La giustizia dei vincitori:
Massimo Fini e il caso Milosevic
Un amico mi invia copia del seguente articolo, apparso sul quotidiano romano "Il Tempo" (non conosco la data esatta), e mi sembra di fare cosa opportuna nel metterlo a disposizione dei lettori di questo sito: finalmente un "Consenso" di cuore (a un giornalista coraggioso che ne merita numerosi altri per diverse cose che ha scritto, libri compresi, e che gia' avevo imparato ad apprezzare).
* * * * *
È LA GIUSTIZIA DEI VINCITORI
di MASSIMO FINI
SLOBODAN Milosevic è stato arrestato. Giustizia è fatta. Ne siamo sicuri? L'accusa che i Pubblici ministeri serbi rivolgono all'ex presidente della Jugoslavia è di quelle risibili: abuso d'ufficio, l'essersi fatto vendere la villa di Dedinje a prezzi di favore. Ciò è tutto quanto la magistratura serba è riuscita finora a trovare sul conto di Milosevic. Non è cosa da giustificare un arresto e, tantomeno, un assedio alla villa presidenziale che ha per certi versi ricordato, a parti invertite, l'assedio di Salvador Allende alla Moneda circondata dai tagliagole del generale Pinochet. L'arresto è avvenuto nella notte fra il 31 marzo e il primo aprile. La data è significativa, perché è quella della scadenza dell'ultimatum che gli Stati Uniti avevano lanciato al governo jugoslavo per arrestare Milosevic, pena il ritiro degli aiuti (50 milioni di dollari) promessi dagli americani per tentare di ricostruire economicamente la Jugoslavia da essi bombardata e devastata, e, attraverso opportune pressioni sulla Banca Mondiale e il Fmi, di quegli altri aiuti che dovrebbero arrivare dagli organismi internazionali. Una giustizia "ad orologeria" diremmo in Italia. Una giustizia che si svolge sulla base di un ricatto abbastanza vergognoso (soldi in cambio di diritti) e che lascia molti dubbi sulla reale indipendenza dello Stato jugoslavo e, ancor più, della magistratura di quel Paese nei confronti del governo. È a tutti evidente, e del resto è stato anche detto "apertis verbis", che l'arresto di Milosevic per reati di poco conto è propedeutico alla sua consegna per "crimini di guerra" al Tribunale internazionale dell'Aja la cui sentenza, di natura ovviamente e squisitamente politica, è già scritta. Si profila quindi una "Norimberga dei Balcani", cioè la giustizia dei vincitori sui vinti. Perché questo fu il processo di Norimberga su cui, in un coraggioso discorso tenuto all'Assemblea Costituente nel luglio del 1947, Benedetto Croce, che non era un fascista e nemmeno un comunista, ma un liberale, si espresse con queste parole: "Segno inquietante di turbamento spirituale sono ai giorni nostri (bisogna pure aver il coraggio di confessarlo) i tribunali senza alcun fondamento di legge, che il vincitore ha istituito per giudicare e condannare, sotto nome di "criminali di guerra", uomini politici e generali dei popoli vinti". I tribunali tipo Norimberga sono inquietanti per almeno due motivi. Perché i vincitori non si accontentano di essere tali ma pretendono - cosa inaudita, nel senso letterale di mai udita, prima di Norimberga - di essere anche moralmente migliori dei vinti. Perché fanno coincidere il diritto con la forza, la forza del vincitore. Che è l'esatto contrario del diritto. Infine non si può fare a meno di notare che quando in Jugoslavia c'era al potere il "dittatore Milosevic" (per la verità era stato regolarmente eletto dal consenso del suo popolo) la più parte della stampa era in mano all'opposizione che lo scarnificava con una satira violentissima che fa impallidire quella per cui da noi è scoppiato lo scandalo di Satyricon, e i suoi avversari politici erano liberi tant'è che poi hanno vinto le elezioni, mentre ora che in Jugoslavia c'è la democrazia il capo dell'opposizione viene arrestato. E il motivo di questa brutale rimozione, come ci spiega compuntamente Sergio Romano sul Corriere della Sera "non è morale... ma politico: finché Milosevic controllerà il partito socialista e potrà contare su amici e clienti, il governo non sarà in grado né di riformare l'apparato statale, né di fare pulizia nelle stalle dell'economia pubblica". Insomma si decapita il leader dell'opposizione perché questa la smetta di "remare contro". Un bell'esempio di democrazia, non c'è che dire.
(UB, aprile 2001)