LA MATEMATICA E LA FISICA

VERSO IL NUOVO MILLENNIO

 

 

L'arrivo di una fine secolo, o addirittura di millennio, quale quella che ci stiamo apprestando a vivere, induce sempre, nonostante la sua assoluta arbitrarieta' (in quanto dipendente dal sistema numerico prescelto), una certa tensione psicologica, che induce gli uomini a riflessioni, consuntivi e previsioni. L'indagine sull'atteggiamento mentale prevalente in siffatti periodi (pessimismo, attesa, disinteresse, etc.) consente a volte di individuare importanti nessi storici del secolo passato, e di scorgere le radici ideali di quelli del secolo venturo. E' particolarmente interessante l'applicazione di questo metodo anche alla storia della scienza, ancorche' di necessita' limitato all'analisi di pochi momenti di transizione, vista la nascita assai recente di questa. Ad esempio, nella storia della matematica si danno propriamente due sole "fini" da esaminare, quella del '700 e quella dell'800, le principali caratteristiche delle quali sono sinteticamente descritte da C.B. Boyer(1) attraverso una considerazione di questo tipo: "Il pessimismo fin de siecle espresso da Lagrange alla fine del XVIII secolo era totalmente assente alla fine del XIX secolo. L'Eta' Vittoriana trasudava ottimismo, almeno per quanto riguarda la matematica". Da un cosi' piccolo punto di partenza ci si puo' inoltrare in una riflessione generale sullo stato della matematica sia nel '700 che nell'800, ed anche formarsi un'impressione fondata su quello che e' poi invero stato il fiorire rigoglioso della matematica del XX secolo. Diventa cosi' compito dello studioso andare a scoprire le ragioni di certi atteggiamenti, gli esiti di talune aspettative, ed anche procedere ad un confronto tra discipline diverse, dal quale poter riscontrare o meno l'esistenza di un'unica sostanziale linea di pensiero che guida lo sviluppo di entrambe.

Con una tale premessa, si e' tentati in un'analoga situazione storica di transizione di cercare a nostra volta di esprimere una riflessione sul "senso" del secolo appena trascorso, ed un auspicio, o un tentativo di previsione, sull'evolversi della situazione in quello che sara'. Per cio' che riguarda la matematica, credo di interpretare bene l'atmosfera che si respira nell'ambiente asserendo che non ci si aspetta piu' "molto" da progressi nel settore della cosiddetta "matematica pura", che sta venendo sempre piu' soppiantata nell'interesse delle nuove generazioni di studenti e professori dalla matematica "applicata" e dall'informatica.

Come dice ad esempio J.C. Frauenthal(2):

 

"Stiamo sperimentando attualmente nella matematica un mutamento che e' drammatico ed irreversibile [...] Per quanto possa intuire, nel giro di un'altra generazione accademica, la corrente principale della matematica non sara' l'analisi, la teoria dei numeri e la topologia, ma piuttosto l'analisi numerica, la ricerca operativa e la statistica. [...] Io non dico che i settori della matematica pura, e persino gli argomenti classici della matematica applicata [...] scompariranno. Al contrario, come la meccanica newtoniana, e' probabile che essi vengano rimossi per sempre dal centro della scena nei dipartimenti di matematica".

 

Va da se', il mutamento in atto va ascritto all'irresistibile irruzione sulla scena matematica del calcolatore, e delle nuove problematiche ad esso connesse. C'e' chi nel settore, come osserva anche Frauenthal, cerca di resistere nello statu quo attraverso un espediente linguistico quale quello di dichiarare "non matematica" tutto cio' che lo minaccia, ed allora vengono istituiti nuovi dipartimenti, nuovi corsi di laurea, che si richiamano esplicitamente nel nome a parole chiave quali "applicazioni", "informatica", "calcolo numerico", etc., mentre i classici centri deputati allo studio della matematica pura si depauperano sempre piu' di studenti e di finanziamenti.

Non e' il caso di cercare qui di fare un'analisi piu' approfondita della situazione, o di segnalare alcuni dei rischi che si corrono con l'atteggiamento oggi diffuso di considerare alcuni dei luoghi tipici della matematica classica semplicemente come dei percorsi di servizio obbligati sui quali bisogna comunque soffermarsi il minor tempo possibile e nel modo piu' superficiale possibile. Voglio pero' almeno aggiungere, per non essere frainteso, che l'aver indicato da parte mia che "cosi' vanno le cose" non significa di necessita' che io sia d'accordo con la descritta linea di tendenza, anzi. Il discorso non puo' certo esaurirsi con la constatazione di fatto che il quadro "ideologico" della situazione nel settore matematico e' quello appena descritto (anche se bastera' questo per suscitare molte proteste da parte di quei colleghi "accademici" che di cio' si rendono poco conto, tutti presi come sono da problemi di progressione di carriera propri o dei propri allievi, e di spartizione dei pochi fondi messi a disposizione per la ricerca in quest'area disciplinare!), ma preferisco in queste righe soffermarmi di piu' sulla situazione nel campo della fisica, nel quale gli auspicati cambiamenti potrebbero di riflesso avere notevoli conseguenze anche in quello della matematica, ed invertire in qualche modo il corso della storia che appare per il momento cosi' ben delineato.

Espressa questa visione "pessimista" sulla matematica, cosa dire invece della sua disciplina "gemella", la fisica? Poiche' questa ha molta piu' diretta rilevanza nella storia del pensiero, e non solo scientifico, della sua piu' "appartata" consorella, come detto su di essa mi soffermero' di piu'.

Il punto di partenza della riflessione che voglio fare non puo' non essere costituito dalle vistose conquiste tecnologiche che lo sviluppo della nostra conoscenza del mondo naturale in questo secolo ha permesso di conseguire, e che sono a cagione di cio' immediatamente "respirabili" nella comunita' dei fisici e l'euforia per le imprese compiute e la convinzione che poco o nulla la natura ci tenga ancora nascosto quanto a sue caratteristiche essenziali. Quante volte non abbiamo sentito affermare che ci rimane da definire solo qualche "dettaglio" sui primissimi istanti dopo il big-bang primordiale, e che l'universo non ha per noi quasi piu' "segreti"? Tale persuasione si trova esemplarmente espressa nelle righe introduttive di "Un universo troppo semplice" del noto fisico e filosofo della scienza G. Toraldo di Francia(3):

 

"Ci sono meno cose in cielo e in terra di quante la nostra filosofia abbia sognato. Mi sembra ormai venuto il momento di riconoscere senza pudori questa verita', che ribalta in modo apparentemente paradossale la celebre affermazione di Amleto".

 

Mantenendoci nelle linee generalissime di questo scritto, credo si possa asserire senza esitazione allora che l'opinione diffusa nella comunita' dei fisici per cio' che concerne i due termini "giudizio di valore sul secolo passato/previsione su quello futuro" sia di questo tipo: "altissima valutazione di quanto e' stato fatto nel XX secolo/leggero pessimismo per quanto riguarda la possibilita' di futuri sviluppi e di grandi novita'". Certo, restano da estendere i benefici conseguiti dalla rivoluzione scientifica nell'Occidente al resto dell'umanita' che vive ancora in condizioni di sottosviluppo, bisogna cominciare ad usare le nostre conoscenze per non trascurare istanze ecologiche sempre piu' pressanti, ci sono ancora alcune possibilita' tecnologiche da sviluppare, ma in fondo "il piu' del lavoro" e' stato fatto, ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Paradossalmente, ritroviamo una simile disposizione d'animo verso il nuovo secolo al termine di quello passato. Il matematico A.N. Whitehead ricorda come i suoi professori di fisica a Cambridge all'inizio del '900 ritenessero che "quasi tutto quello che c'era da sapere in fisica fosse ormai conosciuto", e che questa disciplina fosse diventata ormai "un soggetto quasi chiuso". Tali previsioni venivano avanzate proprio alla vigilia delle grandi scoperte di questo secolo sull'energia atomica, e della completa rivoluzione delle nostre conoscenze sulla struttura della materia e dell'universo conseguenti alla teoria della relativita' ed alle teorie quantistiche, tanto che Whitehead aggiunge dei commenti sulla profonda impressione che questa circostanza ebbe su di lui, concludendo con le parole:

 

"Ebbene, sono stato ingannato una volta, e che io sia dannato se saro' ingannato di nuovo"(4).

 

Evidentemente la storia si ripete, visto che, come ho gia' detto, non e' raro assistere ad identiche "professioni di fede" da parte di scienziati di oggi.

Naturalmente qui ci si potrebbe arrestare come gia' fatto per la matematica, ma la questione della fisica e' cosi' importante che non so resistere alla tentazione di esprimere, contrapposta a quella "generale", una mia particolare valutazione, con l'intento non nascosto di contribuire a definire uno sviluppo futuro diverso da quello che tutte le linee di tendenza oggi lascerebbero prevedere. E' possibile infatti, anche se oggi purtroppo estremamente minoritario, portare argomenti che tendono a ribaltare completamente i giudizi precedentemente espressi anche per quanto concerne la parte che si considera piu' difficilmente opinabile, e cioe' l'alta stima sul "valore" della fisica del XX secolo. Avendo cosi' preteso di negare il primo termine dell'analisi, ecco che viene di conseguenza a cadere anche il secondo, e cioe' la presunzione di impossibilita' di futuri autentici grandi sviluppi. Ritengo al contrario che siamo oggi alla vigilia di profondi e radicali cambiamenti nel campo della conoscenza delle leggi del mondo naturale, e che "ci attendono tempi molto interessanti"(5). Di fatto, c'e' oggi la concreta possibilita' ad esempio che fenomeni quali quello della "fusione fredda" conducano ad un ripensamento su tutta una serie di opinioni sulla struttura dell'atomo e della materia considerate ai nostri giorni come "certe", o che piu' approfondite analisi critiche sui fondamenti dell'elettromagnetismo possano modificare anche la nostra concezione dello spazio e delle sue "qualita'" fisiche. Ai giorni nostri sono purtroppo ancora pochi coloro che, consapevoli di cio', si aspettano grandi rinnovamenti da future ricerche anche in settori che sembrerebbero definitivamente stabiliti, e forse anche inimmaginabili vantaggi tecnologici per l'umanita' a seguito della scoperta di nuovi modi di ottenere energia. Purtroppo la contraria opinione comune si riflette in tutta una serie di difficolta' che vengono continuamente frapposte a coloro che ricercano in settori non convenzionali (gli "eretici" di cui parleremo alla fine), ai quali viene impedito l'accesso ai fondi per la ricerca o ai mezzi di comunicazione della comunita' scientifica, che vengono piu' utilizzati per la produzione di "titoli" efficaci per il successo personale e la conquista di "posti", che non per divulgare nuove idee e favorire il dibattito tra punti di vista contrapposti.

Per riassumere, in antitesi al parere dianzi citato di Toraldo di Francia, ho l'impressione che possa esserci forse molto piu' contenuto di "verita'" nella seguente "profezia":

 

"Stiamo vivendo in una nuova era, e si potrebbe dire, parafrasando Shakespeare, che vi sono piu' cose fra cielo e terra ignote all'uomo"(6).

 

E' chiaro che una tale diversa aspettativa si fonda tutto sulla persuasione che la nostra conoscenza del mondo fisico e' purtroppo ancora tale da giustificare le seguenti parole di un grande matematico contemporaneo, R. Thom(7):

 

"sappiamo calcolare tutto ma non spiegare nulla [...] le attuali teorie fisiche concettualmente non hanno ne' capo ne' coda".

 

Questi aggiunge anche, quanto a previsione per il futuro, di non essere affatto convinto "che il nostro intelletto possa accontentarsi di un universo retto da uno schema matematico coerente, privo pero' di contenuto intuitivo".

Nell'ultima affermazione e' contenuta finalmente la parola chiave di tutta la controversa questione che sto cercando di esaminare. In effetti, quasi logica conseguenza di quel processo di "deantropocentrizzazione" che ha accompagnato lo sviluppo di tutta la nostra scienza occi6 dentale dal rinascimento fino al nostro secolo, la fisica del '900 ha fatto propria la tesi secondo la quale le "categorie mentali" con cui lo scienziato dell'800 credeva di essere in grado di comprendere le leggi della gigantesca macchina nella quale si trovava a vivere (giusta lo spinoziano "Ordo et connectio idearum idem est ac ordo et connectio rerum") sono del tutto inadeguate alla "realta'" dei fenomeni sia a larga che a piccolissima scala. All'inizio di questo secolo fu A. Einstein ad aprire la strada in questa direzione convincendo tutti che i concetti di spazio e tempo con i quali si costruiva la fisica "classica" non erano altro che semplici prodotti del nostro povero cervello di mammiferi primati, e che poco si addicevano alla reale struttura intima di una natura assai piu' complessa, e da allora in poi anche sempre piu' impossibile da concepire "razionalmente". E' seguita poi l'interpretazione "ortodossa" della meccanica quantistica a complicare ulteriormente le cose da questo punto di vista, e nella fisica contemporanea si assiste allora a quel fenomeno di "rinuncia al realismo" che il fisico F. Selleri definisce come "l'epistemologia della rassegnazione"(8). Ci si confina nelle "specializzazioni", ci si persuade che, piu' che alla ricerca della "verita'", lo scienziato debba volgere i suoi sforzi alla produzione di "modelli utili", ci si rifugia in comodi "ismi", quali agnosticismo, convenzionalimo, pragmatismo, etc.. Si puo' appena considerare un "miracolo" che la matematica, da intendersi come la piu' alta espressione della razionalita' umana, ci permetta almeno di orientarci in questo labirinto, e di scoprire "nelle categorie suggerite dalla nostra esperienza il riflesso di categorie piu' generali, piu' astratte, piu' vere"(9). Posizioni come questa almeno non eludono il nucleo della questione, postulando in sostanza che da una piu' approfondita conoscenza delle leggi del mondo fisico debba scaturire anche la necessita' di una "nuova" intuizione, di un "nuovo" modo del pensare. Per quanto mi riguarda, anche se ovviamente non so quale prevarra' tra le due visioni del mondo messe cosi' a confronto (a questa situazione mi piace alludere come ad un contrasto tra il "Dio" di Cartesio, che si fa garante della "verita'" delle nostre idee chiare e distinte, ed il "Dio" di Einstein, che e' "raffiniert", anche se non "maligno"!), sono certo pero' che il diffuso atteggiamento di rifiuto di questa problematica, con tutte le sgradevoli conseguenze che esso comporta, non possa alla lunga durare.

Personalmente, e si e' gia' capito, sono favorevole ad operazioni di "igiene mentale", quali ad esempio quella proposta dal fisico R. Monti in opposizione alla teoria della relativita', e all'introduzione di un "principio di razionalita'" con cui si dovrebbe rifondare l'intera fisica sulle "nozioni ordinarie" di spazio, tempo e causalita'. Naturalmente, questo progetto va comunque in senso inverso al processo di deantropocentrizzazione prima accennato, e trova pertanto difficile fare la sua strada senza incontrare continuamente ostacoli di tipo soprattutto "ideologico".

Di fronte allo stato di cose appena descritto comincia a riscontrarsi una certa forma di opposizione, che non e' piu' soltanto appannaggio esclusivo di pochi "eretici", ma anche di specifici operatori del settore. Tanto per fare un esempio, sulla diffusa rivista "American Journal of Physics"(10) R.L. Oldershaw mostra il disagio di una parte della comunita' dei fisici nei confronti di certa fisica teorica moderna con un articolo dal titolo assai significativo: "The new physics physical or mathematical science?". Questo autore si limita ad indicare il divario sempre crescente tra situazione teorica e possibilita' di un suo riscontro sperimentale, ma, anche se non si tratta naturalmente di mettere in discussione l'innegabile ruolo fondante della matematica anche sofisticata come "linguaggio" di elezione nell'indagine del mondo naturale, il vero problema e' quello di capire che tutte le difficolta' provengono dall'irruzione avvenuta nel campo della fisica dell'arbitrarieta' costruttiva propria di quella disciplina(11), e quindi dall'esistenza di modelli teorici per i quali e' impossibile costruirsi, oltre che convincenti prove sperimentali a conferma, soprattutto un'immagine mentale "intuitiva" (vale a dire, l'impossibilita' di una fisica qualitativa che deve essere comunque alla base di una quantitativa).

Un dissenso ancora strisciante ed abbastanza nascosto, che riguarda non solo i contenuti, ma anche l'"etica" di un sistema di ricerca che si connota sempre piu' come un "big businness", e per il quale riesce difficile prevedere un qualsiasi futuro se non sapra' modificarsi, per esaurimento vuoi delle risorse che delle problematiche gia' adesso abbastanza artificiali. C'e' forse da sottolineare esplicitamente che il dissenso in parola non riguarda propriamente il "metodo" scientifico, anzi semmai consiste proprio in un richiamo ad esso, visto che sembra ormai piuttosto trascurato. La famosa critica di P.K. Feyerabend "Contro il metodo"(12), se appare indovinata quanto ad analisi della situazione, ed a pareri quali quello secondo il quale:

 

"Nella maggior parte dei casi la scienza moderna e' piu' opaca, e molto piu' illusoria, della scienza del Cinquecento e del Seicento"(13),

 

risulta purtroppo in un rifiuto della scienza come tale, o meglio della sua peculiarita' distintiva dalle altre attivita' di ricerca umane, per assimilarla tout court impropriamente all'"arte".

Un parere che appartiene a questa stessa linea "critica", anche se con una differente prospettiva, e' senz'altro quello che in questo stesso numero della rivista [L'altra Europa, Ed. C. Marco, Lungro di Cosenza, A. IV, N. 12, 1992] viene di seguito pubblicato, "Conquistare l'ambiente od abitarlo pacificamente?". L'autore, che ama definirsi un ex-fisico, insegna attualmente Storia della Scienza e della Tecnica presso la Facolta' di Lettere e Filosofia dell'Universita' degli Studi di Pisa, e questo suo intervento e' stato segnalato dai partecipanti come uno dei migliori tra quelli presentati durante un convegno internazionale, svoltosi ad Ischia nello scorso mese di maggio, dedicato al tema "Quale fisica per il 2000? Prospettive di rinnovamento, problemi aperti, verita' 'eretiche'".

Prima di lasciare il lettore invitandolo a leggere l'interessante articolo in questione, sento pero' necessario di indicargli almeno uno degli ingredienti della "ricetta" con la quale credo ci si potra' tirare fuori da queste impreviste secche del pensiero. Per fare questo mi richiamero' ad un libro di Italo Calvino dall'avveniristico titolo "Lezioni americane Sei proposte per il prossimo millennio"(14). Tra queste sei proposte, o "valori", che potrebbero soccorrerci nel presente momento storico vorrei richiamare l'attenzione sulla prima, e cioe' sulla "leggerezza". Come riportare la lightness di Calvino dal campo specifico della letteratura a quello del pensiero scientifico, ed interpretarla ai nostri fini? Non ho dubbi che una delle cause del malessere indicato, al quale si trova sollievo ad esempio in una iper-specializzazione che fa perdere di vista quasi a ciascuno l'aspetto globale di un problema, sia da attribuire all'enorme "peso" dell'eredita' del passato. E' difficile oggi in effetti di distinguere il buono dal cattivo, quali ipotesi siano piu' o meno di comodo, quali approssimazioni e semplificazioni siano necessarie e non puramente strumentali, e riuscire quindi a convincersi fondatamente come mai un modello efficace dal punto di vista numerico possa essere assolutamente lontano dal vero sotto il profilo qualitativo e concettuale. Parafrasando Wittgenstein(15), e' difficile del resto scalare la montagna della conoscenza tenendosi sulle spalle i diversi sacchi della matematica, della fisica, della filosofia, etc.; ed allora una tentazione, ma anche un consiglio, e' semplicemente quello di prendere quei sacchi e gettarli via, per ricominciare il proprio cammino daccapo piu' leggeri. O forse ancora meglio, come una volta proprio l'amico Tonietti mi suggeri', di metterseli sotto i piedi e di salirci sopra, nella speranza di "vedere" cosi' finalmente un po' meglio.

 

 

NOTE

 

(1) "Storia della Matematica", ISEDI, 1976, p. 685.

 

(2) "Il mutamento della matematica applicata e' rivoluzionario", SIAM News, Aprile 1980; citato da C.A. Truesdell, "Il calcolatore: rovina della scienza e minaccia per il genere umano" (in "La Nuova Ragione: scienza e cultura nella societa' contemporanea", a cura di P. Rossi, Ed. Il Mulino, 1981).

 

(3) Ed. Feltrinelli, 1990, p. 7.

 

(4) Da J.F. Sowa, "Conceptual Structures", Addison-Wesley, 1984, p. 355.

 

(5) Da un articolo di G. Preparata, professore di Fisica Nucleare delle Alte Energie presso l'Universita' Statale di Milano, comparso su "Il Sole 24 Ore" del 9.7.91.

 

(6) J. Pierrakos, dalla "Premessa" al volume "Mani di luce", Ed. Longanesi, 1989.

 

(7) "Parabole e catastrofi - Intervista su matematica, scienza e filosofia", a cura di G. Giorello e S. Morini, Il Saggiatore, 1980.

 

(8) "La causalita' impossibile", Ed. Jaca Book, 1988, p. 13.

 

(9) Per usare un'espressione del fisico dell'Universita' di Pisa Luigi Radicati di Brozolo, utilizzata in occasione della presentazione di una biografia di A. Einstein (autore A. Pais, Ed. Boringhieri, 1986).

 

(10) Vol. N. 56, 12, 1988, pp. 1075-1081.

 

(11) Non bisognerebbe mai dimenticare a questo proposito quanto la svolta "formalista" avvenuta nella fisica all'inizio del nostro secolo sia stata fortemente voluta ed impostata da quei matematici raccoltisi a Goettingen intorno a D. Hilbert ed all'ideale di un manifesto formalista nel campo della matematica (mi piace riferirmi a questa convergenza di uomini e di idee in un posto geograficamente ben determinato come allo "spirito di Goettingen").

 

(12) Ed. Feltrinelli, I campi del sapere, 1984.

 

(13) Loc. cit., p. 53.

 

(14) Ed. Garzanti, 1988.

 

(15) E vorrei citare in questo stesso contesto anche le seguenti parole: "Il sapere [...] lega le mani piu' di una catena. [...] Devi ritrovare in te stesso il tempo dell'ignoranza, perche' quello era anche il tempo del coraggio", contenute nello splendido romanzo di A. Maalouf "Leone l'Africano" (Ed. Longanesi, 1987, p. 154).

 

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Perugia, Settembre 1991

 

Umberto Bartocci

Dipartimento di Matematica

Universita'