Un aggiornamento della precedente "pagina finale"
Ancora a proposito del duplice fondamento intuitivo della matematica, e della genesi top-down del concetto di "numero"




L'impegno profuso negli ultimi mesi intorno al saggio dedicato ai paradossi di Zenone (inclusa l'appendice sul discreto e il continuo; d'ora in poi "Zenone", o "appendice"), pubblicato in Episteme N. 8:

http://www.dipmat.unipg.it/~bartocci/ep8/ep8.htm

ha portato - dobbiamo ammettere piuttosto a sorpresa! - a nuove conclusioni riguardanti l'argomento di cui in titolo. La circostanza costringe quindi ad alcune modifiche della precedente "pagina finale", che comunque manteniamo perché riteniamo istruttivo pure il passaggio dall'una all'altra, testimonianza di un'evoluzione del pensiero, ma non degli oggetti di esso (cfr. quanto di dice in "Zenone" sulle parole di Pietro Martinetti prescelte quale motto per Episteme N. 6, parte I).

Di seguito esporremo dunque i risultati di una più approfondita investigazione sulle leggi dell'intelletto, relativa al duplice fondamento della matematica costituito dalle "intuizioni" contrapposte del tempo e dello spazio, del discreto (aritmetica) e del continuo (geometria), e alla conseguente genesi del concetto di numero mediante un'unica operazione di misura, effettuata vuoi a partire dalla retta temporale T (una particolare specie di spazio ordinato discreto), sia dalla retta spaziale R (una particolare specie di spazio ordinato, ovunque non discreto e completo, i.e., un continuo di II specie, cfr. "appendice"). Tale investigazione mette in evidenza che le precedenti riflessioni, seppure corrette nei loro sviluppi, sono "inadeguate" quanto alla genesi dei numeri naturali, lì assunti come punto di partenza non ulteriormente analizzato (vedi "Zenone", nota 43, sul concetto di scientia come adaequatio).

Un confronto tra la tabella proposta anteriormente, asimmetrica, e quella nuova che segue, perfettamente simmetrica, non potrà non far comprendere che la parte sinistra della prima (la parte temporale), era inopportunamente "zoppa". Tale accentuata disomogeneità non aveva, come vedremo, ragioni "ontologiche" di essere, e la sua stessa presenza avrebbe dovuto metterci sull'avviso che qualcosa non andava. Pazienza, questo cammino è stato lungo e impegnativo, sebbene mai veramente "difficile" (forse è stato più laborioso liberarsi dai condizionamenti ricevuti nel periodo di formazione, alla luce di "filosofie" che oggi riteniamo del tutto negative). E ci preme respingere subito un'obiezione: non si tratta di essere afflitti da quel <<furore simmetrico>> rimproverato da Arthur Schopenhauer alla teoria kantiana delle categorie (vedi l'epigrafe all'appendice della parte II, cap. I, delle dispense). Quello tra T ed R, e le costruzioni matematiche che ne discendono, è un parallelismo assolutamente non forzato, che si scopre del tutto naturale, quando si analizzino per bene certi concetti. Inutile avvertire, in fine di preambolo, che la lettura dei due articoli sopra menzionati, soprattutto dell'appendice (dalla quale riprendiamo tutte le convenzioni terminologiche e simboliche), da parte degli studenti di matematica a cui le presenti pagine sono precipuamente rivolte, consentirebbe una maggiore comprensione di quanto verrà adesso sinteticamente illustrato.

Ogni elaborazione di concetti matematici prende le mosse dalle due citate "intuizioni", un'analisi delle cui proprietà elementari, e reciprocamente differenzianti, è alquanto complessa, e come tale alle origini di ogni indagine matematica propriamente intesa. Si tratta di caratteristiche a priori dell'intelletto umano, innate, collegate cioè alla sua particolare conformazione (fisiologica), non frutto di esperienza, bensì presupposti (le riflessioni di Kant sulla questione rimangono insuperabili) della possibilità stessa dell'esperienza (della riflessione su di essa, ovvero del "pensiero"). All'inizio (oltre alle capacità logiche generali, che è forse opportuno inserire in un capitolo a parte, quali i principi di identità, di non contraddizione, del terzo escluso, sulla formazione dei sillogismi, etc.) si debbono ritenere solamente i due detti spazi ordinati T e R, due rette, ossia spazi "1-dimensionali" (si rimanda al par. 2 di "appendice" per un commento sulla non unicità dell'ordinamento nel caso di R).

[Per brevità trascuriamo di introdurre lo spazio ordinario S, 3-dimensionale, la cui considerazione precede in realtà, secondo noi, quella di T, che da S si deduce mediante un successivo procedimento di astrazione (già S è un concetto "astratto"). Come dire, che di insiemi realmente "universali" (comuni nella mente di tutti gli esseri umani) ne esistono solamente tre, il che si potrebbe riassumere in un'unica "equazione categoriale":
 
 


Ob°() = { Æ , T, S}


 






dove il simbolo "°" apposto al consueto Ob = objects sta naturalmente a ricordare che si tratta solamente degli oggetti universali, o "iniziali", della categoria in parola: ogni altro insieme viene generato da quelli indicati attraverso una serie di procedimenti di natura logica, che lo uniscono indissolubilmente al "tempo" (= "numero dei passi") in cui viene per così dire "generato": altro che Allklasse, classe totale, insieme di tutti gli insiemi, e paradossi a tali concetti collegati! Notiamo esplicitamente che è in effetti preferibile includere qui S anziché R, e che l'insieme vuoto Æ appare in un ruolo che ci sembra rammentare il "livello logico", oltre a quello spazio-temporale, all'origine delle riflessioni sulla matematica.]

Gli elementi di T e di R si dicono genericamente "punti" (nel linguaggio comune, gli elementi di T sono chiamati "istanti"). Quindi solo punti, e non "numeri e punti", come si credeva, e di conseguenza si insegnava, solo fino a pochi mesi fa.

Tanto per confortarci con un analogo parere di altri studiosi, nel sostenere una tesi tanto desueta per l'attuale spirito del tempo (ma che ci sembra corrispondere perfettamente alla descrizione che Aristotele fornisce dell'attività del "matematico" in Metafisica, XI, 3: <<Il matematico considera ciò che deriva dall'astrazione. [...] trattiene soltanto la quantità e il continuo, che in certe cose ha una sola dimensione, in altre due, in altre tre, e considera le proprietà di queste cose in quanto sono quantità e in quanto sono continue, e non le considera sotto nessun altro rispetto>>) citiamo Willem Kuyk, Il discreto e il continuo, Boringhieri, Torino, 1982, pp. 121-122.

<<L'ipotesi che ci siano (almeno) due differenti modi fondamentali per ottenere i concetti base di discreto e continuo trova pieno sostegno in ricerche epistemologiche quali quelle di Jean Piaget (vedi "Logique et connaissance scientifique", in Encyclopédie de la Pléiade, Gallimard, Parigi, 1969). Queste ricerche confermano come le cosiddette intuizioni spaziali si sviluppino, in modo relativamente indipendente dal concetto di numero naturale, durante il processo evolutivo. [...] Non è questo il luogo per entrare nei dettagli dell"epistemologia genetica" di Piaget; ci limitiamo a sostenere che le scoperte di Piaget legittimano da sole l'ipotesi che la matematica si basi su almeno due intuizioni fondamentali, l'intuizione del discreto e l'intuizione del continuo, ciascuna delle quali corrisponderebbe a un particolare tipo di esistenza, vale a dire l'esistenza nel senso del numero e del discreto e l'esistenza nel senso del continuo e della spazialità. [...] Riserviamo loro il termine qualità analitica per denotare il fatto che ricavarle dal mondo presuppone un'attività analitica da parte della nostra mente, sebbene qualsiasi epistemologia che spieghi il loro processo d'apprendimento sembri solo sfiorare ciò che realmente avviene>>.

A proposito dell'altro basilare dualismo tra reale e pensato (cfr. "Zenone"), aggiungiamo che l'autore sottolinea opportunamente, poco oltre (p. 123), che la storia della matematica si può interpretare <<come storia dell'emancipazione della matematica pura dalle scienze applicate>>, e peccato, che nella medesima pagina, voglia pagare invece il consueto tributo all'anti-kantismo (peraltro già accennato nelle ultime parole sopra menzionate), sostenendo che: <<Si potrebbe dire che finché c'è materia esistono il continuo e il discreto, anche se non ci fosse nessuno a concepirli. Il concetto che se ne ha, a sua volta, non è a priori, ma a posteriori, mentre la capacità mentale di cogliere queste qualità è innata (e differisce da persona a persona)>>. Se i modi di concepire il tempo e lo spazio fossero il risultato di un <<processo d'apprendimento>>, essi dovrebbero mostrarsi assai più "variabili" da individuo a individuo di quanto in realtà non appaia (ma bisogna saper leggere le "testimonianze" con quel grano salis che non tutti gli "studiosi" mostrano di possedere, o di voler tenere in conto).

[Qui si potrebbe aprire invero un discorso assai vasto, su alcune pretese "scoperte" dell'antropologia moderna, messe per esempio giustamente in ridicolo in "Due miti: il tempo hopi e la neve eschimese", nel cap. V di Keith Devlin, Addio Cartesio, Boringhieri, Torino, 1999. Un caso di testo che raccoglie invece parecchie "stoltezze" di questo genere è Norbert Elias, Saggio sul tempo (Il Mulino, Bologna, 1986); in esso si parla di popoli che <<non possedevano una parola per designare il "tempo">> (p. 178), confondendo così il pensato con il parlato (vedi "Zenone", nota 8 etc.), e come se la mancanza di analisi "culturale" del concetto di tempo significasse che questo non è universalmente concepito (concepibile) allo stesso modo, e quei popoli privi di termini adeguati non sapessero quanti "giorni" (o quante "lune") durava un viaggio mettiamo in un deserto, e quanti otri d'acqua fosse proporzionalmente necessario portarsi dietro. Ma dobbiamo di necessità sorvolare, ricordando comunque personalmente quanto l'influenza di siffatti miti sia stata nefasta nelle discussioni che si tenevano in taluni circoli su certi argomenti negli anni '60, citando con compiacimento analoghi lavori, infarciti di pregiudizi "modernisti", di "scienziati" quali Margaret Meade, Bronislaw Malinowski, etc..]

Presentiamo subito il nuovo diagramma, con cui cerchiamo di descrivere, ancora una volta sommariamente, i "fondamenti della matematica" (nel modo che abbiamo chiamato "intuitivo", e top-down), includenti la genesi del concetto di numero.
 
 



 






La nuova legenda. La figura si legge ancora dall'alto verso il basso. In alto si trova sempre naturalmente la "categoria" della logica generale. Nel piano successivo si trovano la retta temporale T e la retta spaziale R, gli enti matematici (precisamente, spazi ordinati con ulteriori proprietà) con cui si esprimono (non si "inventano", questo non è un gioco!) le caratteristiche delle due forme pure di tempo e spazio.

Si introducono poi i segmenti, di T o di R, come semplici sottoinsiemi del "sostegno" dello spazio ordinato di cui trattasi, individuati da un'arbitraria coppia (non ordinata) di punti distinti, che si chiamano estremi del segmento (intervalli chiusi propri, vedi "appendice").

Dai segmenti di T si "deduce" il semigruppo additivo dei "segmenti liberi" (Q ,+), mediante un passaggio al quoziente modulo la relazione di equivalenza indotta sull'insieme dei segmenti di T dalla relazione di preordine che esso naturalmente possiede (le frecce verticali indicano in genere il succedersi delle costruzioni logiche; non sono funzioni, tranne manifestamente quelle che nel diagramma, date le nostre convenzioni, designano applicazioni iniettive, cioè immersioni - peraltro, ce ne sono solo due verticali, che per di più vanno dal basso verso l'alto). (Q ,+) può considerarsi essere esattamente (N,+), il semigruppo dei numeri naturali, cioè Q = N per definizione. L'analogo spaziale di (Q ,+) viene detto (S ,+). Sottolineiamo che la costruzione che conduce ai due semigruppi fondamentali (Q ,+) e (S ,+) è sempre la stessa, mentre le loro proprietà variano in funzione di quelle della retta da cui hanno origine (discreta o continua). Le analogie tra i due semigruppi possono essere riassunte in termini di strutture algebriche semplici ordinate asserendo che si tratta di due semigruppi privi di "elemento neutro" (lo zero proverrebbe dalla considerazione degli intervalli impropri, due di essi risulterebbero ovviamente equivalenti nella relazione di preordine naturale), abeliani, regolari, ordinati, archimedei (vedi il punto 5 del par. 5 di "Zenone").

Il passo successivo consiste nell'introduzione della teoria della misura. Applicata a (Q ,+) essa genera i numeri razionali positivi, a (S ,+) i numeri reali positivi, sempre soltanto con l'operazione naturale di somma (oltre a una relazione d'ordine totale indotta dal preordine naturale di partenza, mediante considerazioni che vanno precisate in maniera opportuna). Per introdurre invece l'operazione di prodotto occorrono considerazioni speciali, che sembra più facile illustrare in ambito spaziale. Tale operazione appare infatti il risultato di una rilevante differenza tra tempo e spazio: il secondo ha più dimensioni, R si può immergere nel piano ordinario P, e lì possono svilupparsi considerazioni relative alla misura di superficie, le quali generano il concetto di prodotto, laddove ciò non è altrettanto lecito per T. Il tempo a più dimensioni non ha significato intuitivo, mentre il prodotto sembra essere un portato della pluridimensionalità. Un'altra differenza notevole tra numeri di origine temporale (che venivano detti, nel corso delle "dispense", esprimere quantità) e numeri di origine spaziale (che venivano detti esprimere misure, confinando però indebitamente tale termine al solo ambito spaziale) è che in (Q ,+) è possibile effettuare una "misura assoluta", e questa restituisce ovviamente "lo stesso" semigruppo (N,+) = (Q ,+), concepito stavolta però come insieme delle classi di equivalenza di coppie ordinate di segmenti temporali, di cui il secondo sia fissato, uguale al minimo elemento di (Q ,+), che in "Zenone" si è detto cronone (i due semigruppi in parola sono cioè "identici" a meno di un isomorfismo canonico).

Insomma, così come i numeri reali vengono dopo un'analisi delle proprietà "geometriche" di R, i numeri naturali e razionali vengono dopo una parallela analisi delle proprietà "aritmetiche" di T, strutturalmente identica all'altra più comune. Tutti i numeri però, compresi quelli naturali, possono riguardarsi in qualche modo delle "misure". Le differenze tra aritmetica e geometria continuano ovviamente a produrre conseguenze notevoli, ciò non toglie che l'affinità tra i due tipi di numero deve ritenersi assai più stretta di quanto non lasciasse presumere la precedente descrizione.

Sarebbe forse legittimo cercare di spingere l'analogia tra numeri di origine temporale e numeri di origine spaziale a un punto tale che anche il problema dei segni si possa in qualche modo trattare sia in T che in R (e questa sarebbe un'ulteriore modifica della nostra precedente opinione), anche se nel primo caso utilizzare l'ordine opposto appare "meno naturale" che nel secondo (per i motivi sopra accennati, quando si è effettuato un rimando al par. 2 di "appendice"). Alla questione dei segni si allude nella parte spaziale della precedente tabella, con l'introduzione del concetto di vettore (i.e., segmento ordinato libero, non escluso "improprio", i.e., vettore nullo) nella colonna all'estrema destra. Dal semigruppo (S ,+) si passa al gruppo (V(R),+) dei vettori liberi della retta, che è isomorfo, ma non "canonicamente isomorfo", al simmetrizzato di (S ,+) etc., questa parte delle precedenti pagine rimane sostanzialmente invariata. Attraverso i vettori si passa poi, lasciato sostanzialmente immutato il procedimento di misura, dai numeri reali positivi (misure geometriche in senso stretto) ai numeri reali (relativi) tutti. Si ottiene così infine il campo dei numeri reali (R,+,* ), contenente il sottocampo minimo dei numeri razionali (Q,+,* ), il quale contiene a sua volta il sottoanello minimo unitario (Z,+,* ) degli interi (relativi, o "con segno").

Rispieghiamo il tutto nuovamente, sempre in termini "elementari" al pari dell'argomento in discussione. I punti, nel loro ambiente di competenza, una "retta ordinata", sono all'origine di tutto. I segmenti sono sottoinsiemi (non ordinati) dello spazio, individuati da due fissati punti distinti. In quanto alla loro natura, essi sono rigidi. Non sono manifestamente dei "numeri", seppure si possano confrontare, e in qualche caso (segmenti contigui) sommare. L'esistenza del confronto (una relazione di preordine totale) consente di introdurre l'insieme quoziente dei segmenti rispetto alla relazione d'equivalenza associata al preordine (cap. III delle dispense), e si ottiene così l'importante concetto di "segmento libero". E' chiaro che anche i segmenti liberi non sono numeri, anche se adesso è possibile operare algebricamente nella loro collettività senza alcuna restrizione (si può sempre aggiungere un segmento libero a un altro segmento libero), e l'operazione di confronto è relativa a una vera e propria relazione d'ordine. Finalmente, quando si prendono due segmenti liberi, diciamo a e b , si ottiene un numero, come espressione della misura di a rispetto a b , in simboli a /b ; se per esempio a = b , allora a /b = "1", analogamente (a +a )/a = "2", etc.. Dunque, un punto non è un segmento, un segmento non è un segmento libero, un segmento libero non è un numero (in fisica si direbbe un "numero puro", una "grandezza scalare"), perché se si pensa per esempio al numero 5, non c'è alcun segmento libero (spaziale) che ad esso possa univocamente associarsi (men che meno un "segmento rigido"). Se dico però "5 metri", ecco che un segmento libero resta precisamente determinato (ma non un segmento rigido): ossia, il segmento libero che rispetto a quello corrispondente a "1 metro" ha misura uguale a 5. Quanto precede rimane sostanzialmente vero anche nel caso temporale, con una differenza, che abbiamo già messo in evidenza scrivendo (Q ,+) = (N,+). Qui il numero (beninteso "naturale") apparirebbe in effetti già nel contesto dei segmenti (temporali) liberi. Come mai? Perché esiste in Q un segmento minimo, diciamolo t , e quindi la possibilità di una misura assoluta: sicché dire semplicemente 5 (il 5 aritmetico, e non il 5 geometrico di poc'anzi) può significare senza ambiguità 5t , ovvero t +t +t +t +t (5 crononi). E' importante però in questo contesto meditare sul contenuto della seconda nota del par. 5 di "Zenone", relativa a un lemma di rappresentazione di un rapporto a /b fissando ad arbitrio un nuovo numeratore o un nuovo denominatore, che è vero nel caso spaziale e falso in quello temporale.

Ecco perché riteniamo che la retta temporale abbia a che fare in modo più diretto con la genesi del concetto di numero naturale, senza "aspettare" che tali enti scaturiscano come casi particolari di misure dal contesto spaziale. Insomma, il solo numero naturale possiederebbe in questo caso anche un'interpretazione "segmentale", e il numero che nelle dispense abbiamo collegato al concetto di quantità (per esempio il 5, esprimente la cardinalità dell'insieme canonico s 5, il "segmento iniziale" di N costituito dai numeri 1, 2, 3, 4, 5, sostegno "naturale" di un ben preciso spazio ordinato), può essere concepito, alla luce delle considerazioni precedenti, come la quantità minima (ideale) di tempo che è necessaria per valutare tale cardinalità, ovvero per calcolare (= misurare!) il numero degli elementi di un qualsiasi insieme finito di cardinalità n (i.e., per determinare una corrispondenza biunivoca con il relativo segmento iniziale s n).

Si potrebbe in effetti osservare che l'insieme dei numeri naturali N, attraverso l'aspetto di "iterazione", precede necessariamente in qualche modo tutte le "operazioni" illustrate, e che ciò suggerirebbe di trasferire tale concetto nel preliminare capitolo a parte che abbiamo chiamato "logico" (e giustificherebbe anche la precedente tabella, dove N veniva assegnato come un a priori). Preferiamo però parlare di "compresenza" delle varie componenti nominate, logica-tempo-spazio (così come avviene per esempio nel caso dei due concetti di "uguaglianza" tra segmenti indotta dal preordine e di "traslazione"; l'uno definisce l'altro, senza possibilità, ci sembra, di poter decidere quale delle due "intuizioni" venga prima), e quindi continuare a proporre per i numeri naturali un'origine temporale (se si preferisce, il "contare", o il "misurare", su una retta discreta quale T): un'origine né quindi puramente logica, né tanto meno puramente insiemistica (secondo il ben conosciuto approccio di Cantor e di Frege). Comunque sia, a parte il problema assai particolare di N, oseremmo sostenere adesso che almeno i razionali (positivi) Q+ stanno a T così come i reali R+ stanno a R. Il fatto che si "ritrovi" Q+ all'interno di R+ non deve stupire, corrispondendo in qualche modo alle immersioni - nessuna delle quali però "canonica"! - di T dentro R, di cui si diceva nella terza nota del par. 4 della citata appendice.

Diamo qualche sintetico ragguaglio su come si effettua la misura per i segmenti della "retta" spaziale, dal momento che non è ancora disponibile nel nostro sito la classica descrizione geometrica fornita negli Elementi di Euclide (Libro V, Def. V). Si considera l'insieme delle coppie ordinate dei segmenti liberi di R, in simboli S ´ S . Diciamo (a ,b ), (g ,d ) due di tali coppie, il problema è definire una relazione d'equivalenza nel "prodotto cartesiano" S ´ S la quale corrisponda all'idea intuitiva espressa con le parole: a ha come misura rispetto a b la stessa che ha g rispetto a d . Si itera a un certo numero arbitrario m di volte (m un elemento di N) analogamente b un certo numero n di volte, fino a produrre
ma = a +a +... m volte, e nb = b +b +... n volte. Si faccia altrettanto con g e d rispettivamente, in modo da considerare cioè anche mg e nd . Orbene, se risulta ma < nb , deve essere anche mg < nd ; se risulta invece ma > nb , deve essere anche mg > nd ; infine, se accade che sia ma = nb , deve essere anche mg = nd (nel qual caso a e b si dicono tra loro commensurabili, e la misura di a rispetto a b , in simboli a /b , è uguale al "numero razionale" n/m - lo stesso vale ovviamente per g /d ).

Le precedenti considerazioni si possono ovviamente ripetere tal quali nel caso della retta temporale T (non c'è "giro vizioso" quando si prendono m ed n in N, perché questo ente al primo livello di interpretazione coinciderebbe con Q , e non con il risultato della misura). Non c'è bisogno però di tante complicazioni dal momento che non esistono qui coppie di segmenti incommensurabili; per tale ragione, verosimilmente, il procedimento di misura relativo alla retta temporale è quasi inavvertito, fino al punto che può rimanere addirittura "invisibile" la stessa, pure indispensabile, presenza di T. Infatti il semigruppo Q ammette un minimo, che genera tutti gli altri segmenti per successive iterazioni (come si dice anche, due segmenti qualsiasi hanno sempre un sottomultiplo comune), e ogni risultato di un procedimento di misura è necessiter un numero razionale. Nel caso della retta spaziale R, invece, l'intelletto è "costretto" a concepire l'esistenza di coppie di segmenti tra loro incommensurabili (sostanzialmente a causa della "continuità" di R, che impone l'esistenza di "molti" punti), e i numeri prodotti in tale ambito dal procedimento di misura sono "assai di più" (II teorema di Cantor; vedi, oltre che nelle dispense, quanto se ne dice in "appendice").

Notiamo esplicitamente che abbiamo presentato la descrizione offerta da Euclide per la fondamentale equivalenza in parola, pur mantenendo tutte le nostre antiche riserve se questa sia davvero la "migliore" (= più adeguata) possibile (identica obiezione avanzò Galileo, nelle sue motivazioni, e nell'ottima soluzione proposta, oseremmo dire incompreso fino a oggi). Si veda quanto se ne dice nei punti 1, 2, 4 di http://www.dipmat.unipg.it/~bartocci/listamat.htm
dove vengono offerte ben altre due descrizioni della medesima relazione.

La situazione può essere schematizzata, secondo i termini categoriali che ci sono cari, attraverso l'introduzione delle seguenti funzioni m (dall'iniziale di "misura"):

m T : Q ´ Q ® Q+ (= insieme quoziente di Q ´ Q rispetto alla relazione d'equivalenza dianzi descritta)

m R : S ´ S ® R+ (= analogo insieme quoziente di S ´ S )

All'interno dei numeri reali positivi R+ si trovano i numeri razionali positivi (risultati della misura di coppie di segmenti tra loro commensurabili), un sottoinsieme di R+ che risulta canonicamente isomorfo all'insieme dei numeri razionali Q+ generati dai segmenti liberi della retta temporale, ma non è possibile introdurre alcuna immersione canonica al livello strettamente precedente, ossia tra Q e S .

Perugia, settembre 2004