1 - Premessa
La decisione di andare in pensione alla fine del 2005 (per disperazione)
ha avuto la conseguenza di lasciare incompiuti (per assenza totale di
stimoli, non che prima per la verità ne ricevessi molti dalla frequentazione
dell'ambiente universitario) tre progetti matematici ai quali pure tenevo
parecchio. Adesso che intravvedo la fine del cammino mi sento in dovere
di fare il punto della situazione, e di cercare di porre rimedio per quanto
possibile.
Il Breve profilo storico della matematica è rimasto
a metà, ma la seconda parte è già stata scritta al
PC e richiederebbe solo un'attenta revisione, non escludo quindi che possa
essere completato prima o poi.
Agli Elementi di matematica manca invece molto (per esempio quasi tutta la parte geometrica), e ormai temo rimarranno così: mi resta almeno la soddisfazione di aver indicato una "strada" (anche se oggi temo non importi a nessuno, o quasi).
La Storia e critica delle cosiddette geometrie
non euclidee - Ovvero, molto rumore per nulla, o per poco? era stata
quasi completata, ma è rimasta purtroppo nello stato di manoscritto.
Il lavoro di trasferire il tutto al PC supera di gran lunga le mie attuali
risorse psico-fisiche, sicché ho deciso di redigere in sostituzione
la presente breve nota riassuntiva, nella speranza che possa essere utile
a qualcuno.
Umberto Bartocci, Perugia, febbraio 2010
2 - Introduzione storica
Avevo deciso di scrivere il libro dianzi citato perché
irritato dalle "sciocchezze" che continuamente sentivo o leggevo sull'argomento
(pare che ormai si faccia a gara a ripetere a pappagallo opinioni alle quali
non si è pervenuti con la propria testa).
Una piccola traccia del progetto rimane in rete, qui
mi limiterò a sintetizzarne alcuni punti essenziali.
E' chiaro innanzi tutto come dovrebbe essere impostato un libro
del genere. Abbandonando la tentazione di "cominciare ... dalla fine",
come avevo al tempo pensato (perché un eventuale lettore che iniziasse
a scorrere le prime pagine del libro si imbattesse subito in qualche giudizio
diverso dal solito, prima di abbandonare la lettura), si deve iniziare
presentando ovviamente il V postulato di Euclide nella sua forma originale,
e cominciare a discuterne il significato, evidenziando le difficoltà
concettuali che hanno origine nella particolare enunciazione scelta dal
grande geometra alessandrino.
A seguire un po' di storia su come è stato accolto il
postulato, presso i Greci e presso gli Arabi, pervenendo alla conclusione
che non c'è stato poi quel gran fervere di discussioni su di esso
di cui sovente si parla a sproposito. Volendo riassumere, si può
dire che Posidonio, un paio di secoli dopo Euclide, propose di descrivere
le proprietà delle parallele attraverso caratterizzazioni di natura
metrica e che - sorvolando su un'incomprensibile argomentazione di Tolomeo
che venne comunque solo un altro paio di secoli dopo - Proclo tentò
di perfezionare l'impostazione di Posidonio (stavolta a un intervallo di
circa trecento anni da Tolomeo), senza peraltro cogliere alcuno dei punti
basilari che avrebbero potuto-dovuto essere individuati. Sarebbe davvero
pochissimo, se non avessimo la successiva notizia (contenuta in un
commento arabo del IX secolo di tale Al-Nirizi, tradotto da Gerardo da Cremona
nel XII secolo) dell'unica sostituzione corretta e completa del V postulato
con un altro, cioè con un postulato autenticamente equivalente all'originale
euclideo, da parte di un certo misterioso Aganis (di cui non si hanno altre
notizie; c'è chi ha pensato potesse trattarsi di Gemino da Rodi, I
secolo AC, ma forse è un contemporaneo di Simplicio, commentatore
di Aristotele vissuto nel VI secolo DC), e dell'unica vera dimostrazione
di equivalenza pervenutaci, riportata in un commento di Nasir-Eddin (XIII
secolo) che si riferisce ancora al menzionato Aganis. Ciò nonostante
Lobachevsky, uno dei fondatori della geometria non-euclidea, scrive (nei
Nuovi fondamenti della geometria, 1835): «L'infruttuosità
dei tentativi, fatti dal tempo di Euclide, per lo spazio di due millenni»,
ma tre soli tentativi (riassumendo, Posidonio, Proclo, Aganis) nell'arco
di 1860 anni non ci sembrano giustificare una siffatta affermazione.
Ripetiamo, tranne forse il goffo tentativo di Tolomeo di cui
ci riferisce Proclo, nessuno (o quasi) nell'antichità sembra aver
preteso di offrire una dimostrazione ex nihilo del postulato delle
parallele, soltanto di proporne formulazioni più accettabili, e soprattutto
non sembra esserci stata nessuna preoccupazione filosofica nei suoi confronti.
Esclusivamente un giustificato interesse (e neppure quale avrebbe dovuto
essere) verso la presentazione della geometria offerta da Euclide (una presentazione
che rimane comunque sempre "intuitiva" nei suoi fondamenti, e mai formale
o formalistica, come oggi qualcuno ha cercato di dire, presentandolo quasi
come un Hilbert ante litteram), che appariva in effetti in qualche
punto poco adeguata. Come dire, taluni approfondimenti ispirati a un po'
di sacrosanta insoddisfazione verso la trattazione euclidea della geometria,
che non sfociò mai comunque in tentativi di revisione radicale.
Si prosegue con la ripresa della relativa discussione al momento
della traduzione e della diffusione del commento di Proclo nel Rinascimento
(esso fu ristampato per la prima volta a Basilea nel 1533, nella versione
originale greca, e a Padova nel 1560 in una versione latina): sarà
infatti tale opera a influenzare le successive edizioni degli Elementi
di Euclide, che conterranno comunemente dei commenti relativi al V
postulato. Per contro, «tanto le prime versioni degli Elementi
fatte nel XII e XIII secolo sui testi arabi, quanto le successive compilate
sui testi greci alla fine del XV e nella prima metà del XVI non portano
in generale alcuna annotazione critica al V postulato» (Roberto Bonola,
La geometria non-euclidea - Esposizione storico-critica del suo sviluppo
, Zanichelli, Bologna, 1906; Reprint 1975, p. 11). L'interesse verso
la questione delle parallele aumenterà poi progressivamente con le
"manualizzazioni" che si proporranno di presentare la geometria nel modo
più semplice possibile a un pubblico crescente di studenti, a partire
ovviamente dai suoi "fondamenti", e questo cammino conduce, come si sa,
alla "scoperta" delle geometrie non euclidee, avvenuta intorno al 1830 per
opera di matematici alquanto oscuri, ma entrambi collegati a Gauss. Qui cominciano
i problemi, perché quello che avrebbe potuto essere un interessante
capitolo della Geometria Differenziale, e anche un istruttivo argomento
nell'ambito dei fondamenti della geometria (a dimostrare la necessità
logica dell'introduzione di un siffatto postulato nella descrizione dello
spazio ordinario), viene tramutato da una "propaganda" spesso priva di
raziocinio, rivolta a persone che si vuole rimangano a loro volta prive
di raziocinio, in una sorta di "rivoluzione copernicana" della geometria
(cfr. per esempio Carl B. Boyer, Storia della matematica , tr. it.,
I.S.E.D.I., Milano, 1976, p. 621), un evento di rilevanza filosofica fondamentale,
etc. etc., d'onde l'obbligo per lo scrivente di trattare la questione sotto
un punto di vista completamente diverso.
Ripetiamolo ad evitare equivoci. Riteniamo che la scoperta delle
geometrie non-euclidee abbia costituito un palese avanzamento della conoscenza
matematica, e possiamo anche riconoscere che diversi suoi progressi siano
stati occasionati dalle ricerche sul postulato delle parallele, le quali
hanno quindi finito con il produrre un risultato indubbiamente positivo,
a saperlo prendere per il giusto verso. Sarebbe comunque addentrarsi nello
scivoloso terreno dei controfattuali storici, il voler discutere se la Geometria
Differenziale avrebbe conosciuto lo stesso vertiginoso sviluppo: sta per certo
che le Disquisitiones generales circa superficies curvas di Gauss,
contenenti il celebre theorema egregium sull'invarianza per isometrie
della curvatura di una superficie, vengono pubblicate nel 1827 senza avere
nulla a che fare con il problema qui oggetto d'attenzione (e tanto per dire,
il nostro corso di Geometria II è stato per anni dedicato allo studio
delle proprietà differenziali delle curve e delle superficie dello
spazio ordinario ). Negativa è stata invece l'impostazione con
cui tale scoperta è stata presentata, nella volontà di tramutare
l'incontro con oggetti matematici nuovi e inaspettati nel crollo di filosofie
tuttora adeguatissime. L'osservazione (sintetizzabile in: molto rumore per
nulla, o quasi) potrebbe ripetersi tale e quale nel caso di un'altra propaganda
dello stesso genere, quella relativa ai famosi teoremi di Gödel, che
ha ispirato saggi intitolati addirittura Matematica: la perdita della certezza
(Morris Kline, trad. it., Mondadori, 1985).
Si veda per esempio il nostro "Una breve presentazione (critica) del
teorema di incompletezza di Gödel".]
[Abbiamo sempre insegnato ai nostri studenti di Storia delle
Matematiche (denominazione contenente un plurale che non ci piace
affatto) che tale disciplina è caratterizzata da un "divenire", e
che da esso non si può prescindere nel determinare la sua didattica.
In una fase iniziale la matematica è "investigazione delle leggi dell'intelletto"
(Investigation of the laws of thought è il titolo di una celebre
opera di George Boole, 1854), in una successiva diviene «studio di
tutte le possibilità di pensiero di una mente infinita» (secondo
un'espressione del logico-matematico Gaisi Takeuti, citata da Rudy Rucker,
Infinity and the Mind - The Science and Philosophy of the Infinite
, Birkhäuser, 1982, Prefazione).]
3 - Sciocchezze filosofiche
Siamo arrivati al momento in cui, grazie all'anti-kantismo di
Gauss e dei seguaci da lui ispirati, la questione delle geometrie non-euclidee
viene tramutata da scientifica in ideologica. Peccato che il grande matematico
non si mostri in genere altrettanto buon filosofo. In una lettera all'astronomo
Heinrich Christian Schumacher nel 1844, parla dell'incompetenza matematica
dei filosofi a lui contemporanei: «non vi fanno rizzare i capelli
sulla testa con le loro definizioni?», e il giudizio negativo si
estende anche ai tempi antichi: «Leggete nella storia della filosofia
antica quelle che i grandi uomini di quell'epoca, Platone ed altri (escludo
Aristotele) davano come spiegazioni». Il princeps mathematicorum
non risparmia peraltro le sue critiche neppure a Kant: «anche con
lo stesso Kant le cose non vanno molto meglio; secondo me, la sua distinzione
fra proposizioni analitiche e sintetiche è una di quelle cose che
cadono nella banalità o sono false».
Un capitolo del libro ideale cui stiamo accennando dovrebbe allora
essere dedicato a una citazione delle più eclatanti stoltezze che
vengono comunemente accompagnate alla presentazione dell'argomento, annoverando
tra queste anche critiche superficiali ... all'avversario del tipo
precedente, tra le quali rimane a nostro parere ineguagliabile quella
dal sopravvalutato Bertrand Russell (che si comporta, del resto da "vincitore",
come se certe questioni si potessero risolvere con battute). Secondo Russell,
infatti, la teoria dello spazio di Kant è «il punto di vista
d'una persona che vive a Königsberg; non vedo come l'abitante d'una
valle alpina potrebbe adottarla» (Storia della filosofia occidentale
, 1945).
In una nota del nostro
"Cattivi maestri", ovvero, a proposito di un morbus mathematicorum
(ma non solo!) recens", del 2002, ne citavamo un'altra davvero
monumentale, partorita da Ernest Nagel e James R. Newman, autori di un fortunato
testo divulgativo sul teorema di Gödel (La prova di Gödel
, tr. it., Boringhieri, Torino, 1974, p. 17): «per quasi duemila
anni gli studiosi hanno creduto, senza il minimo dubbio, che [gli assiomi
della geometria] fossero vere proprietà dello spazio fisico»
(siffatta divulgazione fa pensare che certi cosiddetti "grandi", presi a
modello da docenti e quindi da studenti, proprio grandi non siano). Aggiungevamo
al tempo:
«Ecco liquidata in due parole per esempio tutta la filosofia
di Kant, a far credere che nessuno abbia mai saputo apprezzare la distinzione
tra "reale" e "pensato"! Del resto, sono proprio i matematici e i fisici
"moderni" - nel senso di post 1872, come diremo nella nota successiva -
ad alimentare ogni confusione in proposito, ignorando la dialettica feconda
tra le due citate "polarità": i secondi, rinchiudendo le loro teorie
in spazi fittizi di simboli e cifre; i primi, chiamando oggi comunemente
numeri "reali" quei "numeri" che di "reale" in senso proprio non hanno nulla,
e includendo tra essi anche i numeri "irrazionali", favorendo così
in modo subliminale l'opinione che il reale possa essere appunto irrazionale!»
[Il riferimento al 1872 diventa qui incomprensibile,
ne diremo qualcosa nel prossimo inciso.]
Poiché ci siamo, menzioniamo anche alcune altre simili
perle da noi raccolte.
Secondo Herbert Meschkowski, dopo la scoperta delle geometrie
non-euclidee sarebbe «impossibile all'uomo moderno di restare fermo
alla concezione spaziale di Platone e di Kant» (Mutamenti nel pensiero
matematico , tr.it., Boringhieri, Torino, 1973, p. 87).
Secondo Carl B. Boyer: «In un certo senso possiamo affermare
che la scoperta della geometria non-euclidea inferse un colpo mortale
alla filosofia kantiana» (loc. cit., p. 621), affermazione
così perentoria che riecheggia nell'introduzione al libro scritta
da Lucio Lombardo Radice (p. XXII).
Ecco finalmente precisato quello che abbiamo dianzi chiamato
"l'avversario", una concezione filosofica che avrebbe ritardato l'avvento
e la diffusione di una tale grande scoperta. Nel noto testo di Evandro Agazzi
e Dario Palladino sulle geometrie non euclidee troviamo scritto: «La
grande diffusione e l'autorevolezza del kantismo costituirono quindi un
ulteriore motivo di difficoltà verso l'accettazione delle geometrie
non euclidee come dottrine dotate di dignità scientifica» (
Le geometrie non euclidee e i fondamenti della geometria, EST Mondadori,
Milano, 1978, p. 73), un'osservazione ripresa dall'analogo precedente testo
di Bonola: «Nel nostro caso l'affermazione della geometria non-euclidea
fu ritardata anche da ragioni speciali, quali le difficoltà che offrivano
alla lettura le opere russe di Lobacefski, l'oscurità dei nomi dei
due rinnovatori, la concezione kantiana dello spazio allora dominante»
( loc. cit. , p. 113).
[Si noti che le due citazioni precedenti, oltre che
menzionare il kantismo nel suo (positivo!) ruolo di freno nei confronti di
certe "accettazioni", "affermazioni", hanno il merito di introdurre nel discorso
un particolare storico alquanto rilevante, e cioè che tanta "rivoluzione
copernicana" lasciò invece piuttosto freddini i matematici europei
per alcuni decenni, fino a che il trionfo dei ... non-euclidei non cominciò
a consolidarsi, non tanto per un'illuminazione matematica che rese vedenti
i fino allora ciechi, quanto per il cambiamento di un ... état d'esprit
(secondo noi chiaramente etero-diretto). Fu infatti solo nel 1871 che Felix
Klein dette alle stampe l'articolo intitolato "Ueber die sogennante Nicht-Euklidische
Geometrie" (Mathematische Annalen, 1871, 4, pp. 573-611) - cui fece
seguito l'anno successivo: Vergleichende Betrachtungen über neuere
geometrische Forschungen (A. Duchert, Erlangen) - dove si introduceva
apertamente il termine "non-euclideo"; Klein proseguì poi negli anni
successivi un'instancabile opera di promozione della "nuova" scienza geometrica,
fino al punto da poter essere definito « "grande
statista" del regno della matematica» (C.B. Boyer, loc.
cit., p. 631). Insomma, siamo proprio ai primordi di quel "riduzionismo"
che mirava ad eliminare il duplice fondamento geometrico-aritmetico (spazio-temporale)
della matematica, per ricondurre tutto prima al numero, e in seguito ... al
nulla, puro gioco di segni senza "significato" (il riferimento allo sciagurato
nichilismo di Russell non è casuale). Si sta parlando quindi della
prima fase del detto riduzionismo, ossia di quella che viene chiamata l'
aritmetizzazione dell'analisi (espressione coniata ancora da Klein nel
1895 - C.B. Boyer, loc. cit., p. 633
), così descritta da C.B. Boyer « [Il 1872] rappresentò
un momento cruciale nello sviluppo della matematica del secolo scorso [...]
[Hermann Hankel] sosteneva che "la condizione per costruire un'aritmetica
universale è una matematica puramente concettuale, sganciata da ogni
intuizione". Abbiamo visto come la rivoluzione della geometria abbia avuto
luogo allorché Gauss, Lobacevskij e Bólyai si liberarono dei
preconcetti intuitivi concernenti lo spazio. In maniera abbastanza analoga
la completa aritmetizzazione dell'analisi diventò possibile soltanto
allorché, come prevedeva Hankel, i matematici si resero conto che i
numeri reali andavano concepiti come "strutture concettuali" invece che come
grandezze intuitive ereditate dalla geometria euclidea» (loc. cit.
, pp. 641-642). La nefasta situazione è perfettamente illustrata anche
dalle seguenti parole di Corrado Mangione: «La scoperta delle geometrie
non euclidee e il loro diffondersi a cominciare dai grandi lavori di Riemann,
Helmoltz e Beltrami attorno al '68, l'accentuato processo di rigorizzazione
dell'analisi con le contemporanee definizioni di numero reale di Weierstrass,
Cantor e Dedekind nel '72, avevano sostanzialmente segnato la fine del più
che millenario dominio della geometria sull'intero corpus della matematica:
sotto gli urti convergenti delle geometrie non euclidee da un lato e delle
definizioni puramente aritmetiche di numero reale dall'altro, l'univocità
e necessità dei concetti geometrici diventavano di fatto insostenibili»
("Logica e problema dei fondamenti nella seconda metà dell'Ottocento",
in Ludovico Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico
, vol. VI, Garzanti, Milano, 1983, pp. 354-355). Noi qui notiamo solo, per
il momento, una particolare sincronia, su cui ritorneremo: Charles Darwin
rese pubbliche le sue teorie nel 1859, nell'opera On the Origin of Species
by Means of Natural Selection: or the Preservation of Favoured Races in the
Struggle for Life, cui si aggiunse presto, a togliere ogni eventuale
residuo dubbio se l'uomo stesso venisse incluso nell'argomento, The Descent
of Man, and Selection in Relation to Sex, 1871.]
Per fortuna, come riferisce il Boyer già menzionato, l'avversario
verrà presto definitivamente (?) sconfitto: «L'assetto della
geometria elaborato da Hilbert consolidò però una concezione
decisamente anti-kantiana di questa disciplina», (loc. cit.
, p. 699). In effetti, un errore gigantesco che ha infettato tutti, con
la conseguente modifica della didattica della matematica che invece discenderebbe
in modo asolutamente naturale dalla filosofia così tanto avversata
(e la domanda d'obbligo, ma assai ... delicata, diventa: perché?
).
Prima di riportare per intero la confutazione delle precedenti
opinioni effettuata dal filosofo e sociologo Georg Simmel nel 1904, ci
sembra importante sottolineare alcuni punti.
Il primo, che Platone e Kant vengono spesso in tale contesto
correlati, ma non sappiamo con quanta correttezza (condividiamo qui l'opinione
di Gauss, vedi sopra: Platone, al contrario del suo discepolo Aristotele,
ci sembra appartenere a quel mondo perennemente antico, mitico e superstizioso,
in cui l'uso della "ragione" diventa elemento secondario), mentre chissà
perché non si fa mai o quasi un collegamento, che apparirebbe invece
assai più congruo, tra le idee innate di Cartesio e le intuizioni
a priori di Kant, oppure con gli echi leibniziani e pascaliani di tali concezioni,
etc., insomma, tutto l'Illuminismo protomoderno, vale a dire l'Illuminismo
prima che avvenisse la sua eterogenesi, il fior fiore della filosofia europea.
[Nel nostro menzionato Breve profilo..., proponiamo di
ripartire la "modernità" in tre fasi ben distinte: una protomoderna,
alla quale ci sentiamo di appartenere, una propriamente moderna, e una post-moderna
che conduce alle attuali manifeste decadenza e corruzione dell'Occidente,
d'onde quel riferimento a una "eterogenesi" dell'Illuminismo, termine ovviamente
retrodatato, ma questo è un altro argomento...]
Il secondo, che il continuo riferimento a Kant può generare
gravi fraintendimenti presso gli interlocutori meno esperti, come se quella
che viene avversata fosse una concezione in un certo senso moderna. Il
grande filosofo tedesco offre solo una (perfetta) sistemazione filosofica
a una concezione antica quanto la matematica stessa (per non dire quanto
l'uomo stesso). Nel Commento al I Libro degli Elementi di Euclide
di Proclo troviamo per esempio:
« [i Pitagorici] ben sapevano che tutta la mathesis così
chiamata, è una reminiscenza insita nelle anime, non venuta dal
di fuori come le immagini delle cose sensibili che s'imprimono nell'immaginazione
[...] come risvegliata dall'apparire di fatti, e sospinta dall'interno
dalla stessa riflessione rivolta in se stessa» (Giardini, Pisa, 1978,
p. 57).
La riflessione rivolta in se stessa, vale a dire quella cosa
che Kant chiama "intuizione pura", in questo caso un'intuizione dello spazio
che è premessa indispensabile per ogni tipo di esperienza sensibile,
e non viceversa.
Ciò premesso, ecco l'annunciata ottima confutazione effettuata
da Simmel dei pregiudizi anti-kantiani dianzi rilevati:
«Gli assiomi geometrici sono così poco necessari
logicamente come la legge causale; si possono pensare spazi, e quindi geometrie,
in cui valgono tutt'altri assiomi che i nostri, come ha mostrato la geometria
non euclidea nel secolo dopo Kant. Ma essi sono incondizionatamente necessari
per la nostra esperienza, perché essi solamente la costituiscono.
Helmholtz errò quindi completamente nel considerare la possibilità
di rappresentarci senza contraddizione spazi nei quali non valgono gli
assiomi euclidei come una confutazione del valore universale e necessario
di questi, da Kant affermato. Infatti l'apriorità kantiana significa
solo universalità e necessità per il mondo della nostra
esperienza, una validità non logica, assoluta, ma ristretta alla
cerchia del mondo sensibile. Le geometrie antieuclidee varrebbero a confutare
l'apriorità dei nostri assiomi solo quando qualcuno fosse riuscito
a raccogliere le sue esperienze in uno spazio pseudosferico, o a riunire
le sue sensazioni in una forma di spazio nel quale non valesse l'assioma
delle parallele» (citato da Piero Martinetti, Kant, Feltrinelli,
Milano, 1968, p. 47).
Va detto che semmai, contro la filosofia kantiana (ma non sola),
si erge ben altro ostacolo che non la banale geometria non-euclidea, e
si tratta ovviamente del darwinismo. E' solo questo che mette in
dubbio la concezione dell'uomo sub specie aeternitatis che accomuna
la gran parte del pensiero che precede l'era post-moderna. Infatti, se mutano
l'uomo e l'intelletto nel corso dei tempi, ecco che c'è da aspettarsi
che mutino anche le forme dell'intuizione pura. Insomma, l'esperienza dello
spazio e del tempo di un uomo delle caverne potrebbe essere diversa da quella
dell'uomo d'oggi, e diversa ancora da quella di un uomo del futuro, se
ci sarà. Questa sì che è un'autentica obiezione, che
conduce la discussione su un terreno ancora più minato (a prendersela
con il darwinismo c'è da essere subito emarginati come creazionisti
, giudeo-cristiani o islamici non evoluti, come se non esistessero altre
possibilità di pensiero), ma che poco toglie alle nostre conclusioni,
almeno sotto l'aspetto didattico. Si è chiamati infatti ad insegnare
la matematica qui e ora, ad esseri umani che hanno in comune con noi un intelletto
regolato dalle medesime leggi.
Il presente paragrafo potrebbe considerarsi concluso, ma non
ci sembra opportuno passare sotto silenzio un'altra connessione di idee
che secondo noi va catalogata nel genere "sciocchezze" del medesimo tipo
di cui ci siamo dianzi occupati. La presentiamo attraverso
un'affermazione farneticante che abbiamo trovato in rete, e molte
simili avremmo potuto citare:
«Mandelbrot's fractal geometry replaces Euclidean geometry
which had dominated our mathematical thinking for thousand of years. We
now know that Euclidean geometry pertained only to the artificial realities
of the first, second and third dimensions. These dimensions are imaginary.
Only the fourth dimension is real».
E' chiaro che si sta parlando dei pretesi "collegamenti" tra
geometria non-euclidea e relatività (sulla connessione
si veda anche la prima delle immagini inserite in fine di paragrafo)
, due dei mostri sacri del pensiero scientifico post-moderno (il commento
appena riportato ne introduce addirittura un terzo, la "moda" dei frattali,
di cui pochi capiscono - e parliamo anche di matematici docenti universitari
del tutto a digiuno delle teorie sulla dimensione topologica - ma
sono tanto belle quelle figure sullo schermo del PC!). E' infatti un
altro leitmotiv ricorrente della propaganda modernista (usiamo questo
termine comune anche se noi, come accennato, preferiamo parlare di post-moderno),
che la relatività avrebbe "dimostrato la falsità della
geometria euclidea", ma ci sarebbe da chiedersi: quale relatività,
la ristretta o la generale?, e da chiedere all'interlocutore: sai
di cosa parli? quali conferme sperimentali dirette potresti menzionare
a favore dell'una o dell'altra? e in quale modo tali evidenze sperimentali
metterebbero in crisi il V postulato di Euclide?
E' chiaro che il dilemma andrebbe meglio enunciato, sotto il
profilo "filosofico", nel modo seguente: se la relatività generale
costituisse una descrizione adeguata della "realtà", allora esisterebbe
un netto divario tra l'intuizione descritta da Euclide e la realtà,
ovvero verrebbe messa in crisi l'osservazione di Spinoza secondo cui: «
ordo et connectio idearum idem est ac ordo et connectio rerum»
(Ethica Ordine Geometrico Demonstrata, Parte II, Prop. 7; la prendiamo
per ciò che essa significa, o evoca, letteralmente, e non per quello
che, secondo alcuni commentatori, intendeva Spinoza, una questione difficile
da trattare).
[Alla "verità" delle teorie di Einstein accenna per esempio,
fra tanti, il noto matematico Hermann Weyl, quando scrive all'inizio di
un suo famoso testo sulla relatività generale, con entusiasmo degno
di miglior causa, che: «Einstein's Theory of Relativity has advanced
our ideas of the structure of the cosmos a step further. It is as if a
wall which separated us from Truth has collapsed» (Raum-Zeit-Materie
Vorlesungen über allgemeine Relativitätstheorie, Springer,
Berlin, 1919; Space-Time-Matter, tr. ingl., Dover Pub.ns, New York,
1952). Bisogna dire per la verità che "Truth" ha sì iniziale
maiuscola nel testo citato, ma probabilmente non per responsabilità
dell'autore, bensì per un eccessivo entusiasmo da lui trasferitosi
al traduttore, tenuto conto che nell'originale tedesco il corrispondente
"Wahrheit" è maiuscolo di necessità, come si conviene a tutti
i sostantivi nella lingua tedesca.]
[Lo scrivente rammenta che, quando studiava a Cambridge nei primi
anni '70, visiting professor presso il Trinity College, dal momento
che era già assistente ordinariodel prof. Beniamino Segre
a Roma, volle incontrare il noto fisico e teologo John Polkinghorne
per discutere di tale questione, esprimergli cioè la propria perplessità
dei confronti della concezione giudaico-cristiana di un "Dio" che, pur avendo
fatto l'uomo a sua immagine e somiglianza, lo avrebbe dotato di intuizioni
spazio-temporali non corrispondenti alla struttura del reale, e chiedergli
quindi come potesse risolvere tale contraddizione un uomo di fede quale
il suo illustre interlocutore era (lo scienziato era infatti anche sacerdote
della Chiesa Anglicana). Polkinghorne gli rispose, per la verità
assai acutamente, che il richiedente avrebbe dovuto piuttosto considerare
un miracolo, e quindi segno di un intervento divino, il fatto che l'intelletto
umano, ancorché dotato di intuizioni limitate, fosse stato capace
di elevarsi fino ad intravvedere le autentiche strutture del reale.]
[A tale riguardo ci sovviene un'osservazione analoga, di un collega
che sosteneva, poggiandosi ovviamente su determinate fonti su cui sorvoliamo,
che la "geometria dell'occhio" umano fosse iperbolica. Sarebbe secondo
noi ben singolare una struttura non-euclidea dell'occhio, ed una euclidea
dell'intelletto che è chiamato a decifrare le informazioni dall'organo
provenienti.]
Riletto il paragrafo, ci rendiamo conto che la nostra reazione
può sembrare eccessivamente acre (espressa inoltre in termini poco
accademici, senza rispettare il principio, caposaldo dell'etica "democratica",
secondo cui tutte le opinioni vanno "rispettate" - invero non proprie
tutte, alcune vengono represse anche facendo ricorso alla forza dello stato
- dimenticando che non sono tanto le opinioni che dovrebbero essere
rispettate, quanto le persone, per esempio non bombardandole solo
perché appartengono a una civiltà non affètta dalla
rivoluzione scientifica, e dalle sue conseguenze), una reazione ideologica
essa stessa, ma qui stiamo appunto trattando di una questione ideologica!
A tale proposito ci piace menzionare il matematico Imre Toth, il quale, pur
militando in una parte a noi contraria (per quanto attiene ai "giudizi di
valore"), riconosce onestamente che alle radici di certe mode del pensiero
che abbiamo definito post-moderno ci sono soprattutto ragioni "extra-scientifiche",
ossia filosofiche, estetiche e ... politiche:
«Ciò che si chiama la rivoluzione non euclidea fu
dunque una rivoluzione nel senso proprio della parola, cioè una
rivoluzione di natura politica».
[Si veda per esempio l'intervista: "La rivoluzione non euclidea
come rivoluzione etico politica", di cui non siamo riusciti a trovare
riferimenti attualmente funzionanti in rete. I precedenti che conoscevamo
appaiono dismessi, a ulteriore conferma di un mondo effimero, caratterizzato
dalla assoluta precarietà delle pubblicazioni virtuali. Informiamo
che a Toth sono stati dedicati tre pezzi sul sito della rivista Lettera
matematica PRISTEM dell'Università Bocconi di Milano. Il primo,
un'intervista del 1992 a cura di Romano Gatto, con la collaborazione di
Pietro Nastasi. Il secondo, una recensione di Pietro Nastasi apparsa nel
marzo 1999. Il terzo, un'altra intervista curata da Liliana Curcio, pubblicata
nel N. 45 della rivista (settembre 2002). Da tale intervista, intitolata
"Essere e non essere - Riflessioni sul significato filosofico della conoscenza
matematica", abbiamo estratto l'opinione precedentemente citata.]
In un libro, naturalmente, si potrebbero inserire numerosi elementi a conferma delle varie affermazioni. Nella presente minore circostanza basteranno i seguenti due, uno più ... incredibile dell'altro, due recensioni che presentiamo con una scansione integrale.
Ecco qui che gente la quale verosimilmente non sa nulla o quasi dell'argomento
(o, meglio, degli argomenti, visto che qui il ruolo anti-euclideo è
assegnato alla relatività!), mostra però di saper cogliere
benissimo la loro valenza "politica". Il progresso della ragione, e va da
sé dell'intero "Occidente", starebbe tutto nel "passaggio da un'organizzazione
sociale ed etica di tipo euclideo a quella dominata dal principio della
relatività". Insomma, gli "euclidei" come i fascisti sconfitti
, per i quali sarebbe auspicabile un'apposita Norimberga (e ci
sarebbe da chiedersi: fascisti perché euclidei, o euclidei perché
fascisti?), e i non-euclidei come gli alleati liberatori e trionfatori su
tanta barbarie. E' proprio il caso di dire: povero Euclide, e povera matematica!
Ecco un'altra analoga perla di altrettanto ignoto recensore.
Non aggiungiamo particolari commenti per carità
di patria, bastano i riferimenti ai topologi come matematici che si occuperebbero
di geometria non euclidea, e al "grande matematico italiano non euclideo"
Giuseppe Peano. Ribadiamo però che, se si può chiedere perdono
a Dio per il recensore perché evidentemente non sa di cosa parla,
un po' di responsabilità deve pure averla il matematico progressista
menzionato, che andava ad insegnare certi argomenti rendendoli, non c'è
dubbio, facilmente accessibili come "un grande gioco", "una festa", ai (poveri)
bambini di una scuola elementare organizzata da un "Movimento scuola-lavoro"
che aveva la sede in un Convento Occupato. Questa è stata (o è
ancora) l'università italiana, e il pensiero di certa "sinistra progressista",
incapace di uscire dalla proprie contraddizioni (storiche) di base.
[Le scansioni provengono da ricordi personali del 1985, fotocopie
che furono affisse dallo scrivente - con salaci commenti - alle bacheche
dell'Istituto di Matematica dell'Università di Perugia - tramutato
oggi in un più progressivo Dipartimento. Tale particolare in qualche
senso ci consola, perché sta a dimostrare che l'asprezza della presente
nota non è frutto di un acido invecchiamento, e che certe idee erano
ben chiare alla nostra mente anche un quarto di secolo fa...]
4 - Una risposta alla domanda fondamentale che nessuno
si pone
Giunti a questo punto, il nostro libro "ideale" sarebbe tornato
sulla questione strettamente tecnica, presentando una (lunga) lista
(in parte riportata in rete) di affermazioni equivalenti
(in un senso relativo, cioè in un dato contesto logico) al V postulato
di Euclide, e ciò che sarebbe potuto apparire sufficiente per gli
scopi di docenti, studenti e lettori interessati a siffatte questioni, non
lo sarebbe stato però per noi, in quanto si sarebbe trascurato di porre,
e di tentare conseguentemente di rispondere ad essa, la domanda fondamentale:
quale potrebbe essere una "giusta" formulazione del V postulato? (ossia,
una descrizione maggiormente adeguata all'intuizione dell'oggetto in discussione).
Infatti, gli assiomi della geometria vanno a nostro parere considerati
delle affermazioni su un oggetto realmente presente nel nostro pensiero
(che noi chiamiamo lo spazio ordinario), proprietà di tale oggetto
che scegliamo tra quelle che non sembrano potersi derivare (almeno facilmente)
da altre, ma la cui evidenza riposa immediatamente sull'intuizione pura
( a priori ) dell'oggetto che si vuole descrivere-studiare. E' chiaro
che tale interrogativo non può porsi, né tanto meno ad esso
tentare di rispondere, il matematico-macchina di Turing, capace solo di
dedurre in maniera meccanico-formale da assiomi scelti più o meno
a caso (in un "gioco" che può avere talvolta qualche valenza estetica
- e non stiamo scherzando, sappiamo per diretta esperienza personale che molti
colleghi sanno dire della matematica solo che essa è "bella", mentre
alla matematica come gioco, più o meno "utile", fanno riferimento
in tanti degli attuali contagiati da forme di pensiero palesemente nichiliste),
né il matematico di Weyl, autore secondo il quale «Una scienza
non può, nella individuazione e definizione del proprio campo di
indagine, andare oltre una rappresentazione isomorfa di esso. In particolare,
ogni scienza rimane del tutto indifferente circa l'"essenza" dei propri
oggetti» (Filosofia della matematica e delle scienze naturali
, tr. it., Boringhieri, Torino, 1967, p. 31) - e si osservi che ovviamente
tutto sta qui nell'intendersi sul significato della parola "scienza"!
[A proposito di una tale "tentazione" (peraltro assai comoda,
come tutte le tentazioni diaboliche), abbiamo sempre portato all'attenzione
degli studenti la possibile distinzione tra "logica dell'intelletto" e "logica
della ragione" suggerita saggiamente da Federigo Enriques:
«Il matematico che nel suo sforzo di astrazione e nel suo
desiderio di compiutezza ha purificato la logica discorsiva, si trova
condotto a riconoscere che questa logica dell'intelletto postula un giudizio
superiore della ragione, che lo porta al di là delle stesse matematiche
[...] Distinguere una logica della ragione che supera la semplice logica
dell'intelletto non è comune fra i matematici. Il loro amore per
ciò che è chiaro e preciso li induce volentieri a concentrare
tutta l'attenzione sui criterii meccanici del rigore formale della deduzione
o della definizione [...] La discussione sulle definizioni mostra in molti
casi quale senso logico più largo venga ad assumere il giudizio
razionale» ( Le matematiche nella storia e nella cultura,
Lezioni pubblicate per cura di Attilio Frajese, Zanichelli, Bologna, 1938,
p. 148).]
Inviteremo quindi i nostri lettori ad operare una sorta di scelta,
ad agire quindi, nel senso letterale del termine, con intelligenza
, superando i facili automatismi della logica dell'intelletto, per immergersi
nel campo della logica della ragione (che per noi, dualisti cartesiani,
significa un'escursione nel regno dello spirito).
Bene, dopo tante ... chiacchiere veniamo al dunque, illustrando
la nostra personale scelta del V postulato, ispirata dalla lettura di
quel commento di Nasir-Eddin menzionato nel secondo paragrafo. Diamo prima
la "dimostrazione" in parola del postulato euclideo, indi le nostre (ultime)
osservazioni (per essere brevi useremo a volte un linguaggio da specialisti,
ma il lettore non esperto potrà da esso prescindere senza perdere
quasi nulla in fatto di sostanza).
Consideriamo una retta r del piano ordinario, e su di essa fissiamo
un punto A. Da A tracciamo la perpendicolare p ad r, e su p fissiamo un
punto B (diverso da A). Da B tracciamo la perpendicolare q a p, una retta
che sappiamo per certo essere parallela ad r.
[Se le due rette r e q si incontrassero, allora la somma dei
due angoli costituiti da queste due rette con p dalla parte del piano in
cui avviene l'incontro sarebbe minore di due angoli retti, come già
aveva rilevato Euclide senza fare ricorso al V postulato (un teorema di quelli
che si dicono appartenere alla geometria assoluta). E' chiaro che
stiamo parlando quindi di sola geometria non-euclidea iperbolica,
dove rette parallele esistono comunque, e si tratta soltanto di stabilire
quante. Ovvero, escludiamo le cosiddette geometrie ellittiche, nelle
quali l'intuizione della retta viene così profondamente modificata
da renderle subito scartabili come descrizioni inadeguate dell'intuizione
spaziale. Come si sa, infatti, ogni varietà topologica 1-dimensionale
(senza bordo), o non è compatta, ed è quindi omeomorfa a un
segmento aperto della retta ordinaria, o è compatta, ed è
quindi omeomorfa ad una circonferenza. Nelle geometrie ellittiche le rette
sono curve del secondo tipo, chiuse e compatte. Se si vuole distinguere
per bene, quello della retta "aperta" potrebbe essere un'assioma in più,
tra tanti che ci vogliono, della geometria euclidea.]
Consideriamo adesso una sola parte della configurazione illustrata,
facendo partire da B una semiretta s che formi con p, dalla parte che
ci interessa, un angolo alpha minore di un angolo retto. La
domanda che echeggia nelle menti di chi si occupa di geometria dai tempi
di Euclide è: la semiretta s incontra necessariamente la retta r?
(ossia, la retta q è l'unica parallela ad r passante per B?).
"Dimostriamo" adesso che è effettivamente così,
ovvero che la nostra intuizione spaziale conduce di necessità a
vedere l'esistenza di un punto di intersezione tra s ed r. Analizziamo
allo scopo il seguente disegno (dove abbiamo evidenziato gli elementi che
ci interessano all'interno di un cerchio, per sottolineare la circostanza
che la questione è di natura squisitamente locale; un'osservazione
che dedichiamo a quei colleghi che, quando raramente riuscivamo a parlare
di tali questioni, rispondevano: ma, chissà, le due semirette si
incontrano eventualmente tanto lontano dai punti di partenza, che la mia
intuizione non può esserne certa, non può "vedere" nulla).
Nel disegno sono riportati un punto C sulla semiretta s, ed un
ulteriore punto D sempre su s, tale però che il segmento CD sia
uguale al segmento BC. Sono stati poi indicati con C' e D', rispettivamente,
le proiezioni perpendicolari di C e di D su p, e tanto ci basta per concludere
nel senso voluto. Iterando infatti la traslazione del segmento BC
sul segmento CD, è manifesto che ci veniamo a trovare di fronte
a una successione di segmenti BC', C'D', D'E', ... sulla retta p, e che
se facciamo le somme successive di tali segmenti BC' + C'D' + D'E' + ...
, questa dà per risultato un segmento che a un certo punto supererà
sicuramente il segmento inizialmente fissato AB (si sta qui utilizzando
evidentemente il postulato detto di Archimede, a quattrino a quattrino
si supera lo zecchino). Se supponiamo per esempio che X sia uno di questi
punti su s tale che la relativa somma sia ancora non superiore ad AB, ed
Y quello immediatamente seguente, tale quindi che la somma sia superiore
ad AB, è chiaro che la perpendicolare per Y' a p incontra la semiretta
s in detto punto Y. Ragionando ancora, la retta r si viene a trovare, nella
parte del piano in cui s giace rispetto a p, all'interno del triangolo di
vertici ABY, ergo essa dovrà necessariamente incontrare il
lato BY del triangolo (e quindi la semiretta s) in qualche punto Z, come
volevasi dimostrare.
E' chiaro che, essendo matematici che argomentano con il senno
del poi, sappiamo che questa dimostrazione sta cripticamente introducendo
un elemento che deve essere in qualche senso equivalente al postulato
che si sta cercando di provare, ed individuare quale elemento è
ben facile, sempre con il senno del poi. Nel prendere in esame le successive
somme del tipo BC' + C'D' + D'E' + ... , per concludere infine nel senso
voluto con il postulato di Archimede, dobbiamo assumere che si tratti sempre
di quattrini, ossia che i segmenti in questione siano tutti uguali al pari
dei loro prototipi BC, CD, DE, ... di cui sono le proiezioni, e non vadano
invece diminuendo come accade appunto in una geometria iperbolica (in
tale ambito la costruzione descritta fornisce una serie limitata, la cui
somma è esattamente il segmento AB se, e soltanto se, la semiretta
s è asintotica ad r - e quindi è la "prima" parallela che
si incontra nel fascio di centro B).
[Nell'affermare ciò, prescindiamo da quello che viene
detto oggi "assioma di Pasch", relativo al comportamento di semirette e
lati di un triangolo, per l'appunto uno dei tanti "assiomi" sulla natura
topologica dello spazio ordinario che bisogna introdurre per avere
una descrizione "completa" dell'oggetto in esame, assai più complessa
di quella intravista da Euclide. Si noti qui, volendo, lo scambio non banale
dei termini piano e spazio, per non dire retta, e che gli assiomi di Euclide
si riferiscono invero alla sola geometria piana, una questione che meriterebbe
delle riflessioni a parte.]
Ecco che abbiamo facilmente trovato la formulazione equivalente
del V postulato che andavamo cercando, perfettamente corrispondente alla
nostra "intuizione", ovvero capace di spiegare perché il nostro intelletto
chiaramente percepisce che la semiretta s deve andare ad incontrare
la retta r. Date due rette a e b del piano ordinario (non tra loro perpendicolari),
la proiezione perpendicolare dei punti dell'una su quelli dell'altra induce
un'analoga corrispondenza dei segmenti dell'una su quelli dell'altra (un
"su" puramente linguistico, che non va inteso nel senso tecnico di suriettivo;
si sa bene che nelle geometrie non euclidee certe suriettività
che ci si aspetterebbe di trovare invece non si verificano). Essendo tali
insiemi di segmenti degli insiemi preordinati, in una relazione
primitiva che è essenziale per la costruzione di una teoria della
misura (e che abbiamo in precedenza utilizzato quando confrontavamo segmenti
diversi; si tratta ovviamente di una combinazione tra l'ordinaria inclusione
insiemistica e le traslazioni, mediante le quali si effettua il confronto
tra segmenti non contenuti l'uno nell'altro), l'assioma euclideo può
essere espresso semplicemente affermando che la corrispondenza in parola
è non soltanto una semplice corrispondenza tra insiemi, bensì
anche un morfismo d'ordine delle corrispondenti strutture (in parole
povere, dal momento che due segmenti sono "uguali" se ciascuno dei due
è non superiore all'altro nel detto preordine naturale, ciò
implica che a segmenti "uguali" corrispondono segmenti "uguali", che è
quanto ci basta).
[Si sta parlando quindi di un morfismo nella categoria dei
grafi, ovvero insiemi con una relazione binaria interna (categoria
in qualche senso speculare a quella degli insiemi con un'operazione
binaria interna, le cosiddette strutture algebriche
, entrambe le dette categorie situate "sopra" la categoria degli
insiemi ). La "naturale" operazione
di confronto tra segmenti (l'intelletto umano ha due "capacità" che
sono alla base dell'attività matematica: confrontare insiemi finiti
e confrontare segmenti, punti di partenza per calcolare quantità
e misurare lunghezze), e si comincia da quelli di una stessa retta,
è certamente (oltre che totale, ossia due qualsiasi segmenti
si possono sempre confrontare) riflessiva (un segmento non è
superiore a se stesso) e transitiva (se un primo segmento non è
superiore a un secondo, e questo secondo non è superiore a un terzo,
allora pure il primo non è superiore al terzo), non è però
antisimmetrica, come le relazioni d'ordine propriamente dette.
Ovvero, un dato segmento può essere non superiore a un altro, allo
stesso modo che l'altro può essere non superiore al segmento assegnato.
In questo caso è tradizionale dire in geometria che i due segmenti
sono uguali, anche se non sono manifestamente lo stesso segmento.
In generale, ad ogni relazione di preordine rimane associata una relazione
di equivalenza, e il preordine "passa" all'insieme delle classi di equivalenza
(l'insieme quoziente), diventandovi una effettiva relazione d'ordine. Lo
scrivente trova piuttosto significativa la circostanza che l'intero calcolo
delle probabilità possa a sua volta fondarsi su una primitiva relazione
di preordine tra eventi, ovvero, assegnati due eventi, sulla decisione di
quale dei due sia "meno probabile" dell'altro (vedi per esempio Giulianella
Coletti, Romano Scozzafava: Probabilistic logic in a coherent setting
, Kluwer Academic Publishers, London, 2002).]
Si potrà obiettare, naturalmente, che qui non c'è nulla di nuovo, e che nella sostanza certe osservazioni si trovano già in Saccheri (il quale del resto aveva letto anche lui Nasir-Eddin). In effetti la questione è piuttosto elementare, sicché la minestra, e i suoi ingredienti, sono sempre gli stessi, ma, si osservi, non si tratta soltanto di concludere che, se le proiezioni perpendicolari di segmenti uguali sono ancora uguali allora si è nell'ambito della geometria euclidea, ma anche di comprendere immediatamente il perché , con un ragionamento che secondo noi l'intelletto fa da solo quando riconosce che una semiretta "inclinata" come s andrà prima o poi ad incontrare la retta r. Confessiamo inoltre che una formulazione dell'assioma delle parallele quale quella che abbiamo presentato, e che vorremmo chiamare postulato di Nasir-Eddin , ci appare veramente suggestiva, sia perché ha a che fare con una relazione assolutamente primitiva, che è alla base di tutti i successivi sviluppi della geometria, sia perché espressa con quel linguaggio categoriale che ci sembra il più adeguato per una descrizione dell'attività matematica dell'intelletto umano, si vedano gli Elementi di Matematica citati in premessa - la teoria dei grafi è esposta nel capitolo terzo.
[Per le connessioni tra la detta struttura naturale
di preordine e la teoria della misura di segmenti che prelude all'introduzione
dei numeri reali (positivi) si veda per esempio il nostro
"Che cos'è la geometria? Un tentativo di ... ritorno alle origini,
dopo un secolo di nichilismo ontologico", in: What is Geometry?
, G. Sica (ed.), Polimetrica International Scientific Publisher Monza/Italy,
2006. Qui volendo possiamo aggiungere che, se la detta proiezioni perpendicolare
è un morfismo d'ordine, come è appunto nella geometria euclidea
(che meglio sarebbe chiamare, con termine astorico e impersonale, "geometria
intuitiva") si ha a che fare con una corrispondenza biunivoca tra gli
insiemi dei segmenti delle due rette (una "contrazione", nel senso che
l'immagine di un dato segmento è più piccola del segmento
iniziale, estendendo il confronto di segmenti dalle rette all'intero piano,
facendo uso delle rotazioni). Questa "passa" ai rispettivi insiemi
quoziente rispetto alla relazione di equivalenza indotta dal preordine
(due segmenti "uguali" diventano lo stesso oggetto, una classe di equivalenza
che può essere detta un segmento astratto). La nuova corrispondenza
biunivoca tra segmenti astratti diventa un isomorfismo delle strutture naturali
di semigruppo abeliano (additivo, ordinato) che tali insiemi possiedono.
Inoltre, se si fissa un'unità di misura, in modo tale che si possono
definire due nuovi isomorfismi tra i semigruppi abeliani in parola e l'analogo
semigruppo additivo dei numeri reali positivi, si ha a che fare in definitiva
con un automorfismo di tale semigruppo, che è semplicemente l'omotetia
di rapporto uguale al coseno dell'angolo acuto formato dalle due rette.]
Potremmo naturalmente dire di più, ma ci sembra che tanto
basti nei limiti di un'esposizione sintetica, più che sufficiente
per (forse irritare) chi già sa di certe questioni, e speriamo ispiratrice
per altri che debbono ancora saperle.
[Ci sembra doveroso sottolineare che noi certe cose le conoscevamo
già abbastanza, ma alle precedenti conclusioni non saremmo arrivati
da soli, se non avessimo avuto la fortunata opportunità di insegnare
per tanti anni Storia delle Matematiche, e di esserci imbattuti di conseguenza
nel commento di Nasir-Eddin.]
Per quanto ci riguarda personalmente, siamo soddisfatti dall'aver
compreso che la questione delle parallele va risolta introducendo un
assioma di natura metrica (anche se parla di preordine, l'assioma
dianzi prescelto non è di quelli che vengono detti assiomi dell'ordinamento
: in altre parole, afferma la "commutatività" delle proiezioni
ortogonali con le congruenze), e non uno da inserire in un'apposita famiglia
a parte. Si parva licet componere magnis, Hilbert per esempio suddivide
gli assiomi della sua geometria in cinque gruppi, inserendo quello in discussione
da solo nel quarto gruppo (gli assiomi di congruenza stanno invece
nel terzo, quelli dell'ordinamento nel secondo).
In sede ormai di congedo, vogliamo porre un'altra domanda, che
lasceremo senza risposta: un'intuizione non-euclidea sarebbe ugualmente
capace di costruire in maniera naturale i numeri reali? (ovvero una teoria
della misura di lunghezze, i numeri reali sono "rapporti" di segmenti
astratti della retta ordinaria).
[Nonostante le comode impostazioni formalistiche, introdotte
una volta che erano già perfettamente noti gli oggetti, siano
oggi quelle più utilizzate nella didattica universitaria - non
siamo bene al corrente di quale sia la situazione per ciò che
concerne l'istruzione inferiore, ma temiamo ancor peggiore -
sottolineiamo i rischi di un'usanza diffusa che presenta a principianti
dei concetti matematici in maniera indipendente dalla loro origine
mentale, che invece i discenti potrebbero facilmente ritrovare ...
in se stessi. Tanto per offrire un ulteriore esempio di una situazione
disastrosa, nei Nuclei di Ricerca Didattica di Pavia, Pisa, Trieste, ai quali
era vicino un noto matematico italiano recentemente scomparso
(di cui si parla, anche se non apertamente,
nell'Avvertenza a questo sito, a proposito dell'aggettivo "sulfureo"
con cui fu qualificato il pensiero dello scrivente), alcuni anni
fa si proponeva come assioma sensato per introdurre lo studio della geometria:
«Si può stabilire una corrispondenza biunivoca e ordinata fra
i punti di una retta e i numeri reali», il che, dal nostro punto di
vista, è proprio un mettere il carro davanti ai buoi! Nonostante i
roboanti proclami dei "modernisti", sono i numeri reali che si spiegano con
la geometria, non certo viceversa, poveri docenti, e poveri studenti...
]