Capitolo I

Dove si discute di quale dovrebbe essere l'interrogativo fondamentale della ricerca storiografica, e della necessità del metodo indiziario per poter tentare di dargli una risposta.

"Holmes prese la borsa, e scendendo nell'avvallamento, spinse la stuoia in posizione orizzontale. Poi stendendovisi sopra faccia a terra e appoggiato il mento sulle mani, prese ad esaminare attentamente la mota tutta calpestata che si stendeva dinanzi a lui.
- Perdinci! - esclamò a un tratto - Questo che cos'è? Si trattava di un cerino mezzo bruciacchiato, e talmente coperto di fango da sembrare a tutta prima un minuscolo frammento di legno.
- Non so come abbia fatto a non vederlo - disse l'ispettore con aria seccata.
- Era impossibile vederlo, poiché era affondato nel fango. Io l'ho veduto semplicemente perché l'ho cercato."
(Sir Arthur Conan Doyle, Le memorie di Sherlock Holmes)
 
 
Si è discusso, e si continua a discutere, sulla legittimità e sul valore dell'uso del metodo 'indiziario' nella ricostruzione di avvenimenti storici. Esemplare è a questo proposito una recensione di Umberto Eco1, che contesta a priori ogni tentativo di rintracciare indizi di una persistenza dell'organizzazione templare in vicende verificatesi ben oltre lo scioglimento forzato dell'ordine2, quasi che sia veramente più plausibile ritenere che i cavalieri sopravvissuti alla persecuzione "con la paura che si erano presi, [abbiano] cercato di rifarsi una vita altrove, in silenzio", anziché cercare qualche forma di resistenza e di rivincita entrando in clandestinità. Una siffatta opinione, che distingue (ovviamente) gli studi storici "seri" ed "affidabili" da quelli compiuti dalle "mezze calzette di tutti i tempi e di tutti i paesi", si conclude facendo (come al solito pessimo, ancorché abbastanza improprio) uso dell'ammonimento wittgensteiniano, "Di ciò di cui non si può parlare si deve tacere"; a utilizzare ancora una volta questo pensiero con un intento critico non costruttivo a difesa della chiusura della mente, ad elevare una barriera di impossibilità, un moderno nec plus ultra, con il quale segnare i confini tra il campo delle vere scienze (e dei veri scienziati) da quello delle pseudo-scienze3. Peccato però per chi sostiene tali opinioni che invece i confini tra i due settori si trovino in verità più spesso marcati semplicemente da quella sorta di 'pigrizia accademica' alla quale fa riferimento Benedetto Croce quando rileva tristemente che:

"La maggior parte dei professori hanno definitivamente corredato il loro cervello come una casa nella quale si conti di passare comodamente tutto il resto della vita; da ogni minimo accenno di dubbio vi diventano nemici velenosissimi, presi da una folle paura di dover ripensare il già pensato e doversi mettere al lavoro. Per salvare dalla morte le loro idee preferiscono consacrarsi, essi, alla morte dell'intelletto."

Va da sé, questo frequente atteggiamento dei 'professionisti' della cultura deve essere celato sotto abbaglianti paludamenti, ed ecco quindi l'esaltazione di un metodo con il quale sia possibile senza troppa fatica distinguere il grano dalla gramigna, i buoni dai cattivi, o, per restare al campo che più ci interessa, la storia dalla "fantastoria", o peggio dalla "paranoia ermeneutica". In effetti però, questo famoso metodo assomiglia di solito assai di più alle regole di un galateo che ad una serie di indicazioni formulate allo scopo di "ben condurre la propria ragione", e quindi una ricerca, ma risulta facile così classificare come "spazzatura", con la quasi assoluta certezza di essere imitati ed apprezzati da legioni di accademici (interessati principalmente a questioni di progressione della carriera, propria o dei propri 'seguaci', ed alla produzione dei relativi 'titoli'), anche onesti tentativi di comprensione ed interpretazione di particolari momenti storici, e di individuazione delle loro 'cause nascoste'.

Che poi, a ben vedere, sarebbe forse più comprensibile la preferenza per i prodotti formalmente ineccepibili di coloro che hanno ricevuto dall'apparato, peraltro dopo un lungo condizionamento culturale, il crisma canonico che autorizza all'insegnamento ed alla ricerca, se di tanti momenti storici importanti ci venisse proposta dalla vulgata ufficiale una ricostruzione credibile4. Influenzata invece dal proposito di evitare tabù ideologici, e da un ideale astratto di 'perfezione' accademica, ecco che sovente la ricerca storica 'ufficiale' si alimenta di dettagli marginali (i soli studi che non facciano correre troppi 'rischi' ai loro autori), ed accade che provengano per lo più da 'dilettanti', che nutrono ambizioni che vanno al di là del ristretto orizzonte degli 'specialisti', le opere più interessanti e di maggiore respiro5.

Per accennare brevemente al punto del contendere, la critica si limita sempre sostanzialmente allo stesso luogo comune: "Vogliamo le prove, le prove 'materiali' delle tue affermazioni. Dove sono i documenti che le confermano? Le deduzioni non costituiscono prova". Richiesta questa che appare a prima vista del tutto legittima, ma che resiste ad una semplice analisi soltanto al livello elementare in cui è ovvia, e quindi superflua, dal momento che ogni tentativo di ricostruzione storica ha il suo punto di partenza in una 'realtà documentaria', che comprende però anche la valutazione di tracce, indizi, moventi, testimonianze scritte e verbali (voci e tradizioni), opere materiali, mappe, strumenti, silenzi ed omissioni contrapposte a "zone di brillanza sospetta"6, etc.; in una parola, tutti i frammenti che restano lì davanti alla nostra attenzione come il fondamento sul quale edificare quel processo deduttivo che consente (nei casi fortunati) di conoscere, o di congetturare fondatamente, l'esatto svolgersi degli avvenimenti di un ormai invisibile scomparso passato. Il compito dello storico autentico, più che di restare impigliato "tra le piccolezze confuse della 'lettera che uccide'"7, resta sempre quello di cercare di rintracciare l'esile filo della verità vagliando tutto l'insieme dei segni che gli provengono da tempi lontani, avendo come unici strumenti a sua disposizione la propria libera ed autonoma ragione ed il criterio di verosimiglianza8, i soli che gli permetteranno di individuare i nessi significativi, sottolineare le coincidenze eccezionali, stabilire una trama convergente di dati sulla quale fondare delle ipotesi, e successivamente confrontarle tra loro, cercando di determinarne la maggiore o minore 'probabilità'.

Alla pazienza metodica ed all'accuratezza scrupolosa con le quali svolgere il lavoro di ricerca preliminare negli archivi e nelle biblioteche, o nelle interviste a persone, lo storico dovrà accompagnare pertanto intuizione creativa, immaginazione, capacità di 'inferenza abduttiva', talento nel sapersi calare nei panni di persone diverse in periodi diversi9, allo scopo di riuscire a respingere i tentativi di dissimulazione coperti dalla polvere del tempo, saper leggere tra le righe per distinguere le (eventualmente poche) certezze dalla ragnatela di bugie, aggiungere ricostruendole nella sua fantasia alle tante storie scritte dai vincitori e dai persecutori quelle che sarebbero state scritte dai perseguitati e dai vinti, con il proposito ultimo di presentare al proprio (ed all'altrui) intelletto una possibile soluzione di qualcuno dei tanti enigmi che ci offre la storia; soluzione che sarà però tanto più convincente quanto più affonderà le sue radici nella plausibilità, che non su una mitica irraggiungibile certezza 'scientifica'10.

Il lavoro dello storico è da assomigliare quindi più allo sforzo di un investigatore11, o di un magistrato, che indaga sull'individuale e su elementi malcerti, molto spesso artefatti a bella posta dal colpevole, senza alcuna possibilità di quantificazione, che non a quello di uno 'scienziato', il quale studia una ben diversa fenomenologia, e si occupa in laboratorio di fenomeni ripetibili un numero illimitato di volte, a cui può quindi applicare le regole del calcolo e le 'certezze' della matematica12. Per restare invece nell'ambito della metafora di tipo giudiziario, sembra quasi, di fronte a certe critiche, di trovarsi di fronte a quello stesso tipo di 'gelosia' che si può immaginare possa provare il semplice poliziotto destinato a raccogliere le prove materiali di qualche misfatto nei confronti dell'investigatore che, senza sporcarsi direttamente le mani sul campo, le vaglia poi tutte insieme, cercando di costruire un quadro di riferimento concettuale nel quale ogni frammento assuma il giusto significato. Nel nostro caso, nessuna forza esterna, fisica, impedisce di fatto allo storico di giocare simultaneamente entrambe le parti, se non la propria stessa rinuncia, ed il peccato di non aver saputo resistere alla tentazione della 'specializzazione', piaga oggi largamente diffusa tra gli operatori culturali in tanti diversi settori. E' l'adesione ad una specializzazione che impedisce di vedere, soprattutto nella storia, il panorama generale13, e nella definizione del giusto valore da assegnare alle opinioni di tanti pretesi 'esperti' non si può rinunciare a tenere conto di tale dato di fatto.

A questo disarmonico intrico tra storia, e più in generale tutte le cosiddette scienze morali, o umane, e scienze 'naturali', ha già posto brillantemente attenzione Carlo Ginzburg14, rilevando l'esistenza di quella che potremmo definire una seduzione operata su una classe di studiosi dal successo di un'altra:

"L'indirizzo quantitativo ed antiantropocentrico delle scienze della natura da Galileo in poi ha posto le scienze umane in uno spiacevole dilemma: o assumere una statuto scientifico debole per arrivare a risultati rilevanti, o assumere uno statuto scientifico forte per arrivare a risultati di scarso rilievo" (corsivo aggiunto)15.

Detto ciò, di fronte ai lavori di coloro che producono delle nuove ipotesi, ancorché a volte azzardate o premature (ma possibilmente feconde allora di nuove ricerche ed imprevisti approfondimenti), critiche di sapore corporativo, o richiami ad una professionalità di metodo, appaiono, più che ininfluenti, semplicemente irritanti16, visto che non è vantaggioso, per chi avesse come obiettivo esclusivo la ricerca della verità, respingere delle intere visioni d'assieme a partire dall'unica circostanza che esse possano essere confutate in qualcuna delle singole parti su cui sono state edificate o, peggio, unicamente per qualche difetto relativo alla 'forma' con la quale esse sono presentate. Così si esprime ad esempio il Ricolfi17, fatto evidentemente oggetto di simili critiche per studi pure interessantissimi sulla questione del "linguaggio segreto" dei "Fedeli d'amore":

"Poiché se si accetta [questa teoria], sia pure in via provvisoria e come pura 'ipotesi di lavoro', si può, è vero, correre il rischio di qualche avventura pericolosa, ma si può anche trovare un filo di Arianna là ove prima esisteva la tenebra [...]. Terreno infido, il nostro, sta bene; e che per ciò? Solo i poltroni dell'intelletto sono padroni di rimanersene a riva a irridere ogni tentativo di esplorazioni ulteriori fra queste malagevoli sirti" (corsivo aggiunto).

Ben venga dunque il paradigma 'indiziario' nella ricerca storica, senza nessuna 'invidia' di classe da parte di chi tenta di risolvere qualcuno dei problemi elusivi offerti dalla storia nei confronti dello sperimentatore che riesce ad ottenere oggi maggiori fondi per la sua ricerca, tenuto conto che la conoscenza e l'attaccamento al proprio passato sono senz'altro un elemento costitutivo essenziale di una società e di una cultura. Comprendere ciò che è stato ieri allo scopo di essere consapevoli dell'oggi, e di progettare convenientemente e con impegno il domani, tenendo per l'appunto sempre presente la considerazione di Santayana secondo la quale i popoli che dimenticano la storia sono condannati a ripercorrerla. Come ha osservato una volta Pio XII, il nostro è ancora invece "tutto un mondo che occorre rifare dalle fondamenta, che bisogna trasformare da selvatico in umano, da umano in divino"18, e poiché ogni indizio sembra purtroppo confermarci che l'umanità si trova ancora nella prima fase, non possiamo permetterci troppi rallentamenti e détours. Così, è veramente ora che la storia, ma la storia vera, almeno quella poca che è possibile fare, la si cominci a studiare e comprendere sul serio, come primo passo verso un'ulteriore tappa nell'evoluzione dell'umanità, ed il tanto atteso riscatto di quella larghissima parte di essa che ancora oggi geme sotto le catene della sofferenza e del bisogno.
 


Note


 


1 - "Storia e mito dei Templari", L'Indice dei libri del mese, Gennaio 1992.

2 - L'Ordine dei Templari, che sarà uno dei protagonisti principali di questa nostra storia, venne dichiarato disciolto durante il Concilio di Vienne nel 1312, e l'ultimo loro Gran Maestro Jacques De Molay salì sul rogo nel 1314. Qualche processo a probabili o pretesi Templari continuò a verificarsi però anche dopo tale data, come nel caso di Cecco d'Ascoli, il quale conobbe analoga sorte a quella di Jacques De Molay a Firenze nel 1327. Dopo questo periodo si perde in effetti ogni traccia 'materialmente documentabile' di una sopravvivenza dell'Ordine, fino al momento della nascita del 'mito templare' tra il '600 e il '700. Queste considerazioni escludono però il caso del Portogallo, nazione nella quale i Templari si limitarono semplicemente a cambiar nome, riassumendo del resto quello originario di Cavalieri di Cristo.

3 - Né è da credere che tale divisione passi soltanto per il campo delle cosiddette scienze umane o morali, perché viene utilizzata anche in quello delle scienze naturali, allo scopo di screditare il lavoro di quanti si dichiarino poco convinti dei 'dogmi' accettati dalla comunità degli addetti ai lavori, e propongano delle ricerche in direzioni 'eccentriche'. Come punto di riferimento in Italia per studi scientifici alternativi, si possono citare i due Convegni internazionali organizzati dal Gruppo di Ricerca "Geometria e Fisica" del Dipartimento di Matematica dell'Università degli Studi di Perugia (con la collaborazione dei fisici 'eretici' Roberto Monti e Stefan Marinov): "I fondamenti della matematica e della fisica nel XX secolo: la rinuncia all'intuizione", Perugia, 1989 (Proceedings a cura di U. Bartocci e J.P. Wesley, B. Wesley Ed., 1990); "Quale fisica per il 2000? Prospettive di rinnovamento, problemi aperti, verità 'eretiche'", Ischia, 1991 (Atti a cura di G. Arcidiacono, U. Bartocci, M. Mamone Capria, Ed. Andromeda, Bologna, 1992). E' in siffatte occasioni semi-clandestine (ma ad Ischia non è mancata una forma di controllo da parte di non meglio precisate 'autorità') che si è iniziato ad esempio a parlare di "fusione fredda" assai prima che dell'argomento si occupasse la grande stampa a seguito della dichiarazione degli americani J. Fleischmann e S. Pons, anche se come sempre, salvo qualche notevole eccezione, pilotata dalla potente corporazione dei fisici che ha tutto l'interesse a non veder cessare importanti finanziamenti ad alcune molto improbabili (e costose) linee di ricerca.

4 - Noam Chomsky ad esempio parla (tra l'altro) di questo fatto in una intervista apparsa sulla rivista Rolling Stone, Maggio 1992, ricordando come da bambino avesse avuto spesso la tentazione di alzarsi a dire, di fronte a qualche affermazione del suo insegnante relativa alla storia americana (così assurda che gli veniva da ridere): "That's really foolish. Nobody could believe that. The facts are the other way round", ma di essere stato già fin da allora consapevole del fatto che agendo così spontaneamente avrebbe corso il serio rischio di andare a finire nei guai. Nelle righe successive Chomsky si occupa del condizionamento e della selezione accademica, nei quali sembra giocare una parte non trascurabile l'inclinazione all''obbedienza' ed alla sottomissione. Emilio Michelone (Il mito di Cristo foro Colombo, Varani Ed., Milano, 1985, p. 28) afferma allo stesso riguardo: "Mi rendo conto, d'altro canto, di propugnare una tesi scabrosa da qualunque lato la si riguardi. E non tanto per il metodo di interpretazione, che, ove risulti inattendibile, viene rifiutato, quanto per le suggestioni mesmeriche del tirocinio pedagogico di convalida [...] il condizionamento culturale è il rullo portante dell'acquisizione mnemonica, specie nello stadio prescolare e scolare. Solo più tardi, con lo sviluppo della maturità intellettiva, può sopraggiungere il rifiuto del condizionamento, anche se, come succede spesso, l'apparato sociale ha l'interesse motivato o affettivo a prolungarne la conservazione" (corsivo aggiunto).

5 - L'amico Geminello Alvi, economista grande esperto di finanza internazionale, osserva nel suo straordinario libro Dell'Estremo Occidente (Marco Nardi Ed., Firenze, 1993, p. 451): "Ma del resto io domando: esistono storici di questo secolo [...] ? Quelli che ho letto mancano di fuoco, al più onesti compilatori, archivisti" (corsivo aggiunto). Oggi purtroppo la maggior parte degli storici 'professionisti' si considera soddisfatta dello studio diligente di qualche archivio, epistolario, etc., e non si interessa per principio del ruolo che siffatta documentazione amorevolmente curata possa rivestire nella formulazione di un quadro generale storico.

6 - Per usare un'espressione di E. Michelone, loc. cit. nella Nota 4, p. 35.

7 - Dalla Prefazione al libro di Luigi Valli, Il linguaggio segreto di Dante e dei "fedeli d'amore", 1928; Ed. Melita, 1988.

8 - Ed a chi volesse obiettare che tra "vero" e "verosimile" può correre una grande differenza, si risponderà che la differenza tra "verosimile" ed "inverosimile" è enorme oltre che manifesta. Per quanto concerne la prima coppia di attributi, basterà non confondere, quando si scende nel terreno della prassi, le "supposizioni", ancorché ben fondate, con le "certezze".

9 - Questa della necessità dell'intervento di un 'professionista' per interpretare le vicende di tempi passati senza correre il rischio di leggerli con ottiche temporalmente incongrue è un altro dei punti di forza di chi difende il 'metodo' di cui si vuole qui ridurre l'importanza. In effetti anche questa ammonizione in fondo non dice nulla di nuovo oltre all'ovvio precetto di fare bene attenzione a non commettere errori banali nell'impresa di investigazione che stiamo cercando di descrivere e suggerire, e quindi ad esempio nel calarsi nei panni di persone di altre epoche. Errori possono pure capitare, ma il lavoro di una persona dovrebbe essere giudicato, piuttosto che sulla base di un principio di autorità, o di corrispondenza a dei canoni (ideologici o formali), su quella delle sue "intenzioni ed illuminazioni", come chiede giustamente il protagonista del racconto di J.L. Borges "Il miracolo segreto" (dalla raccolta Finzioni). Per il resto però, quella che si può contestare è la pretesa epistemologica che è alla base di quell'opinione, e cioè che gli uomini di periodi passati siano radicalmente differenti da quelli di oggi, come se non condividessimo con loro uguali bisogni, passioni, aspirazioni, timori, o le stesse categorie strutturali del pensiero, caratteristiche comuni che ce li rendono invece comunque 'vicini'. Ritengo molto significativo, ed efficace, il proposito espresso invece da Simon Wiesenthal in relazione al suo noto studio su Cristoforo Colombo di cui avremo modo di parlare diffusamente in seguito (loc. cit. nella Nota 5 al Cap. IV): "Io mi sono detto: dimentica che sono passati 450 anni, consideralo fuori dal suo passato immediato che per molti nostri contemporanei sembra ancora presente. Paragonalo con gente che conosci e forse avrai di lui un'immagine accettabile".

10 - Il termine 'scientifico', di cui oggi si abusa in tutta una serie di situazioni in cui è assolutamente fuori luogo, finisce con l'avere per lo scrivente un effetto sgradevole, per l'implicito riferimento a delle pretese 'esattezza', 'oggettività' e 'superiorità' della scienza che non esistono affatto, anche se in loro nome si contrabbandano talvolta come prodotti dello 'spirito di verità' delle precise scelte ideologiche. Non ci sarebbe nulla da obiettare se con il termine ci si riferisse all'impresa dell'edificazione della conoscenza in generale, ma purtroppo esso viene utilizzato con una connotazione per contrasto che mi sembra soltanto il cattivo frutto di una disdicevole 'moda'.

11 - L'autore di questo libro, appassionato 'giallista' (ed autore, con Tiziano Agnelli ed Adriano Rosellini, di un ancora inedito Nascita, morte e resurrezione del libro giallo in Italia nella prima metà del XX secolo), è rimasto evidentemente suggestionato, più che dal successo, dal metodo di indagine di personaggi quali il Monsieur Dupin di Edgar Allan Poe e lo Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle. Ricordiamo ad esempio il principio-guida del secondo (che ritroveremo peraltro qualche altra volta citato in inizio di capitolo!): "Questo procedimento [...] ha inizio dalla supposizione che una volta eliminato tutto ciò che è impossibile, quel che rimane, per quanto improbabile, non può che essere la verità. Può darsi benissimo che si presentino parecchie spiegazioni, nel qual caso si deve provare e riprovare finché l'una o l'altra di queste non offrano una somma convincente di convalide" (da Il taccuino di Sherlock Holmes). Date per scontate le analogie tra indagine storica ed investigativa, e per acquisita la circostanza che gran parte della storia è anche in qualche misura una storia 'criminale', diventa sorprendentemente patetica la dichiarazione di Gaetano Arfè (Unità, 20.11.1993), e di tutti gli storici che come lui proclamano di volersi rifiutare di fare "dietrologia", il quale ammette candidamente che: "Nella mia pratica di storico e di giornalista non ho mai avuto il gusto di indagare sui retroscena della storia e della politica, su quello che non avviene alla luce del sole". C'è da chiedersi quanto abbia potuto comprendere Arfè con questo principio di tante delle vicende che hanno purtroppo caratterizzato la più recente storia politica italiana.

12 - Anche se un recente e celebrato lavoro dello storico della matematica Morris Kline riferisce anche a questa disciplina il concetto della "perdita della certezza", nel nostro contesto si può ben parlare ancora di "certezza della matematica".

13 - Quando questa rinuncia ad una sintesi non sia in realtà una premeditata, consapevole, operazione di depistaggio, in favore del sostegno ad una tesi più gradita a coloro da cui la carriera di uno storico (e di un giornalista) può dipendere! (vedi a questo proposito anche la successiva Nota 15).

14 - "Spie. Radici di un paradigma indiziario", in Crisi della ragione Nuovi modelli nel rapporto tra sapere e attività umane, a cura di Aldo Gargani, Einaudi, 1979.

15 - Questo di aver notato l'antiantropocentrismo come una delle caratteristiche comuni allo sviluppo di tutta la scienza, e non soltanto quella delle origini, è un altro dei meriti di Ginzburg. Tale 'filo conduttore' merita di essere sviluppato in una storia del pensiero scientifico diversa dalle tante apologetiche o eccessivamente specializzate che esistono. Della questione il presente autore, impegnato attualmente nella redazione di un Breve profilo storico della matematica e del pensiero scientifico, si è già occupato in diversi scritti, del solito tipo 'a circolazione limitata', tra i quali: "La svolta formalista nella fisica moderna", Epistemologia della Matematica, Seminari 1989-1991, Progetto Strategico del C.N.R. "Tecnologie e Innovazioni Didattiche", Quaderno N. 10, 1992; "Scienza, parascienza e scienza 'eretica'", Almanacco Letterario di Primavera, Ed. Della Lisca, Milano, 1992; "Le origini dell'ordine Su un libro di S.A. Kauffman", Rivista di Biologia, 87, 1994, pp. 387-394. Un "Riflessioni sui fondamenti della matematica, ed oltre", che si occupa del medesimo problema a proposito dell'attuale assetto della didattica della matematica, è stato recentemente rifiutato per la pubblicazione da parte del Bollettino dell'Unione Matematica Italiana - associazione di cui pure lo scrivente è vecchio membro - nonostante fosse stato particolarmente pensato per i soci di detta Unione (l'articolo è poi successivamente apparso su Synthesis, Di Renzo Ed., Roma, Anno III, N. 3, 1994, pp. 20-26).

16 - Motivazioni di questo tipo sono state recentemente richiamate dalle redazioni della Rivista di Storia della Scienza e di Physis allo scopo di giustificare il rifiuto della pubblicazione di uno studio di M. Mamone Capria e dello scrivente su uno sconosciuto scienziato italiano, Olinto De Pretto, che aveva concepito qualche anno prima di Einstein la celebre formula E = mc2 . Il lavoro in oggetto, che esaminava tra l'altro le elevate possibilità di collegamento tra il De Pretto ed Einstein, è stato dichiarato possibile fonte "di pericolosi fraintendimenti da parte di lettori non attentissimi", ed è attualmente l'oggetto di un libro, unico modo questo per consentire la conoscenza di questa storia ad eventuali interessati. In tali continui richiami alla 'certezza delle prove' non si possono non avvertire echi di certi recenti episodi delle cronache italiane, e diventa d'obbligo il riferimento al 'professore' protagonista del racconto di Leonardo Sciascia "Filologia" (dalla raccolta Il mare colore del vino), con i suoi abili contributi "alla confusione", e le sue parole conclusive: "La cultura, mio caro, è una gran bella cosa ... "!

17 - Dalla Prefazione al libro di Alfonso Ricolfi, Dai poeti di corte a Dante - Studi sui "Fedeli d'Amore" - Simboli e linguaggio segreto, 1939; Ed. Bastogi, 1983.

18 - Queste parole sono riportate su una delle pareti del Centro di Spiritualità "Mondo Migliore", dei Padri Oblati di Maria Vergine, che si trova nei pressi del lago Albano vicino Roma.