Gennaio 2009
Il messaggio che innesca la conversazione a distanza:
1 - Gentile professore
Avrei molto a cuore una Sua risposta in merito al Paradosso del
Mentitore:
molto spesso in letteratura si legge che non è ancora stata
trovata una risposta o una soluzione conclusiva-definitiva al famoso Paradosso
del Mentitore! ...
Di fatto il Paradosso del Mentitore, si legge, non è ancora
stato risolto
perchè le cause prime dello stesso o meglio la radice genetica
del paradosso, il vizio non sono ancora stati compresi o concepiti in maniera
cristallina. Così io ritengo ILLECITE le conclusioni filosofiche
dei teoremi limitativi.
Sono molto confuso sull'argomento e quindi vorrei tanto avere una
Sua chiarificazione in merito a questo.
Professore, confido TANTISSIMO in una Sua risposta.
La mia prima risposta, etc.:
2 - ... Il mio parere (del tutto minoritario!) a proposito dell'argomento
di suo interesse coincide con quello del logico matematico tedesco del XIX
secolo Karl von Prantl (1820-1888): "Sciocchezze quali la maggior parte dei
paradossi non saranno mai minimamente prese in considerazione dalla vera logica"
(Karl von Prantl, Geschichte der Logik im Abendlande, 1855, vol. I,
p. 95). Al riguardo le cito ancora una nota inserita in uno dei miei libri:
> Ci sembra questo il contesto opportuno per nominare il logico
tedesco Karl von Prantl (1820-1888), autore di una grossa (4 volumi) Geschichte
der Logik im Abendlande (1885-1890), di cui si trova in rete (
http://www.answers.com/topic/aristotelian-logic) la seguente indiretta
citazione: «Immanuel Kant thought that there was nothing else to invent
after the work of Aristotle, and a famous logic historian called Carl Prantl
claimed that any logician who said anything new about logic was "confused,
stupid or perverse"». Lasciamo da parte gli "stupidi", che comunque
esistono, ma sono meno numerosi di quanto non sembri, e soprattutto non si
incontrano nel terreno che abbiamo indagato, e tralasciamo anche i "confusi",
tra i quali potremmo includere per molti anni pure lo scrivente, e gran parte
dei professori di "seconda categoria" (che fungono quasi esclusivamente da
cassa di risonanza di quanto hanno appreso - a fatica - da giovani e gli
è stato detto di ripetere, sicché non se ne scostano più;
cfr. l'osservazione di B. Croce riportata nel cap. I). Il terzo aggettivo
ci sembra estremamente appropriato nel senso letterale del termine, che non
fa riferimento a chi è ... sessualmente depravato, ma a chi si compiace,
in qualsiasi ambito, di deviare (e, quel che è peggio, far deviare)
dalla "retta via".
Nell'occasione le propongo anche un brano da un'altra mia opera:
> Non si possono non prendere le mosse dal "paradosso del mentitore",
che ha origine antica, e che, nella sua palese "violazione temporale" (il
"tempo" di un verbo che esprime un'azione non è un elemento da cui
si possa prescindere alla leggera nell'"interpretazione", nel passaggio cioè
dal parlato al pensato), fa a nostro parere da prototipo paradigmatico (nella
propria caratteristica eminente di auto-referenzialità, o di circolarità)
per numerosi altri paradossi del genere. Il che conferma tra l'altro l'opinione
che tutta la fase del pensiero matematico che stiamo esaminando viene forse
stimata al di là del suo autentico valore, e che non è infondato
descrivere la ripresa di certe argomentazioni, in una veste ovviamente più
"moderna", e più "oscura" per i non-specialisti (gli "specialisti"
non hanno del resto nessun interesse a chiarire, anche solo nella misura in
cui infatuati di ciò che hanno imparato dopo tanto sforzo), come l'avvento
di una nuova sofistica. L'Epimenide di Creta - cui si fa riferimento come
al primo inventore di un paradosso che fu poi ripreso da Eubulide di Mileto
(IV secolo A.C.), e in seguito discusso sovente dalla filosofia classica e
medievale - sembra essere vissuto nel VI secolo A.C.. Francesca Rivetti Barbò
ha dedicato un intero libro a: L'antinomia del mentitore nel pensiero
contemporaneo - Da Peirce a Tarski, 1961 (Ed. Vita e Pensiero,
Milano). Sulla storia e il ruolo dei paradossi in generale menzioniamo
anche: Piergiorgio Odifreddi, C'era una volta un paradosso – Storie
di illusioni e verità rovesciate, 2001 (Einaudi, Torino)
.
Sempre nell'opera citata poco più avanti scrivevo:
> ... ci piace riportare (ancora da Dawson) un'osservazione
di Ludwig Wittgenstein (filosofo che peraltro riteniamo in generale non così
significativo come certa sua attuale "beatificazione" lascerebbe supporre)
relativa al paradosso del mentitore (e ad altre simili piacevolezze): "La
contraddizione che nasce quando qualcuno afferma 'Io mento' [...] è
interessante soltanto perché ha tormentato la gente".
Gente poco saggia, aggiungo io, dal momento che basta leggere Aristotele
per guarire da certe ... inclinazioni sofistiche.
Insomma, si tratta secondo me di un banale paradosso di natura
linguistica, non altrimenti interessante che quale ulteriore riprova che
le language est (toujours o se preferisce souvent) source
de malentendus. Sarò lieto di discutere della questione con lei
in maniera più specifica, ma tanto per cominciare DOVREBBE INVIARMI
QUELLA CHE SECONDO LEI E' UNA BUONA VERSIONE DEL PARADOSSO dalla quale poter
prendere le mosse per l'eventuale approfondimento. ...
3 - Gentilissimo Prof. Umberto, un esempio, secondo me, interessante
e forte come grado di insolubilità è il seguente:
Questo enunciato è falso.
Facendo un'analisi che giudizio ne trarrebbe? Per una persona normale
che si alza la mattina, si prepara per andare al lavoro, deve fare i conti
tutti i giorni con le spese etc. etc., ecco per questa tipologia di
persona risulterebbe veramente una cavolata scervellarsi su una cosa del
genere, insomma un nonsense. il discorso cambia invece, secondo me, per una
persona che sà fare filosofia intorno a certi "stupidi" quesiti, ecco
lì non è più una cosa ridicola ma diventa seria!
Ho interesse a conoscere una Sua analisi, una Sua interpretazione
dell'enunciato-esempio datogli.
Grazie mille ancora per la Sua disponibilità!
4 - ... eccomi dunque qui a tentare di fissare la mia opinione
sul paradosso nella forma che mi ha inviato (comunque ben scelta, rammento
un libro importante - forse Beth? purtroppo essendo pensionato non ho modo
di fare subito un salto in biblioteca a controllare - in cui si trovava proprio
a un certo punto: l'enunciato N. x a pag. y del presente volume è errato,
e numero e pagina coincidevano con tale affermazione), sperando di non deluderla!
Già le ho accennato del resto che sono del parere di von
Prantl, "sciocchezze", proprio così come le giudicherebbe una qualsiasi
persona di ordinario "buon senso" (vogliamo dire Bertoldo?), anche se Goedel
sostiene di essersi ispirato a questo paradosso per il suo famoso teorema
(ma Goedel è un personaggio "oscuro", basta vedere come è finito,
e il suo famoso teorema non è poi così sorprendente se lo si
sa interpretare bene, e quello che usa alla fin fine è semplicemente
il procedimento diagonale di Cantor).
Ma veniamo al punto, se lei se ne venisse a dirgli: "Questo enunciato
è falso", Bertoldo le chiederebbe: "Quale enunciato, prego?".
Qui non c'è di fatto nessun enunciato, un tipico caso di
autoreferenzialità linguistica, sorgente direi più di ambiguità
comunicativa che di veri e propri paradossi (per non parlare di antinomie,
assolutamente inesistenti).
Ciò premesso, mi piace sottolineare l'aspetto di violazione
temporale in siffatti contesti, su cui insisto sempre molto, essendo un tratto
in comune secondo me a TUTTI i noti paradossi, paradiso dei logici stipendiati
dallo stato.
Prima di tutto la qualificazione "vero" o "falso" non si può
attribuire ad ogni tipo di affermazione, diciamo pure sensata in una certa
lingua (del resto ci stiamo qui movendo sul piano linguistico ordinario, e
non su quello di un qualche linguaggio della logica formale), e questo lo
aveva già bene osservato Aristotele. Per esempio, non si può
dire vero o falso OGGI di un'affermazione che si riferisca a un evento FUTURO,
ad affermazioni condizionali del tipo "se tu mi tradissi, ti darei un sacco
di botte" (che potrebbe essere trasformata nell'enunciato: "in questo momento
penso che se tu etc.", per la quale si potrebbe invece usare il vero o falso,
anche se della correttezza di una tale specificazione sarebbe al corrente
solo l'enunciante), etc. (distinguo diverse tipologie di possibili verità
in:
http://www.cartesio-episteme.net/ep8/ep8-sebast.htm
quanto allora ivi sostenuto mi sembra ancora decente).
Comunque, PRIMA ci deve essere un certo insieme di affermazioni
per le quali sia possibile porre legittimamente la questione se siano vere
o false, e DOPO se ne può prendere una, e dire: "la data affermazione
è vera o falsa". Violare questa successione prima-dopo è caratteristico
di tanti "giochetti" che hanno affascinato la ricerca sui fondamenti della
matematica all'inizio del secolo scorso (io direi piuttosto danneggiato, una
fase del pensiero scientifico dalla quale non si riesce a guarire): tanto
per introdurre un altro esempio, PRIMA ci devono essere degli elementi, e
POI se ne può fare un insieme, come dire che nessun insieme può
contenere se stesso come elemento, sarebbe come un figlio che generasse il
padre (non per caso ai matematici amanti di certe "sciocchezze" piacquero
anche la relatività, il concetto di spazio-tempo quadridimensionale,
la discussione su possibili viaggi nel tempo e relativi paradossi alla "Terminator",
etc., ripeto tutte "sciocchezze" che hanno poco a che fare con la vera "scienza",
sia dell'a priori che dell'a posteriori).
Poiché sono in argomento, mi fa piacere inviarle l'originale
definizione di insieme di Cantor, per chiederle: l'ha mai vista citata esattamente
così in qualche libro di testo? Oppure è stata espunta qualche
precisazione che dava fastidio ai sostenitori di certe forme di pensiero?
Unter eine "Menge" verstehen wir jede Zusammenfassung M von bestimmten
wohlunterschiedenen Objekten unserer Anschauung oder unseres Denkens (welche
die "Elemente" von M genannt werden) zu einem Ganzen.
Mia traduzione:
Con il termine "insieme" noi intendiamo ogni raggruppamento M in
un tutto di determinati e ben distinti oggetti m della nostra intuizione o
del nostro pensiero (che saranno chiamati gli "elementi" di M).
Noti bene il riferimento a determinati e ben distinti, a intuizione
e pensiero, termini oggi banditi dallo spirito del tempo. Ecco, per concludere
potrei dirle che il paradosso nella forma da lei prescelta non ha un contenuto
semantico "determinato e ben distinto".
Sperando di esserle stato comunque di qualche interesse, nonostante
l'adesione a un pensiero minoritario e reazionario (ma i segni della catastrofe
prodotta dai frutti dell'altro cominciano a intravedersi, peggio per le nazioni
che ci si sono sottomesse, come la nostra), rinnovo molti cordiali saluti,
al piacere di risentirla ...
5 - gentile prof., in fin dei conti anche il mio pensiero non si
discosta tanto dal Suo, però sono perplesso dal fatto che in filosofia
del linguaggio rivesta, il Mentitore, un ruolo così centrale. ...
6 - ... Vorrei precisare un punto, ispirato al suo seguente rilievo:
> sono perplesso dal fatto che in filosofia del linguaggio rivesta,
il Mentitore, un ruolo così centrale.
In filosofia del linguaggio, forse, intesa come una specializzazione
moderna della filosofia, figlia della logica matematica del XX secolo, ma
NON in filosofia, giusto?
Come dire che la questione non mi pare abbia mai interessato grandi
filosofi quali Cartesio, Kant, etc., e che, dopo la corretta discussione che
ne fece Aristotele nelle "Confutazioni sofistiche" (ottimo titolo per un'opera
dove inserire tale argomento appunto "sofistico"!), non c'e mai stata nella
storia della filosofia prima del 1900 se non attenzione marginale verso il
preteso paradosso, sbaglio?
Bisogna attendere insomma la da me criticata nuova "rivoluzione
scientifica" dell'inizio del secolo scorso per ritrovare tanto clamore su
siffatte "sciocchezze", a partire da Russell in poi, ciò che conferma
la mia opinione generale sull'argomento [esaltato dal nichilismo post-darwinista,
non so se le è capitato di dare un'occhiata al mio saggio: "Cattivi
maestri, ovvero, a proposito di un morbus mathematicorum (ma non solo!) recens"],
e sul valore di certi personaggi ingiustamente messi sugli altari dall'attuale
decadente spirito del tempo dalle nostre parti ...
P.S. Le segnalo la più recente edizione di un libro già
menzionato, che dovrebbe interessare in modo particolare tutti gli appassionati
come lei di questo argomento:
Francesca Rivetti Barbò, L'antinomia del mentitore da
Peirce a Tarski, Edizioni Universitarie Jaca, Jaca Book, Milano, 1986.
(Inutile dire che NON sono d'accordo sull'uso del termine antinomia!)
Aggiungo che qui troverebbe un articolo dell'amico Odifreddi nel
quale si esamina l'oggetto del suo interesse:
http://www.vialattea.net/odifreddi/paradossi/paradossi2.htm
Vi viene riferita una versione alternativa del paradosso nella
seguente forma:
La forma più essenziale e accattivante di questa versione
del paradosso è forse quella data nel 1913 dal matematico Philip Jourdain:
L'affermazione seguente è vera.
L'affermazione precedente è falsa.
Orbene, in essa si nota esattamente l'inversione temporale radice
di tutti i paradossi alla quale le avevo accennato. E' infatti lecito usare
la forma letteraria "l'affermazione seguente è vera" (ho fatto qualcosa
di analogo io stesso all'inizio del presente P.S.), per poi introdurre un'affermazione
contenuta in un elenco comunque precedente detta nuova affermazione. Nel senso
che si deve poter dare, in simili casi, l'elenco numerato delle affermazioni
che interessano (eventualmente ridotto a un singleton!), e poi sostenere:
"l'affermazione numero xx è vera, oppure falsa". Nel presente contesto
invece l'affermazione di cui si tratta non può essere precedentemente
enunciata in un opportuno elenco (inutile, o forse no, specificare: finito
o numerabile, e numerato, del tipo P1, P2, P3,...), tutto qui! Per esempio
io dianzi, invece di parlare prima del libro, e poi di darne il titolo, avrei
potuto dire, "esiste un libro che si intitola etc. glielo segnalo perché
etc.".
(In altre parole, nella forma di Jourdain - un seguace del "grande"
Russell - è necessario prima puntare il dito verso il futuro in una
maniera non altrimenti rimediabile, e poi tornare a puntarlo verso il passato,
appunto una sorta di viaggio alla "Terminator"...)