Sulla "vera" storia della matematica, ed altro...

 

"Non sopporto piu' il dilagare della "correttezza politica", non in quanto principio e tutela dei diritti di tutti, ma in quanto strumento di devastante appiattimento di qualsiasi differenza…"

(Emanuela Martini)

 

Cari Colleghi,

qualcuno di voi ricordera' come, pochi mesi fa, rimasi "scandalizzato" da una recensione di Odifreddi a un libro di Gheverghese Joseph sulla "vera" storia della matematica, e che vi feci partecipi allora di talune mie osservazioni in merito (reperibili nel sito Internet sotto indicato, al punto 7 della pagina dedicata alla Storia della Matematica; vi si trova anche un'analisi del XIV problema del papiro di Mosca, per quanto mi consta piuttosto "originale").

Mi fa piacere informarvi adesso che, fortunatamente, le mie critiche non sono rimaste isolate. Troverete infatti qui in calce una recensione dello stesso testo scritta dal noto collega romano Lucio Russo, nella quale si tratta anche del commento di Odifreddi (oltre che di alcune tendenze ideologiche della "nuova didattica", e della sciagurata identificazione del "valore" di un prodotto intellettuale con la sua "vendibilita'"): ve l'ho scannerizzata pensando di farvi cosa utile…

Cordialita', vostro UB

P.S. A parte l'occasione contingente che ne e' all'origine, la questione e' importante, visto che per esempio anche il libro "La sconfitta di Platone", di Claude Allègre (geochimico, ministro della Pubblica Istruzione e della Ricerca nel governo Jospin), esprime lo stesso tipo di inaccettabili considerazioni sull'essenza e il ruolo della nostra disciplina, e sui suoi rapporti con il progresso della conoscenza in generale: "...la matematica e il suo rigore astratto hanno svolto solo un ruolo modesto nella serie di scoperte che hanno permesso di costruire la scienza moderna ... il suo ruolo nell'innovazione ha continuato a diminuire. Questo fatto, tuttavia, non e' stato recepito nell'insegnamento delle scienze..."; "l'assiomatica e' servita come modello per esporre le altre discipline scientifiche: la fisica, ma anche l'economia e, talora, le scienze della natura, facendo perdere a queste discipline nel tempo stesso la loro eleganza, la loro flessibilita', la loro ricchezza e la loro stessa essenza ... La selezione operata attraverso la matematica "pura" allontana dalla scienza molti spiriti interessati alla concretezza, alla realta'"; "Alla scienza deduttiva, austera, rigida, automatica ... si deve sostituire una scienza varia, imprevista, duttile, versatile. Una scienza che volti le spalle a Platone, Cartesio, Comte, questi "sacerdoti" di una falsa religione, questi costruttori di mondi finiti". (Segnalo l'esistenza di un lavoro di ben altro spessore relativo ad analoghe problematiche, "Matematica e fisica fra linguaggio e realta'", di Marco Mamone Capria, si puo' ottenerne copia presso l'autore: mamone@dipmat.unipg.it).

 

P.P.S. Poiche' tra poco si affrontera' la spinosa questione in Dipartimento, aggiungo che discutevo l'altro giorno con Anna Martellotti sul significato AMPIO che secondo me bisogna dare alla parola "ricerca" (che non e' soltanto quella che esita nella pubblicazione di articoli accademici letti da pochi specialisti, ma anche nel miglioramento della qualita' del proprio "sistema", e quindi della propria didattica): orbene, il presente e' un esempio di prodotto di tempo impiegato nella ricerca come la intendo io, lato sensu: ricerca di testi, di opinioni, di persone, di contatti, e di riflessione su quanto in vario modo acquisito…

 

[Estratto da "Punti Critici", N. 4, Febbraio 2001, pp. 137-141, Ed. Libri Liberi, Firenze]

MATEMATICA POLITICAMENTE

CORRETTA

(Lucio Russo)

RECENSIONE A GEORGE GHEVERGHESE JOSEPH,

C'ERA UNA VOLTA UN NUMERO. LA VERA STORIA DELLA MATEMATICA.

MILANO, IL SAGGIATORE, 2000, pp. 444, L. 39000 (20,14)

(Traduzione da THE CREST OF THE PEACOCK. NON-EUROPEAN ROOTS OF MATHEMATICS, 1991)

Il libro dichiara fin dall'inizio il suo scopo, che è quello di mostrare che la matematica è nata democraticamente in tutti i continenti, tranne che in Europa. Gli attuali confini tra i continenti (nonostante si tratti di una nozione europea) sono a tal fine accolti acriticamente e retrodatati ad epoche in cui nessuno li avrebbe immaginati. La civiltà minoica è ad esempio evitata, probabilmente in quanto "europea", mentre la matematica "alessandrina" è considerata l'ultima fase della matematica egizia" (p. 100). Ipparco (che nacque a Nicea, ma visse e lavorò a Rodi) viene gratificato dell'appellativo "alessandrino", probabilmente nel tentativo di farlo uscire dai confini dell'Europa per assegnarlo all'Africa(1).

Buona parte del libro è dedicata ai risultati delle matematiche egizia, mesopotamica, indiana, araba e cinese. Ovviamente si tratta di sviluppi scientifici importanti e ben noti, ma eliminando dal quadro storico la matematica greca si crea una frattura che impedisce di seguire la continuità dello sviluppo delle idee: mentre infatti i greci hanno sempre riconosciuto che all'origine della loro matematica erano le riflessioni sulle conoscenze egizie e orientali, i matematici islamici avevano come proprie principali fonti i trattati ellenistici e non gli scritti paleobabilonesi. L'autore non ignora questa circostanza, ma si rammarica che gli scienziati arabi, per altri aspetti così bravi, abbiano perso tanto del loro tempo a studiare trattati ellenistici. Egli ci confida la sua convinzione che se avessero evitato ogni contatto con il fuorviante pensiero greco i matematici islamici avrebbero certamente sviluppato una matematica di livello superiore.

Anche nel caso delle civiltà preclassiche, i risultati reali vengono affiancati a conquiste virtuali. Ad esempio a proposito della trigonometria, le cui origini greche sono generalmente accettate, Joseph scrive:

"Le origini della trigonometria sono oscure. [...] C'è anche l'ipotesi secondo cui una colonna di numeri contenuta in una tavoletta cuneiforme babilonese, Plimpton 322, sarebbe una tavola di secanti; tuttavia questa congettura deve essere considerata azzardata, specialmente da quando esistono spiegazioni più plausibili. E ancora, non c'è alcuna prova che i babilonesi a quel tempo avessero elaborato il concetto di "angolo". Non possiamo comunque respingere così categoricamente la possibilità che i babilonesi del periodo "recente" possano aver creato una forma di prototrigonometria per scopi astronomici [..]"(2).

Non viene fornito alcun elemento a sostegno dell'ultima possibilità, né si tenta di spiegare in cosa avrebbe potuto consistere questa "prototrigonometria" che, in assenza di documenti, non possiamo certo escludere possa essere stata babilonese.

Un caso in cui abbiamo invece una buona documentazione è quello del calcolo approssimato della radice di due, che in una tavoletta babilonese è eseguito con un errore minore una parte su un milione. Questo risultato è presentato da Joseph come

"la testimonianza della preparazione dei babilonesi a operare con i numeri irrazionali"(3).

Ovviamente il concetto di numero irrazionale era del tutto assente nella matematica babilonese e ha ben poco a che vedere con la capacità di calcolare un valore approssimato di ciò che noi sappiamo essere un numero irrazionale, ma Joseph non coglie la differenza. Anzi, poiché il calcolo approssimato della radice di due viene effettuato per calcolare la lunghezza della diagonale di un quadrato, lo scriba babilonese viene accreditato della conoscenza del "teorema di Pitagora". Il fatto che a nessuno scriba babilonese sia mai venuto in mente nulla di simile al concetto di teorema è ignorato.

Non si tratta di semplici errori, ma di precise scelte metodologiche. L'autore afferma infatti che la matematica greca

"ostacolò la successiva evoluzione della materia" (4)

poiché

"grandi menti come Pitagora, Euclide e Apollonio consacrarono molto tempo alla creazione di quelli che erano essenzialmente concetti astratti e idealizzati; il modo in cui essi arrivavano a una conclusione era più importante di qualsiasi risultato pratico"(5).

Joseph condivide l'idea degli scribi paleobabilonesi che conti solo il risultato pratico, verificabile empiricamente, e che la dimostrazione di teoremi costituisca una perdita di tempo. Un risultato ottenuto senza dimostrazione può sempre rivelarsi falso, ma perché preoccuparsene, finché funziona?(6).

L'autore insegna statistica in una facoltà di economia. A giudicare dai suoi libri precedenti citati sulla copertina, non è uno specialista di storia della matematica o della scienza, ma un esperto di femminismo e di multiculturalismo.

Non meraviglia che vari giornali italiani abbiano pubblicato recensioni entusiaste di questo libro, come quella di Piergiorgio Odifreddi apparsa sul quotidiano "La Repubblica". Libri come questo si inseriscono infatti in un filone vincente, cercando di fornire una copertura di carattere pseudo-storico ai processi in atto nella didattica e nell'attività di ricerca, fornendo in particolare delle giustificazioni di carattere "culturale" all'abbandono dei concetti astratti (che Joseph depreca nella civiltà greca) e del metodo dimostrativo nella scuola e alla crescente sostituzione dell'attività di ricerca con l'applicazione automatica di "protocolli" giustificati su base puramente empirica. Allo stesso tempo le nuove tendenze sono prodotti genuini della nuova didattica, in quanto è evidente che chi non ha mai studiato una vera dimostrazione matematica difficilmente può apprezzare i classici della matematica greca e rendersi conto dell'importanza degli aspetti metodologici che interessavano scienziati come Euclide e Apollonio.

Qualcuno potrebbe dubitare che Odifreddi non condivida il disprezzo di Joseph per i concetti astratti e il suo disinteresse per il metodo con cui vengono ottenuti i risultati matematici, se non fosse lo stesso Odifreddi ad eliminare ogni possibile dubbio facendo sua, nella recensione, la confusione di Joseph tra il "teorema di Pitagora" e l'enunciato che ne costituisce la "tesi"(7).

Odifreddi è un logico e la logica dovrebbe occuparsi proprio di concetti astratti e del modo in cui i risultati matematici vengono ottenuti. Che sia stata l'eccessiva astrattezza della logica matematica contemporanea a generare nei suoi cultori una tale sazietà da far loro apprezzare l'abbandono del metodo dimostrativo ed il ritorno ai sani metodi paleobabilonesi?

Note

(1) Eratostene è considerato uno scienziato "africano" in un libro consigliabile a chi vuoi chiarirsi le idee sulla storia multiculturale della scienza e la sua didattica: T. Alcoze et al., Multiculturalism in mathematics, Science and Technology: Readings and Activities, Menlo Park, Addison Wesley, 1993. Si tratta di un manuale usato in molte scuole secondarie statunitensi, scritto da un folto gruppo di insegnanti secondari e universitari (non è ancora stato pubblicato in Italia, ma se i tempi sono gli stessi di Joseph lo vedremo presto in libreria e nelle scuole). Le scoperte scientifiche dell'umanità vi sono ripartite equamente tra i continenti, i sessi e le etnie. I Sioux vi sono indicati come i precursori del modello dell'atomo di Bohr, in quanto avrebbero rappresentato la natura in forma di cerchio. Non sono citati Copernico, né Galileo, né Newton, e tra gli scienziati dell'America del Nord non è menzionato nessun maschio bianco (tranne un ispanico). Il libro si dilunga invece ampiamente su Jan Matzeliger, uno statunitense di colore che nel 1883 ottenne un brevetto relativo ad una particolare applicazione della macchina da cucire nei calzaturifici.

(2) p. 277.

(3) p. 112.

(4) p. 340.

(5) p 341.

(6) Il criterio oggi universalmente accettato per giudicare la validità di un risultato è quello della sua vendibilità. Una ovvia conseguenza di questo criterio è quella che se si dubita che un risultato "scientifico" sia falso, piuttosto di accertarne la verità con complesse ricerche, è molto più conveniente renderlo valido ricercando il modo di venderlo in fretta.

(7) Di suo aggiunge una confusione tra Babilonesi e Egiziani, attribuendo il teorema di Pitagora a questi ultimi.