"A teacher is not there to instruct,

so much as to inspire"

(F. Klein)

 

 

LA SVOLTA FORMALISTA NELLA FISICA MODERNA

 

(Umberto Bartocci)

 

 

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Avvertenza - Il presente scritto consiste di una sintetica trascrizione, peraltro alquanto libera ed informale - in accordo con la caratteristica della "leggerezza" richiamata alla fine della nota - della relazione presentata nel corso del IV incontro del Gruppo Nazionale di Epistemologia della Matematica, svoltosi a Perugia nei giorni 16-17 maggio 1991. L'argomento meriterebbe ben altro spazio e profondita', ma spero che anche queste poche righe siano capaci di servire da orientamento ed ispirazione al lettore nella delicata, e per certi versi fondamentale, questione. Per non appesantire eccessivamente il testo in modo sproporzionato all'occasione, non ho inserito note o riferimenti bibliografici, ma una bibliografia essenziale e' comunque apposta in calce all'articolo.

 

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1 - E' ben noto in cosa consista la posizione formalista nel campo della matematica, ed a quali vicende e personaggi siano legate l'affermazione e la diffusione di questo punto di vista nell'ambiente degli studiosi di tale disciplina. Meno usuale e' parlare di un'analoga posizione concettuale nel campo delle scienze fisiche, visto che l'apparente concretezza dei suoi oggetti di studio sembra eludere le ben note difficolta' filosofiche legate al problema della natura degli enti matematici. Inoltre, essendo ovviamente il pragmatismo una delle piu' rilevanti, e forse anche indispensabili, caratteristiche professionali del fisico, questi tende di solito ad occultare e minimizzare le questioni di fondo legate alla sua indagine sul mondo naturale, al punto che, nonostante si siano susseguite in questo campo piu' rivoluzioni in senso kuhniano che non nel "contiguo" settore della matematica, non si possono riconoscere nella storia della fisica ne' una fase di ricerca del rigore, ne' un vero e proprio periodo di crisi dei fondamenti, quali quelli che e' invece usuale introdurre nella storia della matematica in relazione alle vicende di questa scienza rispettivamente nell'Ottocento e nel primo Novecento. Anche se si accenna talvolta da parte di storici della fisica ad una svolta formalista che si verifico' in tale disciplina nei primi anni del '900, e' molto piu' raro che questa venga direttamente e causalmente connessa all'analoga svolta che andava prendendo corpo nella matematica in quegli stessi anni ad opera di David Hilbert e del gruppo degli scienziati che gravitavano nell'Universita' di Gottinga intorno alla sua figura. I due avvenimenti verrebbero in tal modo a costituire un esempio di eventi semplicemente sincroni in senso junghiano, quasi due inevitabili conclusioni alle quali si dovesse comunque giungere sotto la spinta di nuove oggettive acquisizioni in campo scientifico, o di un piu' generale spirito del tempo. In questa conversazione sosterro' invece la tesi che questi due momenti della storia del pensiero scientifico furono in realta' strettamente collegati tra loro, ponendo in evidenza il ruolo che la scuola matematica di Gottinga ebbe nell'appoggiare fortemente il "partito" formalista dei fisici, e nel favorirne la crescita anche con importanti contributi diretti. Ritengo che proprio questa autorevole partecipazione abbia costituito uno degli elementi determinanti per la vittoria finale di quella tendenza, nonostante le legittime ed a volte altrettanto autorevoli "resistenze" dei sostenitori del punto di vista che assegnava viceversa un posto di maggior rilievo nell'indagine sulle scienze della natura alle cosiddette "categorie ordinarie dell'intelletto". E' chiaro che sto cosi' parlando delle successive affermazioni della teoria della relativita' ristretta, della teoria della relativita' generale, delle teorie quantistiche (e delle loro comuni "interpretazioni"), e del ruolo non marginale che nelle loro fortune giocarono Hilbert in persona ed altri attori che operavano sulla scena di Gottinga (L. Pyenson usa a questo riguardo la significativa espressione: Physics under the shadow of mathematics!). Ma per capire un po' meglio di che si tratta, dobbiamo fare un passo indietro sulla situazione della matematica sul finire del XIX secolo, e sull'ascesa della scuola di Gottinga.

 

 

2 - E' noto come la matematica ottocentesca possa essere descritta sotto un aspetto epistemologico mediante l'introduzione dei due concetti collegati rigore e riduzionismo. La ricerca del primo, ovvero dell'oggettivita' sempre ritenuta specifica di questa disciplina, e quindi dei suoi fondamenti concettuali, si sviluppo' tutta, conformemente peraltro alla tendenza generale della filosofia della scienza del tempo, nella direzione di una progressiva diminuzione del ruolo fondante della geometria euclidea, sovraccarica come essa era di riferimenti ad un'intuizione di origine antropomorfa, i quali non offrivano pertanto sufficienti garanzie ad una "logica" che voleva collocarsi invece in una posizione sempre piu' distaccata dall'uomo e dalle sue categorie mentali (in modo opposto quindi a quella che potremmo dire un'impostazione cartesiana del problema). L'essere umano era stato del resto appena collocato attraverso le teorie di Charles Darwin nel suo posto di membro del regno animale sostanzialmente uguale a tutti gli altri componenti di questo, e la matematica non si poteva piu' accontentare "di ricavare il significato dei propri concetti da intuizioni piu' o meno vaghe della geometria o della meccanica". In quest'ottica va vista ad esempio la cosiddetta aritmetizzazione dell'analisi, che intorno al 1870 vide matematici quali Weierstrass, Cantor, Dedekind, etc. cercare di separare l'analisi dalla geometria, e di fondarla sul solo concetto di numero reale, che a sua volta veniva ricondotto nell'ambito piu' "sicuro" ed asettico dell'aritmetica.

Come descrive bene il fenomeno C. Mangione:

 

"Teoria degli insiemi e logica si presentavano cosi' come le basi piu' 'vere' e adeguate della nuova pratica matematica, una pratica non piu' legata al mondo esterno e alle intuizioni che con esso la pongono in contatto, ma libera attivita' creatrice del pensiero umano".

 

In quegli stessi anni, ancorche' con un intento niente affatto "formalista", Felix Klein veniva compilando il suo "Programma di Erlangen", favorendo di fatto l'introduzione di una geometria che, fondata sul concetto algebrico di gruppo, venisse anch'essa sottratta alle intuizioni primitive degli enti della geometria euclidea. A tale atmosfera culturale devesi anche il processo di rivalutazione della "scoperta" delle geometrie non-euclidee, la cui esistenza era stata peraltro accertata vari decenni prima, e niente affatto interpretata al suo primo apparire con lo stesso significato filosofico con cui venne poi proposta ed enfatizzata. Lo scopo di questa operazione ideologica era naturalmente quello di far sentire i rintocchi di una campana a morto ad ogni impostazione che volesse ancora sostenere il ruolo "privilegiato" della geometria euclidea nei fondamenti della matematica. Come dice H. Meschkowski:

 

"La critica al 'formalismo' non puo' passare sopra a un fatto: se sul pensiero di Hilbert non riluce piu', come su quello di Platone, 'lo splendore dell'essere', secondo la formulazione usata una volta da Reidemeister, cio' non e' dovuto a un capriccio nichilistico. La rinuncia a ogni 'lucidatura ontologica' ha ragioni importanti: l''esistenza' della geometria non euclidea rende impossibile all'uomo moderno di restare fermo alla concezione spaziale di Platone e di Kant".

 

Tanto per dire due parole su entrambe queste "conquiste" del pensiero matematico, geometria non euclidea e costruzione aritmetica dei numeri reali, e sulla loro effettiva valenza filosofica, val forse la pena di ricordare:

 

- il giudizio di H.G. Zeuthen e di M. Simon sul fatto che le definizioni di Weierstrass e di Dedekind di numero reale non fossero parola per parola altro che la quinta definizione contenuta nel quinto libro degli Elementi di Euclide a proposito dell'eguale rapporto tra due grandezze;

 

- il giudizio di G. Simmel sul fatto che la scoperta delle geometrie non euclidee avrebbe inferto un colpo mortale alla filosofia kantiana dello spazio: "Gli assiomi geometrici sono cosi' poco necessari logica mente come la legge causale; si possono pensare spazi, e quindi geometrie, in cui valgono tutt'altri assiomi che i nostri, come ha mostrato la geometria non euclidea nel secolo dopo Kant. Ma essi sono incondizionatamente necessari per la nostra esperienza, perche' essi solamente la costituiscono. Helmholtz erro' quindi completamente nel considerare la possibilita' di rappresentarci senza contraddizione spazi nei quali non valgono gli assiomi euclidei come una confutazione del valore universale e necessario di questi, da Kant affermato. Infatti l'apriorita' kantiana significa solo universalita' e necessita' per il mondo della nostra esperienza, una validita' non logica, assoluta, ma ristretta alla cerchia del mondo sensibile. Le geometrie antieuclidee varrebbero a confutare l'apriorita' dei nostri assiomi solo quando qualcuno fosse riuscito a raccogliere le sue esperienze in uno spazio pseudosferico, o a riunire le sue sensazioni in una forma di spazio nel quale non valesse l'assioma delle parallele".

 

Comunque sia, quella che si e' cercato di descrivere era l'atmosfera ideologica nella quale il pensiero matematico influente andava muovendosi sul finire del secolo scorso, arricchendosi peraltro sotto un'esigenza di maggiore astrazione di diversi nuovi "enti" che sarebbero entrati poi di diritto a far parte della conoscenza matematica ordinaria del XX secolo. Uno scienziato come David Hilbert, che condivideva e sosteneva piu' degli altri il programma formalista, intui' con immediatezza i vantaggi che sarebbero stati offerti a questa "matematica non-convenzionale" (secondo un'espressione di L. Pyenson) da un suo utilizzo nelle scienze fisiche, e non si lascio' sfuggire l'occasione quando questa si presento' con la prima teoria della relativita' di Albert Einstein di cui adesso ci occuperemo.

 

 

3 - E' nell'anno 1905 che Albert Einstein pubblico' i suoi due primi lavori dedicati alla teoria che avrebbe associato al suo nome una fama duratura, e che viene oggi annoverata tra i grandi momenti della storia della fisica, e non soltanto di questo secolo: la teoria della relativita', che viene detta in questa prima fase ristretta, o anche speciale, per distinguerla dal successivo maestoso completamento che lo stesso scienziato ne esegui' nel 1915-16, al quale si da' il nome di teoria della relativita' generale. Al primo di questi due lavori, "Zur Elektrodynamik bewegter Koerper", contenuto nel volume N. 17 degli Annalen der Physik di quell'anno, e' stata dedicata una moltitudine di saggi, che lo hanno analizzato sotto ogni possibile profilo, teorico, sperimentale, storico, filosofico, sociologico. Nel secondo, "Ist die Traegheit eines Koerpers von seinem Energiegehalt abhaengig?", pervenuto per la pubblicazione alla stessa rivista appena tre mesi dopo il primo, nel Settembre del 1905, ed apparso nel successivo volume N. 18, e' contenuta quella che S. Goldberg definisce come la piu' celebre di tutte le equazioni della fisica, ovvero la relazione, nota anche ai non addetti ai lavori, ed a chi non ne conosce neppure il significato dei termini, E = m c2 , con la quale si esprime oggi la completa, totale trasformabilita' della massa in energia, e viceversa, e attraverso la quale viene sostanzialmente fornita anche una concezione unitaria del complesso concetto di energia, nelle sue varie forme. Questa equazione, oltre ad essere stata tra le varie previsioni relativistiche quella forse meglio verificata dal punto di vista sperimentale, grazie anche al successivo sviluppo della fisica delle particelle, e' stata anche quasi certamente uno degli elementi piu' influenti a favore dell'affermazione definitiva della teoria: nessuno dubito' piu' della sua "verita'" quando fu collegata in modo sapiente, e minaccioso!, ai devastanti effetti della bomba atomica. Eppure, in quei primi anni, se si fa eccezione per un precoce interessamento di Max Planck, scarsa attenzione fu dedicata da parte della comunita' DEI FISICI al giovane scienziato, a causa probabilmente non soltanto dell'oscurita' del nome dell'autore, ma anche della difficolta' ad accettare un'impostazione che proponeva come realistiche considerazioni che andavano "beyond everyday intuition".

Se questa fu la situazione nel campo della fisica (che si protrasse cosi' a lungo che solo nel 1922 ad Einstein fu conferito il premio Nobel, dopo forti ripetuti contrasti, e senza che si facesse menzione nella motivazione del premio alla teoria della relativita'), ben diverso fu invece l'accoglienza riservata alla teoria nell'ambiente DEI MATEMATICI di Gottinga, nella quale fin dall'estate del 1905 si teneva un seminario interdisciplinare su questioni di elettrodinamica! Passa poco piu' di un anno dalla pubblicazione del lavoro di Einstein che Minkowski (5 novembre 1907) parla davanti alla Societa' Matematica di Gottinga sul principio di relativita', e sulle sue conseguenze sull'assetto non solo dell'elettrodinamica di Maxwell ma dell'intera fisica (il testo di questa conferenza fu poi pubblicato da Sommerfeld, un altro degli uomini di Gottinga, soltanto nel 1915, sei anni dopo la morte di Minkowski).

Solo un mese dopo, Minkowski presenta alla Societa' Scientifica di Gottinga un articolo sulle equazioni fondamentali dell'elettromagnetismo, nel quale la relativita' viene illustrata gia' completamente rivestita di una veste matematica formale, a costituire il fondamento di una teoria dello spazio-tempo come una varieta' 4-dimensionale non-euclidea con un ben preciso gruppo di isometrie che rende invarianti le equazioni di Maxwell, e quindi la velocita' della luce.

Ma forse il piu' celebre contributo di Minkowski alla nascente teoria e' quello fornito nel corso di una lezione a Colonia (21 settembre 1908), successivamente pubblicata con il significativo titolo "Raum und Zeit" (Ph. Z., 1909). L'articolo si apre con le celebri parole:

 

"Le vedute sullo spazio e sul tempo che desidero esporre davanti a voi sono sorte dal terreno della fisica sperimentale, ed in esso risiede la loro forza. Queste vedute sono radicali. D'ora in poi lo spazio preso a se' stante, e il tempo preso a se' stante, sono condannati a scomparire come pure ombre, e soltanto una sorta di unione dei due conservera' una propria realta' indipendente",

 

a persuadere cosi' di queste tesi da un canto i matematici con la forza del riferimento all'evidenza sperimentale, e dall'altro i fisici, con l'autorita' di una matematica di un livello al quale non erano fino allora abituati.

Operazione questa tanto piu' scorretta quanto al tempo in verita' di basi veramente sperimentali della teoria della relativita' non si poteva ancora parlare, ed ancora oggi si puo' sostenere che, nonostante le molte conferme indirette della teoria, non si puo' essere ancora sicuri dei suoi assunti fondamentali, quali ad esempio la reale validita' del principio di relativita' per i fenomeni elettromagnetici, stante la difficolta' di operare esperimenti in laboratori mobili l'uno rispetto all'altro. Il programma di Erlangen, o meglio la sua interpretazione hilbertiana, si realizza cosi' brillantemente ed inaspettatamente proprio nella fisica, che viene allora proposta come una scienza in tutto simile alla geometria.

"Canoni di estetica, consistenza, completezza, che erano correnti nel campo della matematica pura, trovano un'attenta audience nella comunita' dei fisici", nella quale fanno irreversibilmente irruzione l'arbitrarieta' costruttiva propria della matematica astratta, ed il suo aspetto convenzionale. Il passo successivo fu naturalmente quello di passare ad una teoria relativistica della gravitazione, visto che l'impostazione newtoniana non era conforme ai nuovi canoni, ed anche qui fu necessaria l'introduzione di una matematica sempre piu' sofisticata e sempre piu' strumento dello specialista. Hilbert (come altri illustri matematici tra i quali il nostro Levi-Civita) partecipa adesso in prima persona alla costruzione della nuova teoria, tanto che presenta un articolo con le equazioni fondamentali della relativita' generale qualche giorno prima (novembre 1915) che venga presentato per la pubblicazione quello di Einstein dedicato allo stesso argomento. Anche alla nascita delle teorie quantistiche (che non a caso utilizzano lo spazio di Hilbert come loro concetto base) Hilbert presta un contributo diretto ed importante.

Come e' andata poi a finire la storia e' cosa ben nota, ed e' forse curioso di notare per chiudere questa parte del discorso che Einstein fu in effetti sin quasi dall'inizio uno di quei pochi fisici che avessero il coraggio di opporsi alla tendenza verso l'eccessiva matematizzazione della fisica. In una lettera ad Ehrenfest nel 1912 ebbe a scrivere: "Tu sei uno dei pochi teorici che non siano stati spogliati della loro intelligenza nativa dall'epidemia di matematica" (enfasi mia), e del resto nonostante le apparenze il suo rapporto con Hilbert fu sempre abbastanza difficile, come le seguenti parole (scritte ancora ad Ehrenfest nel 1916) stanno a testimoniare:

 

"Non mi piace il modo di presentare le cose di Hilbert ... speciale e complicato senza necessita' ... non onesto in struttura (un'immagine da Superuomo raggiunta attraverso un camuffamento dei metodi)".

 

Ma, ormai, era troppo tardi per ripensamenti del genere, il vaso di Pandora era stato scoperchiato proprio a causa in fondo delle teorie di Einstein, e quando negli anni '30, in occasione dell'avvento delle teorie quantistiche, e della loro interpretazione "ortodossa", questi si schiero' in modo piu' aperto e deciso dalla parte minoritaria, si ritrovo' ben presto quasi del tutto emarginato dal mondo della fisica che contava: "Qui a Princeton mi considerano tutti un vecchio matto", fu uno dei suoi suo amari commenti alla situazione che si era creata sia nella fisica che nella sua posizione personale.

 

 

4 - Ripensando a quanto ho appena asserito, mi rendo conto che potrei essere considerato nella strana posizione di un matematico che rimprovera alla fisica di usare troppa matematica, o di un matematico che ritiene che in essa debba eliminarsi ogni sorta di formalismo. Quanto alla prima obiezione, sono in effetti del parere che nella fisica non ci debba essere troppa matematica, e che il suo ruolo in questa disciplina debba essere tenuto sotto attento controllo, come gia' Francesco Bacone ammoniva: "la matematica e' al termine della filosofia naturale, ma non la deve ne' generare, ne' procreare".

Bisogna riconoscere inoltre che se "vere scire est per causas scire", o che se una spiegazione di qualcosa consista in una "adaequatio rei et intellectus", la fisica di oggi non riesce piu' a sapere ed a spiegare quasi nulla. Il premio Nobel Richard Feynman si fa promotore della cosiddetta epistemologia della rassegnazione (per usare un'espressione di Franco Selleri) quando avverte i suoi studenti e lettori di rinunciare a cercare di capire, perche' nessuno puo' capire una Natura che e' sostanzialmente assurda, e va accettata cosi' come e', con l'unica consolazione che si riesca a volte a prevederne i comportamenti ed a controllarla:

 

"It is my task to convince you not to turn away because you don't understand it. You see, my phyics students don't understand it either. That is because I don't understand it. Nobody does."

 

Per fare un altro riferimento di questo genere, che possa forse piu' interessare un pubblico di matematici, anche Rene' Thom sostiene che dai tempi di Newton in poi la fisica abbia cercato di "calcolare tutto senza spiegare nulla", e di non essere affatto convinto che "il nostro intelletto possa accontentarsi di un universo retto da uno schema matematico coerente, privo pero' di contenuto intuitivo".

Herbert Dingle osserva analogamente come nella fisica di oggi:

 

"The habit has developed of assuming that a physical theory is necessarily sound if its mathematics is impeccable: the question of whether there is anything in nature corresponding to that impeccable mathematics is not regarded as a question; it is taken for granted".

 

In realta' poi, a ben vedere, non e' che la fisica offra di se' l'immagine di una armoniosa e coerente teoria matematica, visto che appare piuttosto come un patchwork di diverse teorie poco coerenti nelle intersezioni, un orribile miscuglio tra una "scorrettezza dei concetti di base ed una precisione numerica fantastica", e che i fisici "pretendono di ricavare un risultato numericamente molto rigoroso da teorie che concettualmente non hanno ne' capo ne' coda" (per usare ancora espressioni di Thom).

Per quanto riguarda invece l'altra questione, quella della presenza del formalismo nella matematica, non voglio evidentemente sostenere la necessita' di un ritorno alla matematica ottocentesca, quanto piuttosto sottolineare come sia necessario rendersi conto che il formalismo non e' una soluzione obbligata, e che soprattutto il suo ruolo nella didattica della matematica debba essere attentamente vagliato. Se si ritiene che vero fondamento della matematica siano le categorie ordinarie dell'intelletto spazio e tempo, e che sotto questo aspetto la matematica classica possa essere definita proprio come una investigazione delle leggi dell'intelletto, bisogna riconoscere come questo approccio agli enti matematici debba precedere quello formalista, e motivare le definizioni con cui si introducono le strutture formali poggiandosi sulle proprieta' dei veri e propri oggetti ideali acquisite attraverso la meditazione sulla natura di quelle intuizioni primitive. Quindi, un coraggioso rifiuto del bando all'ontologia, ed anche se in questa prima fase il metodo formalista potra' essere convenientemente utilizzato in quanto a chiarimento e formalizzazione dei concetti di base, non bisognera' lasciare l'impressione che esso venga utilizzato nel momento delle definizioni, al solo scopo peraltro di colmare un ben preciso vuoto ideologico. Date queste premesse, sara' poi possibile, e bello, passare ad una matematica di un respiro piu' vasto, ed approdare alla considerazione di essa come studio di tutte le possibili strutture astratte, riconoscendola cosi' in fine nella sua finale grandezza come studio di tutti i possibili pensieri di una mente infinita (per usare un'espressione del logico matematico Gaisi Takeuti).

 

 

5 - Due parole per concludere sulle possibilita' di un prossimo rinnovamento sia della fisica che della matematica, che entrambe le discipline dovrebbero promuovere se non vogliono continuare ad essere artificialmente sostenute da un apparato che sembra ancora potentissimo, ma comincia a mostrare invece ad occhi piu' attenti tutta la sua insufficienza ed inadeguatezza di fronte a piu' profonde esigenze dell'uomo. Anche se nel campo della fisica e' gia' presente una certa reazione di fronte allo stato di cose prima descritto - come conferma ad esempio la recente nota di R.L. Oldershaw (Am. J. of Phys., 1988) dal significativo titolo "The new physics - Physical or mathematical science?" - non credo che in esso si potra' arrivare all'auspicata rivoluzione senza un evento veramente clamoroso, quale potrebbe essere ad esempio una falsificazione di uno dei "principi" attualmente elevati al rango di dogmi, o un repentino mutamento delle condizioni tecnologiche, che un'eventuale conferma dei risultati delle ricerche sulla cosiddetta "fusione fredda" lascerebbe presagire.

Nel campo della matematica il mutamento sembrerebbe piu' facile, dipendendo in fondo soltanto dalle sorti di un dibattito ideale e da criteri di tipo concettuale, ma ritengo personalmente al contrario che la trasformazione sia in questo settore ancora piu' difficile che in quello della fisica, visto che non si puo' neanche sperare che essa sia indotta da motivazioni esterne quali un nuovo risultato sperimentale. Oggi che i matematici sembrano aver perduto ogni consapevolezza della distinzione tra logica dell'intelletto e logica della ragione, di cui parla assai efficacemente F. Enriques proprio in relazione al problema delle definizioni, la matematica "pura" perde sempre piu' colpi nei con fronti della matematica "applicata" e dell'"informatica", cosa questa tanto piu' assurda quanto la prima contrapposizione risulta invece, in virtu' di quanto precedentemente detto sulla giusta collocazione della matematica nel contesto di tutte le scienze, una delle piu' infondate ed artificiali.

A questo punto avanzerei pertanto la pessimistica congettura che tale stato di cose continuera', a meno che da una possibile caduta della fisica, e quindi da uno spezzarsi del legame che ha tenuto unite le due discipline nella loro "svolta" agli inizi del XX secolo, i matematici non si sentano finalmente piu' indipendenti nei loro giudizi sul problema dei fondamenti, e ripensino ad una nuova sintesi tra ontologia e formalismo. In questa direzione, ovvero nell'affrettare un processo di revisione delle teorie fisiche attualmente "vigenti", mi sto impegnando da vari anni, con l'aiuto di alcuni molto validi collaboratori, cercando di por tare (paradossalmente dopo quanto dianzi sostenuto a proposito della presenza della matematica nella fisica!) proprio la logica del matematico in alcuni problemi relativi ai fondamenti della fisica.

Una simile impresa ha suscitato naturalmente molto scetticismo ed ilarita', ma si e' gia' pervenuti a verificare l'infondatezza di alcune diffuse e divulgate convinzioni dei fisici, quali quella che la formulazione dell'elettrodinamica di Maxwell sia "relativistica in se'", che la teoria della relativita' ristretta coincida nelle sue previsioni sperimentali con la teoria "classica" tranne che nel caso di esperimenti concernenti "alte" velocita', etc.. Nel lavoro di Mamone Capria e Pambianco citato in Bibliografia, oltre finalmente ad una rigorosa e corretta trattazione del celebre esperimento di Michelson-Morley (per essere precisi pero', soltanto dal punto di vista dell'ipotesi ondulatoria), e' evidenziata una lunga lista di veri e propri errori commessi in occasione della preparazione e dell'interpretazione di questo, e la lista dei fisici "disattenti" comprende tra gli altri non solo Arnold Sommerfeld, Richard Becker, etc., ma anche purtroppo Hermann Weyl (a segnalare forse la circostanza che quando si ha a che fare con questioni di fisica anche la tradizionale vocazione del matematico alla precisione tende a venire un po' meno).

La "morale" della storia si puo' secondo me riassumere nella seguente domanda: se i fisici hanno dedicato cosi' poco rigore critico ad un esperimento per certi versi cosi' semplice e fondamentale, cosa si deve pensare di tanti altri che vengono continuamente sbandierati a "conferma" della veridicita' di alcune loro teorie con cui si pretende di accreditare una nuova visione del mondo?

Voglio terminare a proposito di queste ricerche, e del richiamo, sottinteso nei "rimproveri" ricevuti, all'osservanza del vincolo della specializzazione, con un'osservazione ed un suggerimento.

Se, parafrasando Wittgenstein, e' invero molto difficile scalare la montagna della scienza tenendo sulle spalle i diversi "sacchi" della ma tematica e della fisica, della storia e della filosofia, etc., l'impresa riuscira' molto piu' agevole se verra' condotta con quella leggerezza che Italo Calvino (nelle sue Lezioni americane - Sei proposte per il prossimo millennio) indica come uno dei valori che il nuovo secolo dovra' fare propri se vorra' superare l'attuale stato di crisi, e sono precisamente:

 

Lightness, Quickness, Exactitude, Visibility, Multiplicity, Consistency.

 

Vedendo l'amico Tito Tonietti qui davanti a me, desidero dedicargli infine le ultime parole di questo mio discorso, ricordando come, avendo gia' in altra occasione in sua presenza richiamato l'immagine della scalata con pesanti sacchi sulle spalle, e l'esortazione alla leggerezza, lui abbia allora proposto la seguente soluzione sulla quale inviterei tutti a meditare:

 

"Togliti quei sacchi dalle spalle e gettateli sotto ai piedi, per salirci sopra e riuscire a 'vedere' un po' meglio".

 

 

Bibliografia essenziale

 

 

Umberto Bartocci: "Tendenze 'monofisite' nei fondamenti della matematica", Incontri sulla Matematica, Ed. Armando, 3, 1986;

 

Umberto Bartocci: "Fondamenti della teoria dei numeri reali", in Dove va la scienza - La questione del realismo, a cura di F.Selleri e V. Tonini, Ed. Dedalo, 1990;

 

Umberto Bartocci, Marco Mamone Capria: "Symmetries and Asymmetries in Classical and Relativistic Electrodynamics", Foundations of Physics, 21, N. 7, 1991;

 

Alan D. Beyerchen: Gli scienziati sotto Hitler - Politica e comunita' dei fisici nel Terzo Reich, Ed. Zanichelli, 1981;

 

Ettore Casari: La filosofia della matematica del '900, Ed. Sansoni, 1973;

 

Herbert Dingle: Science at the Crossroads, Martin & O'Keeffe Ltd, 1972;

 

Federigo Enriques: Le matematiche nella storia e nella cultura, Ed. Zanichelli, 1936;

 

Lewis S. Feuer: Einstein e la sua generazione, Il Mulino, 1990;

 

Alan J. Friedman, Carol C. Donley: Einstein as Myth and Muse, Cambridge University Press, 1985;

 

Ludovico Geymonat: Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico, Ed. Garzanti, 1961;

 

Stanley Goldberg: Understanding Relativitity - Origin and Impact of a Scientific Revolution, Clarendon Press, 1984;

 

Marco Mamone Capria, Fernanda Pambianco: "A Note on the Michelson-Morley Experiment", Perugia, 1992, in corso di pubblicazione;

 

Giovanni Melzi: Le idee matematiche del XX secolo, Ed. Borla, 1983;

 

Herbert Meschkowski: Mutamenti del pensiero matematico, Ed. Boringhieri , 1963;

 

Abraham Pais: "Subtle is the Lord" - The Science and the Life of Albert Einstein, Oxford University Press, 1982;

 

Lewis Pyenson: The Young Einstein, Adam Hilger Ltd., 1985;

 

David E. Rowe: "Jewish Mathematics at Gottingen in the Era of Felix

Klein", Isis, 77, 1986, p. 422-449;

 

Franco Selleri: La causalità impossibile - L’interpretazione realistica della fisica dei quanti, Ed. Jaca Book, 1987;

 

René Thom: Parabole e catastrofi, Ed. Il Saggiatore, 1980;

 

Hermann Weyl: Filosofia della matematica e delle scienze naturali, Ed. Boringhieri, 1967;

 

Laurence Young: Mathematicians and Their Times, North-Holland Pub.

Co., 1981.

 

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Marzo 1992

 

Dipartimento di Matematica

Universita' degli Studi

Perugia