Mathematics may be defined as the subject in which we never know what we are talking about, nor whether what we are saying is true.
Essa viene spesso considerata "scherzosa", e corrispondente alla stessa opinione personale di Russell, uno di coloro che contribuirono a quella "rifondazione" della matematica che si verificò negli anni che vanno più o meno dal 1872 al 1931, e tuttora influenza, abbastanza sinistramente come diremo, ogni esposizione "moderna" della nostra disciplina, vale a dire la sua didattica (tanto universitaria quanto liceale).
In effetti, ancorché espressa in un modo spiritoso, conformemente a quello spirito umoristico che si dice posseggano in larga misura i nativi dell'isola oltre Manica, essa scherzosa non era affatto, e deve piuttosto interpretarsi quale una reazione del giovane Russell (che era nato proprio nel 1872) di fronte alle tracce di nichilismo che aveva dovuto avvertire l'anno precedente, quando assistette alla celebre conferenza che David Hilbert (il caposcuola dell'università di Göttingen, erede di una linea di tendenza che si apre con il princeps mathematicorum, Carl Friedrich Gauss) tenne nel corso del convegno internazionale dei matematici svoltosi a Parigi.
Di siffatti argomenti, e dei futuri tentativi dello stesso Russell di porre rimedio alla situazione (i quali potrebbero però assomigliarsi a un cadere dalla padella nella brace, poiché non appare secondo noi una valida alternativa la riduzione ch'egli propose della matematica alla logica), si avrà l'opportunità di parlare con maggiore dettaglio in altri corsi (qualche informazione al riguardo la si può comunque desumere da vari scritti reperibili nel sito web del presente autore). Qui basterà soltanto dire che noi imposteremo questo particolare di "Algebra 1" (dall'anno A.A. 2004/2005: "Algebra 1 con Elementi di Logica 1"), rivolto agli studenti principianti, tentando a nostra volta di reagire a tale nichilismo di fondo, che non investe naturalmente il solo pensiero matematico del '900, e che talora si presenta attenuato nelle vesti dello scetticismo e del relativismo. Tutti -ismi di chiara matrice darwinista, piuttosto sgradevoli da un punto di vista sociologico, ancorché presumibilmente ispirati dall'intento di favorire la "pace sociale", e che si cerca d'ordinario di celare sotto il belletto di un pragmatismo che oggi può addirittura definirsi una tendenza di ispirazione "imperiale". Nel fare ciò contrapporremo all'opinione di un altro dei geometri di Göttingen (anzi, l'ultimo, Hermann Weyl):
Una scienza non può, nella individuazione e definizione del proprio campo di indagine, andare oltre una rappresentazione isomorfa di esso. In particolare, ogni scienza rimane del tutto indifferente circa l'essenza dei propri oggetti. [...] La nozione di isomorfismo segna la ovvia insormontabile frontiera della conoscenza.
quella di Federigo Enriques:
Il matematico che nel suo sforzo di astrazione e nel suo desiderio di compiutezza ha purificato la logica discorsiva, si trova condotto a riconoscere che questa logica dell'intelletto postula un giudizio superiore della ragione, che lo porta al di là delle stesse matematiche ... Distinguere una logica della ragione che supera la semplice logica dell'intelletto non è comune fra i matematici. Il loro amore per ciò che è chiaro e preciso li induce volentieri a concentrare tutta l'attenzione sui criterii meccanici del rigore formale della deduzione o della definizione ... La discussione sulle definizioni mostra in molti casi quale senso logico più largo venga ad assumere il giudizio razionale.
con la pretesa di rispondere senza i comuni complessi di inferiorità alla provocazione che ancora oggi il noto logico-matematico Leon Henkin (professore emerito a Berkeley) propone con l'interrogativo:
Do mathematicians know what they are talking about?
Ecco, si spera che i frequentatori di questo mini-corso, o "corsetto", o "corsino" (espressioni che fanno inevitabilmente venire alla mente "professoretti" e "professorini", tutti termini conformi ai tempi oscuri che stiamo vivendo, e non solo per l'Università italiana), ne escano con la convinzione di sapere di cosa stanno parlando, o che almeno sia possibile saperlo, impegnandovisi un poco.
Un insegnamento quindi in una certa misura "rivoluzionario", nel senso letterale del termine (tornare indietro, d'onde le "rivoluzioni" dei pianeti), ma si tratta, come in fondo nel caso di ogni autentica "rivoluzione" della storia, di rimettere semplicemente le cose a posto.
Compiuto, sia pure così sommariamente, il passo dell'uscio, sempre il più difficile, informiamo che oggi un corso di Algebra (denominazione che andrebbe in effetti compresa e discussa a parte*) viene considerato generalmente propedeutico agli altri insegnamenti impartiti durante il primo anno di un corso di studi in matematica, anche se poi non riesce di fatto ad esserlo per molteplici motivi (ai quali, avendo taluni radici profonde, non riesce agevole ovviare). Lo intenderemo quindi un momento di riflessione blandamente "fondazionale", senza dimenticare da un lato quanto afferma Kant (Parte Seconda della Critica della Ragione Pura, Logica trascendentale, 1781):
Noi distinguiamo dunque la scienza delle leggi della sensibilità in generale, l'estetica, dalla scienza delle leggi dell'intelletto in generale, la logica.
A sua volta, dunque, la logica può esser presa da due punti di vista, o come logica dell'uso generale dell'intelletto, o come logica dell'uso speciale. La prima comprende le leggi assolutamente necessarie del pensiero, senza le quali non esiste punto uso dell'intelletto; e riguarda perciò l'intelletto astraendo dalla diversità degli oggetti ai quali può rivolgersi. La logica dell'uso speciale dell'intelletto, invece, comprende le leggi per pensare rettamente una specie determinata di oggetti. Quella si può chiamare elementare, questa invece organo di tale o tal'altra scienza. La seconda è fatta precedere per lo più nelle scuole a mo' di propedeutica delle scienze; sebbene, a seguire il cammino dell'umana ragione, essa segni in realtà l'ultimo termine, al quale essa arriva [...] Giacché, se si vogliono dare le leggi secondo le quali una scienza può essere fondata, bisogna già aver conoscenza degli oggetti in grado sufficientemente elevato.
da un altro lato, che la matematica (almeno in una fase iniziale) corrisponde, come siamo persuasi, a una investigazione sulle leggi dell'intelletto, sicché tutti gli esseri umani hanno familiarità almeno con la fenomenologia matematica che comprende, oltre alle semplici capacità logiche, quelle di saper contare e di saper misurare**. Orbene, lo studio ordinato delle menzionate "capacità" è il primo compito di chi si accinga a descrivere la materia che ci è cara.
Chiudiamo con una citazione opportuna, nel presente contesto, da Proclo di Costantinopoli (che scrisse nel V secolo DC un prezioso Commento al I Libro degli Elementi di Euclide, fortunatamente pervenutoci):
[i Pitagorici] ben sapevano che tutta la mathesis così chiamata, è una reminiscenza insita nelle anime, non venuta dal di fuori come le immagini delle cose sensibili che s'imprimono nell'immaginazione [...] come risvegliata dall'apparire di fatti, e sospinta dall'interno dalla stessa riflessione rivolta in se stessa...
e andiamo a cominciare.
* Al-jabr wa'l muqabalah è il titolo di un'opera composta dal matematico arabo al-Khuwarizmi a Baghdad nella prima metà del IX secolo DC. Nella traduzione latina, effettuata da Roberto di Chester nel XII secolo, il titolo venne reso con Liber algebrae et almucabola. Secondo il testo di storia della matematica del Boyer (cfr. il Breve profilo... citato al termine di questa introduzione): <<Non si sa con certezza quale sia il significato esatto dei termini al-jabr e muqabalah [...] La parola "al-jabr" presumibilmente significava qualcosa come "restaurazione" o "completamento", e sembra si riferisca alla trasposizione dei termini sottratti da un membro all'altro dell'equazione; quanto alla parola "muqabalah", si ritiene che essa si riferisca alla "riduzione" o "equilibrio", ossia alla cancellazione dei termini simili che compaiono in entrambi i membri di un'equazione>>. Boyer aggiunge subito dopo che nel Don Chisciotte di Miguel de Cervantes, pubblicato in due parti nel 1605 e nel 1615, <<viene usata la parola algebrista a proposito di un guaritore capace di rimettere a posto o "restaurare" dislocazioni delle ossa>>, e in nota che l'interpretazione precedente dei termini che compaiono nel titolo dell'opera di al-Khuwarizmi: <<è stata messa in dubbio da Solomon Gandz [...] Gandz ritiene che "jabr" fosse un termine assiro per equazione, e che "al muqabalah" non sia altro che la traduzione araba di "al-jabr">>. Naturalmente, il corso di Algebra che lo studente segue nelle università del XXI secolo ha direttamente poco a che fare con l'antica Algebra degli Arabi. Per quanto riguarda la storia di tale insegnamento nel nostro paese, lo scrivente rammenta che, quando si iscrisse al Corso di Laurea in Matematica presso l'Università di Roma nell'Anno Accademico 1962-63, era quello soltanto il secondo anno in cui si insegnava l'Algebra agli studenti principianti, e che la detta novità didattica fu introdotta grazie all'iniziativa del Prof. Lucio Lombardo Radice ricordato in epigrafe (che probabilmente non fu il solo a operarsi in questo senso, ma non abbiamo notizie precise da riportare in proposito). Professore ordinario di Geometria presso il detto Ateneo, si occupò appunto dal 1961-1962 anche dell'Algebra, scrivendo tra l'altro uno dei primi testi italiani della materia, Istituzioni di Algebra Astratta (con esercizi a cura di Vassili Corbas e Gianfranco Panella, Feltrinelli, Milano, 1965; questa edizione fu invero preceduta da una versione "ridotta", Ed. La Goliardica, Roma, senza data, ma verosimilmente appunto 1961-62), che esercitò notevole influenza su tutti quelli che lo seguirono. Ricordarlo oggi, sia pure con poche parole, ci sembra il modo migliore per onorarne la memoria, e il debito di gratitudine che serbiamo nei suoi confronti (di cui non eravamo del tutto consapevoli quando ci fu fatto l'onore di collaborare con lui per l'attività didattica inerente tanto il corso di Geometria quanto quello di Algebra - chi scrive le presenti note di Algebra è infatti in realtà, come Lombardo Radice, professore ordinario di Geometria).
** Secondo F. William Lawvere [Teoria delle categorie - Un'introduzione alla matematica (Matematica concettuale), Muzzio, Padova, 1994]: <<Possedete già un'enorme quantità di conoscenze matematiche. Avete iniziato a collezionarle nell'infanzia [...] Si potrebbe scrivere un libro intero semplicemente elencando tutte le cose matematiche che conoscete. Può darsi che questo libro aggiunga qualche tesoro alla vostra collezione via via che lo leggete, ma non è questo il suo scopo. Piuttosto speriamo di insegnarvi a ordinare la miniera di informazioni che già avete perché siate in grado di trovare lo strumento giusto quando vi serve, e perché le nuove idee e i metodi che acquisirete nella vita possano anch'essi trovare posto assieme agli altri. Potrete imparare, impegnandovi in questo senso, concetti generali che attraversano i confini artificiali tra aritmetica, logica, algebra, analisi, ecc.>>. Ecco, tali parole possono benissimo costituire il "manifesto" anche di questo corso di Algebra...
A proposito delle "convenzioni comunicative" di questo libro. Nonostante si cercherà in quel che segue di spiegare accuratamente tutto (nomenclatura e simboli che saranno necessari al fine di rendere concisa l'esposizione; banale stenografia, che si auspica non abbia a tramutarsi per qualcuno nel latinorum di Don Abbondio), senza richiedere alcun tipo di prerequisito, vuoi di altri corsi "paralleli" (il che sarebbe illecito, in forza di quanto dianzi asserito sulla propedeuticità della materia specifica), vuoi di precedenti studi di scuola secondaria, le convenzioni in titolo sono ovviamente numerosissime, dal momento che appare impresa impossibile proporre un qualsiasi testo che non presupponga un proprio contesto interpretativo. Nel caso particolare poi, la nostra "filosofia" ci indurrà a fare riferimento a taluni portati dell'intuizione ordinaria, relativi ai numeri naturali e allo spazio ordinario, e al riconoscimento di loro fondamentali "proprietà", come a semplici "dati di fatto", salvo la terminologia opportuna per esprimerli. [Si vedano però gli "aggiornamenti" a questa tesi esposti in http://www.dipmat.unipg.it/~bartocci/mat/fondam.htm.] A questo riguardo, concludiamo ricordando che è usuale denominare lemmi (l h m m a , da l a m b a n w , ciò che si prende, nella logica classica una delle due premesse - la maggiore o la minore - di un sillogismo) piccole "verità" che vengono appunto di solito premesse al conseguimento di maggiori verità, ovvero teoremi (da q e w r e w , d'onde anche "teoria", vedere, osservare, esaminare, considerare). Corollari saranno invece dirette (o tali dovrebbero essere) conseguenze di enunciati più generali (verità che "coronano" verità precedenti; corollarium ha origine da corolla, o piccola corona). Di natura un po' diversa da quella dei corollari saranno per noi i porismi, che potrebbero essere intesi come corollari di una data dimostrazione, e non del puro enunciato che essa assevera. Il termine discende etimologicamente da p o r i z w , procurare, guadagnare, e significa quindi in qualche senso "ciò che si ottiene" (non ha nulla a che vedere con aporia, a p o r i a , che è formato da un'alfa privativa applicata a p o r o V , che vale passaggio, via, ma anche mezzo, risorsa, e indica letteralmente mancanza, privazione, e allora per traslato dubbio, difficoltà, o, tecnicamente, contraddizione). L'uso del concetto sarà più chiaro dopo aver letto quanto ne dice Proclo: <<Propriamente si usa quando dalle cose dimostrate viene alla luce un altro problema che non ci era stato proposto [...] quasi che sia un acquisto accessorio e gratuito della dimostrazione scientifica>>; <<Il porisma è dunque un teorema che è messo in evidenza senza sforzo dalla dimostrazione d'un altro problema o teorema. E sembra che noi c'imbattiamo nei porismi come per caso, ché si presentano senza essere stati né proposti né cercati; per questo li assimiliamo a un colpo di fortuna>>.
[Avvertiamo pure che le presenti "dispense"
sono una sorta di "sottoprodotto" del nostro progetto on line Elementi
di Matematica, reperibili all'URL: http://www.dipmat.unipg.it/~bartocci/mat/elementi.htm,
nel senso che le pagine seguenti costituiscono un estratto (a volte quasi
completo) dei primi capitoli di tale opera. Esse sono pensate come un supporto
didattico dedicato in maniera specifica allo studente principiante,
con diversi esempi elementari, spezzettamenti dei casi generali, ripetizioni,
tutti elementi che giocano a sfavore di un'"economia di pensiero", ma che
si spera abbiano altri loro aspetti positivi. Informiamo inoltre che, pur
se saranno fornite per comodità del lettore talune indicazioni storiche,
qualche notizia più dettagliata la si potrebbe volendo rintracciare
nell'appendice ai detti Elementi..., intitolata Breve profilo
storico della matematica, in corso di completamento.]
Appendice su: il "metodo" scientifico
Quando usiamo questo termine, intendiamo semplicemente riferirci per esempio alle seguenti parole di Galileo, che si ispirano al puro "buon senso", e coprono "intuitivamente" sia il campo dei giudizi sintetici a posteriori (esperienze), sia quello dei giudizi analitici (necessariamente a priori; logica deduttiva, o consequenziale), né escludono il possibile ruolo di giudizi sintetici a priori nell'edificazione di ogni "sistema del mondo":
<<Pare che quello degli effetti naturali che o la sensata esperienza ci pone dinanzi a gli occhi o le necessarie dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno esser revocato in dubbio>> (da una famosa lettera a Cristina di Lorena, 1615).
Sulla stessa lunghezza d'onda del "razionalismo galileiano", il "metodo" di Cartesio pone costantemente a proprio fondamento <<la certezza evidente come criterio di verità ('omnis scientia est cognitio certa et evidens'); l'intuito come luce di ragione, come strumento per giungere alla verità, integrato dalla deduzione [...] come estensione dell'intuito; le nature semplici; il loro ordine, come catene di verità che si articolano in una totalità; l'enumerazione e la memoria intellettuale in quanto determinano il concreto estendersi dell'intuito alla totalità delle verità>> (Eugenio Garin, "La vita le opere di Cartesio", in: Cartesio, Opere filosofiche, Laterza, Roma-Bari, 1967, vol. 1, p. LXV).
Citiamo esplicitamente dal Discorso... di Cartesio (Discours de la méthode pour bien conduire sa raison et chercher la vérité dans les sciences, 1637) un brano che dovrebbe essere sempre tenuto presente da chiunque voglia avventurarsi nel terreno della conoscenza utilizzando gli strumenti della ragione e dell'esperienza (gli unici a disposizione dell'essere umano, dovendosi escludere, per ovvi motivi, ogni possibilità di "rivelazione divina", o in qualche modo "soprannaturale" - la questione invece delle eventuali "rivelazioni umane", ovvero della presenza dell'esoterismo anche in campo scientifico, è tutt'altra faccenda):
<<Siccome la moltitudine delle leggi porge spesso delle scuse ai vizi [...] in luogo del gran numero di precetti di cui la logica è composta, credetti d'averne abbastanza dei quattro seguenti [...] Ed il primo era, di non accettare mai cosa alcuna per vera quando non la riconoscessi evidentemente per tale: cioè, di evitare studiosamente la precipitazione e la prevenzione; e di non accogliere nei miei giudizi nulla di più di ciò che si presentasse sì chiaramente e distintamente al mio spirito da non poter avere motivo alcuno di metterlo in dubbio. Il secondo, di dividere ogni difficoltà, ch'io esaminassi, in parti elementari fino al limite del possibile e quanto sarebbe richiesto per trovarne la miglior soluzione*. Il terzo, di condurre per ordine i miei pensieri, cominciando dagli oggetti più semplici e più facili da conoscere, per salire a poco a poco e come per gradi alla conoscenza dei più complessi, e perfino supponendo un ordine anche tra gli oggetti che per natura non succedono gli uni agli altri. E l'ultimo, di fare, in ogni argomento, enumerazioni così complete e verifiche così generali da esser sicuro di nulla omettere. Quelle lunghe catene di ragioni, tutte semplici e facili, di cui sogliono valersi i geometri per giungere a conchiudere le loro più difficili dimostrazioni, m'avevano offerto occasione di supporre, che tutte le cose le quali possono cadere sotto l'umana conoscenza si susseguono allo stesso modo, e che, purché appena si badi a non riceverne alcuna per vera, che tale non sia, e purché si osservi costantemente l'ordine necessario per poterle dedurre le une dalle altre, non ce ne possano essere di così lontane alle quali alla fine non si arrivi, né di sì nascoste che non si possa scoprirle>>.
Epilogo. A certi rinnovati attacchi al "cartesianesimo" - il più grave dei quali, sebbene "indiretto", ci sembra quello di Morris Kline (nell' Introduzione a Matematica la perdita della certezza, Oxford University Press 1980; Mondadori 1985): <<La speranza di trovare leggi e standard oggettivi e infallibili si è dissolta: l'Età della Ragione è ormai finita>> (enfasi aggiunta) - si può rivolgere il medesimo commento che Galileo (Dialogo III) indirizzò ai Peripatetici della sua epoca (tristi epigoni del grande Aristotele): <<Applaudo al consiglio di questi vostri Peripatetici, di distorre i loro scolari dallo studio della geometria, perché non ci è arte alcuna più accomodata per scoprir le fallacie loro>>.
* Diamo a tale procedimento il nome di analisi, anche se purtroppo l'uso della parola non ci appare univoco. Secondo una definizione che risale a Pappo, e che viene così presentata da Massimo Mugnai (nel quaderno della rivista Le Scienze dedicato a Leibniz, 2003, p. 23): <<l'analisi è quel procedimento che, in matematica, a partire da certi dati permette che si risalga alle loro condizioni o ai principi generali che li determinano>>, ma questo non ci sembra esattamente la stessa cosa che scomporre una affermazione complessa nei suoi costituenti elementari (proposizioni "atomiche"), i quali appunto potrebbero non essere affatto dei "principi" (sebbene la loro verità dovrebbe poi a sua volta essere provata attraverso un processo di deduzione dai principi). Preferiamo allora, per evitare equivoci, utilizzare nel caso indicato da Pappo il termine abduzione, che descrive quell'attività dell'intelletto per cui, data una proposizione p, si cercano altre proposizioni q tali che q Þ p, mentre procedere in senso opposto, cioè lavorare su catene del tipo p Þ r etc. lo si chiama ovviamente deduzione. Per completezza, aggiungiamo che si denomina invece sintesi (che non ha a che fare, se non alla lontana, con la "sintesi" hegeliana, la quale risolve, ma solo nella storia, un'opposizione tra tesi e antitesi; le vere antinomie della ragione, pura o pratica, le coppie di "opposti" come le forme pure dell'intuizione trascendentale, tempo e spazio, non ammettono alcuna sintesi) il procedimento inverso dell'analisi, ossia, la costruzione di una proposizione complessa da proposizioni elementari (ma non necessariamente "inverso" nel senso che gli "atomi" di partenza erano stati ottenuti da una fissata proposizione complessa mediante un processo di analisi). Infine, che si indica con il termine induzione il procedere del pensiero da casi particolari al generale, e tale è, per esempio, la modalità con la quale si stabiliscono le leggi fisiche, la cui possibile "universalità" viene concepita a partire da determinate e contingenti esperienze, inevitabilmente quindi parziali. La velocità della luce è veramente "costante" ovunque, diciamo qui sulla Terra (o nel nostro sistema solare), e negli spazi interstellari, dove le condizioni di gravità (densità dello "spazio") sono verosimilmente (in conformità cioè a certe concezioni sulla natura dello spazio fisico) assai diverse? Finché non si va a "verificare" non si può asserire nulla di definitivo, ma è legittimo "indurre", avendo qualche "buona ragione" (con l'eventualità che si riveli alla resa dei conti sbagliata!) alla base dell'induzione. Un procedimento che è senz'altro rischioso, ma di cui non si può fare a meno, e del resto bisogna conoscere e accettare a priori i limiti della scienza empirica (che comunque non è sempre e unicamente di origine induttiva), presentando in seguito "onestamente" la conoscenza che proviene da siffatte "proiezioni" come soltanto "possibile", "probabile", e non "certa", "sicura". In ogni caso, ciò non dovrebbe però fornire un pretesto per "confondere", e privare l'individuo dell'unica fede ammissibile, vale a dire la fiducia nella propria ragione ed esperienza (ancorché soggettiva e relativa). Abbiamo illustrato nella presente nota tutte "capacità" dell'intelletto, della stessa specie del saper fare di conto e del saper costruire e confrontare "misure", la cui investigazione rappresenta lo scopo di quella disciplina che si chiama logica. Una materia che, pur essendo a fondamento della matematica (e per taluni versi alquanto "simile", massimamente in alcune sue trattazioni formali), oltre che largamente utilizzata nei procedimenti della scienza in parola, non va riguardata invece facente parte strettamente di essa, nel senso (aristotelico) che la logica generale non ha lo stesso oggetto d'indagine della matematica: questo è propriamente lo studio del discreto e del continuo, della quantità e della misura, dell'ordine e della forma, e delle loro "generalizzazioni".