SUL PROBLEMA DELLA MISURA DEL TEMPO

E UNA POSSIBILE SEMPLICE CONFUTAZIONE SPERIMENTALE

DELL'ARGOMENTO GALILEIANO DELLA NAVE


 





1 - INTRODUZIONE
 
 

Come ben noto, si puo' affermare che la teoria della relativita' ristretta (TRR) einsteiniana consista sostanzialmente tutta nella proposta dell'estensione ad ogni campo della fisica del cosiddetto principio di relativita' (PR) galileiano, ovvero, nel convincimento che la validita' di questo non si debba confinare soltanto a quei fenomeni che vengono studiati nell'ambito della meccanica classica:
 
 

(PR) Tutte le leggi fisiche assumono la stessa forma se espresse in un riferimento inerziale oppure in un altro.
 
 

Infatti, il secondo principio della TRR, che riguarda la velocita' di propagazione della luce (nel "vuoto", e rispetto ad un osservatore inerziale), si puo' considerare in un certo senso un corollario del primo, come e' stato da vari autori successivamente constatato(1), anche se ancora recentemente da parte di fisici relativisti viene riconosciuto che questo secondo principio "e' di natura del tutto inesplicabile e dal punto di vista teorico e da quello intuitivo"(2), mentre la generalizzazione del PR , dall'ambito puramente meccanico al contesto piu' generale comprendente anche l'ottica e l'elettromagnetismo, sarebbe invece "intuitivamente accettabile". In realta', lasciando da parte sia il problema della fondatezza sperimentale delle due "voraussetzungen" einsteiniane, che quello dell'asserita perfetta corrispondenza delle previsioni relativistiche alla realta' pure sperimentale (quella serie di fenomeni che diremo come d'uso "fenomeni relativistici", tra i quali piu' famosi quelli cosiddetti della contrazione delle lunghezze e della dilatazione dei tempi), da un punto di vista puramente "estetico"(3) la TRR si presenta sin dall'inizio come una teoria sgradevolmente antinomica, visto che il suo primo principio appare fisicamente compatibile soltanto con l'ipotesi dell'inesistenza di un "mezzo"(4) che riempie lo spazio (il cosiddetto "etere"), mentre il secondo riferisce alla luce proprieta' che sono fisicamente plausibili al contrario soltanto con l'ipotesi dell'esistenza del mezzo(5).

Naturalmente, cio' non ha impedito alla TRR di divenire una della teorie della fisica piu' universalmente celebrate di tutti i tempi(6), ma ha fatto sempre si' che da parte di alcuni (in proporzioni variabili nei diversi periodi storici tra il numero dei "favorevoli" e quello dei "contrari") si riscontrasse un'avversione alla teoria altamente inusuale in questo genere di questioni, il che ne fa un caso assolutamente unico nella storia della scienza(7).

In effetti, dopo un lungo periodo di pressoche' incontrastato "dominio" della TRR (a partire diciamo dalla fine della II guerra mondiale), si e' assistito negli ultimi tempi ad un ritorno piuttosto vivace di dubbi e critiche sui fondamenti della teoria, e di sue rielaborazioni o diverse interpretazioni, provenienti non soltanto da parte dei suoi "soliti" (da un punto di vista statistico) irriducibili avversari(8).

Il presente lavoro si propone di indicare in questa scia come proprio l'esistenza dei fenomeni relativistici dianzi menzionati potrebbe rendere fisicamente inconsistente il celebre argomento galileiano a favore dell'impossibilita' di rilevare il moto uniforme da parte di un osservatore che si trovi all'interno di una nave, argomento che viene considerato essere la prima formulazione del PR proposta nella storia. Il punto che si intende cosi' sostenere, al di la' degli aspetti squisitamente "fisici" della questione, e' che sono quanto mai azzardate le varie speculazioni filosofiche che si appoggiano alle teorie oggi piu' accreditate della fisica moderna, all'unico scopo di ricevere cosi' una sorta di attestato di loro maggiore "credibilita'" rispetto alle altre, dimenticando od ignorando che nella pratica scientifica contemporanea si apprezza di piu' la produzione di ricette efficaci, che non la formulazione di ipotesi sulla realta' naturale tra loro logicamente consistenti, e che in effetti il quadro "conoscitivo" che offre la nostra attuale fisica teorica e' ben descritto ad esempio dalle seguenti parole di R. Thom(9): "Non sono affatto convinto che il nostro intelletto possa accontentarsi di un universo retto da uno schema matematico coerente, privo pero' di contenuto intuitivo", "I fisici pretendono di ricavare un risultato numericamente molto rigoroso da teorie che concettualmente non hanno ne' capo ne' coda".
 
 
 
 

2 - IL PROBLEMA DELLA MISURA DEL TEMPO E I POSSIBILI EFFETTI DEL MOTO DEI CORPI NELL'ETERE
 
 

Prima di passare all'esame critico del ragionamento "relativistico" di Galileo, ricordiamo brevemente la spiegazione, che diremo come d'uso di Lorentz e FitzGerald (LF), dei fenomeni della "deformazione" delle lunghezze e dei tempi, nell'ipotesi che si tratti di effetti reali dovuti al movimento dei corpi nell'etere(10).
 
 

Nota I - Vedremo tra poco che, ancorche' "simili", le due spiegazioni di Lorentz e FitzGerald erano in realta' diverse. Inoltre, si e' usato il termine generico di deformazione perche', come pure vedremo, si debbono prendere in considerazione a priori non solo contrazioni delle lunghezze, ma anche loro dilatazioni, ed analogamente, non solo dilatazioni dei tempi, ma anche loro contrazioni.
 
 

Immaginando di lavorare in un ambiente bidimensionale, come faremo sempre nel seguito per semplicita', consideriamo un sistema di assi cartesiani x ed y mobili nell'"etere" con velocita', che diremo assoluta, vo , e che supporremo per semplicita' parallela all'asse delle x :

Immaginiamo anche un altro sistema di riferimento, indicato con

( W x' y') , che rappresentera' un sistema "assoluto", ovvero, solidale con il mezzo; supporremo anche, come consueto, l'asse y' parallelo all'asse y e l'asse x' coincidente (a meno di uno "scorrimento") con l'asse delle x. Non si tratta naturalmente di un riferimento "effettivo" (il nostro osservatore "reale" sara' sempre quello in O ), ma di un sistema che viene introdotto dal punto di vista "teorico" soltanto allo scopo di fornire un punto d'appoggio per i calcoli, ed arrivare cosi' non solo a formulare spiegazioni o previsioni corrette dal punto di vista qualitativo, ma anche da quello quantitativo.

Veniamo quindi a formalizzare l'ipotesi secondo la quale si verifica un'alterazione delle dimensioni dei corpi a causa del loro movimento nell'etere. Quest'ipotesi consiste nel ritenere che due "regoli rigidi" identici (ovvero, sovrapponibili) nel riferimento mobile, che appaiono quindi avere la stessa lunghezza L all'osservatore in O , posti l'uno parallelamente all'asse delle x , e l'altro a quello delle y , abbiano subito in realta' per effetto del moto nell'etere un'alterazione nelle loro effettive dimensioni (quelle che avrebbero cioe' "a riposo" nel riferimento solidale con l'etere). Precisamente, che il regolo parallelo all'asse delle coordinate sia in realta' diventato (ovvero, rispetto al riferimento assoluto) di lunghezza KL*L , e l'altro di lunghezza KT*L , essendo KL e KT due coefficienti di deformazione, il primo dei quali diremo longitudinale, ed il secondo trasversale.

In altre parole, si suppone che esista un "tensore" di deformazione, diciamolo T , dipendente nelle attuali ipotesi soltanto dal modulo vo della velocita' assoluta, il quale fornisce per ogni regolo rigido di coordinate (a,b) in (O x y ) le rispettive coordinate (a',b') quali appaiono essere in ( W x' y' ) mediante la:
 
 

(1) (a',b') = T (a,b) = (KL*a , KT*b).
 
 

Vale a dire, nel riferimento prescelto ë ammette una rappresentazione diagonale: T11 = KL , T12 = T21 = O , T22 = KT .

Ne consegue che coppie di vettori ortogonali v, w , dei quali uno dei due parallelo alla direzione del moto, sono tali che i due vettori T(v) e T(w) sono ancora ortogonali, e che e' quindi possibile usare il teorema di Pitagora per la determinazione della lunghezza di un vettore (a,b) da un riferimento all'altro.

Una lunghezza L, con angolo q rispetto al sistema di assi "molili", che e' determinata in questo riferimento dalla formula sqr(a2 + b2) , corrispondera' ad una lunghezza "reale" K(q )*L nel riferimento assoluto:
 
 

(2) K(q )*L = sqr( KL 2 a2 + KT 2 b2 ) .
 
 

Nella (2) K(q ) rappresenta il coefficiente di deformazione delle lunghezze nella direzione q , e poiche' a = L cosq , e b = L senq , risultera' anche:
 
 

(3) K(q ) = sqr(KL 2 cos2q + KT 2 sen2q ) .
 
 

Nota II - Si noti bene che nelle ipotesi attuali dalla <v,w = O non consegue necessariamente in generale che anche <T(v),T(w) = 0 (se v non e' parallelo all'asse delle x), e l'angolo q che fornisce la direzione del regolo rigido nel riferimento mobile diventa in quello assoluto un angolo q ' legato al precedente dalla relazione:
 
 

(4) tgq ' = (KT/KL)*tgq .
 
 
 
 

Il tensore T fornisce le seguenti trasformazioni di coordinate dal riferimento mobile a quello assoluto:
 
 

(5) x' = vo*t + KL*x , y' = KT*y ,
 
 

avendo designato con t un tempo assoluto misurato in ( W x' y' ) .
 
 

Nota III - Le (5) coincidono sostanzialmente con le prime due equazioni della trasformazione di Lorentz relativa al caso in esame.
 
 
 
 

Nel lavoro citato nella nota (10), si e' dimostrato che si puo' interpretare secondo questo punto di vista di LF il cosiddetto risultato "negativo" del celebre esperimento di Michelson e Morley mediante l'identita':
 
 

(6) KL/KT = sqr(1-b 2) ,
 
 

nella quale si e' posto, come usuale, b = vo/co , avendo detto co la velocita' della luce nell'etere (ovvero, rispetto all'osservatore W ).

La validita' della (6) si puo' anche esprimere affermando che:
 
 

- ogni valore di KL e KT per i quali risulti soddisfatta la (6), e' compatibile con l'esperienza di Michelson-Morley, e viceversa.
 
 

Accenniamo ora brevemente ad una differenza che esiste in realta' tra l'ipotesi di FitzGerald e quella di Lorentz. La prima corrisponde alla scelta per KL e KT dei valori:
 
 

(7) KL = 1 , KT = 1/sqr(1-b 2) ,
 
 

ovvero, poiche' nelle attuali ipotesi risulta anche sempre, in virtu' dell'identita' (6):
 
 

(8) KL &pound; KT ,
 
 

al verificarsi di una dilatazione delle lunghezze dei corpi in movimento nell'etere in ogni direzione, con la particolarita' che l'effetto della dilatazione e' nullo nella direzione del moto, ed e' massimo in quella trasversale.

L'ipotesi di Lorentz corrisponde invece, e si potrebbe dire "dualmente", alla possibilita':
 
 

(9) KL = sqr(1-b 2) , KT = 1 ,
 
 

ovvero, ragionando come nel caso precedente, al verificarsi di una contrazione delle lunghezze dei corpi in movimento nell'etere, con la particolarita' che adesso non si riscontrerebbe alcun effetto soltanto nella direzione trasversale al moto (nelle ipotesi attuali risulta sempre K(q ) &pound; 1 ).
 
 

Nota IV - Si osservi che, in accordo con la (3), KL e KT sono rispettivamente il minimo ed il massimo della funzione K(q ) che esprime il coefficiente di deformazione nella direzione q .
 
 

Cio' premesso, per venire alla misura del tempo, che vuol essere il vero oggetto di questo paragrafo, alle due trasformazioni (5) aggregheremo una terza identita' che fornira' la legge di trasformazione dei tempi misurati nei due riferimenti. Scriveremo:
 
 

(10) t = A*t ,
 
 

avendo indicato con t un tempo locale , o relativo, misurato dall'osservatore solidale con il riferimento mobile, ed intendendo con cio':
 
 

(a) che il tempo viene misurato nei due riferimenti da orologi identici, o, piu' precisamente, che le misure del tempo nei due riferimenti si effettuano in base al medesimo principio. Questo consistera' comunque nell'osservazione di un fenomeno ciclico supposto regolare, che puo' essere collegato ad un preciso oggetto materiale (vero e proprio orologio), od anche ad un fenomeno astronomico, come la rotazione di un pianeta intorno ad una stella, etc.;
 
 

(b) che la misura del tempo nel riferimento mobile potra' subire per effetto del movimento nell'etere un'alterazione rispetto a quella effettuata nel riferimento assoluto, visto che, se quello che viene usato per la misura e' uno strumento materiale, questo va incontro alla deformazione definita dal tensore T , mentre, se viene usata ad esempio l'osservazione di un fenomeno astronomico, questo, sempre a causa del movimento dell'osservatore O , si potra' percepire "alterato" rispetto all'osservatore W . La misura del tempo t di O non coincidera' piu' quindi necessariamente con quella che fornisce il tempo t , ma tra le due misure esistera' una relazione di dipendenza funzionale, della quale la (10) e' il tipo piu' semplice, valido in prima approssimazione (e si noti che nulla esclude che in qualche caso possa anche verificarsi l'eventualita' A = 1 );
 
 

(c) che in tale ipotesi di deformazione dei tempi il coefficiente A deve pertanto essere considerato a priori non soltanto una funzione del modulo della velocita' assoluta vo , ma anche, o meglio soprattutto, del tipo di orologio prescelto, dovendo essere possibile in linea di principio determinare il coefficiente A una volta che siano noti i coefficienti di deformazione longitudinale e trasversale, oltre che evidentemente il principio di funzionamento dell'orologio, o del fenomeno prescelto per la convenzione utilizzata per la misura del tempo.
 
 

Nota V - Va da se', in questo ambito di idee, il coefficiente A potrebbe a posteriori porsi sempre uguale ad 1 , effettuando eventualmente una nuova graduazione della scala degli orologi, sicche' non si esce in realta' in questo contesto da quello del cosiddetto "tempo assoluto". E' proprio per questo che la soluzione qui proposta non viene in urto, come capita invece per la TRR , con le ordinarie categorie di spazio, tempo e causalita'. In particolare, il concetto di simultaneita' viene ovviamente mantenuto nei due riferimenti. Pure, sembra opportuno introdurre la (10) esattamente come si e' fatto, in quanto ci si rende cosi' conto a priori delle possibili alterazioni, che si sono anche del resto riscontrate sperimentalmente(11), tra la misura del tempo di orologi "mobili" rispetto ad orologi "fissi", le quali non dovrebbero destare alcun tipo di "sorpresa" nell'ordine delle idee qui descritte(12).
 
 

Quanto asserito nel punto c) sara' la chiave per l'asserita possibile confutazione dell'argomento galileiano della nave, poiche' nulla esclude, ed anzi ci si deve aspettare, che il valore del coefficiente A possa essere diverso per misure del tempo funzionanti con principi diversi; ovvero, la (10) non esprimera' una trasformazione del tempo nei due riferimenti, bensi' strettamente soltanto della sua misura(13).
 
 

Prima di passare all'esame di questa possibile variabilita' del coefficiente A, e' forse bene di esaminare ancora gli aspetti qualitativi di questo trattamento del tempo. E' infatti riscontrabile frequentemente presso i fisici un atteggiamento di "fastidio" di fronte alle obiezioni filosofiche sulla natura dello spazio e del tempo, quali questi risulterebbero dalla loro manipolazione relativistica. Ad esse si ribatte con l'affermazione che la fisica non si interessa di "problemi filosofici", e si limita a dire ad esempio che il tempo e' "quella cosa" che viene misurata da certi strumenti chiamati orologi, e che soltanto su queste misure, e non su astrattezze "metafisiche", essa ha competenza. Pure, non sembra insensato il ritenere che, se tutte le misure fisiche del tempo, comunque effettuate, si comportassero veramente sempre nello stesso identico modo nel passaggio da uno dei due riferimenti all'altro, indipendentemente dalla convenzione usata per la misura, allora tale circostanza potrebbe invero essere considerata come il punto di partenza sul quale edificare un "concetto fisico" del tempo il quale verrebbe ad avere le stesse caratteristiche di "universalita'" di quello metafisico.

Risulta comprensibile pertanto che alcuni "filosofi"(14) di fronte a questo asserito stato di cose abbiano potuto identificare i due termini della questione, o meglio siano stati sospinti ad esaminare la possibilita' di sostituzione dell'un termine con l'altro, parlando talvolta tout court della "teoria del tempo" nella fisica relativistica. L'ipotesi qui presentata elimina invece ogni possibile confusione tra i due livelli del discorso. Il tempo continua ad essere un referente assoluto e soggettivo, del tutto diverso dallo spazio, mediante il quale l'osservatore inquadra senza alcun limite di distanze i suoi ragionamenti di filosofia naturale, ordinando successioni di eventi sia reali che immaginari. La misura del tempo viene effettuata soltanto in una certa regione dello spazio, sulla base dell'osservazione di una catena di eventi ritenuta per convenzione periodica, in modo da coordinare ed oggettivizzare le "variazioni di tempo", e rendere cosi' possibile la comunicazione interpersonale tra diversi osservatori. Il fatto che il risultato di tali misure possa poi cambiare per effetto del moto relativo di due osservatori, in funzione del tipo di convenzioni usate per la misura, non sarebbe piu' tanto sorprendente nell'ipotesi che queste alterazioni siano dovute al mezzo nel quale il moto avviene, e comunque sarebbe del tutto irrilevante dal punto di vista filosofico. In ogni caso, l'importanza filosofica della teoria della relativita' riguardo a questo tipo di indagini sullo spazio e sul tempo non puo' essere superficialmente sottovalutata, come ben rileva il Reichenbach con le seguenti parole(15):
 
 

"Eppure, sarebbe un altro errore credere che la teoria di Einstein non sia una teoria filosofica. Essa, che pure e' la scoperta di un fisico, ha conseguenze radicali per la teoria della conoscenza: ci costringe a riprendere in esame certe concezioni tradizionali che hanno avuto una parte importante nella storia della filosofia, e da' una soluzione a certe questioni, vecchie come la storia della filosofia, che prima non ammettevano alcuna risposta...se sono filosofiche le dottrine di Platone e di Kant, anche la teoria della relativita' di Einstein ha importanza filosofica, e non semplicemente fisica".
 
 

Quanto asserito da questo autore mostra l'estrema debolezza della posizione di chi pretende di eliminare le discussioni filosofiche sulla TRR richiamandosi ad una artificiale distinzione nel campo della conoscenza tra fisica e filosofia (vedi anche la nota (14)), o di fissare per questo caso le regole della discussione in modo diverso da quello che si fa per l'accettazione o il rifiuto di una qualsiasi teoria filosofica. Quello che il presente autore sostiene a differenza di Reichenbach, e' che la TRR non da' invece alcuna risposta soddisfacente alle questioni di cui si parla, e che non e' vero che queste non ammettevano prima alcuna risposta, o meglio, che semmai la ammettevano prima esattamente nella stessa misura di quanto non la ammettano adesso nonostante Einstein e la fisica moderna. Infine, che la pretesa superiorita' di una teoria di origine fisica sullo spazio e sul tempo, rispetto ad altre di natura piu' propriamente speculativa (ma la distinzione e' in realta' solo apparente, perche' non c'e' "filosofia" che non tenga conto della "realta' sperimentale"), si fonda tutta su una sopravvalutazione del valore e del significato degli esperimenti, attraverso l'ingenua accettazione come osservazioni dirette di cio' che non e' sovente altro che "una remota implicazione di teorie possibilmente erronee", oppure il risultato di varie approssimazioni "ad hoc" eseguite proprio con l'ausilio della teoria che si dovrebbe viceversa mettere alla prova(16).
 
 
 
 

3 - LA VARIABILITA' DEL COEFFICIENTE DI DEFORMAZIONE DEI TEMPI E L'ARGOMENTO GALILEIANO DELLA NAVE
 
 

Cominciamo con il riportare integralmente, per comodita' del lettore, l'argomento galileiano fondatore del principio di relativita'(17):
 
 

"Rinserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran naviglio, e quivi fate d'aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti: siavi anco un gran vaso d'acqua, e dentrovi de' pescetti; sospendasi anco in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vada versando dell'acqua in un altro vaso di angusta bocca che sia posto a basso; e stando ferma la nave, osservate diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocita' vanno verso tutte le parti della stanza. I pesci si vedranno andar notando indifferentemente per tutti i versi, le stille cadenti entreranno tutte nel vaso sottoposto; e voi gettando all'amico alcuna cosa non piu' gagliardamente la dovrete gettare verso quella parte che verso questa, quando le lontananze sieno eguali; e saltando voi, come si dice, a pie' giunti, eguali spazii passerete verso tutte le parti. Osservate che avrete diligentemente tutte queste cose, benche' niun dubbio ci sia che mentre il vascello sta fermo non debbano succedere cosi': fate muovere la nave con quanta si voglia velocita'; che' (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in la') voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti; ne' da alcuno di quelli potrete comprendere se la nave cammina, o pure sta ferma".
 
 

Poniamoci adesso nelle condizioni del nostro sperimentatore, che diremo O , rinserrato come si e' detto in una stanza interna alla nave, e chiediamoci se, alla luce di quanto detto nel precedente paragrafo, egli non avrebbe un semplice modo per decidere, dopo essersi alzato da una notte di sonno, se la nave nel frattempo e' partita o no, e lui stesso si trovi quindi in moto uniforme o no. Naturalmente semplificheremo la situazione pensando che, quando la nave si muove, O sia l'osservatore mobile nell'etere della sezione precedente, mentre, quando sta ferma, sia quello che abbiamo detto W . S intende, tra le "regole del gioco" si fissa quella che O non possa decidere sul movimento eventuale della nave andando a verificare effetti dell'accelerazione iniziale con la quale questa si sia portata dallo stato di quiete a quello di moto uniforme. O deve capire se e' in moto o no effettuando esperimenti "nuovi", simili a quelli che farebbe sulla terra (vedi anche la nota (24)).

Supponiamo dunque che effettivamente O si trovi in uno stato di moto uniforme con velocita' (assoluta) vo , e che siano a sua disposizione nella stanza in cui si trova degli strumenti per effettuare le misurazioni di cui ha bisogno per verificare la validita' delle affermazioni di Galileo ("non riconoscerete una minima mutazione"). O avra' quindi dei regoli per la misura delle distanze, ed anche degli orologi, simili ad altri rimasti "a terra" con l'osservatore W . Orbene, se O conoscesse la teoria precedentemente esposta su possibili diverse deformazioni dei tempi misurati da orologi in moto rispetto ad altri fissi, avrebbe cura di portare con se' due, o anche piu', orologi funzionanti in base a PRINCIPI DIVERSI. S'intende che tutti questi diversi orologi erano perfettamente funzionanti e sincronizzati tra di loro quando lui si trovava a terra, sicche' dovrebbe aspettarsi di continuare a vederli funzionare e sincronizzati tra di loro anche se la nave si trovasse in movimento, giusta la riflessione di Galileo. Invece, potrebbe essere forse sufficiente per lui di stare fermo senza far niente, ne' misure, ne' esperienze, ma solamente stare a guardare i suoi orologi, e dedurre infine che si trova in moto quando si accorgera' che due degli orologi non sono piu' sincronizzati tra di loro (naturalmente nel caso "fortunato" che abbia con se' almeno due orologi per i quali veramente i rispettivi coefficienti A di deformazione dei tempi siano diversi), e questo e' tutto. Naturalmente, onde evitare eventuali indesiderati effetti delle accelerazioni iniziali, O risincronizza gli orologi all'interno della nave, e li dovrebbe vedere comunque dopo un po' desincronizzarsi.
 
 

Vediamo adesso con qualche esempio, sempre dal punto di vista precedentemente illustrato, cosa ci si dovrebbe aspettare in quanto a valore del coefficiente A per i piu' comuni tipi di misure del tempo.
 
 

Cominciamo con l'osservare intanto come nella TRR il coefficiente A debba essere considerato "fisso" in conseguenza dei postulati della teoria, e precisamente uguale, ferme mantenendo le notazioni del paragrafo N. 2, a:
 
 

(11) AR = 1/sqr(1-b 2) (18).
 
 

Inoltre, si dice che questo AR (relativistico) e' "confermato" dalle esperienze fatte con orologi atomici, sicche' ammettiamo pure che per un orologio atomico risulti A = AR (19).
 
 

Vediamo invece cosa possiamo pensare debba accadere nel caso di un "pendolo", supponendo, sempre in relazione con la situazione in cui abbiamo supposto di trovarci, di essere in presenza di un campo gravitazionale costante lungo l'asse delle ascisse ed orientato nel senso delle y decrescenti, la cui accelerazione di gravita' (assoluta) indicheremo con g . Un pendolo di lunghezza L avra' quindi nel riferimento assoluto un periodo che e' dato (approssimativamente) da 2p *sqr(L/g), mentre nel riferimento mobile avrebbe evidentemente un periodo pari a 2p *sqr(KT*L/g) (20), sicche' il coefficiente A sarebbe dato in questo caso dal valore:
 
 

(12) AP = sqr(KT) .
 
 

Confrontando la (12) con la (11), potremmo gia' tentare un confronto tra il tempo misurato dal pendolo e quello misurato da un orologio atomico, anche senza conoscere effettivamente il valore di KT, soltanto usando ad esempio o l'ipotesi di FitzGerald (7) prima, e quella di Lorentz (9) poi.

Nel primo caso, e supponendo come usuale b abbastanza "piccolo" rispetto all'unita'(21), si avrebbe AP = 1/sqr(sqr(1-b 2)) = 1+b 2/4 (qui, e altrove nel seguito, si deve ovviamente leggere = come "quasi uguale"), mentre nel secondo risulterebbe invece AP = 1 .

Avendo supposto che sia quindi, in virtu' della (11), AR = 1+b 2/2 , si trova che:
 
 

- nell'ipotesi di FitzGerald, nel riferimento mobile si ha una "contrazione" dei tempi sia per gli orologi atomici che per il pendolo, ma quest'ultimo rallenterebbe un po' di meno dell'orologio atomico;
 
 

- in quella di Lorentz invece, il tempo misurato dal pendolo coinciderebbe con quello assoluto, mentre l'orologio atomico rallenterebbe nella stessa proporzione che nel caso precedente.
 
 

In entrambi i casi, quindi, il tempo segnato dal pendolo tenderebbe a sopravanzare quello segnato dall'orologio atomico, e nel primo caso si avrebbe una differenza di un'unita' (secondo) dopo 4/b 2 secondi (misurati dall'orologio atomico), nel secondo invece dopo la meta' di tale tempo.
 
 

Effettuati dei calcoli numerici, tanto per avere un'idea degli ordini di grandezza in gioco, avendo scelto (non a caso!(22)) un valore di b pari a O.OO1467 , che corrisponde ad una velocita' di circa 440 km/sec , si trova che il pendolo guadagnerebbe un secondo rispetto all'orologio atomico nell'ipotesi di FitzGerald dopo 516 ore, ed in quella di Lorentz dopo 258!
 
 

Se il caso del pendolo non piace, vediamo come si potrebbe impostare il confronto tra un orologio atomico ed un altro tipo di orologio, un "light-clock" (LC), il cui periodo e' scandito da un raggio di luce che compie un cammino di andata e ritorno, diciamo pure di lunghezza L e lungo l'asse delle x (23). In questo caso il periodo dell'orologio nel riferimento assoluto e' pari a 2L/co , mentre nel riferimento mobile sara' KL*L/(co-vo) + KL*L/(co+vo) . Cio' fornisce un valore di A , che indicheremo con ALC , pari a:
 
 

(13) ALC = KL/(1-b 2) .
 
 

Questa diventa nell'ipotesi di FitzGerald ALC = 1 + b 2 , mentre in quella di Lorentz ALC coinciderebbe esattamente con il valore indicato dalla (11). In questo secondo caso in effetti non si troverebbe alcuna differenza tra un orologio atomico ed un LC , mentre nel primo caso si potrebbe prevedere che sarebbe l'orologio atomico a sopravanzare quello a luce, e precisamente che guadagnerebbe un secondo rispetto a questo ancora dopo 258 ore, avendo effettuato i calcoli come dianzi.
 
 

Terminiamo con un altro esempio, sul quale torneremo anche nel prossimo paragrafo, che ci sembra altamente istruttivo sulle possibilita' di variabilita' del coefficiente di deformazione del tempo nei due riferimenti a seconda della convenzione che viene scelta per misurarlo.

Abbiamo incontrato fino ad ora tutti casi cosiddetti di dilatazione dei tempi, ovvero orologi che in moto assoluto rallentano rispetto ad orologi fermi nell'etere (il "tempo" scorre piu' piano nel riferimento in moto), comprendendo tra questi casi quello limite dell'orologio mobile che misura lo stesso tempo di quello assoluto. Orbene, non e' difficile neanche immaginare viceversa un caso di "contrazione" dei tempi, ovvero una convenzione per la misura del tempo che, ancorche' inapplicabile nel caso del navigatore di Galileo, mostra comunque che non si deve necessariamente prevedere sempre una dilatazione, indipendentemente dalla convenzione adottata per la misura del tempo.

Supponiamo infatti che l'osservatore O possa osservare la rotazione di un oggetto celeste rispetto ad un altro (diciamoli rispettivamente m ed M), e che tutto questo sistema sia solidale con O (e quindi non con W ):
 
 

*** Figura ***
 
 

Si potra' allora misurare il tempo nei due riferimenti considerando costante il periodo di rotazione di m rispetto ad M, ed assumere di conseguenza come unita' di misura del tempo questo periodo di rotazione. Cio' premesso, e' abbastanza evidente allora che in questo caso e' l'"orologio" di W a "rallentare", visto che questi constatera' un'eclisse" di m non con lo stesso periodo T con il quale queste appaiono ad O , bensi' con un periodo T + vo*T , dal momento che tra un'eclisse e l'altra W si sara' allontanato da O di una distanza pari a vo*T .

Formalizzando il ragionamento, si ottiene:
 
 

(14) t = (1+ b )-1*t ,
 
 

(ed in questo caso e' evidentemente A = (1+ b )-1 minore di 1).
 
 

Nota VI - Ritorneremo su un caso simile a questo nel prossimo paragrafo, a proposito di una famosa osservazione di Maxwell su una possibile anomalia dei periodi di rotazione delle lune di Giove. Si osservi sin da ora pero' che il fenomeno della deformazione della misura del tempo avviene adesso in relazione a potenze del primo ordine in b , e non del secondo ordine come si era sempre verificato in precedenza. Infine, che si ha qui a che fare sostanzialmente con un effetto Doppler, anche se W non osservera' propriamente un "red-shift" della radiazione luminosa, ovvero una variazione di frequenza di questa, nell'ipotesi che i due corpi m ed M , come ad esempio nel caso di due pianeti, non emettano una luce propria, bensi' soltanto una luce riflessa (ovvero, non siano essi stessi due "sorgenti" di luce). Altre "varianti" sullo stesso tema non sono difficili a concepirsi.
 
 
 
 

4 - OSSERVAZIONI FINALI
 
 

Terminiamo il lavoro con qualche commento.

Prima di tutto, l'osservazione con cui nel paragrafo precedente si e' replicato all'argomento di Galileo non vale evidentemente a decidere quale dei due riferimenti sia poi quello da considerarsi veramente in moto rispetto all'etere, sicche' non si tratta in nessun caso di un metodo per constatare la cosiddetta velocita' assoluta di un osservatore inerziale.

Inoltre, anche questo autore immagina molte obiezioni concettuali che possono essere mosse contro quanto prima esposto, a prescindere da quelle che possono essere riferite alla "realta'", tutta da verificare, della descrizione dei fenomeni relativistici secondo l'interpretazione di LF . Pero', ha anche l'impressione che non ci siano obiezioni che non possano essere ripetute tali e quali non solo per i ragionamenti con i quali Einstein propose la sua TRR, ma anche per le esperienze che si dicono a conferma di questa, quali ad esempio quelle citate nella nota (11). Tanto per fare qualche esempio, gli effetti indicati potrebbero essere ascritti alle accelerazioni iniziali necessarie per mettere in moto O rispetto ad W (24), e si potrebbe dire di conseguenza che gli orologi di O debbono essere pensati "costruiti" nel riferimento solidale con O (cosa che non risulta si faccia mai nei detti esperimenti), nel qual caso ovviamente l'asserita desincronizzazione non si verificherebbe.

Cosi' pure, si potrebbe dire che gli effetti indicati sono comunque tanto "piccoli" da non poter essere sperimentalmente verificati con precisione, ma quello che qui interessa non e' tanto proporre una vera esperienza fisica(25), quanto piuttosto fare una "speculazione" sulla fisica, e sul valore conoscitivo dei suoi asserti.

Ancora, si potrebbe prendere l' esempio del prolungamento della vita media di particelle elementari instabili (vedi le note (11) e (18)), per asserire che questo starebbe comunque ad indicare sempre una dilatazione dei tempi propri di corpi in moto rispetto al laboratorio terrestre, mentre nell'ipotesi di LF bisognerebbe prevedere invece un'asimmetria.

Il tempo scandito da un orologio atomico fisso rispetto all'etere, ma quindi in movimento rispetto al laboratorio terrestre(26), di fatto scorrerebbe piu' veloce, e la vita media di una particella solidale con questo per conseguenza dovrebbe risultare minore e non maggiore (fatta salva naturalmente l'assunzione che si tratti di un fenomeno che si verifica per le stesse ragioni, e quindi nella stessa misura, con cui si verifica la variazione nella misura del tempo fornita dagli orologi atomici). In effetti, a questa asimmetria bisognerebbe credere, coerentemente con il punto di vista di LF, ma si puo' anche aggiungere che non sembra esserci per il momento alcuna evidenza sperimentale contraria a questo asserto, visto che il fenomeno in questione e' stato verificato soltanto per particelle "veloci", e quindi comunque veloci rispetto all'etere, se la velocita' assoluta del laboratorio e' da supporsi non "troppo grande", ovvero rispetto a co , come per l'appunto sembra il caso (vedi nota (22)). La prevista abbreviazione della vita media di una particella si dovrebbe constatare solo per particelle "lente", ovvero viaggianti (in una qualche direzione privilegiata da determinarsi) a circa 400 km/sec rispetto al laboratorio, se questo ordine di grandezza per la velocita' assoluta e' corretto.

C'e' pero' un'altra obiezione piu' importante che merita di essere esaminata un po' in dettaglio. Il complesso delle trasformazioni (5) e (10) viene a definire una "geometria" dello spazio-tempo che si puo' dedurre anche mediante considerazioni puramente relativistiche, modificando solamente rispetto a quanto fatto da Einstein la convenzione usata per la sincronizzazione degli orologi(27). Quindi questa geometria e' "sostanzialmente" compatibile con la TRR, e di conseguenza anche con gli esperimenti dichiarati in suo favore, sicche' si potrebbe dire, sotto il profilo puramente fisico, che si tratta della "stessa" teoria, e che da un punto di vista appunto "fisico" non bisognerebbe aspettarsi da essa nulla di nuovo, e fenomeni, esperimenti e formule quantitative resterebbero le stesse.

Questa conclusione e' molto discutibile, ancorche' in perfetto accordo con il pragmatismo dei nostri tempi, secondo il quale si giudicano invero "uguali" teorie che ammettono formulazioni matematiche uguali, o simili(28).

Infatti, a prescindere dalle differenze qualitative enormi tra una teoria che ammette l'esistenza di un mezzo, ed ascrive alla presenza di questo il verificarsi dei fenomeni relativistici, rispetto poniamo all'impostazione einsteiniana che considera invece l'introduzione di questo mezzo come "superflua" (nel primo modo si verrebbe senz'altro a restituire un po' di "razionalita'" alle nostre concezioni del mondo(29)), e' ovvio che, anche se non dovessero riscontrarsi differenze apprezzabili da un punto di vista fisico per una certa classe di fenomeni, la reintroduzione del concetto di etere potrebbe rivelarsi invece fisicamente proficua in ALTRI settori, suggerendo l'esistenza di nuove e finora insospettate "possibilita'" della natura(30); come dire, si potrebbe forse prevedere qualche fenomeno compatibile con questo punto di vista ma non con quello relativistico.

L'altra impostazione "ortodossa", che conduce allo stesso tipo di trasformazioni qui adottate, presenta con quella di Einstein una caratteristica fondamentale comune, e precisamente il fatto che queste trasformazioni sono conseguenza come detto di convenzioni per la sincronizzazione di orologi solidali con uno stesso osservatore, e questa procedura si effettua ancora mediante lo scambio di segnali luminosi. Ecco allora perche' non viene neanche pensato che il "tipo" di misura del tempo che si usa possa invece diventare importante, per interpretare ad esempio sotto una luce diversa fenomeni quali quelli ricordati , andandone a ricercare le eventuali reali cause fisiche. Tutte le questioni cosi' spesso dibattute, come ad esempio quella dell'invarianza della velocita' della luce, diventano da tale punto di vista una pura e semplice questione di convenzioni(31), il che spiega in effetti anche perche' i fisici relativistici ritengano con invidiabile sicurezza che le loro conclusioni non possano neppure discutersi.

Questo atteggiamento, ancorche' non appaia cosi' sicuro di non poter essere smentito come gia' detto dalla realta' sperimentale, viene a perdere parte della sua validita' quando si osservi che in tutti i ragionamenti che abbiamo esposto in questo lavoro, si ha a che fare con un solo osservatore ed un solo orologio in ciascun riferimento, e che nonostante cio', se si suppone una teoria dell'etere, ci si puo' aspettare che qualche fenomeno avvenga come previsto dall'ipotesi dell'esistenza del mezzo, ovvero di un'origine "reale" di certi effetti, in maniera del tutto indipendente da convenzioni sulla sincronizzazione di orologi di tanti osservatori solidali con uno stesso riferimento.

Dopo di aver osservato che del resto non c'e' traccia di queste procedure di sincronizzazione nella pratica sperimentale con cui si effettuano le varie misure ed esperienze fisiche usuali (si potrebbero definire in effetti quelle convenzioni come delle "Gedanken-convenzioni"!), chiudiamo queste osservazioni sull'importanza "secondaria" di tale questione notando che, poiche' sembra in ogni caso necessario convenire che bisognerebbe in teoria sincronizzare gli orologi di un "continuo" di osservatori, si potrebbe benissimo allora pensare di effettuare la detta sincronizzazione in un modo che non preveda nessuno scambio di segnali luminosi, e quindi nessuna "ipotesi" sulla velocita' di propagazione di questi (anche senza ricorrere al cosiddetto "trasporto lento", che coinvolge delicate questioni di altra natura, e sul quale non sembra esserci neppure tanta "unanimita'" da parte degli specialisti del settore). Per sincronizzare due orologi uno in O ed uno in P , si puo' immaginare una catena di osservatori O = O1 , ... , On = P , cosi' "vicini" tra di loro che ciascuno di essi possa regolare il proprio orologio a vista con quello dell'osservatore precedente. Eventuali "fluttuazioni" nella misura del tempo che potrebbero verificarsi in tal modo a causa di "piccoli" errori di approssimazione, ripetuti poi per transitivita' fino a diventare "sensibili", non sembrerebbero dipendere tanto da proprieta' della velocita' di propagazione di segnali, o di effetti di "piccole" accelerazioni sugli orologi, quanto piuttosto da leggi di tipo statistico (o addirittura "fisiologico"!), visto che si potrebbe anche pensare che "alla lunga" diversi errori si compenserebbero tra di loro.

Concludiamo il lavoro portando all'attenzione del lettore, sempre in relazione a questo ordine di idee, un'interessante esperienza proposta da Maxwell (vedi Nota VI), in virtu' della quale si potrebbe procedere ad una verifica sperimentale diretta di una possibile anisotropia della velocita' della luce, anisotropia che si dovrebbe coerentemente postulare per un osservatore in moto nel mezzo, contrariamente al presupposto einsteiniano. Questa esperienza, nella quale si ha bisogno di un solo osservatore e di un solo orologio, in conformita' con quanto e' stato detto poc'anzi, non e' mai stata compiuta, ed oggi e' addirittura quasi dimenticata, nonostante preveda come vedremo un effetto del primo ordine in b (32).

Per dirla brevemente, Maxwell osserva che si puo' prendere come m una delle lune di Giove, diciamo ad esempio Ganimede, e come M Giove stesso. Diciamo T il periodo (proprio) con il quale Ganimede compie una sua orbita completa intorno al pianeta. Dal punto di vista di Giove, si trattera' di un ottimo "orologio". Vediamo ora la cosa sotto il punto di vista di un osservatore terrestre. Egli vedra' compiuta un'orbita completa, ovvero un'eclisse di Ganimede, non esattamente nello stesso istante in cui questa avviene, bensi' dopo un intervallo di tempo pari a L/co, avendo detto L la distanza "in quel momento" tra la Terra e Giove. Quando dopo un periodo T si verifichera' un'altra eclisse di Ganimede, questa verra' vista dalla Terra solamente dopo un intervallo (L+DL)/co, visto che essa si sara' nel frattempo allontanata, o avvicinata, della quantita' DL al pianeta Giove, a seconda della sua posizione nell'orbita annuale (c'e' da dire che il periodo di rivoluzione di Giove intorno al Sole e' pari a 12 anni, sicche', mentre la Terra percorre in un anno tutta la sua orbita, Giove in questo intervallo di tempo occupa una posizione sostanzialmente "stabile" rispetto ad essa). In altre parole, il periodo di Ganimede appare all'osservatore terrestre non esattamente uguale a T, bensi' a un valore T+DL/co , il quale e' lentamente variabile nel corso dell'anno a seconda della posizione relativa tra la Terra e Giove(33). Come si potrebbe rilevare da qui un'eventuale velocita' assoluta del sistema solare tutto intero rispetto all'etere? Osserva Maxwell che, supposta tale velocita' in un certo momento orientata nella direzione Sole-Giove, bisognerebbe modificare il calcolo di prima scrivendo invece di T+DL/co , il valore T+DL/(co+vo), poiche' la Terra, correndo insieme a tutto il sistema solare nell'etere incontro alla luce proveniente da Giove, dovrebbe riuscire a vedere l'eclisse di Ganimede prima di quanto non avverrebbe se il sistema solare fosse invece fisso nell'etere. Per contro 6 anni dopo, quando Giove occupa invece la posizione antipodale nella sua orbita, la variabilita' del periodo di Ganimede sarebbe in relazione alla quantita' DL/(co-vo) , ed in questi due diversi anni si dovrebbe riscontrare quindi una differenza, rispettivamente minima e massima, rispetto alla variabilita' "media" del periodo delle eclissi di Ganimede nell'arco di tutti i 12 anni corrispondenti ad un'intera rivoluzione di Giove intorno al Sole, dalla quale si potrebbe risalire infine al ricercato valore di b (per l'intero sistema solare).

Niente sincronizzazioni quindi, e nemmeno misure "one way" della velocita' della luce, ma solo una "scommessa" su un effetto che bisognerebbe comunque aspettare 12 anni prima di poter essere sicuri di avere o no rilevato. Certo che la questione e' cosi' importante, e fonte di innumerevoli mai sopite discussioni, che varrebbe forse la pena di abbandonare per un poco i "pregiudizi" (o le presupposizioni) einsteiniani, ed andare a verificare!
 
 


NOTE


 



(1) - Citiamo ad esempio: P. Frank e H. Rothe, Ann. Phys., Lipsia, 34(1911); C. Cattaneo, Rend. Acc. Naz. Lincei, 24 (1958); V. Berzi e V.Gorini, J. Math. Phys., 10 (1958). Si veda anche H. Dingle, Scienceat the Crossroads, Martin Brian & O' Keefe, Londra (1972), p. 216.
 
 

(2) - Da un abbastanza recente testo di teoria della relativita', quello di O. Barbier, Tempo e relativita', Ed. Bizzarri, Roma (1976).
 
 

(3) - Non e' naturalmente questione di mettere in discussione la "coerenza interna" della TRR, visto che questa si articola in argomentazioni matematiche evidentemente ineccepibili, tenuto conto del fatto che non sono neanche di cosi' alto livello da poter celare qualche insospettato errore. Il punto e' che la cosiddetta coerenza interna di una teoria appartiene esclusivamente al suo strutturarsi in forma matematica, mentre quella che si vuole, e si puo', mettere in discussione e' la sua verosimiglianza, o plausibilita' dal punto di vista fisico. E' sotto tale aspetto che si puo' ritenere, senza essere necessariamente dei "folli", che forse la teoria e' completamente sbagliata, e possibilmente responsabile anche di un mancato progresso nella conoscenza della natura e della sua reale essenza (meta questa alla quale gran parte dei fisici non credono piu', neanche a livello di aspirazione).
 
 

(4) - Tanto per dare un'idea di che si tratti, citiamo dal "Tractatus deLumine" di Huygens (1690): "Non c'e' dubbio che la luce arrivi da un corpo luminoso a noi come moto impresso alla materia interposta", e da Maxwell (A Dynamical Theory of the Electromagnetic Field, Phil.Trans., 155 (1865)): "La teoria che propongo assume che nello spazio ci sia materia in movimento per mezzo della quale vengono prodotti i fenomeni elettromagnetici" (sottolineature del presente autore [scomparse nel passaggio al formato html]). Si tratta come si vede di un'impostazione che potremmo dire cartesiana. Per contro, citiamo anche un commento ispirato alle concezioni del grande rivale di Cartesio, a favore di un'esplicita cancellazione del concetto di uno spazio fisicamente attivo: "Non ci sara' assolutamente luogo per i movimenti delle comete, se quella materia immaginaria non viene completamente rimossa dai cieli" (R. Cotes, dalla Prefazione alla II Edizione dei "Philosophiae Naturalis Principia Mathematica" di Newton (1713)). E' evidente che in questo senso la TRR e' una teoria classica, ovvero di osservanza strettamente newtoniana, visto che non fa altro che spingere i principi sottogiacenti alla visione del mondo del fisico inglese alle sue estreme conseguenze. Si noti che invece di solito ci si sofferma soltanto in sede di commento ad evidenziare le "novita'" introdotte da questa generalizzazione, cioe'il fatto che alla fine le stesse concezioni di spazio e tempo assoluti di Newton sarebbero incompatibili con l'idea di uno spazio vuoto fisicamente inattivo, e per questo si asserisce che la TRR e'una teoria di carattere "rivoluzionario" (vedi anche la nota (7) naturalmente, non bisogna confondere in questo contesto i due diversi domini del REALE e del PENSATO, visto che spazio e tempo assoluti non possono evidentemente non restare tali e quali descritti ad esempio nella filosofia kantiana, ovvero come delle forme pure a priori della mente, o ,in altre parole, come delle categorie mentali dell'essere umano). Una vera rivoluzione, come suggerisce anche l'etimologia stessa della parola, consisterebbe probabilmente invece soltanto in un ritorno alle primitive concezioni di Cartesio! Val forse la pena di dire infine che l' "etere" e' ammesso nella fisica di oggi soltanto come "lo spazio vuoto privo di materia in cui agiscono forze gravitazionali ed elettromagnetiche, senza che questa parola denoti una qualsiasi sostanza" (M. Born, La sintesi einsteiniana, Ed. Boringhieri, Torino (1969), p. 268).
 
 

(5) - Vedi anche H. Dingle, loc. cit. nella nota (1), p. 165.
 
 

(6) - Ma non va trascurato nel formulare questo giudizio quanto c'e' di vero nella seguente affermazione di M. Jammer: "Nonostante il fatto che si tratti di una teoria eccezionalmente ben affermata, sarebbe imprudente il concludere che i fondamenti della TRR siano materia di unanimita' e consenso universali" (in "Problems in the Foundations of Physics", Proc. of the Int. School of Phys. "E. Fermi", edito da G.Toraldo di Francia, North-Holland (1979)).
 
 

(7) - Non va infatti confusa questa avversione con la "normale" resistenza che viene opposta di solito contro tutte le innovazioni da parte degli esponenti dell'ambiente scientifico "in carica". Questa inerzia al cambiamento cessa di solito dopo qualche generazione, cosi' come accadde ad esempio per la cosiddetta "rivoluzione copernicana", ed e' quindi da considerarsi evidentemente piu' legata alla psicologia degli uomini che non alle caratteristiche intrinseche delle "idee". L'unicita' del caso della TRR, e quindi in questo senso certamente il suo aspetto "rivoluzionario", consiste nel fatto che essa e' stata la prima teoria fisica a introdurre quella che si puo' senz'altro dire una sorta di "irrazionalita'" in questo campo di studi, solo parzialmente compensata (ma sarebbe meglio dire "mascherata") da un uso massiccio di astrazioni matematiche, delle quali e' sempre piu' difficile formarsi un contenuto intuitivo. E' per questo motivo che tutti coloro che stentano ad ammettere la necessita' di dover rinunciare alla possibilita' di una "spiegazione razionale" dei fenomeni naturali, si vedono costretti ad iniziare la loro opposizione contro questo stato di cose a partire dalla teoria che ne e' stata la prima responsabile. Di fatto, nonostante siano passate almeno quattro generazioni, non si puo' dire che la teoria abbia mai veramente raggiunto il senso e la cultura comuni, anzi se per questo neanche non comuni, visto il perdurare di una certa avversione, almeno nell'ambiente accademico italiano, ad insegnare elementi di relativita' nei primi corsi di Fisica o di Meccanica Razionale (cio' che costituisce manifestamente, se davvero si credesse nel valore epistemologico della TRR, un grave errore di base, visto che si abitua lo studente ad operare con un'impostazione e con concetti che dovra' considerare poi, piu' che superati, infondati). Come esempio osserviamo che il bel testo di E. Perucca, "Fisica Generale e Sperimentale" (Ed. UTET, Torino, due voll.), del quale esiste una ristampa del 1960, liquida la relativita' in poche righe, con il che dimostra che non da' proprio tanta importanza alla rifondazione da parte di Einstein dei concetti di spazio e di tempo, e che si puo' "fare fisica" altrettanto bene senza prenderli in considerazione. Inoltre, in un recente convegno (novembre 1983 - di cui informa il Notiziario dell'Unione Matematica Italiana, gennaio 1984) dedicato all'insegnamento della Meccanica Razionale nei Bienni, la proposta di inserire la teoria della relativita' tra gli argomenti fondamentali da esporre e' stata bocciata (anche se per un pelo), avendo ottenuto soltanto 25 voti a favore, a fronte di 19 voti contrari e 12 astensioni.
 
 

(8) - Citiamo tanto per fare qualche esempio: R. Mansouri e R. Sexl, A TestTheory of Special Relativity, General Rel. and Gravitation, I, II eIII, 8 (1977); T. Chang, A Space-Time Theory with a Privileged Frame,Found. of Phys., 13 (1983); W. Rodrigues e J. Tiomno, On Experiments to Detect Possible Failures of Relativity Theory, Found. of Phys., 15(1983); G. Cavalleri, Recente riformulazione della teoria della relativita' speciale e possibilita' di discriminazione sperimentale fra le conseguenze dell'impostazione di Einstein e di quella di Lorentz, L'Elettrotecnica, Vol. 71, N. 6, (1984); F. Winterberg, Possible Evidence for Weak Violation of Special Relativity, Z. Naturforsch.42a (1987).
 
 

(9) - In "Parabole e Catastrofi", a cura di G. Giorello e S. Morini, Ed. Il Saggiatore (1980), p. 8 e 28.
 
 

(10) - La teoria che verra' esposta in questo paragrafo e' presentata con maggiori dettagli nel lavoro dello stesso autore "Teoria della relativita' ristretta ed ipotesi dell'etere", Preprint, Perugia(1988), dal quale una parte del presente scritto viene integralmente ripresa. Questa possibilita' di un effetto reale causato dal movimento dei corpi nell'etere fu avanzata per il primo dal FitzGerald, il quale pero' sembra non abbia lasciato alcuna traccia scritta della sua congettura. Di essa si parla invece in una comunicazione di Sir O. Lodge alla rivista "Nature" nel 1892, ed e' ancora riportata in un testo dello stesso Lodge, "The ether of space", Ed. Harper (1909). Lorentz riprese, sembra indipendentemente dal FitzGerald, ed in ogni caso in modo diverso (come si vedra' nel testo), tale idea gia' dal 1892, e la sviluppo' ulteriormente in una serie di lavori fino al 1904. C'e' forse da aggiungere che considerazioni di questo tipo sono state all'epoca rifiutate non sulla base di motivazioni sperimentali, perche' sembrano al contrario capaci di spiegare "molto" (vedi ad esempio il preprint precedentemente citato), bensi' in quanto ritenute delle ipotesi "ad hoc" e di natura abbastanza "artificiale". In realta' va tenuto presente pero' che tali congetture furono avanzate non tanto, o non solo, per dar ragione con qualche espediente matematico del risultato negativo dell'esperienza di Michelson-Morley, ma che esse erano accompagnate invece da precise considerazioni fisiche sulla struttura della materia, naturalmente adeguate alle conoscenze dell'epoca. FitzGerald riteneva ad esempio che le forze di coesione molecolare fossero di origine elettrica, sicche' l'alterazione della dimensione di un corpo nella direzione trasversale al moto nell'etere (vedi successivamente nel testo) avrebbe potuto spiegarsi con una diminuzione della forza di attrazione molecolare in tale direzione, causata da una forza di repulsione del tipo di quella che si esercita tra due correnti elettriche svolgentisi in direzioni opposte.
 
 

(11) - La piu' famosa tra queste e' senz'altro l'esperienza di J.C. Hafele eR.E. Keating (Science, 177 (1982)), con la quale si evidenzia una "dilatazione" dei tempi misurati da orologi atomici in movimento su aerei (quest'esperienza appartiene in realta' piu' al dominio della relativita' generale, che non di quella ristretta, o speciale, vedi anche la successiva nota (24)). E' ascritto anche alla dilatazione dei tempi prevista dalla TRR il constatato fenomeno del prolungamento della vita media di una particella "veloce" rispetto al riferimento terrestre, nel senso che la "vita media" di una di queste appare piu' lunga di quanto non sia quella dell'analoga particella prodotta in un laboratorio. Ci si riferisce ad esempio a mesoni mu (detti anche"muoni"), che hanno "a riposo" in un laboratorio una vita media di circa 2.2 10-6 sec , mentre appaiono avere una vita media quasi 30 volte superiore quando hanno rispetto alla Terra una velocita' dell'ordine di quella della luce, come capita nel caso dei mesoni prodotti negli alti strati dell'atmosfera a causa delle interazioni nucleari originate dall'impatto con essa dei raggi cosmici (B. Rossie D.B. Hall, Phys. Rev., 59 (1941) - un fenomeno analogo si riscontra anche per il caso di mesoni p , o "pioni": R. Durbin, H.H. Loar eW.W. Havens, Phys. Rev., 88 (1952)). Naturalmente, nella spiegazione relativistica del fenomeno si tratta sempre anche per i mesoni "veloci" della stessa vita media di quelli "lenti", purche' misurata in un riferimento solidale con la particella, e l'effetto riscontrato sarebbe semplicemente dovuto alla dilatazione dei tempi prevista dalle trasformazioni di Lorentz (e con assoluta simmetria, al mesone viaggiante attraverso l'atmosfera sara' quello a riposo nel laboratorio che apparira' "vivere" piu' a lungo). Il punto che qui si sostiene invece e' che con questa "spiegazione" si trascura forse, con un semplice artificio di natura matematica, la doverosa indagine di carattere fisico sulle possibili "vere" ragioni del verificarsi di untale fenomeno (coerentemente con la teoria dell'etere, si potrebbe pensare ad esempio che al crescere della velocita' assoluta di un corpo si avrebbe un aumento della sua massa inerziale dovuto a un aumento della resistenza offerta dall'etere al movimento del corpo, e particelle dotate di massa maggiore rispetto ad altre sarebbero piu' "stabili" di queste).
 
 

(12) - L'ipotesi di una possibile alterazione dei tempi misurati nei due riferimenti precede la TRR di Einstein, ed anche l'introduzione delle trasformazioni di Lorentz, in quanto fu gia' avanzata, nello stesso ordine di idee qui indicato, da J. Larmor nel suo "Aether and Matter", Cambridge (1900), sulla scia delle concezioni di FitzGerald. Come ben noto, un'analoga possibilita' (che poi si concretizza in una formula identica alla legge di trasformazione dei tempi prevista dalle trasformazioni di Lorentz, e quindi diversa dalla (10)), era gia' stata indicata in un lavoro di W. Voigt (Goettinger Nachrichten, 2(1887)). Quello che forse non e' altrettanto noto e' che l'ipotesi diVoigt non era un puro artificio matematico, ma aveva al contrario anch'essa un carattere fisico ispirato a considerazioni di natura strettamente classica (un nuovo tipo di effetto Doppler). Terminiamo la nota aggiungendo che e' naturalmente proprio a proposito della legge di trasformazione (10), che la teoria qui presentata si discosta completamente dal formalismo della TRR, ovvero, dall'analoga legge contenuta nelle trasformazioni di Lorentz. La circostanza che le equazioni di Maxwell non risultino invarianti per il complesso formato dalle (5) e dalla (10) costituisce, nell'ordine delle idee che vengono qui seguite, un fenomeno del tutto irrilevante, perche' e' proprio la formulazione del principio di relativita', e di conseguenza la stessa definizione di "legge fisica", che si mettono in discussione. Le equazioni di Maxwell avrebbero sotto questo punto di vista esatta validita' soltanto relativamente ad un riferimento solidale con il mezzo. Si puo' forse anche dire poi che, ancorche' queste equazioni vengano oggi assunte come "assiomi" della teoria dell'elettromagnetismo, non e' cosi' scontato che la sistemazione offerta attraverso queste equazioni sia non ulteriormente perfettibile (in un senso piu' particolare che non quello del luogo comune da tutti riconosciuto che si puo' sempre far di meglio), e che questa non contenga addirittura qualche contraddizione con la realta' sperimentale (citiamo allo scopo generalmente il volume degli Atti della "International Conference on Space-Time Absoluteness", edito daS. Marinov e J.P. Wesley, Ed. Intern. Est-Ovest (1982), e quello su "Progress in Space-Time Physics", edito da J.P. Wesley (1987), i quali contengono, tra cose buone e cose meno buone, pero' anche tantissime informazioni interessanti e "rare" su questo tipo di argomenti).
 
 

(13) - Del resto, a proposito del tempo come "grandezza fisica", e quindi suscettibile di misurazione, c'e' da osservare che per essa si presenta una circostanza assai singolare che la differenzia da tutte le altre: "Invero, mentre per ciascuna delle altre grandezze fisiche fondamentali si puo' sempre assumere ad unita' di misura una grandezza con essa omogenea, il tempo non si puo' misurare con un puro tempo, ma sempre con un moto che fa intervenire anche la nozione di spazio (mentre uno spazio puo' sempre misurarsi con un puro spazio). E siccome moto non c'e' fisicamente senza materia, cosi' non c'e' concretamente misura del tempo senza materia" (da F. Severi, Aspetti matematici dei legami tra relativita' e senso comune, in "50 anni di relativita'", a cura di M. Pantaleo, Edizioni Universitarie, Firenze(1955)). In effetti, anche se non ci puo' essere "misura" del tempo senza materia, ovvero senza "movimento", il tempo si puo' concepire benissimo in assenza di materia come "durata del pensiero", ovvero dell'atto di volonta' cosciente (cio' che e' facilissimo a dirsi in una prospettiva dualista, mentre e' impossibile da essere capito invece nel quadro culturale dominante, tutto caratterizzato ancora da un'opposizione esplicita, di stampo prettamente illuminista, al dualismo cartesiano tra res extensa e res cogitans).
 
 

(14) - In realta', questa distinzione ha poco senso da un punto di vista generale nella teoria della conoscenza, visto che e' relativa ad una separazione artificiale nel campo dei tentativi dell'uomo volti a comprendere se stesso e l'ambiente che lo circonda. Il richiamo alla "specializzazione" di chi propone un qualsiasi dato di riflessione che possa riuscire utile al progresso in tale direzione, sposta l'attenzione dal dato in se' al prestigio ed all'autorevolezza, veri o presunti, dell'ambiente da cui proviene (senza tener conto poi che i famosi "specialisti" di solito non sono volontariamente in possesso di una sintesi unitaria neppure nel dominio della loro stessa disciplina). Al contrario, uno stesso individuo puo' agire professionalmente tutta la vita nel campo della fisica, e trarre quindi dal suo lavoro spunto per delle considerazioni di filosofia, si' da dover essere pienamente considerato in quel momento un filosofo, mentre viceversa un filosofo di professione puo' in determinate sue indagini di filosofia naturale proporre delle riflessioni che ne fanno in quel momento a pieno diritto un fisico (per esempio, cosi' come Einstein e' spesso un filosofo, Feyerabend e' qualche volta un fisico - e del resto "fisico" era realmente, in ordine agli studi effettuati). Ogni frammento di conoscenza, da qualsiasi attivita' provenga, diventa importante solo quando entri a far parte di un quadro generale che li comprenda tutti, ovvero, in una parola, quando diventa un elemento della riflessione filosofica, che resta comunque il momento piu' alto nel difficile cammino del sapere.
 
 

(15) - In "Il significato filosofico della teoria della relativita'", apparso nel volume "Albert Einstein scienziato e filosofo", AA. VV., Ed.Boringhieri, Torino (1958).
 
 

(16) - In H. Dingle, loc. cit. nella nota (1), p. 122. Non si puo' a proposito di siffatte considerazioni non fare riferimento poi in generale all'importante complesso costituito dalle opere di Paul K. Feyerabend, gia' citato nella nota (14).
 
 

(17) - In "I Dialoghi sui Massimi Sistemi Tolemaico e Copernicano", Giornata II.
 
 

(18) - E' ovvio che la (10) non coincidera' mai con l'analoga trasformazione di Lorentz, che coinvolge sia spazi che tempi, ma qui stiamo confrontando quelle che si potrebbero definire, in ambito relativistico, delle misure di "tempi propri". Per citare il punto di vista relativistico a questo riguardo, ricordiamo le seguenti parole di Feynman (dalle sue famose "Lectures on Physics", Vol. I, 16-2), a proposito del cosiddetto "paradosso dei gemelli": "Tutti gli orologi di Paul appaiono rallentare, il suo cuore batte piu' lentamente, i suoi pensieri scorrono piu' lentamente, ogni cosa accade piu' lentamente dal punto di vista di Peter" (sottolineatura del presente autore). Cio' e' conseguenza del fatto che nella TRR un siffatto effetto di dilatazione viene ascritto alla geometria dello spazio-tempo, e non a reali cause fisiche che potrebbero influire in modo diverso su diversi strumenti di misura del tempo. Cosi', potrebbe darsi che effettivamente, come una particella veloce realmente "vive" piu' a lungo rispetto ad una a riposo nel laboratorio (vedi nota (11)), anche i sopra nominati effetti fisiologici si verificherebbero realmente (ma vedi anche la nota(21)), certo e' pero' che la cosa non e' per il momento altro che una "speculazione selvaggia", non supportata da nessuna evidenza sperimentale. Il pretendere che la natura si comporti "rispettando" i nostri principi e le nostre convenzioni e' nient'altro che una supposizione filosofica come tutte le altre immaginate da coloro che Feynman chiama, con una certa aria di superiorita', "cocktail-party philosophers" (loc. cit., 16-1), senza forse comprendere di dover contare tra questi anche se stesso, almeno quale appare in qualche momento dello sviluppo delle sue considerazioni (vedi nota (14)). Chiudiamo la nota ribadendo esplicitamente che nella TRR la trasformazione tra i tempi nei due riferimenti non e' affatto simile alla (10); dello stesso tipo e' solamente la relazione che sussiste tra una "intervallo di tempo" misurato in un certo riferimento in un fissato posto, e quello stesso intervallo misurato invece da un altro osservatore in moto uniforme rispetto al primo, il quale avra' a che fare allora con due istanti iniziale e finale dell'intervallo relativi a posti diversi, a causa del movimento relativo tra gli osservatori. Nonostante quindi l'apparente somiglianza dal punto di vista quantitativo (ma e' per questo motivo che le due impostazioni sembrerebbero comunque andar d'accordo entrambe con l'evidenza sperimentale!), nel caso relativistico si ha a che fare con una simmetria che non e' piu' prevedibile nell'altro caso, in cui si considerano gli effetti constatati come dovuti a cause fisiche reali attraverso la presenza del famoso "mezzo" (vedi anche il paragrafo finale).
 
 

(19) - Anche se, in conformita' con quanto detto nella nota precedente, e con l'assunto generale di questo scritto, non si puo' dire che ci sia assoluta evidenza sperimentale a favore del fatto diciamo che un orologio al cesio debba avere lo stesso tipo di "deformazione" che un orologio al rubidio, o uno elettronico al quarzo, e in qualunque direzione.
 
 

(20) - Qui il calcolo e' ancora piu' approssimato, perche' non tiene conto della variabilita' della lunghezza del pendolo nelle varie direzioni. Del resto, una formalizzazione piu' precisa non sarebbe cosi' agevole, visto che bisognerebbe eseguire un'analisi approfondita delle reali cause del fenomeno fisico della deformazione, e giungere tra l'altro a formulare delle ipotesi, che andrebbero comunque poi verificate, sul valore da assumere per la "velocita' di propagazione" della deformazione.
 
 

(21) - Questa ipotesi sembra comunque sempre necessaria, almeno finche' i ragionamenti effettuati si vogliano considerare validi sotto l'aspetto fisico, e non da ritenersi soltanto delle speculazioni matematiche, visto che sembrerebbe assurdo pensare a regoli che al crescere della velocita' si allungassero ad esempio a dismisura. Piu' probabile che l'effetto di alte velocita' nell'etere sarebbe quello di trasformare profondamente la natura del corpo materiale. Per lo stesso motivo, si ritiene del tutto privo di fondamento fisico il ragionamento attraverso il quale si immagina un osservatore solidale con il mesone veloce (vedi nota (11)), e si attribuisce in fondo alla "possibile" presenza di questi, ed al "suo" principio di relativita', il fenomeno reale costituito dal prolungamento della vita media della particella (quale appare all'osservatore terrestre). Sembra molto piu' plausibile che un siffatto osservatore non potrebbe esistere fisicamente, ne' lui ne' i suoi strumenti di misura. Al contrario, per un relativista per il quale non hanno senso velocita' assolute, un siffatto osservatore non dovrebbe subire nessuna conseguenza dall'essere dotato di una velocita' dell'ordine di 0.9*c rispetto alla Terra!
 
 

(22) - Si tratta dell'ordine di grandezza stimato per il moto della Terra rispetto alla celebre cosiddetta "radiazione di fondo" (G.F. Smoot, M.V. Gorenstein, R.A. Muller, Phys. Rev. Lett., 39 (1977); E.S.Cheng, P.R. Saulson, D.T. Wilkinson, B.E. Corey, Astrophys. J., 232 (1979)), scoperta nel 1965 da A.A. Penzias e R.W. Wilson. Si ottengono risultati sorprendentemente quasi uguali anche negli esperimenti di S. Marinov (si veda ad esempio "Measurement of the Laboratory's Absolute Velocity", Gen. Relativity and Gravitation,Vol. 12, N. 1 (1980)), e di E.W. Silvertooth (Experimental detection of the ether, Speculations in Science and Technology, Vol. 10, N. 1(1987)). Questi esperimenti sono stati naturalmente non accettati e anzi molto criticati dall'ambiente ufficialmente relativista. Si veda anche il lavoro del presente autore gia' citato nella nota (10) in ordine alla stima di questo ordine di grandezza sulla base di un'osservazione di R. Monti sulla discrepanza tra misure elettromagnetiche e misure cinematiche della velocita' della luce. A questo proposito, si potrebbe aggiungere che in primo luogo i dati sperimentali non vanno mai ritenuti cosi' assolutamente "certi", o meglio, non va trascurata la circostanza che piu' che di dati si tratta di loro "interpretazioni" nell'ambito delle teorie con le quali necessariamente essi vengono "letti"; poi che, sostanzialmente per le stesse ragioni, non si dovrebbe credere, a maggior ragione, alla possibilita' del cosiddetto "experimentum crucis", con il quale si vorrebbe confutare una qualche teoria. Nel caso in questione, appare molto difficile confutare l'approccio relativistico, trattandosi di questioni assai delicate, e certamente al di fuori della comune esperienza. Quello che si vorrebbe invece ottenere e' mostrare che potrebbero immaginarsi altre differenti teorie, anch'esse non del tutto lontane dalla realta' sperimentale, le quali sembrerebbero fornire un'altrettanto adeguata "spiegazione". All'obiezione che una teoria meglio sviluppata e' sempre in ogni caso preferibile ad un'altra che si presenti ancora rispetto a quella in uno stato embrionale, si potrebbe replicare facendo notare che i motivi per l'accettazione o meno di una teoria sono sicuramente di molteplice natura, e non tutti fra di loro facilmente confrontabili, ma che certamente non ultimi tra essi sono l'aspetto estetico o ideologico. Cosi', una teoria piu' "razionale" di quelle attualmente in voga, ancorche' allo stato iniziale, od anche meno "semplice" di queste dal punto di vista delle applicazioni (e' ovvio che l'impostazione relativistica e' piu' "semplice" di quella che prevede invece il ricorso all'etere, visto che la natura fisica di questo ci e' ancora sostanzialmente sconosciuta, e ha quindi un problema di meno con il quale confrontarsi!), puo' a ben diritto solo per questo motivo essere preferita. In altre parole, si vorrebbe cercare almeno di infondere il "sospetto" che non sia del tutto vero che "e' impossibile, e' assolutamente impossibile, trovare spiegazioni in qualsivoglia modo classico" (per citare ancora Feynman nella sua "imparziale" presentazione della meccanica quantistica - loc. cit. nella nota (18), Vol.III, 1-1; enfasi di Feynman e non del presente autore. Si veda anche per questo problema della meccanica quantistica e della teoria dell'etere la nota (29)).
 
 

(23) - L'esperienza di Michelson-Morley starebbe a significare che il periodo di un light-clock non dipende dalla direzione nella quale l'apparecchio e' orientato (si osservi che si tratta qui di una isotropia rispetto a "percorsi" di andata e ritorno, e non come si dice "one-way" - vedi il lavoro dello stesso autore citato nella nota (10)).
 
 

(24) - E' questo il solito problema costituito dal fatto se certi ragionamenti vadano effettuati nell'ambito della TRR o della relativita' generale (TRG), anche perche' tutto va bene finche' vengono sostenute tesi a favore delle teorie piu' accreditate, mentre si cominciano a trovare mille eccezioni quando si sviluppa invece qualche argomentazione o si propone qualche esperimento "contro" di esse. A questo ci si riferiva al termine del secondo paragrafo quando si accennava al modo di fissare le regole per la discussione. Infatti, a nessun filosofo si richiederebbe di difendere le sue asserzioni facendo uso della teoria filosofica di un suo oppositore, e cosi', chi ritiene prive di fondamento tutte le questioni sulla geometria dello spazio-tempo, le sincronizzazioni, etc., ha evidentemente il diritto di proporre una sua spiegazione, peraltro negli stessi termini con i quali e' stata sempre sviluppata la fisica fino all'inizio di questo secolo, senza dover andare a sviluppare necessariamente quelle considerazioni che avrebbe fatto nella circostanza un fisico relativista, almeno finche' ci si astiene dal sostenere che quanto da lui asserito sarebbe di impossibile spiegazione dal punto di vista avverso. L'unica regola e' che si tenga conto dei "fatti" certi, fornendo una loro spiegazione non contraddittoria, e questo e' stato invero fino ad oggi effettuato dai relativisti con le loro ipotesi, senza che per questo si debba pero' necessariamente concludere che l'unico punto di vista corretto per la discussione sia quello relativista, e che comunque bisogna risolvere prima in qualche modo i problemi che sotto questo punto di vista sono considerati importanti (e' a questo proposito interessante citare un'osservazione di J.P. Wesley, vedi nota (12), relativa al fatto che lavori su questo genere di questioni sono comunque classificati nei Physics Abstracts sotto la voce "Relativita' Speciale", mentre altri analoghi sulla gravitazione sotto quella "Relativita' Generale", quasi che per l'appunto sia quello il solo modo possibile di affrontare siffatte questioni, dimenticando che nulla fa piu' da ostacolo per il progresso della scienza che la cristallizzazione del pensiero in dogma). Per tornare al punto in esame, va da se' che riferimenti inerziali, moti uniformi, etc., sono tutte idealizzazioni, od approssimazioni ad hoc, e pertanto inesistenti in natura, sicche' ogni ragionamento andrebbe sempre comunque eseguito nell'ambito della TRG, od eventualmente se in assenza di materia (ovvero, a prescindere da effetti "trascurabili" del campo gravitazionale) comunque nello spazio-tempo di Minkowski prendendovi pero' in considerazione moti accelerati. Evidentemente l'osservatore nella nave potrebbe rendersi conto dell'avvenuto movimento avendo avuto cura di procurarsi uno strumento che registrasse una traccia dell'avvenuta accelerazione, e quindi potrebbe sapere di essere in moto soltanto andando a guardare tale registrazione. Quello che qui si sostiene e' pero' che certe deformazioni nelle misure degli orologi andrebbero ascritte non tanto a quelle accelerazioni iniziali, quanto piuttosto al loro permanere in moto uniforme nell'etere, e le due diverse ipotesi sarebbero senz'altro suscettibili di verifica sperimentale, almeno in linea di principio.
 
 

(25) - Anche se esperimenti del tipo di quelli fatti da Hafele e Keating potrebbero essere tentati con tanti diversi orologi, e piu' volte, per verificare se non si possa riscontrare una "regolarita'" tra le disincronizzazioni con la quali certamente si avrebbe a che fare, in modo da riuscire a distinguere quelle eventualmente dovute agli strumenti, da quelle invece da doversi ascrivere ad altre sconosciute ragioni (il moto "uniforme" nell'etere?!). Naturalmente, bisogna assumere dall'inizio che sia possibile immaginare una cosa come due orologi funzionanti con principi diversi ma perfettamente sincronizzati (nello stesso luogo), altrimenti non si potrebbe andare molto avanti nella discussione (ma anche questo tipo di limitazione non viene mai fatta a priori quando ci si limita ad esporre i "successi" della relativita' - vedi anche la nota (18), nella quale "piu'" orologi, compresi quelli "fisiologici", sembra vengano senza alcuna difficolta' citati!). A proposito poi della "natura" degli orologi, ad esempio il sostenere che solo orologi di un certo tipo si possano considerare veri strumenti di misura del tempo (per dirla in una parola, soltanto i moderni orologi atomici), si noti bene cheEinstein nella sua memoria iniziale del 1905 non fa cenno a quale tipo di orologi pensasse "leciti" in considerazioni quali le sue, e che orologi del tipo indicato all'epoca non erano neppure immaginati.
 
 

(26) - Naturalmente, nell'ipotesi che di fatto ci sia questo movimento della Terra rispetto all'etere, visto che si potrebbe anche pensare, piu' che a un etere totalmente trascinato dal pianeta, almeno nei suoi strati piu' vicini alla superficie terrestre, ad un etere che "sospinga" la Terra, come nella mai veramente sviluppata "teoria dei vortici" proposta da Cartesio, di modo che un moto relativo "uniforme" (vedi pero' anche la nota (24)) dell'una rispetto all'altro, quale ad esempio il moto di rivoluzione della Terra intorno al Sole, non potrebbe riscontrarsi. Potrebbe apprezzarsi invece in tal caso soltanto il moto di rotazione diurno della Terra intorno al proprio asse (potrebbe essere questa rotazione la causa del campo magnetico terrestre, in quanto generato dal moto "assoluto" di cariche elettriche in movimento nell'etere?), come sembra del resto siano riusciti a fare ad esempio Michelson e Gale, e qualche anno prima di loro G. Sagnac, quando ormai era pero' troppo tardi (1925) per convincere i relativisti dell'esistenza dell'etere!
 
 

(27) - Vedi R. Mansouri e R. Sexl, loc. cit. nella nota (8).
 
 

(28) - Vedi ad esempio H. Dingle, loc. cit. nella nota (1), p. 167.
 
 

(29) - Anche la meccanica quantistica, ancor meno inquadrabile della relativita' negli schemi della "razionalita' classica", troverebbe invece una sua possibile "spiegazione" nell'ipotesi dell'etere. Si segnalano qui ad esempio alcuni lavori di B.H. Lavenda ed E. Santamato, che cercano di dare della meccanica quantistica un'interpretazione che non impropriamente si potrebbe definire "classica" nel senso che qui stiamo illustrando ("The Underlying Brownian Motion of Nonrelativistic Quantum Mechanics", Foundations of Physics, Vol. 11, N. 9/10, 1981; "Stochastic Interpretations of Nonrelativistic Quantum Theory", Int. J. of Th. Physics, Vol. 23, N.7, 1984 ). Citiamo dal primo: "Quantum indeterminism is explainable in terms of the random interactions between quantum particles and the underlying medium in which they supposedly move", e dal secondo: "It might perhaps be possible to develop a completely classical formulation of quantum mechanics based upon the irregular motion of a single Brownian particle immersed in a suspension of lighter particles".
 
 

(30) - Vedi ad esempio T. Chang, articolo citato nella nota (8): "The results of this theory are consistent with all known experiments. In addition, this theory makes some new predictions which are different from those of SR, for example, superluminous phenomena" (qui SR sta per la da noi usata sigla TRR). Anche nel presente lavoro, dove pure l'argomento principale portato contro il ragionamento di Galileo non e' come gia' detto una confutazione diretta del principio di relativita', il tipo di teoria fisica che si sostiene suggerisce la possibilita' di altre "confutazioni sperimentali" della TRR, per esempio la prevista osservazione di vite medie MINORI per particelle in movimento lento rispetto al laboratorio. C'e' forse da aggiungere che la difesa ad oltranza dell'impostazione concettuale della TRR, in funzione in realta' soltanto dell'efficacia di una serie di formule "relativistiche" concernenti una classe ben delimitata e precisa di fenomeni meccanici diciamo "delle alte velocita'", sembra del tutto ingiustificata quando si rifletta sul fatto che anche diversi approcci concettuali piu' "classici" conserverebbero in vita gran parte di quelle "formule", cio' che sta a dimostrare come verosimilmente si tratti di un contrasto "ideologico" e non gia' di natura pratica e sperimentale, che viene invece utilizzata soltanto come "paravento"(vedi anche la nota (13)).
 
 

(31) - E' ben ovvio che se si sincronizzano gli orologi con la presupposizione che la velocita' della luce sia costante in tutte le direzioni, e poi si misura per il tramite di questa convenzione la velocita' della luce, la si ritrova in effetti costante in tutte le direzioni. C'e' addirittura chi sostiene che, non potendosi neanche idealmente concepire l'effettuazione di misure one-way della velocita' della luce, allora tanto vale assumerla costante per definizione, e su questa base effettuare tutte le altre misure. Non e' facile capire su quale tipo di certezza riposino queste opinioni relativistiche, anche perche', come qui piu' volte ripetuto, non sembra difficile invece di immaginare dei fenomeni, la cui osservazione richiede un solo osservatore ed un solo orologio, i quali potrebbero essere incompatibili con i principi di omogeneita' ed isotropia dello spazio vuoto implicitamente postulati da Einstein (si vedano ad esempio, oltre ai lavori citati nella nota (22): C. Nissim-Sabat, Can One measure the One Way Velocity of Light?, Am. J. of Phys., 50 (1982), e "A Gedankenexperiment to measure the one way velocity of light", Br. J.for the Phil. of Sci., 35 (1984); P. Kolen, D. Torr, An Experiment to Measure the One Way Velocity of Propagation of Electromagnetic Radiation, Found. of Phys., 12 (1982). Questi lavori in verita' sono stati oggetto di qualche successivo criticismo, che ad esempio nel caso di Nissim-Sabat ha condotto addirittura alla ritrattazione dell'articolo (Br. J. for the Phil. of Sci., 38 (1987)). Essi vengono comunque citati almeno come conferma dell'osservazione di Jammer,nota (6), e perche' non e' cosi' chiaro a priori che essi non contengano NULLA di buono, o di ulteriormente sviluppabile, soltanto perche' dal punto di vista relativista essi non sono corretti, o non dovrebbero dare l'atteso risultato - vedi anche a questo proposito la nota(24)).
 
 

(32) - Si puo' trovare la descrizione di quest'esperienza in M. Born, loc.cit. nella nota (4), p. 162. Nonostante si otterrebbe nel modo indicato un effetto del primo ordine in b , l'osservazione in questione non e' mai stata effettuata, anche perche' in passato non erano a disposizione strumenti sufficientemente precisi per questo tipo di misure astronomiche. Oggi che invece potrebbe essere forse eseguita, in virtu' della superiore tecnologia esistente, la sua mancata esecuzione e' imputabile soltanto al "pregiudizio" diffuso presso i fisici che gli assiomi della TRR siano assolutamente "validi". La situazione ricorda quanto segnalato nel lavoro citato nella nota (10) a proposito della mancata ripetizione delle cosiddette misure elettromagnetiche della velocita' della luce, che fu dovuta "non all'influenza di dati sperimentali, perche' questi, benche' non trascurabili, sono stati lasciati completamente da parte, ma a delle considerazioni di natura filosofica" (sottolineatura del presente autore), ovvero, alla fiducia nella validita' del PR come principio della natura (N. E. Dorsey, Atti dei Lavori della II Sezione del Congresso Internazionale di Elettricita', Parigi (1932)).
 
 

(33) - Fu proprio grazie ad osservazioni di questo tipo che per la prima volta nel 1676 O. Roemer misuro' la velocita' della luce.
 
 
 
 

Umberto Bartocci

Maggio 1988

Dipartimento di Matematica

Universita', Perugia