sistemi informatici, ecc.) sono di qualita' molto maggiore quando la quasi totalita' dei docenti e' impegnata nel lavoro di ricerca."
Certo, sono ben consapevole che si puo' replicare che cio' non e' ormai vero nella maggior parte dei casi per i docenti universitari (ognuno ha qui le sue personali esperienze, e la sua responsabilita' di giudizio), e che e' un lusso, che oggi la nostra societa' impoverita non puo' piu' permettersi, di pagare 100 per avere 10, o 1, e che certi privilegi saranno riservati a universita’ di elite, ma allora lo si dica chiaramente, senza tanti sotterfugi. Vi invito a notare che si sta in effetti cercando di operare una vera "rivoluzione", ma in modo abbastanza criptico, utilizzando "leggi imposte con mezzi economici anziche’ con il tradizionale dettato legale" (ancora da "Universita’ 2000"), sotto la protezione di "schermi ideologici" come l’AUTONOMIA (ma quale?), oppure attraverso il solo strumento normativo, senza avere il coraggio di scrivere anche poche righe che dettino chiaramente i principi primi, le finalita', della nuova struttura che viene proposta e concepita - ma che sara’ certamente figlia benefica del "progresso", come se ne puo’ dubitare?! Dal canto mio, mi chiedo cosa sara' di questa universita' dei professori a contratto presi in prestito dalle strutture lavorative esterne, con purtroppo scarso tempo per degli "approfondimenti culturali". A chi si potranno rivolgere certe domande, che anche oggi cominciano a trovare scarsi interlocutori?
D-3 - La lettera del Prof. Mazzucato
Caro Bartocci,
per piu' di 30 anni, dagli anni 50 (quando ero rappresentante
degli studenti di chimica nel Consiglio Interfacolta' a Padova) agli anni
80 (membro della Commissione del CUN che ha varato la prima riforma dei piani di studio di chimica) mi sono occupato di problemi della formazione, non solo per quanto riguarda la chimica, ma anche piu' in generale i corsi di laurea della Facolta' di Scienze. Mi sono quasi sempre dovuto scontrare con questi che tu chiami "rappresentanti del potere", che in maniera piu' o meno latente hanno sempre controllato i lavori delle varie commissioni riducendo via via la liberta' di discussione man mano che ci si avvicinava a qualcosa di conclusivo e pilotando pertanto in maniera subdola le decisioni finali verso quelli che erano i loro interessati obiettivi.
Non so se sia l'eta' o questa sensazione frustrante di scarsi successi, ma
non sento piu' stimoli ad occuparmi di queste cose, salvo per quanto
riguarda il mio settore specifico della chimica fisica (proprio nei
prossimi giorni partecipero' ad una riunione su questi problemi in Francia con i rappresentanti delle Divisioni di chimica fisica europee).
Malgrado questo preambolo pessimistico, ho letto le tue divagazioni con
interesse (le condivido in massima parte) e con gusto (per quella fine
ironia di buon livello culturale che le pervade).
Mi permetto di fare un paio di telegrafiche osservazioni:
1) Molte colpe per questo stato di cose e' nostro perche' la maggior parte
di noi se ne frega completamente dei dibattiti sulla didattica (avevo
raccomandato al nuovo Preside di dare largo spazio a questi problemi in
Facolta'; devo riconoscere che ci ha anche - non molto per la verita' -
provato, ma con deludenti risultati!)
2) Tu stesso, brontoli contro il mondo, ma cosa proponi in definitiva?
Nel caso tu riuscissi ad organizzare una riunione di un gruppo, anche
piccolo, per uno scambio di idee sulla problematica, non mi impegno di dare un contributo, ma ti sarei grato se mi volessi tenere informato.
Buona fine settimana ed auguri Ugo Mazzucato
D-4 - La risposta
Caro Mazzucato,
ho trovato la tua replica interessante (in ordine per esempio alla testimonianza relativa a forme pazienti, stancanti, e "subdole", di "pilotamento" e "controllo", nel corso del lungo lavorio "democratico" che precede certe riforme "gia’ decise"), incoraggiante, ma soprattutto gentile, sicche’ te ne ringrazio molto. [Mi autorizzi a divulgare questa nostra discussione?, credo che anche altre persone potrebbero trarne interesse e giovamento]. Al contrario, il nostro vice-Preside, pur capace di compilare documenti tanto ponderosi quali quello intitolato "Universita’ 2000", si e’ limitato alle seguenti parole: [omissis]!
Cio’ premesso, che risponderti a proposito dei punti 1 e 2? E’ vero che in qualche senso la "colpa e’ nostra", perche’ senza la nostra pigrizia e acquiescenza certe cose non potrebbero essere fatte (come l’intervento umanitario in Jugoslavia! Sono certo che se si fosse fatto un referendum PRIMA, e nonostante la macchina propagandistica messa in atto, la maggioranza del popolo italiano, almeno quella che vota, avrebbe risposto NO - per questo le solite trasmissioni televisive, che pure prevedevano nei giorni precedenti, a proposito di altri futili argomenti, sondaggi telefonici e interventi diretti del pubblico, in quel frangente hanno eliminati entrambi!), pure e’ vero che pigrizia e acquiescenza sono in certo modo "naturali" (il principio del minimo sforzo), parte essenziale, e quindi prevedibile, dell’animo umano, sicche’ su di esse puo’ sempre contare una volonta’ politica interessata a determinati obiettivi - tanto piu’ se riesce a detenere il monopolio dell’informazione - avendo poi cosi’ facile gioco nel prevalere. Questo e’ ovviamente anche il mio caso, avevo deciso di non occuparmi affatto della questione (vicino come sono, piu’ che alla pensione, alla fine della permanenza in questa comune "valle di lacrime"), finche’, di fronte a certi modi di dire e porre le cose, non ce l’ho fatta piu’ a trattenermi, ed ecco l’origine di quello "sfogo" in effetti privo di proposte alternative (devo dire immodestamente che non me ne sento del tutto incapace, ma, come tutte le persone sole, ho poche forze, e mi piacerebbe di piu’ riservarle per altri cimenti intellettuali).
A proposito di possibili "riunioni", per carita’, ne abbiamo tutti fin sopra ai capelli, sono stati anche qui assai sapienti nel farcele detestare imponendoci una loro frequenza inversamente proporzionale alla loro rilevanza. L’unico strumento che resta al singolo intellettuale non integrato, di fronte allo strapotere delle "organizzazioni", e per quanto possa valere, e’ quello dell’intervento scritto, che possa stimolare interlocutori disattenti (perche’ in altro impegnati), e spingerli a non avallare formalmente, nell’unico momento in cui verra’ loro frettolosamente richiesto, cio’ che e’ stato gia’ deciso "in alto" (oltre che dare un po’ di "fastidio" culturale agli avversari, ma, certo, punture di zanzara in una pelliccia d’orso...).
Sempre a proposito delle tue due domande finali, che concernono la difficilissima questione del CHE FARE?, mi viene in mente di aggiungere che forse e’ piu’ semplice rispondere COSA NON FARE, sulla falsariga delle riflessioni dello scrittore russo Solzenitzyn (contenute al termine del suo "Vivere senza menzogna", un libretto edito in Italia nel 1974 da Mondadori). Per tuo comodo, e per quello di altri eventuali nostri lettori, le riporto qui di seguito:
"Ognuno di noi dunque, superando la pusillanimita’, faccia la proria scelta: o rimanere servo cosciente della menzogna (certo non per inclinazione, ma per sfamare la famiglia, per educare i figli nello spirito della menzogna!), o convincersi che e’ venuto il momento di scuotersi, di diventare una persona onesta, degna del rispetto tanto dei figli quanto dei contemporanei. E da quel momento tale persona:
- non scrivera’ piu’ ne firmera’ o pubblichera’ in alcun modo una sola frase che a suo parere svisi la verita’;
- non pronunziera’ frasi del genere ne’ in privato ne’ in pubblico, ne’ di propria iniziativa ne’ su ispirazione altrui, ne’ in qualita’ di propagandista ne’ come insegnante o educatore o in una parte teatrale;
- per mezzo della pittura, della scultura, della fotografia, della tecnica, della musica, non raffigurera’, non accompagnera’, non diffondera’ la piu’ piccola idea falsa, la minima deformazione della verita’ di cui si renda conto;
- non fara’ ne’ a voce ne’ per iscritto alcuna citazione "direttiva" per compiacere, per cautelarsi, per ottenere successo nel lavoro, se non e’ pienamente d’accordo col pensiero citato o se questo non e’ esattamente calzante col suo discorso [mi chiedo quanta parte della storiografia, o del giornalismo, contemporanei resterebbero in piedi con tali criteri!];
- non si lascera’ costringere a partecipare a una manifestazione o a un comizio [nel nostro caso, a riunioni etero-dirette!, ma vedi anche due punti dopo] contro il proprio desiderio o la propria volonta’. Non prendera’ in mano, non alzera’ un cartello se non e’ completamente d’accordo con lo slogan che vi e’ scritto;
- non alzera’ la mano a favore di una mozione che non condivida sinceramente; non votera’ ne’ pubblicamente ne’ in segreto per una persona che giudichi indegna o dubbia;
- non si lascera’ trascinare a una riunione dove sia prevedibile che un problema venga discusso in termini obbligati o deformati [questa e’ una proposta molto concreta, ancorche’ forse a doppio taglio, visto che i nostri governi, o i nostri consigli, proseguono la loro attivita’ anche senza il conforto della maggioranza effettiva dei cittadini, dei membri, tra i quali vanno inclusi anche coloro che non votano, non partecipano alle sedute];
- abbandonera’ immediatamente qualunque seduta, riunione, lezione, spettacolo, proiezione cinematografica, non appena oda una menzogna profferita da un oratore, un’assurdita’ ideologica o frasi di sfacciata propaganda [di cui abbondano i documenti che ho criticato];
- non sottoscrivera’ ne’ comprera’ in edicola un giornale o una rivista che dia informazioni deformate o taccia su fatti essenziali [questo e’ in effetti un problema, dove trovare oggi, sui giornali o in televisione, dell’informazione che non "taccia su fatti essenziali"?! - un giornalista mi diceva poco tempo fa che il loro mestiere si riduce ormai a divulgare notizie che gli pervengono da fonti interessate, e mai a ricercarle direttamente, o a verificarne la fondatezza].
Non abbiamo enumerato, s’intende, tutti i casi in cui e’ possibile e necessario rifiutare la menzogna. Ma chi si mettera’ sulla strada della purificazione non stentera’ a individuarne altri, con una lucidita’ tutta nuova".
Non voglio tediarti di piu’, e ti lascio ricambiandoti cordiali saluti ed auguri, oltre che rinnovandoti la mia gratitudine per l’attenzione,
il tuo Umberto Bartocci
Perugia, 20.6.99
P.S. Una nota caratteriale - Non e’ che io "brontoli" sempre contro il mondo genericamente e per partito preso, come un vecchio misantropo: sono perfettamente cosciente che, se ci sono lupi famelici che si aggirano per le stanze del potere, offrendo un’immagine squallida dell’umanita’, ci sono anche poeti, pittori, scienziati, musicisti... che ne illustrano gli aspetti migliori.
D-5 - Congedo
D'altri tempi, un duello all'alba dietro le mura di un convento appena fuori citta' sarebbe stato il modo piu' naturale di concludere certe accese polemiche. Perche' non proporre oggi ai "Delegati per la Didattica" un duello culturale, un vero contraddittorio con coloro che la pensano in un modo radicalmente diverso, ancorche' proporre le solite conferenze auto-elogiative, dove sono invitati soltanto coloro che gia' si sa "canteranno nel coro"?!
Sempre grazie per l’attenzione (a nome dei VINTI), e cordiali saluti
dal vostro Umberto Bartocci (che si e’ svegliato all’alba per scrivere queste cose, che pero’ "NON SONO DI LAVORO", potrebbe forse essere un buon motivo per considerarlo un cattivo docente, peccato che i licenziamenti in tronco non siano ancora cosi' facili, ma ci si arrivera', naturalmente in ossequio a qualche principio di progresso, e di efficienza - certo, quanto era migliore l'uso della buona, vecchia cicuta!)
PARTE II
La prima replica del Delegato del Rettore per la Didattica
Prof. Augusto Ancillotti wrote:
Caro Bartocci,
leggo con grande piacere la tua lunga missiva sul presente momento storico, ed è quanto di meglio potessi sperare di ricevere da un collega, per sentirmi aiutato nel compito che attualmente mi grava le spalle. Il non aver interloquito precedentemente con te è dipeso solo dalla mia incapacità di capire che cosa significassero le parole che tu scrivevi, cioè dalla mia incapacità di dare una (possibilmente corretta) interpretazione alle tue parole. Ora tutto mi appare più chiaro. Mi riprometto di rispondere a tutte le tue osservazioni con l'attenzione che meritano, ma in questo momento sono ancora oberato dalle incombenze e mi manca la lucidità, nonché il tempo, per farlo decentemente. Comunque una specie di risposta mi sembra di poterla anticipare, o quanto meno posso cercare di delineare quale sia la mia "vera" posizione di fronte alla cosiddetta innovazione: io credo davvero che si sia formato nel nostro corpo sociale un nuovo bisogno di formazione "superiore" (il che non vuol dire "universitaria" nel senso tradizionale) piuttosto generalizzato; credo che la scuola non sia esattamente la struttura adatta per soddisfarlo e per questo il compito si è scaricato sull'università. In altri termini, osservo che il progetto di formazione costituito dalla scuola tradizionale e dalla tradizionale università è stato ripensato in funzione del mondo esterno, perché la società è molto più complessa di quella per cui il vecchio progetto funzionava, perché la base sociale degli utenti del processo di formazione è molto più allargata, perché la base delle conoscenze necessarie per stare "decentemente" in questa società si è enormemente allargata. Ciò comporta che deve esistere un'istituzione di formazione e di istruzione superiore in grado di fornire le basi di un sapere tecnico e rudimentalmente scientifico a un enorme numero di cittadini. Ma il fatto che sulle spalle dell'università si sia scaricato questo fardello non deve comportare automaticamente la cancellazione della tradizionale identità dell'Università italiana. Io ritengo che, se intendiamo sopravvivere come istituzione ci dobbiamo "aprire in due", e che un segmento di università debba riuscire a soddisfare le richieste che ci premono addosso, mentre l'altro deve poter fare esattamente quello che suggerisci tu. E dovremo aver la capacità di distribuirci i compiti all'interno, da soli, perché nessuno ci dirà chi debba essere insegnante "di base" per far fronte alle masse e a chi spetti il compito di reclutare attraverso un percorso più sofisticato i ricercatori di domani. Non si vede infatti come sia possibile mantenere un'identità strettamente unitaria di fronte ad un sistema che ne più svariati modi ci obbliga alla cosiddetta "licealizzazione": le scelte che tu hai proposto, laddove potessero essere realizzate, ci porterebbero (attraverso l'azione ministeriale delle "quote di riequilibrio") all'azzeramento finanziario in un tempo ben più breve di quello necessario per costituirci a sede di centri di eccellenza. Ora, se davvero esiste una specie di aut aut (e forse è qui, dove non ci si è intesi: è possibile che tu non ci creda al fatto che siamo di fronte a questo aut aut; ma ne parleremo), non possiamo far altro che accettare il compito assegnatoci. E se questo è sostanzialmente diverso da quello che ha sempre fatto dell'università l'Università, allora tocca a noi trovare gli spazi e le risorse per continuare a far Università accanto all'altro compito (e non rifiutandolo pericolosamente!). Ora, fin dal momento in cui mi è stata affibbiata questa delega, un fatto mi è subito apparso chiaro, visto che vivo nell'università da più di trent'anni: che i professori universitari sanno bene che cosa debba essere l'Università (in senso "tradizionale"; che poi si comportino tutti di conseguenza, questo è altra cosa), ma non sono né preparati né ben disposti a svolgere una funzione di tipo "liceale" all'interno della propria struttura. Perciò a me tocca il compito di sollecitare i colleghi in questa direzione, confidando che per muoversi nell'altra i colleghi non abbiano bisogno di alcuna spinta. Ho cercato di sintetizzare gli estremi della discussione in queste poche righe, ma rileggendole mi rendo conto che sono povere. Occorrerebbe molto più spazio e tempo per illustrare le ragioni di quel che ti scrivo. Ma per il momento sono costretto a rinviare di alcune settimane la vera e propria discussione sui punti importantissimi che tu hai sollevato. Perdonami: venerdì partirò per 15 giorni di ferie, e la massa delle cose da fare prima che me ne vada non mi dà tregua. Non mancherà la possibilità di allargare il discorso in seguito. Intanto ti esprimo il rinnovato grazie per aver trovato la voglia di discutere con me.
Tuo Augusto Ancillotti.
La risposta:
Caro Ancillotti,
solo due righe per ricevuta, e dirti che ti ringrazio per la bella lettera e l'attenzione. Anch'io ti rispondero' con piu' calma, ma vorrei dirti sin da ora che tutto il "senso" di questa tua comunicazione e' molto piu' condivisibile dei soliti argomenti della propaganda "liberista", e che il concetto dei "due segmenti" sia meritorio di maggiore approfondimento, e diffusione (altro che gli slogans coniati su terminologia di origine "economica")...
Cordialita' vivissime, e auguri di buone vacanze,
il tuo UB
P.S. C'e' qualche altro collega (a parte D.) che e' interessato a questa discussione, mi autorizzi a far circolare questo tuo messaggio?
Carissimi Colleghi,
la polemica da me innescata sulla "nuova didattica" e’ andata avanti con altre "puntate" di cui ho reso partecipi pero’ soltanto coloro che mi avevano mostrato in qualche modo il loro interesse.
Mi sento invece in dovere adesso di inviare di nuovo a tutti copia dell’accluso messaggio del Prof. Ancillotti, condividendo pienamente il seguente parere del Collega D.:
"Carissimo,
anche se ormai siamo bombardati da troppi messaggi, elettronici o di carta, il tuo "carteggio" con Ancillotti, specialmente quest'ultima risposta, andrebbe divulgata. Il motivo: i tuoi dubbi albergano nella quasi totalita' di noi. Non vengono esternati per pigrizia o per vilta'.
Ancillotti, con quest'ultima risposta ci da' una lezione di modestia, di disponibilita', di grandissima onesta' e di chiarezza. Sono contento di avervi messo in contatto. A presto".
Mi dispiace che le mie attuali condizioni di salute non mi consentano di diffondermi in ulteriori commenti (che sarebbero incentrati sul timore che le mie pessimistiche analisi della situazione universitaria italiana troveranno comunque conferma), e mi limito quindi a dirvi che allego per vostra curiosita’ anche uno scambio di idee su quella che io chiamo la "colonizzazione linguistica", e a salutarvi tutti, pregando pero’ il nostro Preside di un piacere: avevo diffuso qualcuno dei miei precedenti messaggi presso tutti i Colleghi della Facolta’, utilizzando semplicemente l’espediente di un "reply to sender and all recipients" a partire da uno qualunque dei messaggi di Rinaldi. Adesso non sono piu’ in grado di fare questo, potresti per favore far diffondere tu questo messaggio presso i Colleghi non matematici della Facolta’?
Grazie al solito per l’attenzione, il vostro UB
I allegato:
Una risposta personale ad Umberto Bartocci.
Ti scrivo queste righe come sforzo di chiarimento ulteriore, ma soprattutto, se me lo permetti, per conoscerci meglio e capirci meglio. Cerchero’ in queste pagine di rispondere in modo specifico ad alcune tue affermazioni. Ma prima, mi sia lecita una considerazione generale. Rileggendo i tuoi messaggi il dato globale su cui riflettere e’ per me il fatto che le mie parole hanno indotto delle interpretazioni che non erano esattamente quelle volute. Quindi qualcosa non ha funzionato. E da qui emerge allora che il contributo maggiore dei tuoi interventi, caro Bartocci, piu’ che nel fatto di opporre le tue idee (peraltro ben degne di attenzione) a quelle che io proclamavo, e’ consistito proprio nel fatto che mi hai costretto a ripensare il mio modo di propormi.
Da alcune tue affermazioni risulta che hai supposto che quelle che opponevi alle mie parole fossero idee eccentriche; ma le idee che sostieni le ho ben presenti, e le considero comprensibili, e per nulla eccentriche. Forse non sempre ne condivido lo spirito "conservativo", dato che per mia natura sono piuttosto incline, diciamo, ad accettare "le sfide" (anche se non sono un amante del nuovo in quanto tale); ma non le trovo per nulla "anomale".
La cosa piu’ importante che mi hai insegnato e’ dunque che ho sbagliato il "tono". Per esempio, tutto il mio parlare di bastone e carota, il mio proclamare " per amore o per forza" " voleva essere un amaro modo di segnalare che ci troviamo con le spalle al muro e che sara’ bene attuare una strategia morbida: accondiscendenza, per evitare i danni immediati, ma protezione dei valori piu’ importanti in zone "piu’ interne", rispetto al pubblico. E nello stesso tempo volevo suggerire che, visto che ci e’ imposto un servizio "anomalo" per la nostra tradizione, conviene farlo bene; valorizziamolo, mettiamone in luce gli aspetti migliori. O addirittura: se dobbiamo fare una cosa, allora mettiamoci entusiasmo. Ma evidentemente non ho saputo scegliere vocaboli e toni adatti.
Un altro apporto significativo devo riconoscerti, caro Bartocci: mi hai richiamato alla misura. E’ del tutto vero, come ho scritto nell’ultima circolare, che la mia preoccupazione e’ quella di sollecitare i colleghi a far cio’ che non sono pronti a fare, e che non mi sono mai curato di chieder loro di fare quel che tradizionalmente fanno benissimo; e’ vero che mi devo prodigare in direzione di un servizio di massa che l’universita’ italiana svolge malissimo (e di questo sono convinto), mentre sa trasmettere magnificamente il "mestiere" dell’accademico agli allievi scelti. Ma e’ anche vero che nel far questo non ho dato lo spazio necessario alla considerazione che l’altra parte del nostro impegno avrebbe meritato, cosi’ che il lettore si trova autorizzato a pensare che per me non esiste altro che il servizio di massa, o addirittura che miro allo sradicamento delle funzioni tradizionali dell’universita’. E non essendo questa la mia intenzione, e’ colpa dell’assenza di misura nell’esprimermi se tale e’ il risultato per chi mi ha letto.
Ma veniamo ai singoli punti che necessitano di essere chiariti.
I documenti della Giunta in rete sono tutti pensati e prodotti da me, e non riproducono circolari o dettati del ministero o di altra provenienza. Ma e’ vero che cio’ che ho scritto e’ il frutto della lettura di una quantita’ di materiali CRUI e MURST che mi sono serviti per capire la situazione ed conoscere i dati. Sarei tuttavia molto sorpreso se dovessi giungere alla conclusione che quelle letture mi hanno "plagiato" al punto da farmi dare l’impressione di essere al servizio del "magnifico" di turno. Non mi sento manovrato da chicchessia. Sono stato chiamato alla funzione che svolgo proprio perche’ mi sono sempre dimostrato non ricattabile e non schierato. Evidentemente, pero’, mi sono espresso in modo tale da permettere che si potessero intravvedere "connessioni" indebite nella mia azione, il che mi fa un effetto tremendo.
Tu hai prospettato che il progetto in atto tenda a produrre piuttosto che un gran numero di cittadini "laureati" " un gran numero di tecnici assolutamente non autonomi sul piano della cultura e della critica intellettuale, finalizzati ad un mercato per i suoi fini di lucro ": ed e’ assai probabile che questo sia in parte l’effetto. Ma la cosa va vista anche sul piano "quantitativo" e soprattutto dal punto di vista dei singoli utenti. Mi spiego: quei cittadini che il "nuovo progetto" preparerebbe a svolgere la funzione di "tecnici assolutamente non autonomi sul piano della cultura e della critica intellettuale, finalizzati ad un mercato per i suoi fini di lucro " in assenza del progetto in questione sarebbero in ogni caso "cittadini di serie B", in quanto comunque non sarebbero dotati degli strumenti critici di cui si parla, e molto probabilmente sarebbero destinati ad attivita’ lavorative meno soddisfacenti per loro di quelle a cui le destina il nuovo progetto. Non stiamo infatti parlando di trasformare gli attuali laureati in futuri tecnici (permettimi questa semplificazione dei termini della questione), ma di dare un status di tecnici a persone che attualmente sono escluse dal conseguimento del titolo. Gli attuali laureati resterebbero comunque tali: cioe’ anche nel quadro del nuovo progetto avrebbero il loro "status piu’ alto" e disporrebbero degli strumenti critici e culturali di cui tradizionalmente dispongono, perche’ di questa fascia non si prevede certo la cancellazione (sarebbero i laureati specialisti, o gli addottorati del futuro). E tutto questo non serve certo a "distruggere l’universita’", anche se devo ammettere che aumenta gravemente il nostro impegno didattico "basso" e questo certamente costituisce una minaccia al mondo accademico nel suo insieme.
Ci si chiede infatti: il rilascio di un titolo di laurea "basso" snatura necessariamente l’universita’? Certamente tende a snaturare il "titolo", che, acquisito in tre anni, con parte cospicua dei crediti legata a forme professionalizzanti, diventa qualcosa di molto simile ad un diploma superiore. Ma e’ vero che questo snaturamento del titolo comporta di conserva lo snaturamento dell’universita’? Perche’ mai l’istituzione che produce, custodisce e trasmette il sapere scientifico non dovrebbe rilasciare titoli di formazione a livelli differenziati, uno dei quali basso (laurea triennale), dove la componente scientifica entra in misura limitata, uno medio-alto (laurea specialistica, quinquennale), nel quale la componente scientifica e’ significativa, ed uno alto (dottorato) per formare addetti alla ricerca (universitaria o aziendale)? Perche’ mai la presenza di un titolo "basso" nel panorama dei suoi curricoli dovrebbe snaturare l’universita’? La risposta potrebbe essere: perche’ questo compito di massa assorbirebbe tutte le risorse dell’universita’. Ed e’ proprio questo che dobbiamo evitare: che il "servizio di massa" soffochi l’istituzione scientifica.
Ma dipende solo da noi che cio’ non si avveri, dalla nostra capacita’ di organizzarci e di impegnare le nostre risorse. Il problema non lo si risolve rifiutando, respingendo, lamentando, ma costruendo spazi protetti, mentre si tenta di rispondere nel migliore dei modi possibili al servizio che la societa’ richiede. Ecco perche’ la Giunta, che attraverso la mia delega spinge verso il servizio di massa, attraverso la delega per la ricerca e la dipartimentazione spinge a maggiori investimenti in ambito scientifico. Ma cio’ puo’ non essere sufficiente a "proteggere" l’universita’ dallo snaturamento incombente: altre proposte, piu’ impopolari certamente, dovremo varare in breve, in direzione della "suddivisione dei compiti" didattici all’interno dell’ateneo.
In questo quadro ho parlato di "inutili appesantimenti" che oggi allungano i tempi di studio (chiaramente riferendomi al "servizio di massa", non certo alla preparazione ai livelli superiori, o alla ricerca). Ma quali insegnamenti saranno da considerare tali? Chi lo stabilira’? In ultima istanza gli "inutili appesantimenti" saranno giudicati dal mercato del lavoro (ma gia’ oggi tutti noi sapremmo indicarli, ognuno nel suo settore); sul piano formale saranno i regolamenti di ateneo e i regolamenti di corso di studio (tutti approvati dal Senato Accademico) a stabilirlo. Naturalmente ci si riferisce non ad una generica "educazione culturale" per la quale praticamente qualsiasi percorso potrebbe essere funzionale, purche’ di alta qualita’, ma ai curricoli professionalizzanti, per i quali le necessita’ formative sono invece ben precise. Non dimentichiamo che in alcuni casi gli "inutili appesantimenti" sono costituiti da discipline inserite / consigliate nei curricoli solo con lo scopo di trovare studenti per dei colleghi che rischiavano di non averne, o comunque per costituire degli "spazi didattici" in determinati ambiti disciplinari. E’ questa, ovviamente, la tipologia da affrontare con il bisturi.
Quanto alla " necessita’ di sostituire la cultura della norma con la cultura della responsabilita’ ", mi riferisco non certo al comportamento dei colleghi coscienziosi come te, persone che grazie a Dio anche in anni recenti hanno fatto dell’universita’ l’Universita’; ma al principio diffuso nel nostro mondo (non solo quello universitario: e’ la "cultura italiana" che ne costituisce l’humus) per cui cio’ che conta e’ di essere in regola formalmente, senza dar rilevanza al piano della sostanza (chi non ammette che le cose stanno cosi’ e’ fariseo). Questo si fonda sulla base di una mentalita’ da "leguleio", che rappresenta un momento arcaico del percorso civile, e che ha costituito (e’ vero) uno strumento fondamentale per coltivare quella bestia che e’ l’uomo, ma che oggi dovremmo cominciare a superare secondo modelli piu’ alti (appunto: responsabilita’, senso civico, o addirittura, se si preferisce, e se ancora qualcuno e’ disposto a farvi riferimento: amore per il prossimo )
E veniamo ai "rapidi mutamenti" e al "divenire, che in futuro sara’ la regola". Non voglio negare che queste frasi siano uscite un po’ infelici dalla mia penna (oggi dovremmo dire: dalla mia tastiera), ma il "difetto di tono" non deve incidere sulla opportunita’ del contenuto. Che la realta’ sia divenire e non stato per un linguista storico e’ assiomatico, e forse per questo non me ne scandalizzo piu’ di tanto. Nel nostro lavoro siamo soliti concepire lo "stato di lingua" come un artifizio del ricercatore, necessario e irrinunciabile (lo studioso necessita di un oggetto "stabile" per poterlo conoscere), ma non per questo meno artificiale. Nel caso del sistema-universita’ in oggetto e’ evidente che si tratta di un modo di segnalare l’alto tasso di adattabilita’ che il sistema deve essere capace di attuare in un futuro, se intende porsi al servizio dei bisogni formativi in rapida evoluzione del cosiddetto mercato del lavoro. Questo, come sempre tutto il mio discorso, resta ancorato ai segmenti formativi "bassi", ovviamente, giacche’ quelli alti sono al di fuori del discorso, e la loro costituzione deve dipendere da fattori diversi che non il "mercato del lavoro". Anche i segmenti "alti" sono esposti, come tutto, al divenire, ma la velocita’ e la ragione stessa dei cambiamenti che li potranno interessare sono tutt’altra cosa e certamente saranno determinati dai bisogni interni del "sistema-sapere" e non dal "mercato". Infine un cenno alla mia frase " opporre resistenze e scetticismi significherebbe combattere battaglie di retroguardia ": che e’ certamente la piu’ infelice, e la meno difendibile da parte mia. Ma forse diventa comprensibile se la si rapporta al vero destinatario, che in fondo sono io stesso: spero che tu possa accettare che si tratta di una riflessione, di un monologo, di un dire a me stesso che nel compito che mi e’ affidato non c’e’ spazio per la nostalgia per la bella universita’ dei miei vent’anni. Mi dispiace che questa frase, probabilmente insieme alle molte altre meno disgraziate, abbia dato spazio all’idea che io sia allineato con chi ha bombardato la Yugoslavia e l’Iraq, giacche’ sono invece molto contrario a tutto cio’, e chi mi conosce sa anche bene che la storia della mia vita lo dichiara. Ma non credo che il rifiuto della politica di allineamento del nostro governo al disegno americano debba comportare l’automatico rifiuto del progetto di riforma del sistema di istruzione e formazione in Italia, anche se e’ proposto dallo stesso governo. In verita’ penso che persone come noi abbiano il dovere di distinguere gli obiettivi condivisibili da quelli non condivisibili, i metodi condivisibili da quelli non condivisibili, e cosi’ via, senza cedere alla logica elementare del "partitismo" o delle ideologie, che porterebbe ad accogliere o rifiutare le cose in blocco. E’ comunque probabile che tu ed io abbiamo degli "impianti" ideologici diversi, anche se non credo che cio’ debba costituire un impedimento al dialogo. Tu parli di te dichiarando " la tua passione anti-relativista, o quella di "ristabilire una logica" in quegli eventi storici nell'interpretazione dei quali la storiografia ufficiale sembra rassegnarsi a veder predominare "arbitrarieta’, follia e mistero"" e poi addirittura definendoti ironicamente "cartesianamente dubbioso, e reazionario"; io invece mi sento filosoficamente un materialista e un ateo senza angosce che applica seriamente il messaggio cristiano ritenendolo un dettato civile altissimo. Quanto alla storia (sono un linguista storico, per mestiere) non vedo teleologie possibili, proprio perche’ evito ogni forma di "pensiero olistico". La "deriva" della storia non e’ "predicibile" perche’ ci manca il controllo del complesso dei "vettori" che di attimo in attimo operano. Ma se "il senso" della storia puo’ apparire non comprensibile alla nostra attuale ignoranza scientifica, questo non coincide con l’elevare "il caso" a chiave universale (che sarebbe un’altra forma di pensiero olistico); semplicemente applico il dettato di quel grande linguista che fu Ferdinand de Saussure, per cui "il punto di vista fa l’oggetto della ricerca", con tutte le conseguenze di un assioma del genere: la pretesa di spiegazioni olistiche, disponendo noi (almeno per ora) di punti di vista meschini, diventa una forma di presunzione sciocca. Allora ben venga la posizione religiosa, che al momento resta a mio vedere l’unica forma di pensiero olistico degna di rispetto per un uomo di scienza (tuttavia, personalmente rinuncio con serenita’ ad ogni forma di spiegazione universale, senza sentirmi per questo sminuito).
Se delle differenze "ideologiche" tra noi ci sono, non devono impedire che ci si capisca e si collabori. Tra l’altro tu sei stato uno dei pochi che hanno reagito alla mia sollecitazione al dialogo. E da te ho capito che il difetto principale del mio operato consisteva nella mancanza di misura. Lasciami ripetere che le interpretazioni date da te ai miei testi si sono rivelate illuminanti a questo proposito: piu’ mi vedevo frainteso, e piu’ mi accorgevo che le mie parole legittimavano quei fraintendimenti. Quindi, grazie. Da quando ti ho letto, devo dire che i miei "documenti" nascono piu’ equilibrati (e percio’, credo, piu’ convincenti). Questo e’ il primo e piu’ evidente effetto, ai miei occhi, dell’instaurarsi di un dialogo.
Grazie, Bartocci.
II allegato (estratto da mia precedente comunicazione al Prof. Ancillotti):
Mi fa piacere inviarti anche (insieme a un mio commento) il testo originale della poesia di Buttitta, che ho finalmente ritrovato, lieto che ti abbia interessato. Dal punto di vista del mondo scientifico, direi che questa "espropriazione" linguistica e’ gia’ avvenuta totalmente, tanto che io per esempio non so piu’neppure dove tentare di pubblicare i miei ultimi lavori, che mi sono ostinato a scrivere in italiano - e guarda che io ho studiato matematica piu’ di due anni a Cambridge dopo la laurea!
Un populu
mittitulu a catina
spugghiatilu
attuppatici a vucca
e’ ancora libiru
Livatici u travagghiu
u passaportu
a tavula unni mancia
u lettu unni dormi
e’ ancora riccu
Un populu
diventa poviru e servu
quannu ci arrobbanu a lingua
addutata di patri:
e’ persu pi sempi.
Ti invio anche un estratto da un mio recente libro [vedi punto C nella sezione Storia della Scienza]:
"Avevamo gia’ deciso di presentare per la prima volta il lavoro in italiano, e non soltanto per la presenza di ampie citazioni dallo scritto originale del De Pretto, ma anche perche’ non era del tutto estraneo, almeno allo scrivente, il desiderio di reagire in qualche modo al condizionamento culturale monolinguistico imposto dall'uso della lingua inglese1, cosi’ universalmente prescritto oggi, a volte anche con scarse motivazioni, da far sentire di vivere in una colonia)"...
1
A questo proposito appare interessante citare il pensiero espresso dallo storico Jacques Le Goff nell'Introduzione a Le Universita’ dell'Europa (A. Pizzi Ed., Milano, 1990): "L'Europa della cultura deve essere un'Europa plurilinguistica capace di opporsi al monolinguismo dell'inglese che, forte del peso economico degli Stati Uniti - che non esiste pero’ nel mondo del sapere e della cultura - sembra adatto solo all'Europa degli affari."
Estratto dalla risposta del Prof. Ancillotti:
Per quanto concerne la questione della lingua, ovviamente non posso che essere d'accordo con te che sostieni l'opportunità di un plurilinguismo: ben sappiamo come la sede primaria dell'autoidentificazione di un gruppo (e quindi di ogni individuo del gruppo) sia proprio la lingua. Resta però il problema di combinare correttamente registri e ambiti d'uso. A questo proposito mi corre l'obbligo di segnalarti la possibilità di intendere l'uso dell'inglese in molte occasioni non come segno della supremazia della comunità di lingua anglosassone nel settore in oggetto, ma come una banale funzione di pidgin che spesso l'inglese (o meglio: il cosiddetto inglese) svolge. E' riconosciuto dai linguisti che nel mondo è ormai diffusa una forma semplificata e impoverita di inglese nella quale non si riconosce alcuna comunità, e che serve semplicemente come veicolo di scambio. Dato che non è pensabile che in tale funzione si affermasse quello strumento artificiale e fuori dalla storia (perché costruito a tavolino e non nato dal contatto interpersonale), che si chiama esperanto, sta accadendo che numerose comunità delle più svariate lingue materne contribuiscano spontaneamente alla formazione di un vero strumento di scambio, elaborando al contrario (cioè semplificando) l'inglese, in quanto lingua più diffusa. Che anche l'ambiente scientifico ricorra a questo pidgin, però, non depone a favore della qualità dell'istruzione degli addetti, che invece, proprio perché "uomini di sapere", dovrebbero essere in grado di utilizzare tutte le grandi lingue di cultura, almeno in forma passiva (comprensione). Nei convegni dei linguisti è prassi che ognuno usi in forma attiva (cioè per parlare e scrivere) la propria lingua materna (a meno che non si tratti di lingua estremamente "esotica"), perché si da' per scontato che i colleghi siano in grado di averne una competenza passiva sufficiente. E trovo che questa dovrebbe essere una norma condivisa da tutti gli addetti alla ricerca.
PARTE III
Caro Ancillotti,
sono stato "costretto" a prendere apertamente e nuovamente posizione, ma del resto sento di non potermi esimere dal combattere fino in fondo questa "battaglia", anche a costo di dover salire un mio personale "Calvario"...
Ciao, e sempre comunque tanti auguri per tutto, visto che anche tu combatti sinceramente e lealmente per le tue idee,
il tuo UB
P.S. Permettimi di aggiungere che, se e’ autentico il rischio di "comportarsi come un disperato che nuota cocciutamente contro la corrente di un fiume in piena", e’ anche vero che "Chi non va contro vento non può alzarsi in volo". Inoltre, che se e’ certamente inevitabile consegnare le chiavi di una citta’ sconfitta al "nemico", nessuno costringe poi a manifestare tanto entusiasmo, e spirito di collaborazione, nei confronti dei suoi progetti di "colonizzazione"...
Fuori i mercanti dal tempio - N. 1
Cari Colleghi,
sono stato a lungo incerto su come rispondere al vostro sondaggio [si trattava di un sondaggio promosso a titolo personale da parte di alcuni docenti di Medicina per vagliare gli orientamenti del corpo docente in ordine alle prossime elezioni rettorali], e infine ho pensato che inviarvi copia dell’acclusa lettera fosse il modo più adatto per comunicarvi quali ritengo debbano essere i principi-guida ispiratori di un Rettore nell’attuale difficile contingenza storica, capaci cioè di permettergli di non perdere di vista le "ragioni prime" della nostra istituzione, oggi aggredita con inaudita "violenza" - come del resto prima di lei tanti altri capisaldi della nostra società nazionale.
Aggiungo soltanto che, se non si trovasse un candidato capace anche solo di indicare tale (davvero antistorica?!) doverosa "reazione" a una politica di "asservimento" (inviterei alla rilettura del "Guglielmo Tell" di Schiller), sarò costretto a proporre me stesso, nonostante le mie assai precarie condizioni di cuore mi suggerirebbero di evitare "emozioni", nella speranza che si trovino nel nostro Ateneo almeno "dieci uomini giusti", la cui accertata presenza potrebbe significare che vale ancora la pena di battersi per le sue sorti...
Con cordiali saluti, Umberto Bartocci
Allegato:
Caro Rettore,
alcune franche e pubbliche parole di elogio e un interrogativo.
L’elogio e’ per il bel manifesto relativo all’inizio dell’Anno Accademico, che comprende un richiamo alle "antiche e luminose tradizioni" dell’Università, alla sua "storia plurisecolare", e alle "ragioni prime" della sua istituzione: "dialogo nella ricerca della verita’ per un retto sapere e la diffusione delle conoscenze al servizio dell’uomo e della societa’ civile".
La domanda: come si concilia questa condivisibilissima visione (io dico sempre: conservazione-crescita-diffusione della conoscenza) con quanto leggiamo alle pp. 11-12 della nostra rivista interna, dove viene fatto riferimento al concetto di "mercato" in modo martellantemente ossessivo (e per di piu’ acritico: bisognerebbe invece chiedersi se questo sia proprio cosi’ "libero", come si tende a far comunemente credere, e non piuttosto controllato da occulti gruppi di potere), quasi si trattasse di un toccasana per tutti i mali che travagliano il nostro sconfitto paese?
Le indirizzo queste riflessioni in cio’ sollecitato da diversi colleghi, i quali hanno apprezzato le mie recenti "esternazioni" (io non avevo neppure letto l’articolo in parola), e mi hanno anche fatto presente che una certa politica di scimmiottamento e di subalternita’ - che alcuni stanno euforicamente (remuneratamente?!) cavalcando, sicuri di stare interpretando il senso della "storia" attuale, quando e’ gia’ tanto difficile comprendere quello della "vecchia" - sta tramutando l’Universita’ degli Studi nell’Universita’ dei Mestieri, e che se l’uomo deriva effettivamente dalla scimmia, rischia pure di tornare rapidamente in quella primitiva poco invidiabile condizione (e cito i colleghi* non per dare loro responsabilita’ di queste affermazioni, ma al contrario per riconoscerne il merito nella chiara e sintetica formulazione di certi concetti).
Dal canto mio, posso solo aggiungere che il continuo riferimento al "mercato" mi fa venire in mente soltanto l’episodio della cacciata dei "mercanti" dal tempio - alla quale prima o poi qualcuno dovra’ pur provvedere! - e chiudere ricordando, come faccio spesso, le belle parole di Federigo Enriques:
"Per i valori dello spirito come per quelli materiali dell'economia, sussiste una legge di degradazione: non si puo’ goderne pacificamente il possesso ereditario, se non si rinnovino ricreandoli nel proprio sforzo di intenderli e di superarli"...
I consueti cordiali saluti e auguri da parte di chi comunque intuisce la grande difficolta’ che comporta il gestire l’Ateneo in tali momenti di grave crisi,
P.S. Qualche ulteriore citazione di altri colleghi (a volte anche eccessivamente cruda), a riprova che non tutto e’ cosi’ scontato, e che c’e’ chi come me avverte i segni di un possibile imminente "collasso".
- La situazione e’ grave ... Si spinge un’esperienza didattica sperimentata ormai da qualche decennio oltreoceano con effetti culturali disastrosi, nel nome del progresso ... Cosa si puo’ fare?
- Ritengo che le prospettive dell'Universita’ italiana e non solo di Perugia siano nere sia nel caso che si faccia sia nel caso che non si faccia una riforma. Il mio pessimismo discende da varie considerazioni che sarebbe lungo anche elencare; tuttavia il fatto decisivo e’ che l'università in Italia si e’ accresciuta attraverso meccanismi di reclutamento del personale (docente e non docente) talmente impropri da creare una classe di operatori del tutto inadeguata alla loro funzione. Non e’ il caso che ti ricordi i singoli episodi che tu conosci benissimo (es. l'immissione ope legis dei ternati assistenti negli anni '70, la creazione sempre ope legis di associati agli inizi degli anni '80 di cui ho usufruito anche io, etc.). In questa situazione l'immissione di docenti e ricercatori capaci, che pure c'e’ stata, si e’ verificata in maniera quasi del tutto casuale. Poiche’ le idee e le riforme, anche le migliori, viaggiano sulle gambe degli uomini, ne deriva che qualsiasi intervento, anche il piu’ nobile, corre il rischio di arenarsi di fronte alla inadeguatezza delle persone.
- Non posso che essere d'accordo sostanzialmente su tutto. Purtroppo stiamo imboccando una strada che mi ricorda un osso (l'Universita') ormai spolpato in gran parte su cui dei cani (prevalentemente bastardi) si affannano a mangiare.
- "Vivo nel mondo dei mercanti, ma non venderò loro una briciola della mia Anima, perche’ non mi appartiene, ne’ appartiene a loro".
etc. etc.
Fuori i mercanti dal tempio - N. 2
Cari Colleghi,
a proposito di insiemi che per fortuna non si riducono a un "singleton", e alle residue liberta’ di giudizio e capacita’ critica da parte dei docenti universitari, mi sento in dovere di segnalare a tutti voi che sul N. 2 della rivista "Punti Critici"* compare un articolo del collega Gallavotti, dal titolo "Venti di riforma universitaria e avventatezze", nel quale si esprime tra l’altro la seguente considerazione (assai simile ad altra che vi proposi qualche tempo fa):
"Si dice che cosi’ sia gia’ all’estero. Lo scopo e’ produrre laureati in grado di svolgere operazioni del livello del battere ordini su computer, perche’ l’industria ha bisogno di tali "laureati", docili e passabilmente abili esecutori di ordini superiori: ma, ad esempio nelle scienze esatte, non si capisce dove si formeranno i quadri per l’elaborazione di idee e lo sviluppo di tecnologie nuove e originali. Continueremo ad acquistare all’estero brevetti sorpassati, perseguendo una tendenza che ci porta ad un ruolo subalterno agli altri paesi e, in definitiva, a una limitazione della nostra liberta’ e indipendenza? ... E’ falso che all’estero l’insegnamento superiore vi sia svolto nel modo che si vorrebbe introdurre in Italia..."
Spero che quanto vi comunico renda piu’ difficoltosi i tentativi di liquidare sbrigativamente certe critiche attribuendo loro un’etichetta politica di comodo (destra/sinistra), e renda piu’ agevole comprendere perche’ alcune interpretazioni di cio’ che sta accadendo facciano riferimento a concetti come "alto tradimento" (che altre istituzioni fondamentali del paese hanno sperimentato prima di noi)...
Poiche’ mi e’ stato suggerito di essere breve la smetto qui, ma vi annuncio una prossima puntata, relativa a una proposta su cosa si puo’ fare per contrastare un piano tanto deleterio (che vede purtroppo la presenza di "fiancheggiatori" in buona fede) per la cultura e per l’intera nostra societa’, usando qualcuna delle stesse "armi" che i "riformatori" ci mettono a disposizione...
Sempre un cordiale saluto, e un grazie per l’attenzione,
dal vostro Umberto Bartocci
* Un’iniziativa editoriale che nasce in ambito matematico romano, e che ho gia’ avuto in passato modo di citarvi - tra l’altro, questo numero ospita una bella recensione del nostro Mamone Capria, "Questioni di responsabilita’ scientifica", di un libro di un altro matematico, sebbene non di argomento matematico, l’assai noto Serge Lang.
Subject: Due ringraziamenti pubblici...
1) Cari Colleghi,
sento di dover esprimere un pubblico ringraziamento a Carlo Bernasconi
per le sue sintetiche ma centrate osservazioni. Da un canto sono lieto,
perche' cio' dimostra che l'insieme delle persone che ritengono che
certe cose (compreso il modo di dirle!) siano delle "cretinaggini" (per
non dire di peggio) ha cardinalita' maggiore di 1, dall'altro mi chiedo:
come e' possibile che la stragrande maggioranza dei docenti
universitari, che dovrebbero essere dotati di cultura e originalita' di
pensiero, subisce senza reagire (anche con argomenti diversi dai miei) tale "propaganda" mondial-mercantilista di basso livello?!
Sempre cordiali saluti a tutti,
il vostro UB
2) Cari Colleghi,
informo chi di voi ieri non avesse ascoltato la prolusione del Prof. Grasselli che essa conteneva notevoli spunti di meditazione, e che mi e' sembrato pertanto doveroso inviargli il seguente ringraziamento.
Saluti, il vostro UB
Allegato:
Caro Grasselli,
un sincero ringraziamento da parte di un collega che ha avuto ieri la fortuna di ascoltare la tua prolusione, e ha molto apprezzato i richiami alla necessita’ di una robusta immissione di parametri etici nella logica di un "mercato" che viene ormai da alcuni indicato come una sorta di toccasana per tutti i mali della nostra societa’. Stavo seguendo da tempo preoccupato il diffondersi di questa direi "esaltazione liberista", anche per cio’ che concerne l’attuale riforma universitaria (non so se ti e’ capitato di leggere i recenti interventi di Ancillotti in proposito), e sono stato veramente lieto di sentir provenire da una fonte cosi’ competente un monito perche’ non ci si limiti all’auto-interesse come unico motore delle dinamiche sociali, e una raccomandazione perche’ si possa arrivare a forme di "economia civile", garanti della dignita’ della persona umana e capaci di attenuare squilibri ed ingiustizie...
Ancora grazie, e cordialita’
(Con preghiera di diffusione a chi conoscete...)
Fuori i mercanti dal tempio - N. 3
Cari Colleghi,
mi scuso innanzitutto se, sommerso di lavoro (anche adesso vi scrivo un po’ di corsa, per non perdere comunque il momento - spero mi perdonerete eventuali ripetizioni, storture grammaticali e stilistiche, etc.), non sono riuscito fino ad ora a trovare il tempo di potervi tempestivamente segnalare l’articolo di Angelo Panebianco, comparso sul Corriere della Sera del 25.11 ("Se l’Universita’ perde la ricerca"), e il successivo di Enrico De Mita, comparso su Il Sole 24 Ore del 28.11 ("Un’Universita’ di piccoli burocrati").
Spero comunque che molti di voi li abbiano gia’ letti (li ho affissi qua e la’, e ne ho anche lasciato alcune fotocopie nel corridoio degli uffici di segreteria), e che ne abbiano condiviso, come me, lo spirito. Sul problema specifico non ci sarebbero da aggiungere particolari commenti, ma uno almeno si impone, a collegare questa "riforma" della docenza alle mie precedenti osservazioni sullo stato attuale e futuro dell’universita’.
Un’analisi piu’ completa degli eventi non puo’ infatti trascurare la circostanza che le "oscure centrali del pensiero" da cui provengono queste disposizioni sono le stesse che hanno (guidato il nostro paese nel sostegno incondizionato alla politica aggressiva della NATO e) orientato la riforma universitaria che e’ stata oggetto delle mie perplessita’, soprattutto per la "filosofia" che la ispirava - ampiamente esaltata negli scritti del Prof. Ancillotti, inneggianti al divenire eracliteo, alla funzione salvifica del "mercato", etc..
Non e’ difficile ipotizzare infatti che tutta questa apparentemente irresistibile degradazione dell’Universita’ degli Studi a Ufficio di Collocamento, spacciata nell’interesse degli studenti, abbia scopi ben altri. Per esempio, come ben prevede De Mita, l’abolizione del valore legale del titolo di studio, che esporra’ proprio i figli delle classi meno abbienti a una contrattazione selvaggia, dalla quale non potranno che uscire sconfitti. Non c’e’ bisogno di essere grandi profeti per prevedere che a questa decisione si arrivera’ quando diranno, e allora sara’ vero: vedete ormai a che livello basso, e disomogeneo, siamo arrivati! Peccato che certe persone possano sempre giocare sul sicuro contando sulla mancanza di memoria della gente, la quale di solito non collega causalmente le loro "riforme" ai successivi esiti disastrosi (per esempio, se e’ vero che la qualita’ media dei nostri studenti e’ andata diminuendo nel tempo, chi ha il coraggio di collegare tale circostanza con le riforme della scuola che si sono succedute, o all’eliminazione degli "assistenti", e di vere e proprie "esercitazioni", che ricordo quanto mi fecero bene da studente?). E poi, possono sempre ribattere, quando si degnano di rispondere (diffidate sempre di chi non risponde, rettore, sindaco, o ministro che sia, perche’ ha altre cose piu’ importanti da fare; ricordategli l’episodio della postulante, la quale obietta ad Adriano, ovviamente secondo la Yourcenar: "Se non hai tempo per me, non hai tempo per l’impero" [la citazione esatta si puo' trovare nell'Avvertenza inserita nella Home Page]), con il seguente facile controfattuale storico, che senza il loro intervento sarebbe stato peggio!!
Ritengo personalmente che il discorso dovrebbe collocarsi su un piano piu’ alto, e che quella in atto sia soltanto un’altra delle fasi del progetto di dissoluzione delle comunita’ nazionali, e di annullamento di quanto possa fungere da "katechon" nei suoi confronti (vedi Paolo, II Tessalonicesi, 2,6). L’universita’ arriva buon’ultima tra le illustri vittime degli adelphi della dissoluzione, dei servitori del "mysterium iniquitatis", ma lasciamo stare questo livello di interpretazione...
Per tornare alle nostre "piccole" vicende, cio’ che mi avvilisce soprattutto e’ il constatare che quanto sta avvenendo non sia contrastato da un’adeguata "resistenza culturale" da parte delle classi che dovrebbero sentire la responsabilita’ di controbattere a chi dimostra l’incivilta’ (termine che usa anche De Mita) e l’incultura di proporre un’universita’ che di fatto non potra’ che mettere in secondo piano (se non annullare) le sue prime alte finalita’ di luogo delegato alla conservazione, all’aumento, alla diffusione della conoscenza, e nel quale l’attivita’ didattica "discende solo dalla ricerca", e vi si ha il diritto di insegnare "solo perche’ vi si studia". Della volonta’ di progressivamente "burocratizzarci" abbiamo secondo me una prova nella produzione di sempre nuove cervellotiche "regole" (che dovremmo leggere attentamente, fino alle prossime), e nell’inflazione delle nostre "riunioni", nelle quali non sono concretamente ammesse le giustificazioni - norma che e’ inaccettabile non solo perche’ rischia di paralizzare le strutture (che vanno spesso avanti in palesi situazioni di illegalita’ formale), ma soprattutto perche’ non riconosce che un professore universitario, puo’, almeno in alcuni momenti, davvero avere il proprio cervello impegnato con "altro"(ma questo evidentemente non lo puo’ capire chi non si e’ mai trovato in siffatta condizione mentale).
Cosa fare davanti a questa offensiva che privilegia gli ambiti della bruta economia su quelli dello spirito, fiaccando tutti a livello ideologico-psicologico con la ripetizione ossessiva dello slogan che non c’e’ nulla da fare, che opporsi e’ stolto, e che il nostro paese non ce la farebbe piu’ a "sopravvivere" da solo? Purtroppo gli avversari sono abilissimi (come mi fa osservare un coltissimo corrispondente, giocano con il Bianco e con il Nero), e contentano i ricercatori, assicurando loro il tanto agognato ingresso nella docenza (che se in certi casi e’ piu’ che meritato, in altri non lo e’ affatto), gli associati, concedendo una sostanziale equiparazione funzionale agli ordinari, etc., come dire, la strategia di solleticare tutti gli egoismi, perche’ non ci si accorga che nel frattempo la citta’ viene occupata, e che sara’ difficilissimo per le generazioni future tornare indietro, come comunque dovra’ necessariamente accadere. Penso che l’unica risposta a tale interrogativo sia occupare il piu’ possibile i FALSI spazi dell’autonomia (si veda quanto ne dice Panebianco), e far si’, in sede di definizione dei prossimi assetti didattici, che venga nei fatti eluso quanto paventa il collega Gallavotti (sul N. 2 della rivista "Punti Critici", "Venti di riforma universitaria e avventatezze"), esprimendo tra l’altro la seguente considerazione (assai simile ad altra che vi proposi qualche tempo fa):
"Si dice che cosi’ sia gia’ all’estero. Lo scopo e’ produrre laureati in grado di svolgere operazioni del livello del battere ordini su computer, perche’ l’industria ha bisogno di tali "laureati", docili e passabilmente abili esecutori di ordini superiori: ma, ad esempio nelle scienze esatte, non si capisce dove si formeranno i quadri per l’elaborazione di idee e lo sviluppo di tecnologie nuove e originali. Continueremo ad acquistare all’estero brevetti sorpassati, perseguendo una tendenza che ci porta ad un ruolo subalterno agli altri paesi e, in definitiva, a una limitazione della nostra liberta’ e indipendenza? ... E’ falso che all’estero l’insegnamento superiore vi sia svolto nel modo che si vorrebbe introdurre in Italia...".
Chi ci costringe infatti, nel nostro particolare caso, a esporre gli studenti dei primi tre anni "a una gran varieta’ di strumenti matematici ... rinunciando in prima approssimazione a tutti i dettagli", a "rimandare l’approfondimento" degli argomenti, che sono invece fondamentali!, a un secondo non troppo ben individuato momento (come suggerire di costruire una casa dal tetto, rinviando a dopo le fondamenta! - cito da documenti che vanno in giro, e che temo orienteranno la maggior parte delle decisioni che verranno prese dai passivi e dagli acritici)? Chi ci costringe a non tenere conto, in quelle 500 ore o 1000 ore o altri simili numeri casuali, della lettura, dello studio, della preparazione delle lezioni, delle tesi, dei seminari, etc.?
Mah, non voglio essere troppo lungo, e rimando l’analisi di questo momento pratico ad altra occasione, invitando comunque tutti coloro che continuano ad avere buon senso e buona volonta’ a rimanere vigili, e soprattutto a far sentire il peso di una forte disapprovazione culturale nei confronti di tutti i corifei delle riforme "progressiste", che ci tengono comunque ad avere una pubblica approvazione. Quanto al piano piu’ generale della "speranza storica", mi conforta il seguente pensiero (non mio), che ho apposto per ricordarmelo sempre sulla porta dello studio: "In tempi nei quali molte verita’ sono taciute, avvilite, mortificate, non rimane altro compito che testimoniare per esse, preparando con estrema rigorosa razionalita’ le premesse filosofiche, etiche, scientifiche, tecnologiche per il momento in cui questo sistema assistera’ impotente al suo inevitabile crollo".
Sempre un grazie per l’attenzione e cordiali saluti
dal vostro Umberto Bartocci
P.S. Chi ha perso qualche "puntata", o non ha letto il materiale a cui faccio riferimento, o desidera qualche chiarimento su alcuni punti, puo’ naturalmente scrivermi, e saro’ lieto di accontentarlo...
PARTE IV
Cari colleghi,
ho ricevuto al pari di tutti voi la nuova comunicazione del Prof. Ancillotti come (non troppo apprezzato) regalo di Natale, e ho saputo che qualcuno, qui e altrove, ha subito detto: chissa’ cosa scrivera’ stavolta il Bartocci...
In effetti, avevo preparato una risposta assai cattiva, alla quale rinuncio all’ultimo momento, sia in virtu’ dell’atmosfera natalizia, sia perche’ sono davvero molto stanco di dover dedicare tanto impegno alla difesa di "cause perse" (dalle questioni di relativita’ alla storia della massoneria, etc., il tutto dilatato a dismisura da un Internet che ti bombarda di mails, tutti ansiosi di immediata risposta), e non voglio continuare a essere invischiato in improduttive polemiche senza fine. Sono stufo di dover passare ore ed ore davanti al computer a scrivere, con il rischio di essere considerate un grafomane, e preferirei dedicare il mio tempo anche ad altre attivita’. Del resto, nel corso delle mie disordinate letture mi sono imbattuto nella singolare figura della mistica Veronica Giuliani (1660-1727), definita "grafomane contro voglia", per le sue circa 22.000 pagine di diario impostole dal confessore, non vorrei fare la stessa fine (temo di esserci assai vicino).
Nel nostro caso, la "difesa" dell’Universita’ deve essere un compito comune, e se molti di noi preferiscono rinchiudersi nel loro "piccolo", senza capire che la campana suona anche per loro, amen.
Vi scrivo comunque queste ultime righe, in attesa di riprendere piu’ in grande tutto il discorso al tempo delle elezioni rettorali di primavera (durante il quale cerchero’ di dare piu’ fastidio possibile ai "chierici" troppo zelanti), dicendo che naturalmente non mi piace questa che ritengo soltanto un’iniziativa demagogica, che non potra’ che avere nuove conseguenze morali negative, o nulle, sui nostri Atenei. Chiamare gli studenti a pronunciarsi in modo istituzionalmente forzato sul "gradimento" dei corsi, al di fuori dei loro propri legittimi modi di esprimere consensi, e disagi, non mi sembra una grande cosa, tanto piu’ con i modi "spettacolari" con cui essa e’ stata organizzata (pensate all’impatto delle annunciate "visite" sugli studenti, forse ispirate a quanto e’ scritto: "il giorno del Signore verra’ come viene un ladro nella notte" - mi chiedo se e’ OBBLIGATORIO stare li’ con aria spiritosa, o imbarazzata, come prescrive, o invita?, Ancillotti: "in presenza del docente", anche queste ambiguita’ danno fastidio), non si poteva ricorrere piu’ tranquillamente all’organizzazione dei Consigli di Corso di Laurea?
Mah, quello che mi irrita ancora di piu’ e’ che si siano create atmosfere da "pensiero unico", da "arco costituzionale", nelle quali ogni espressione di perplessita’ diviene automaticamente condannabile. Chi critica ha qualcosa da temere, privilegi da difendere, da una parte i "buoni", dall’altra i "cattivi", i nostalgici. Un po’ come capita per l’iniziativa che immagino conoscerete del collega Galli della Loggia, perche’ non tappezzare anche le aule universitarie di quella foto? Chi osa dire apertamente quello che molti pensano di nascosto rischia alquanto (non dico processi di Norimberga, ma quasi, fatte le debite proporzioni), e per criticare ci vogliono delle "patenti" di assoluta credibilita’, come quella esibita da Massimo Fini ("Il Messaggero", 29.12.99, p. 21), che sottolinea piu’ volte di essere figlio di un’ebrea.
Termino, per i cultori del "sogno americano" che stanno dequalificando le nostre Universita’ tramutandole in covi di piccoli burocrati (salvo gli ovvi centri di eccellenza, che chissa’ quando il nostro paese riuscira’ a possedere), con qualche istruttiva citazione (alquanto libera) da un romanzo recentemente letto per puro caso (A. Cross, "In ultima analisi", Mondadori - l’autrice e’ un’americana, docente universitario di letteratura inglese).
"Qui i docenti sembravano soffrire piu’ che altro per il fatto di essere alle dipendenze non gia’ di un’istituzione scolastica, bensi’ di un sistema burocratico, con una particolare passione per i moduli da compilare. Praticamente erano degli impiegati, seppelliti da circolari e carta bollata, e al pari degli impiegati si procuravano l’illusione della liberta’ sfogandosi a mettere in ridicolo i regolamenti di cui erano succubi.
Kate rivolse un pensiero affettuoso alla sua universita’, dove c’era da combattere contro gli antichi vizi del favoritismo, dell’adulazione e della simonia, ma dove gli orrori della moderna macchina burocratica ancora non erano arrivati a soffocare lei e i suoi colleghi
- Quanti avvisi di riunioni interne ha ricevuto, per discutere di ogni argomento concepibile sulla faccia della terra? ... Una volta ricevetti una circolare in cui si chiedeva la mia partecipazione a una riunione per discutere su come dare ai docenti piu’ tempo per l’attivita’ creativa. Risposi che secondo me l’unico modo era di non indire riunioni per discuterne.
- Sono troppo vecchia ormai per lasciarmi scandalizzare ogni volta dal fatto che la coruzione e’ il sistema di vita imperante, e che a ogni cerimonia per la consegna delle lauree tutti i discorsi lamentano il dilagare della corruzione.
- Mi dicono che ha vinto la cattedra, congratulazioni.
- Chi glielo ha detto? Ma non dovrebbe farmi le congratulazioni, bensi’ le condoglianze."
Infine, la perla piu’ bella, adatta proprio all’occasione:
"Il fatto era che i giovani non sono in grado di giudicare le persone. Tra i suoi colleghi all’universita’ Kate aveva visto troppe mezze calzette riscuotere l’entusiasmo degli studenti, e troppi ottimi cervelli, seppure un po’ sul pesante, messi alla berlina. Nelle reazioni degli studenti poteva esserci forse un fondo di giustizia, ma Kate non era disposta a rischiare tutto sull’opinione di ventenni che compensavano con la spavalderia quello che mancava loro in saggezza".
Grazie ancora una volta a tutti per l’attenzione,
il vostro UB
P.S. Scusate, avevo dimenticato proprio la perla piu' bella, adattissima all'occasione!
"Il fatto era che i giovani non sono in grado di giudicare le persone. Tra i suoi colleghi all’universita’ Kate aveva visto troppe mezze calzette riscuotere l’entusiasmo degli studenti, e troppi ottimi cervelli, seppure un po’ sul pesante, messi alla berlina. Nelle reazioni degli studenti poteva esserci forse un fondo di giustizia, ma Kate non era disposta a rischiare tutto sull’opinione di ventenni che compensavano con la spavalderia quello che mancava loro in saggezza".
Allegato:
Caro Rettore,
ricevo la lettera del suo Delegato per la Didattica, e le scrivo sperando che anche lei condivida certe perplessità, che con diverse sfumature sono presenti per la verità in non pochi docenti (chissà perché per esempio non si è pensato a forme di gestione meno spettacolari delle annunciate "visite" durante le lezioni, ricorrendo all’organizzazione dei Consigli di Corso di Laurea).
Nonostante si dica che la politica sia l’arte del possibile, io sono qui invece a proporle qualcosa di impossibile. Lei ha oggi l’opportunità di dare a tutti un grande esempio nel nostro piccolo ambiente: perché non si dimette, dissociandosi da certe impostazioni, e sciogliendo una Giunta che non credo proprio passerà alla storia come un fulgido esempio di retta filosofia, di scienza e di intelligenza?
Siamo arrivati al punto che girano documenti come quello che sa, redatto in vernacolo perugino, che alcuni colleghi mi scrivano (come già le comunicai) bastardi , oppure mascalzoni . Diversi poi, senza arrivare a questi estremi, mi dicono che hanno ancora una decina d’anni prima della pensione, e che se questa è la minestra che bisogna mangiare, allora tanto vale farsela trovare se non appetibile almeno non ripugnante. Vuole davvero continuare a reggere un’Università che versa oggi, in una sua parte non irrilevante, in queste condizioni morali? Oggi lei si trova in una posizione per cui una sua decisione può quanto meno sollecitare certe coscienze alla riflessione. Per citare la conclusione di un famoso libro, nelle sue mani è la scelta tra il regno e le tenebre...
Spero mi perdonerà se faccio il "rompiscatole", ma purtroppo giunto alla mia età sento forte il DOVERE di difendere quello che resta dell’Università nei confronti dei professori che mi hanno a suo tempo cooptato in seno ad essa, spero molto che lei possa almeno comprendere le ragioni che mi ispirano,
Perugia, 1.1.2000
Qualche commento:
1 - Subject: Re: Commento alla lettera di Ancillotti...
Caro Umberto,
come sempre c'e' del vero in cio' che scrivi, ma
occorre porre dei freni a una sorta di malcostume accademico
che e' molto lontano dal mondo puro e onesto dei matematici,
ma dilagante in altre facolta' ove i corsi di laurea sono
seguiti da un numero altissimo di studenti molti dei
quali scarsamente preparati.
Questo "controllo" servirebbe a frenare:
1. professori che non fanno lezione regolarmente;
2. professori che NON sono a disposizione per chiarimenti,
neanche nel cosiddetto "orario di ricevimento";
3. professori che sono presenti "a tratti" durante i propri
esami di profitto.
E' ovvio che tu sei a conoscenza di questi e altri problemi
piu' di me, e dunque mi scuso di ricordarti queste
banalita'.
Sono pienamente d'accordo sulla linea di porre un freno
ad uno strapotere malutilizzato che offende tutta
la categoria e ci proietta nel mondo esterno nel
peggior modo possibile!
Certamente ci dobbiamo chiedere se le proposte di
"verifica" dell'operato dei professori siano valide.
Personalmente credo che dovremmo semplicemente
applicare la legge (molto piu' saggia di invenzioni
"copiate" con estrapolazioni totalmente avulse
dal loro contesto culturale).
Un caro saluto
Carissima P.,
sempre grazie vivissime per la tua attenzione. E’ ovvio che non hai torto in cio’ che dici, ma non credo che sia questo il tipo di controlli che bisogna fare per eliminare il possibile malcostume che segnali. E’ naturalmente un problema di "moralita’ di ambiente", di cui hanno responsabilita’ in primis le autorita’ accademiche (Rettore, Presidi, etc.). Scommetti che con questa "demagogia" non cambiera’ proprio niente? (per esempio, ci saranno sui moduli domande relative a quanto il docente e’ disponibile per chiarimenti extra-lezione?!).
Io per me continuo ad essere sicuro (di certi "progetti" ho anche ricevuto recentemente, ahime’, autorevoli conferme) che si tratta in realta’ di passi verso una totale "regionalizzazione" dell’Universita’, da sottomettere ai due moderni idoli del "territorio" (imprese) e della politica locale (che vuole entrare nella gestione dell’Universita’ fino a mettere becco sulle nomine dei docenti), con quali effetti sulla "cultura" ti lascio immaginare...
Ciao, cordialita’, il tuo UB
2 - Subject: Re: Commento alla lettera di Ancillotti...
Caro Prof. Bartocci,
l'ultima parte del ventesimo secolo ha visto vincitrice in tutti i campi della cultura (sic!) una efferata banda di psicosociopedagoghimultimedialiinterattivi (e talvolta anche newage), la quale si e' dedicata con impareggiabile destrezza nella distruzione di tutto il distruggibile. Il fatto e' che (purtroppo per me), gran parte dei suoi accoliti e dei vari proseliti di complemento proviene da quel 68 che apriva ben diverse speranze ! Se la puo' consolare il male mi pare molto comune, lo stesso virus io riscontro nella dirigenza delle forze politiche tutte e dei loro elaborati. La speranza e' che quando il terzo millennio arrivera' davvero, possa spazzare via questi nullafacenti e nullaintendentifare di serio e costruttivo, magari con il nostro aiuto.
Con stima ed amicizia,
3 - Subject: Re: Commento alla lettera di Ancillotti...
Caro Umberto,
non ti preoccupare di sembrare un grafomane, prima di
raggiungere i livelli di Ancillotti devi mangiare ancora
molte pagnotte...
Di sotto affissa c'e' ad esempio una sua non sollecitata
riflessione in merito alla Scuola di Specializzazione per
insegnanti, accompagnata da una lettera di giustificazione
per questa sua intromissione... Ho ricevuto piu' lettere da
lui che da qualunque fidanzato, anche in giovane eta'!
Quanto alla sua febbre innovativa, preoccupati anche meno:
siamo un corpo docente parecchio vecchiotto (non a caso
comincia a diventare un problema di massa quello dei figli
di colleghi che frequentano la nostra universita') siamo
tutti stufi e spompati, se non ci si aggrega alle tue
esternazioni non e' per assenso colle sue... anzi il suo virus
e' meno contagioso dell'influenza di quest'anno.
Verranno i rappresentanti degli studenti in aula? Intanto
dovranno ritrovarli, questi rappresentanti, ci vorrebbe il
"Chi l'ha visto", e poi che male vuoi che facciano? Magari
i nostri studenti avessero il coraggio di dire chiaro cosa
pensano dei corsi che frequentano, anziche' commentarli solo
in privata sede!
Comunque ti do' ogni ragione specialmente in merito alle
polemiche e le contropolemiche, sembriamo, mi dispiace per
l'eco berlusconiana della similitudine, i famosi capponi
di Renzo...
Carissima,
grazie per il tuo interessante e divertente commento. Rispondo qualcosa in piu’ a P., ma a te chiedo: credi davvero che gli studenti possano avere "il coraggio di dire chiaro cosa pensano dei corsi che frequentano", visto che poi comunque con quei docenti dovranno sostenere gli esami?! E poi, che tipo di "maturita’" hanno gli studenti per esprimere giudizi che non si limitino a pure formalita’ tipo osservanza degli obblighi d’orario, di ricevimento, etc.? Se e’ solo questo che si cerca d’ottenere, resta comunque umiliante il fatto che il nostro ambiente non sappia far altro al riguardo che ricorrere a questi mezzi...
Sempre un caro ciao, il tuo UB
* * * * *
Conclusione: Volete sapere come e' andata a finire questa storia della valutazione dei docenti da parte degli studenti, con modalita' che non esito a ridefinire ridicole? I rappresentanti sono venuti nel giorno e nell'orda indicata, ma dopo una lunga attesa se ne sono dovuti tornare a casa perche' non erano disponibili i relativi moduli…